Beato Giacomo Alberione

Opera Omnia

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VIII
LA RETTITUDINE D'INTENZIONE

[156] | Consideriamo: 1) Cos'è la retta intenzione. 2) Cosa importa la retta intenzione.

1. Ogni opera perché sia buona deve avere certe condizioni. Gli uomini pesano le nostre azioni in un senso, vedono solo l'esterno, ma il Signore vede il cuore. Se noi facciamo un atto di carità, diciamo una parola che consola, se facciamo bene il nostro apostolato, gli uomini vedono l'atto buono, ma Iddio vede l'anima, l'interno. Se uno va a pagare le imposte dall'esattore, anche se lo fa malvolentieri, all'esattore poco importa, purché abbia i soldi, ma se si va a pregare malvolentieri, anche se si canta più forte di tutte, per Dio non vale niente.
Un'opera perché sia buona deve avere diverse condizioni.
a) Che sia fatta in grazia di Dio, perché se l'anima è in peccato non merita, [157] | facesse anche dire una Messa, che è l'opera più santa, non ha merito per l'eternità, le otterrà magari il dolore dei peccati, la disporrà alla conversione, ma niente di merito per il paradiso. L'anima che non ha la grazia è come una pianta secca che non dà mai frutti.
b) Bisogna che l'opera sia buona; se una persona cerca di fare una gherminella, sperando di farla franca, non può far[si] un merito. Se una persona attende alla pulizia di sé al mattino per amor di Dio, ha merito, se lo fa per vanità non acquista nulla, anzi perde; lo stesso per chi adempisse male il suo ufficio.
c) È necessaria la rettitudine d'intenzione che è quella mira, quel pensiero che noi abbiamo nel fare quell'opera buona. Se una figlia va in chiesa, cerca un luogo nascosto, se ne sta lì con gli occhi al Tabernacolo, alla presenza di Dio, senza che nessuno veda, prega con fervore, fa un'opera buona, con retta intenzione, mentre il fariseo che pregava, faceva per sé un'opera buona, ma non acquistò merito, perché non c'era la retta intenzione. Quando c'è il bene che si fa per Dio senza che nessuno veda, è meritorio, perché c'è retta intenzione, mentre tutto il bene che si fa per farsi vedere, perde il merito e può divenire peccato. Se una figlia va alla Comunione, alla Visita, perché tutte le altre vanno,
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ché altrimenti non si sarebbe mossa, sebbene l'opera sia la più santa, non c'è merito.
La retta intenzione è quella mira che abbiamo nel cuore per far le azioni che piacciono a Dio, è l'intenzione che parte dal nostro cuore e va [158] | direttamente a Dio. Si dice retta, perché fra noi e Dio dev'esserci una linea retta, non vie traverse, false intenzioni. Vie storte ce ne sono tante: far le cose per ambizione, per farsi vedere, per fini umani, per interesse, sono tutte false intenzioni. Voglio far questo per il paradiso, per la Madonna, per scontare i miei peccati, per schivare il purgatorio, per unirmi a Gesù crocifisso che tanto ha sofferto per me!. Ecco le rette intenzioni, perché tutte vanno a finire rettamente a Dio. Altre fanno il bene per S. Paolo, perché è sabato, per contribuire al bene della religione: Devo far così, perché se non lavoro adesso che ho tutte le forze e intelligenza per servire Dio, quando aspetto?. Queste sono tutte intenzioni rette.
Ci sono intenzioni che non sono né buone né cattive, ma si fanno diventare rette con certe astuzie. Una persona è pigra, ma ambiziosa, ebbene, dice: Ho già provato ad alzarmi presto al mattino, ma di cinque minuti in cinque minuti, perdo sempre la Messa, e allora mi fisso con una compagna e faccio la gara a chi si alza più presto. E allora per vanità, per non perdere il punto si alza presto; non lo fa direttamente per amor di Dio, ma si serve dell'amor proprio, adoperato a scopo buono per eccitarsi all'amor di Dio. Studiar bene per l'esame è intenzione indifferente, come giuocare in cortile, ecc., ma facendolo per Dio, perché così è comandato di fare in quel tempo, si fa un'opera buona, con retta intenzione. Se andaste a gara con una sorella per [159] | far bene, è amor proprio direste: sì, ma è santificato, è per servir meglio il Signore.
Così si può santificare tutta la giornata, dalle azioni più indifferenti alle più importanti. Son proprio vergognata - diceva quell'anima - di segnar sempre sul mio taccuino sconfitte, sconfitte e sconfitte. Ebbene, serviti di quella vergogna per spronarti a far meglio e a servir meglio il Signore. E quando un'anima dice: Voglio proprio confessarmi bene adesso per non andare al giudizio con queste mancanze e sentirmele rinfacciare davanti a tutti; preferisco subire qui questa vergogna, che là. È amor proprio questa vergogna, sì, ma è santificato, perché intanto fa fare buone confessioni. Santificatelo il vostro amor proprio! Se ne avete
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tanto, che almeno serva a qualche cosa, vi serva in bene, siate furbe!

2. Necessità della rettitudine d'intenzione. Il Signore ci premia a peso di intenzioni e cioè: una cattiva intenzione guasta tutta l'opera; una intenzione buona, ma tiepida rende l'opera buona, ma non tanto meritoria; un'intenzione buona e fervorosa la rende santa.
L'intenzione cattiva guasta tutta l'opera. In un istituto fu portato a tavola un dolce; era festa e ne fu data una porzione per ciascuno dei collegiali. Ma nel dolce c'era del veleno. Il cibo era buono, bello esteriormente, gradevole al gusto, fatto con ingredienti ottimi, ma poche gocce di veleno guastarono tutto e fecero del male a tutti. Anche l'opera migliore, bella all'esterno, [160] | tutta buona, ma fatta con falsa intenzione guasta tutto, è avvelenata. Quel dolce non solo non ha fatto bene alla salute, ma ha fatto ammalare tutti; anche la Messa può esser guastata se la persona ci va per vanità, tanto che se fosse sola perderebbe magari la Messa festiva; eppure cosa c'è di più alto e prezioso che il sacrificio della Messa? Allo stesso modo può esser guastata la Visita, le fatiche, l'apostolato, i vostri anni, anche le stesse penitenze. Se un sacrestano stesse tutto il giorno in chiesa, ma solo per guadagnarsi il pane, non guadagnerebbe certo meriti solo perché sta a lungo in chiesa.
Se una entra nello stato religioso, perché crede di trovar lì la vita comoda, perché nel mondo non sa cosa fare, guasta tutta la sua vita, trasforma la vita religiosa in una vanità qualunque e per lei questa vita diventa tutto veleno.
Succede che una persona, per mancanza di retta intenzione fatica anche molto, ma senza merito. Dice l'Imitazione, che è come prendere pietre preziose e metterle in un sacco bucato!1
Gesù ci avverte nel Vangelo: «Non fate il vostro bene per essere veduti dagli uomini, perché quando vi presenterete al tribunale di Dio, non vi capiti di sentirvi dire: Jam recepisti mercedem tuam!»2. Va' a farti dare la ricompensa dal mondo per cui hai lavorato; non si lavora per un padrone per poi andare a chiedere la ricompensa ad un altro!
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Qui si può esercitare un ufficio o un altro meno importante, si possono avere le lodi degli [161] | uomini, goderne la fiducia, esserne apprezzati, far bella figura, anche presso persone sante, ma chissà quando ci presenteremo al giudizio che cosa verrà fuori dal nostro cuore! Tutto ciò che ora si può anche celare agli occhi degli uomini verrà fuori, perché «Scrutabor Jerusalem in lucernis»3.
State attente alla rettitudine d'intenzione, perché questa facilmente sfugge anche all'esame di coscienza. Quanto pericolo c'è quando le opere sono esposte! È assai meno pericoloso quando si ha da lavorare nel nascondimento e nel silenzio.
L'intenzione può essere buona, ma tiepida; buona e ferventissima. Possono esservi due persone che stanno nella stessa casa, nello stesso banco, che fanno le stesse cose, hanno le stesse pratiche: Messa, Comunione, Visita, orario, cibo, vestito, apostolato, all'esterno tutto uguale, ma guadagnano tutte due ugualmente? Gli uomini direbbero di sì, e Dio? «Dio legge nei cuori»4. Non è lo stesso davanti a Dio!
Quante donne ebree ai tempi della Madonna avranno fatto ciò che faceva lei! Ma le sue giornate erano molto più sante. La rettitudine d'intenzione, l'amor di Dio che aveva nel cuore, santificavano anche le sue più piccole azioni e l'hanno fatta Regina dei santi. Quando un'anima ama veramente il Signore, al mattino dice: Cuore di Gesù, io vi offro tutte le mie azioni, fate che siano tutte secondo la vostra santa volontà. E ancora: Signore, io vi amo con tutto [162] | il cuore, sopra ogni cosa... Offro tutto secondo le intenzioni per le quali vi immolate sui nostri altari… e in questo modo rende le sue azioni tutte d'oro, non di rame, né d'argento, come farebbe se avesse delle intenzioni poco fervorose, ma d'oro, a motivo delle sue intenzioni fervorosissime.
S. Francesco di Sales dice: «Vi è più merito a raccogliere da terra una pagliuzza, perché fa disordine, con due once d'amore, che non nel subire il martirio con un'oncia sola d'amor di Dio»5. Se una subisse il martirio per vanità, non guadagnerebbe nulla. «Se parlassi tutte le lingue, se avessi tutti i doni, se dessi tutti i
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miei averi ai poveri, se subissi il martirio, senza amor di Dio, sarebbe nulla»6, dice S. Paolo, perché è l'amor di Dio che fa il merito.
Come si procura la rettitudine d'intenzione? Prima di tutto bisogna darvi molta importanza. Può darsi che un'anima sia in religione da pochi mesi e si faccia i meriti di una che ci sia da venticinque o cinquant'anni, perché è l'amor di Dio puro, il desiderio di compiere la volontà di Dio che fa ricchi di meriti.
Sappiamo che non è l'esterno che conta davanti a Dio, eppure siamo sempre portati a guardare le cose esterne, negli uffici, ecc., perché gli uomini giudicano così. Bisogna offrire spesso le nostre azioni al Signore. È vero che basta mettere l'intenzione una volta al mattino; ma più si rinnova e più c'è di merito, senza contare poi che essendo facilmente distratti, ciò serve a [163] | richiamarci alla presenza di Dio. Se non si ritratta nel giorno o non si commettono peccati che distaccano da Dio, basta l'intenzione del mattino a render tutto meritorio, ma più si rinnova meglio è; basta un attimo, uno sguardo al Crocifisso: Tutto per Gesù! Una breve giaculatoria, un bacio alla Madonna e l'intenzione è rinnovata.
È necessario esaminarsi, per vedere se c'è la retta intenzione, se c'è l'aspirazione pura, retta e santa, se miriamo davvero a Dio. Non si lasci mai passare nell'esame di coscienza questa intenzione; essa sfugge facilmente alla nostra considerazione perché è interna. Bisogna fare un esame assai diligente. Quante cose che ci danno soddisfazione e ci sembrano un gran che, ma viste alla luce di Dio, possono cambiare aspetto!
S. Giuseppe nelle sue umilissime occupazioni di falegname, quanti meriti ha guadagnato! E quanti invece che hanno uffici importantissimi hanno il cuore vuoto, sono tutta esteriorità. Che scontento però provano quando sono soli e nel segreto della loro anima! Quando un'anima è sempre portata a far l'esame sulle cose esteriori è segno che in essa la vita interiore non c'è. Quando invece un'anima cerca sinceramente il Signore, esamina il suo interno, poco le importa di ciò che dicono gli uomini, e ripete con S. Paolo: «Chi mi giudica è il Signore»7.
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1 Cf Ag 1,6.

2 Cf Mt 6,2.5.16: «Hanno già ricevuto la loro ricompensa».

3 Sof 1,12: «Perlustrerò Gerusalemme con lanterne».

4 Cf Sal 7,10.

5 Cf Barberis G., o. c, p. 480.

6 Cf 1Cor 13,1-3.

7 Cf 1Cor 4,4.