Beato Giacomo Alberione

Opera Omnia

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53. L'UMILTÀ MADRE DI ALTRE VIRTÙ

Esercizi Spirituali (22-30 agosto 1965) al gruppo di formazione
delle Pie Discepole del Divin Maestro.
Roma, Via Portuense 739, 28 agosto 19651

Siete già a buon punto del corso di Esercizi Spirituali, e quindi già avete avuto molte grazie, molte illuminazioni dal Signore e anche le ispirazioni per i buoni propositi. Fra le grazie da chiedere, sia questa: migliorare la pietà, migliorare la preghiera.
Generalmente, quanto alla orazione, nove sono i gradi - come generalmente scrivono gli autori -, nove gradi di orazione cominciando dalla preghiera vocale sino alla preghiera trasformante, che importa una unione più intima, l'unione più alta col Signore. Chiedere questa grazia di migliorare la pietà, la preghiera. Questa grazia chiederla in umiltà. E allora, se si parte nella preghiera con la disposizione di umiltà, si ottiene dal Signore più sicuramente.
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E questa sera, adesso, facciamo una breve considerazione sull'umiltà.
Vi sono sette vizi che si chiamano vizi capitali. Il primo è la superbia, poi l'avarizia, e poi fino alla sensualità, cioè all'ultimo grado, l'ultimo vizio che generalmente si ricorda. I sette vizi capitali. Ma il primo fra i vizi capitali... vi è un vizio che è capitale di tutti gli altri vizi, il vizio capitale dei capitali, sette vizi capitali. Non solo esso, tale vizio, la superbia, ma è anche vizio che porta, e di conseguenza, gli altri sei vizi capitali. La superbia.
Al contrario, vi è una virtù la quale è una virtù essa stessa, ma insieme porta le altre virtù. È, quella - dicevo - l'umiltà, la quale poi porta le altre virtù. L'umiltà è una grande virtù, ma è madre di altre virtù, e cioè, le virtù teologali: fede, speranza e carità sempre in crescendo; poi le quattro virtù cardinali: giustizia, prudenza, fortezza, temperanza. Se c'è l'umiltà, questa che è madre, produce e assicura le altre sette virtù: tre teologali e quattro cardinali.
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Ecco, il vizio capitale della superbia è stato la grande rovina per l'umanità. Adamo ed Eva, creati in grazia di Dio, "gratia Dei"; ma si avvicinò a Eva il serpente, il demonio e cominciò a parlare, il serpente, il demonio, con Eva: «E perché non mangiate dei frutti di tutti gli alberi che sono nel giardino terrestre?». «E ne mangiamo di tutti meno che di uno che il Signore ce l'ha proibito». «Ma perché - allora satana - perché non lo prendete?». «Perché il Signore ci ha detto che se ne mangiamo moriremo». «E no - dice il diavolo - non solo non morirete mangiando quel frutto, ma avrete una vita più abbondante, e cioè, verrete ad essere uguali a Dio, cioè che saprete, conoscerete non solo il bene, ma anche il male». E allora si è lusingata Eva: eh, innalzarsi, saper tutto, cioè il bene e il male, simile a Dio! Ed ecco che acconsentì, mangiò il frutto vietato, e poi il frutto vietato Eva lo ha offerto anche ad Adamo e tutti e due son caduti nel peccato e nella rovina1, rovina per loro e rovina per tutti i figli di Adamo, che nasciamo col peccato. E c'è stato il battesimo che ci ha scancellato il peccato. Ma ci son sempre in noi le passioni e le conseguenze di tutti i disordini che sono venuti dal peccato.
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Ecco, la superbia ha rovinato se stessa [Eva], ha rovinato Adamo, ha rovinato il genere umano. Oh! Così è del vizio capitale, la superbia.
Cos'è la superbia? È credersi qualche cosa che non lo siamo, cioè la superbia è tutta una bugia che ci illude; come se noi non fossimo creature soltanto, ma persone indipendenti da Dio, avendo questa e quell'altra qualità, questo o quell'altro dono, la conservazione della vita, sapere qualche cosa, distinguersi un po' per qualche qualità. Superbia, cioè posizione di "super", cioè mettersi sopra a quello che non è.
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Invece l'umiltà... umiltà è da "humus", viene, è la terra. L'umile sta sempre nella semplicità; il superbo si esalta. L'umile si abbassa con la sua disposizione, con la sua umiltà, riconoscendo il male e riconoscendo che tutto [quello] che c'è, è di Dio.
Entrò a pregare un fariseo, orgoglioso, che si avvicinò all'altare senza inginocchiarsi, stando come in una posizione quasi di sfida. E poi raccontava le sue virtù e il bene che faceva, e quindi era persona degna: «Io non faccio il male come lo fa quell'uomo». E cioè, indicava un pubblicano che era al fondo della chiesa, inginocchiato e si picchiava il petto: «Signore, abbi pietà di me». E il fariseo partì dal tempio e tornò a casa con un peccato di più di orgoglio. E invece il pubblicano si era umiliato: «Signore, abbi pietà di me che son peccatore». E tornò a casa santo, giustificato1.
Quindi la superbia porta via tutto il bene, anche che si facesse, quando c'è l'intenzione storta, quando ci compiacciamo di qualche cosa. E anche se fossimo carichi di peccati e ci fosse l'umiltà, cioè, riconoscere i nostri torti e chiedere la misericordia di Dio, allora subentra la santità, cioè la grazia, la ricchezza dei doni di Dio. Il superbo resterà a mani vuote; l'umile resterà a mani piene dei doni di Dio.
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Oh! Vedere come dobbiamo noi considerarci in riguardo al Signore. Che cosa c'è di noi? Di noi c'è nulla. Non esistevamo, non c'era neppure il fiato, un alito, e siamo stati creati; quindi, tutto l'essere. E se c'è stato il battesimo, cioè fatti cristiani, è di Dio; e se abbiamo avuto delle grazie, crescendo, e anche la vocazione, di Dio, di Dio. Nessuna grazia, nessun aumento di grazia se non da Dio; non da noi. Dio, tutto è lui, e la vocazione stessa è dono di Dio. Oh, quindi, di nostro c'è solamente il peccato, c'è solo il peccato; non l'ha fatto Iddio. Ma quello che c'è in noi, tutto quel che c'è di bene è di Dio. E guai a chi si insuperbisce, perché perde anche il bene. Vi può essere una persona che fa tante buone cose: e studia, e suona, e canta, e opera in tante cose, ha vari uffici, ha posizioni distinte; elevata, considerata, lodata. Ebbene, se in questo c'entra la compiacenza, tutto il bene che si fa è un fumo; anche la cosa migliore perde il merito. Allora cosa si trova al punto di morte? Ha perduto quello che aveva fatto. E si è compiaciuta, e allora, con la sua superbia, ha faticato e non ha guadagnato; anzi, siccome c'è il peccato di vanità, di ambizione, di superbia: «Colui che si esalta sarà umiliato»1, dice il Vangelo. Perché è un peccato quell'esaltarsi, quell'insuperbirsi che poi fa la strada agli altri peccati capitali.
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Oh! Vi sono persone le quali stanno sempre nella loro posizione giusta e, quindi, adoperano tutti i doni e tutto il tempo e tutte le qualità che ci sono per fare del bene. Ma lo fanno per il Signore, retta intenzione; allora i meriti si accumulano, in punto di morte si raccolgono e così si entra, con la ricchezza delle grazie e delle virtù, in cielo. Bisogna considerare che, in primo luogo, ci vuole sempre l'umiltà, sempre ci vuole l'umiltà.
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Pensando al paragone di san Paolo1, il lavoro della santificazione: crescere in virtù, in santità; questo lavoro è come uguagliato o simile a una costruzione, perché costruiamo noi la santità. Questa costruzione che si eleva, prima occorre il fondamento della casa, primo luogo; poi, secondo, si innalzano i muri, gli ambienti, e poi sopra si mette la copertura, il tetto.
Il fondamento della costruzione è simile, veramente, all'umiltà, quando tutto tendiamo a nascondere, a coprire i beni che abbiamo. Naturalmente, se vi è una grazia, una azione, certamente è veduta, ma nell'intimo, quello che è veramente nell'intimo, si opera soltanto per il Signore e dare gloria a lui. La superbia è togliere la gloria a Dio. E che cosa porterà di là?. Se sulla terra c'è l'umiltà, allora si entrerà in paradiso a glorificare Iddio, e la gloria di Dio sarà quella che ci darà la felicità eterna. Vogliamo veramente considerarci nell'umiltà.
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L'umiltà considera e ci fa considerare... Quando si entra si ha da prender tutto in umiltà: e l'istruzione, e la formazione, e tutto quello che si deve compiere per preparare la vita religiosa, e poi per il progresso continuato. Fatta la Professione perpetua, l'impegno di progredire in virtù; e quando non si progredisce non si corrisponde alla vocazione. Perché? Perché la vocazione è la vocazione al perfezionamento. Ora, se non si migliora, mese per mese, anno per anno, non si è religiosi. Stiamo con l'abito e con tutto quello che all'esterno appare. Ma, e dentro? veramente vita religiosa? Oh! Quindi, dare massima importanza all'umiltà.
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Gesù come si è comportato coi discepoli? All'Ultima Cena, prende un asciugamano, prende l'acqua, si inginocchia davanti agli Apostoli, lava i piedi a loro, li bacia. E arriva anche a Giuda, il traditore, e lava i piedi a Giuda, e bacia i piedi a Giuda1. Ecco l'umiltà.
Quante anime si illudono per causa della superbia! Sembra che guadagnano molto per il cielo, ma tante volte quei frutti sono frutti non buoni, non buoni, hanno dentro un insetto che rode. E sì, la superbia. Gesù: «Imparate da me che son mansueto ed umile di cuore»2. Ecco, se vogliamo piacere a Gesù, essere come lui: mansueti ed umili di cuore.
E lì vicino stava, ed è stato quell'episodio: Un giorno tra i Dodici c'era nata una discussione: chi di loro sarebbe stato il capo. E uno aveva l'ambizione e l'altro pure. Oh! Allora il Signore li chiamò, e chiamò un bambinello (non aveva ancora sette anni): «Se non vi farete come questo bambino, non entrerete nel regno dei cieli»3. Guardate che cosa è la superbia: «Non entrerete nel regno dei cieli». Perché le grazie diminuiscono poi, si arriva a una certa stanchezza della vita religiosa, domina l'amor proprio Che cosa resta per l'eternità?. Allora Gesù: «Se non vi farete come questo bambino non entrerete nel regno dei cieli». E cioè, cosa vuol dire bambino? Vuol dir semplice, uno che non sapeva di se stesso; voglio dire, non poteva avere dei pensieri di superbia e non era neppure macchiato di peccato, sì. Allora, chi vuole essere il primo, si metta l'ultimo4.
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Eh, ma si è suore, si è anime consacrate! Tutto questo è buono e santo se c'è [l'umiltà]. Ma se non c'è l'umiltà insieme? Può essere che vi sia la mamma, vi sia il padre che sono buoni cristiani umili umili, sempre in pazienza, sempre il loro lavoro di casa, pregano, frequentano i sacramenti e, in questa umiltà, guadagnano, tante volte, di più che anime consacrate a Dio. Oh! Questo è necessario che ci riflettiamo. Non ambizioni, non lodarsi; sempre la retta intenzione. E nell'umiltà prendere gli uffici che sono dati; e umiltà nel confessarsi; umiltà nell'ammettere gli sbagli; l'umiltà nel prendere anche l'ufficio più umile, ecc. Specialmente quando si prega, la prima condizione è l'umiltà unita alla fede.
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Oh! San Giuseppe è stato un ebreo ordinario. Osservava la sua legge, la legge mosaica (non doveva seguire il Vangelo). Semplice lavoratore, falegname; paziente, docile al volere di Dio; senza mai ostentarsi; non si faceva mai avanti lui; per esempio, quando fu ritrovato Gesù, si fece avanti Maria; san Giuseppe taceva; e così. Oh! San Giuseppe in cielo è superiore a tutti i martiri, a tutti gli Apostoli, a tutti i Papi, a tutti i santi più grandi; lui, il più [grande] dei santi, tra i santi. Perché? Questa umiltà che fa docile ai voleri di Dio, la prontezza ai voleri di Dio; e sempre moderato in tutto, pronto a tutto quello che il Signore disponeva. Se volete essere vere sante, ecco: san Giuseppe.
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Può essere che qui, in questa Congregazione, vi sia la suora più semplice, e che faccia i più umili servizi, e che magari sia poco stimata, e molte volte riceve rimproveri, richiami, ecc.; sarà poi la prima, se non c'è stata una umiltà pari o superiore. C'è un rivolgimento quando entreremo nell'eternità. Adesso si dà tanta importanza, tante cose, ecc.; ma quando passeremo di là, tutto un cambiamento, tutto un ordine [diverso] di pensieri; tutto; perché allora saremo illuminati. E vi sono questi santi umili che sono illuminati [e passano] sopra i Dottori, sopra a quelli che insegnano, quelli che son predicatori, quelli che fanno le cose più alte, le invenzioni; tutto; e intanto passeranno sopra, se c'è stata quella umiltà conservata e poi sempre in questa condizione.
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Allora l'umiltà. Pensare che potrete fare mille propositi, ma che ci sia sempre l'umiltà che è compresa; generalmente dev'essere compresa nel punto dei propositi, nel primo punto dei propositi. Quando c'è la fede nella mente, è compreso; o compreso o esplicito, dev'essere contenuto, deve esserci realmente - che abbiamo solo della superbia - come nemico della superbia; questo è il nostro nemico, il nostro io, il nostro egoismo. Al [posto del] nostro io mettiamo Dio; ecco tutto.
E chiedete sempre che nella Congregazione ci sia sempre l'umiltà in tutti. Allora la Congregazione progredirà. Quando si comincia a dire che c'è un bel progresso, che siamo capaci in questo, in quello, ecc., e allora comincia a cascare la rovina, perché non c'è più il fondamento abbastanza, che sgretola il fondamento, e allora il progresso si rallenta, rallenta e può essere anche qualche cosa di peggio. Umiltà! Umiltà personale, umiltà sociale, cioè tutto insieme l'Istituto. E voi la volete. «Imparate da me che son mansueto ed umile di cuore»1. La viola è il simbolo dell'umiltà.
Sia lodato Gesù Cristo.
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1 Nastro 82/c (= cassetta 193/a). Per la datazione, cf PM: «Siete già a buon punto del corso di Esercizi Spirituali... Questa sera facciamo una breve considerazione sull'umiltà». - dAS, 28 agosto 1965: «...una predica agli Esercizi delle PD in via Portuense». - VV (cf c594).

1 Cf Gn 3,1ss.

1 Cf Lc 18,9-14.

1 Lc 18,14.

1 S. PAOLO parlando di fondamento si riferisce a Cristo (cf 1Cor 3,10-12; Ef 2,20-22.

1 Cf Gv 13,4-5.

2 Mt 11,29.

3 Cf Mt 18,1-3.

4 Cf Mt 20,27.

1 Mt 11,29.