Beato Giacomo Alberione

Opera Omnia

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1. «VIVERE CON SOBRIETÀ GIUSTIZIA E PIETÀ»
(Circoncisione del Signore)

Meditazione alla Comunità delle Pie Discepole del Divin Maestro.
Roma, Via A. Severo 56, 1° gennaio 19651


Il Vangelo, quest'oggi, secondo san Luca.
In quel tempo: Passati gli otto giorni, il Bambino doveva essere circonciso. E gli fu posto il nome di Gesù, com'era stato chiamato dall'angelo prima di essere concepito nel seno materno2.
L'Epistola di san Paolo a san Tito.
Carissimo: la grazia di Dio si è mostrata capace di salvare tutti gli uomini insegnandoci a rinunziare all'empietà e ai desideri mondani e a vivere con temperanza, giustizia e pietà in questo mondo. Ora, nella speranza, siamo in attesa del ritorno glorioso del gran Dio e Salvatore nostro Gesù Cristo. Egli diede se stesso per noi per riscattarci da ogni peccato, per fare di noi il suo popolo eletto, zelante nelle opere buone. Così insegna ed esorta nel Signore nostro Gesù Cristo3.
Il Nome di Gesù. Il Nome di Gesù era stato già comunicato - [quello] che doveva essere - a san Giuseppe4. Prima ancora a Maria5. Gesù volle sottomettersi a tutte le prescrizioni mosaiche e quindi anche lui fu circonciso. Con la occasione della circoncisione si dava il nome. E quindi: vocatum est nomen eius Iesus, quod vocatum est ab Angelo priusquam in utero conciperetur6.
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Adesso il battesimo sostituisce la circoncisione [in uso] presso il popolo ebraico. E il popolo era chiamato popolo di Dio. Ora il popolo di Dio è la cristianità.
Questo è spiegato abbondantemente nel Decreto della Chiesa, Concilio Vaticano II. E perché conosciate il popolo di Dio e conosciate la Chiesa, leggere il Decreto, perché quello è l'insegnamento dei due mila e trecento Padri conciliari, a capo il Papa. (Si leggono, alle volte, delle cose che hanno un valore molto relativo). È utile che si mediti bene. È stampato a parte. D'altra parte, era stato pubblicato su L'Osservatore Romano, prima in lingua latina e poi in lingua italiana1.
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Ora, perché è segnato questo tratto dell'Epistola? Perché incominciamo bene l'anno: sobrie et iuste, et pie vivamus in hoc saeculo, exspectantes beatam spem, et adventum gloriae magni Dei1. Cioè, che adesso noi possiamo vivere sobriamente e con giustizia e con pietà, quindi rinnegare tutto ciò che è cattivo e lasciare da parte i desideri e i pensieri e i gusti del mondo: abnegantes impietatem et saecularia desideria2.
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Quest'oggi, da una parte dobbiamo ringraziare il Signore di essere arrivati a questo nuovo anno 1965. Ringraziare il Signore. Nel Vi adoro non si dice solamente perché «mi avete conservato» fino adesso, conservato negli anni precedenti fino ad oggi. Ringraziare [per] questo tempo! Il tempo include tutti gli altri doni, e allora ringraziare di tutto quello che il Signore ci ha dato finora.
E da una parte, ieri, col Miserere noi abbiamo cercato di purificare l'anima nostra da tutte le miserie della vita passata, e poi abbiamo ringraziato il Signore col Te Deum. E oggi è da recitarsi il Veni Creator Spiritus che include questo... È la domanda di tutte le grazie, Veni creator Spiritus. Leggere molto bene, in lingua italiana, alla Visita, il Veni Sancte Spiritus e il Veni Creator Spiritus. Qui è la dottrina che riguarda lo Spirito Santo e i doni che lo Spirito Santo infonde nelle anime.
Ora non sappiamo se finiamo l'anno. E voi siete in buona salute, in età buona; e specialmente io sono più anziano, più vecchio; ecco questi, i giorni possono essere o molti o pochi. Quello che vuole il Signore.
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Ma quello che dice l'Epistola, presa da san Paolo,lettera indirizzata a Tito, suo discepolo, oltre che distaccarci sempre di più dal mondo: ut abnegantes impietatem et saecularia desideria1: rinunziare all'empietà e ai desideri mondani, dobbiamo ben distinguerci da quelli che cercano il mondo attuale, cioè di godersi un po' la vita attuale o, almeno, allontanare quanto è possibile le sofferenze. Noi abbiamo rinnegato: «Se vuoi essere perfetto, lascia tutto, se vuoi essere perfetto»2. Dobbiamo fare proprio interamente la rinunzia di quello che riguarda l'orgoglio, quel che riguarda la soddisfazione della carne, quel che riguarda le voglie che ci sono in noi, la nostra volontà, i nostri pensieri, i nostri sentimenti interiori che sono ispirati dalla carne.
Tre avverbi che definiscono la vita religiosa: sobrie et iuste et pie vivamus3. E cioè: con temperanza, con giustizia, con pietà.
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Cominciando dalla pietà, che è il terzo avverbio: et pie vivamus, abbiamo da riguardare la parte spirituale, quindi la preghiera, se vogliamo che l'anno sia santo e sia, insieme, lieto. Man mano che noi entriamo nello spirito di Dio e nei desideri di Dio, nei suoi fini, allora viviamo di pensieri elevati e pensiamo sempre meglio a quello che sarà la vita eterna: il gaudio di Dio, la glorificazione di Dio eternamente e, in quella glorificazione, la felicità nostra. Quindi: pie vivamus. Sempre di più amare la pietà.
Ma veramente che sia preghiera il tempo che stiamo in chiesa, sia vera preghiera, la quale consiste nelle due parti: glorificare Dio e invocare misericordia a noi. Misericordia per cui Gesù Cristo ci applica i suoi meriti, perché noi non avremo mai la capacità di portare un merito se non uniamo qualche cosa buona, cioè qualche opera buona a Gesù Cristo. Se non è così, son cose vuote anche se sono opere buone, anche se uno subisse il martirio, dice san Paolo1. Quindi bisogna che noi sempre, il piccolo che dobbiamo fare o il grande che dobbiamo fare, occorre sempre che noi uniamo la nostra piccola opera, la uniamo ai meriti di Gesù Cristo. E quindi sempre: per Christum - come insegna la Chiesa - per ipsum, che vuol dire «per Cristo». Quindi migliorare la nostra pietà: glorificazione di Dio e invocazione della misericordia per noi. Pietà. Il dono della pietà. La pietà è una virtù, ma vi è anche il dono dello Spirito Santo, uno dei sette doni, la pietà. Chiedere non solo la grazia di pregare, ma di avere tanto lume e tanto sentimento di amore a Dio. Ecco allora non c'è soltanto più la virtù, ma c'è il dono.
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Poi l'altro avverbio è: sobrie. Vivere sobriamente. E- cioè usare delle cose della terra in quanto ne abbiam bisogno. E quello che riguarda il vestire, quel che riguarda l'abitazione, quel che riguarda la stanza dove si riposa, quello che riguarda i viaggi e quello che in sostanza è necessario, cioè: che [ci] manteniamo nel servizio di Dio; prendere quello che è necessario e usare di questo mondo in quanto è necessario. Quindi non andiamo in giro solamente per fare delle passeggiate o vedere delle cose, curiosare. Ma anche lì le uscite, quello che è necessario sempre per la vita. Quindi usare dei mezzi che abbiamo in quella misura che è necessaria per la vita presente: per mantenerci nel servizio di Dio; in quella misura. Non per il gusto o per il capriccio o per altre cose, altri fini, ma sobriamente usare di questo mondo in quanto è necessario per la vita presente.
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Et iuste vivamus. E quindi tutta la santità pratica, cioè tutte le virtù. La parola «giustizia» comprende tutte le virtù, quindi prudenza, giustizia; la prudenza in tutto; ma qui parla della giustizia: et iuste vivamus: viviamo secondo giustizia. Questo vuol dire che noi viviamo secondo la legge di Dio, secondo i desideri di Dio, secondo i disegni di Dio sopra di noi. Che sia tutto compito secondo i voleri di Dio. Giustizia. La parola «giustizia» comprende tutte le virtù e cardinali e morali. E, se [vi] sono le virtù infuse, anche le virtù cardinali hanno l'infusione in noi, poi noi dobbiamo crescerle con l'esercizio. Quindi [è] la virtù che comprende le altre virtù, la virtù della giustizia.
È giusto che se abbiamo qualche cosa di buono lo riferiamo a Dio, e mai superbia, compiacerci perché una cosa è andata bene o perché abbiamo una certa capacità. «Dare a Dio quel che è di Dio»1. Come vantarci noi di possedere o di avere qualche cosa di buono2? Dono di Dio! Ma la stessa vita è dono di Dio, e l'anima nostra è uscita dalle mani di Dio, e se siamo arrivati fino ad oggi, è tutta grazia di Dio. Allora essere «giusti», cioè «dare a Dio quel che è di Dio». Purtroppo bisogna che riconosciamo, secondo giustizia, che siamo peccatori. È giusto che diciamo tre volte: mea culpa, mea culpa, mea maxima culpa. È giusto perché dipende da noi: per mia colpa, per mia colpa, per [mia] massima colpa. Che siamo giusti! Perché l'umiltà è giustizia, ed è la giustizia che stabilisce l'umiltà nel cuore. «Dare a Dio quel che è di Dio» e a noi quel che è nostro. Se c'è un po' di bene lo dobbiamo riferire al Signore, e se c'è del male non c'è entrato Dio a fare il male...
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1 Nastro 122/b (= cassetta 172/a.1). Una voce incisa dice: "1° gennaio 1965: meditazione del Primo Maestro" (PM). Per la datazione, ci riferiamo anche al PM stesso e al diario di don Antonio Speciale (dAS). - PM: «Quest'oggi dobbiamo ringraziare il Signore di essere arrivati a questo nuovo anno 1965». - dAS, 1° gennaio 1965: «Celebra [il PM] alle 5,15, dopo tiene la meditazione alle PD [di Casa Generalizia SSP]».

2 Cf Lc 2,21.

3 Cf Tt 2, 11-15.

4 Cf Mt 1,21.

5 Cf Lc 1,31.

6 Cf Lc 2,21.

1 Nelle meditazioni e istruzioni di questo anno 1965, don Giacomo Alberione fa spesso riferimento ai vari documenti del Concilio Vaticano II. Rimandiamo perciò, una volta per tutte, alla collezione completa dei detti documenti. Vi sono edizioni diverse e in diverse lingue. - Cf Concilio Ecumenico Vaticano II.- Costituzioni, decreti, dichiarazioni. Edizione a cura di N. Bussi, Alba, Edizioni Domenicane, 1966. La Costituzione dogmatica sulla Chiesa inizia con le parole Lumen gentium, e fu promulgata il 29 novembre 1964. La traduzione italiana del documento fu pubblicata in L'Osservatore Romano del 13 dicembre 1964, e fu riprodotta, con qualche modifica, nel volume qui citato, curato da N. Bussi; cf pagine 3-85. - Il testo latino si trova in AAS 57 (1965) 5-75.

1 Tt 2, 12-13.

2 Tt 2,12.

1 Tt 2,12.

2 Cf Mt 19,21.

3 Tt 2,12.

1 Cf 1Cor 13,3.

1 Mt 22,11.

2 Cf 1Cor 4,7.