Beato Giacomo Alberione

Opera Omnia

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ISTRUZIONE XXII
ORAZIONE DI QUIETE E VITA INTERIORE

[184] Comprendiamo sempre più e sempre meglio lo spirito del Vangelo. La Legge antica era legge di timore. Dio allora parlava dalle nubi, minacciava e mandava castighi, faceva piovere il fuoco e quando gli ebrei erano infedeli, permetteva che fossero tratti schiavi.
La Legge nuova, invece, è legge di amore. Se il timore è il primo gradino, l'amore è l'ultimo: l'amore coi suoi frutti che vanno intesi nel senso con cui sono spiegati nella Pratica di amar Gesù Cristo1 e nei Caratteri della carità2.
Noi siamo stati messi sotto un altro impero: l'impero dell'amore: «Transtulit nos in regnum dilectionis Filii sui»3. Ci fermiamo ora a considerare l'orazione di quiete e la vita interiore.
| [185]Dopo la contemplazione acquisita o infusa, si ha l'orazione di quiete. Per essa l'anima, lavorata dallo Spirito Santo, sotto il suo influsso, si pone semplicemente e totalmente in comunicazione con Dio. Con l'orazione di quiete non si fa fatica in quanto che l'anima si mette totalmente nel cuore di Gesù, nella cella intima di se stessa ov'è l'abitazione della SS. Trinità, e sta in contatto intimo colle tre divine Persone e sovente sente dolcezza nel posare il capo sulle ginocchia del Padre celeste.
Si chiama orazione di quiete perché già le passioni devono tacere: attraverso le due notti dei sensi e dello spirito si sono vinte. L'anima entra in comunicazione diretta col suo Dio il quale le parla, la illumina, l'attira col profumo delle sue virtù e l'attrattiva della sua amabilità, effonde in essa il suo amore e la penetra tutta.
È importante che l'anima entri totalmente e benignamente in questo stato. A parte tutte le altre preoccupazioni, occupazioni e relazioni, a parte tutti i pensieri del passato. Ed ecco che in tale
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stato di comunicazione l'anima si sente tutta pervasa dalla divinità, si sente illuminata, attirata, confortata e può giungere anche a realizzare una strettissima unione con Dio, fino al fidanzamento e al matrimonio spirituale. Bisogna però che tutto si rallenti, si distenda e si entri nell'orazione con una pace serena.
Si ricorda, sì, il passato, ma per piangerlo, per ringraziare Dio dei benefizi concessi; si | [186] pensa al futuro, ma per pensare e prepararsi al Paradiso. Si succhia il latte che il Padre celeste ha preparato, come il bambino lo succhia dalla mamma. È la comunicazione della divinità all'anima. Non è un'orazione oziosa, anzi è la più attiva, perché in essa l'anima vede Iddio e conosce la sua volontà; vede la grandezza di Dio e la propria bassezza e si inabissa sempre più nella sua miseria, nell'umiliazione, nel timore di non corrispondere e di non comprendere la sua missione.
Tuttavia anche in questo stato si possono avere delle tentazioni. S. Francesco di Sales si sentì fortemente tentato di disperazione. Era persuaso di esser perduto. Ciò che gli costava e lo tormentava maggiormente, era il pensiero di non poter vivere sereno neppure al presente, temeva di non amare il Signore neppure al presente. E allora fece questa orazione eroica: «Signore, se è vero che io eternamente dovrò rimanere privo del vostro amore e che il mio posto è l'Inferno, fatemi almeno la grazia di amarvi su questa terra!». A un'orazione così eroica, il Signore non resistette e in quell'istante il Santo si sentì completamente trasformato, libero da quella tentazione. Perfino dal corpo gli parve di sentirsi cadere come delle squame. E ritornò la pace nella sua anima e la floridezza e la salute al suo corpo.
Ecco: l'orazione di quiete non toglie le tentazioni perché il Signore vuol farci capire la nostra debolezza, vuole che tocchiamo il nostro | [187] fondo di miseria, che conosciamo come sia lui che ci santifica.
Ma non ci si spaventi. L'anima distenda il suo cuore, lo stemperi come si stemperano i colori che sono duri. Che siamo ridotti al nulla. Più nessuna volontà, più nessuna decisione, neppur di bene, quasi.
Ma questo stato ha pure il suo lato pericoloso. Arrivata a questo punto, l'anima deve avere un espertissimo direttore, perché potrebbe illudersi e confondere l'ozio con la quiete. L'orazione di quiete è la più attiva, la più santa; assomiglia a quella di Gesù nel tabernacolo. Gesù nel tabernacolo è il più quieto, non dice
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una parola, ma il suo cuore è il più attivo, ha influenza su tutto il mondo, è il centro di ogni cuore, è in continua lode, in continua preghiera, in continua Messa. Ah, non è mica ozio! Questo sarebbe un grave inganno.
Fu questo l'errore condannato dalla Chiesa negli scritti di mons. Fénélon4. Errore che egli aveva sostenuto perché ingannato da una suora. (Ma alla condanna della Chiesa mons. Fénélon ritrattò il suo errore con la più grande umiltà. La lettera di condanna gli arrivò mentre si accingeva a fare l'omelia. Egli la lesse dal pulpito, domandò perdono a tutti i fedeli e, in memoria del fatto, fece costruire un ostensorio su cui fece incidere la figura del Papa che pone il piede sul libro nel quale egli aveva promulgato il quietismo nell'orazione. Grande atto di umiltà!). Da allora Fénélon comprese che | [188] questa orazione non è un'oziosità ma è la più attiva. Quando è oziosa, non porta a vincere noi stessi, non porta a far violenza sulle passioni: è un lasciarsi andare ai vizi! Mentre l'amore è frutto di lotta, di quella lotta che sradica da noi l'amor proprio e fa posto all'amor di Dio.
L'orazione di quiete bisogna consigliarla specialmente a chi ha ufficio di direzione. Chi dirige deve fare come la madre che mangia di più perché deve nutrire se stessa e la sua creaturina. Doppia razione, e questa razione che serve per il bambino, deve essere più elaborata, perché sia adatta al bambino.
Chi dirige ha diritto ad una maggior preghiera, ad una maggior comunicazione con Dio per prendere da lui gli insegnamenti da dare alle altre, il modo di presentarli, affinché, pur essendo comando, non appaia comando, e ottenga la grazia che le altre li accettino e li pratichino.
Quante volte noi siamo responsabili se altri non prendono e non sono docili, perché noi non abbiamo elaborato il cibo. Chi guida deve dare sempre buon esempio, per questo ha bisogno di maggior grazia, di un certo tempo libero per pregare di più ed elaborare il cibo per le altre, perché chi guida deve precedere le altre e, se non si prega, come si può precedere? Inoltre la Maestra, la caporeparto e, in genere, chi ha la responsabilità di un
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gruppo, non deve fare materialmente tutto ciò che fanno le altre, perché | [189] il suo non è l'apostolato che si riferisce alle cose materiali, ma deve preparare le anime. E non si può mica pretendere che chi guida faccia preciso l'orario che fanno le altre! Nell'orario si deve pure contare come apostolato il lavoro che si fa per es. a preparare le conferenze, gli avvisi, per illuminare, per precedere, in sostanza, in modo tale che le altre vengano ad onorare, nella superiora, Iddio e a riconoscere che il comando viene da Dio. Se si fa questa orazione di quiete, allora chi comanda non comanda superbamente, non comanda vanamente, ma il comando viene dato sempre in modo amabile. Si prende da Dio e si comunica efficacemente alle altre.
È bene che la lettura, per quest'anno, sia fatta su L'anima di ogni apostolato affinché si capisca che veramente l'anima di tutti gli apostolati è la vita interiore.
In questo bellissimo libro è dimostrato come Dio voglia e l'azione e la vita interiore, ma fuse insieme, in modo tale che la vita interiore preceda l'azione. Prendere da Gesù per dare alle anime, prendere dal cielo per dare alla terra. Mosé prima sale sul monte e ascolta la voce di Dio e poi discende e comunica la volontà di Dio al popolo.
La vita di apostolato senza la vita interiore è inutile e dannosa; ma unita e pervasa dalla vita interiore, è vantaggiosa e per l'apostolo e per le anime.
Di conseguenza: la meditazione fatta bene, | [190] la Visita, la Comunione, la Messa fervorosa, la vita liturgica pienamente vissuta, la custodia del cuore: questo cuore che non divaghi, che non si effonda troppo; mai troppo in là, perché il cuore è già tanto inclinato ad effondersi!
Questa custodia del cuore è molto necessaria perché non disperda le sue energie e non si allontani da Dio.
Dobbiamo fare come il ragazzo che, dovendo raccogliere frutti su di una pianta, con una mano s'attacca ad un ramo forte e con l'altra raccoglie.
Sempre attaccati a Gesù: l'albero della vita e con l'altra mano porgere i frutti della redenzione alle anime.
Vi sono molte distrazioni che sono ispirazioni: si organizza l'apostolato alla luce del tabernacolo. L'anima che comunica con Dio in ore di adorazione, ha già combinato e preparato quello che dovrà dare alle anime.
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Voi siete sempre esaudite con due grazie: la prima è la vostra santificazione, la seconda è un'istruzione, un conforto per l'apostolato. E quando l'apostolato dipende tutto dall'orazione, allora è vero apostolato; è fruttuoso, sapiente, meritorio apostolato.
L'orazione di quiete non esclude le tentazioni anche più brutte e violente (anche in cose sacre), i dubbi di fede, le tentazioni di disperazione, ecc. L'azione dello Spirito Santo si esercita, in ogni anima, in una maniera propria: ciascun'anima ha avuto le disposizioni necessarie, | [191] le attitudini per ospitare la SS. Trinità. Il Figlio completa queste attitudini e lo Spirito Santo le perfeziona con i suoi doni ed i suoi frutti. Allora l'anima è sicura di essere condotta, dalle tre divine Persone, a quel grado di grazia e di gloria a cui è destinata. Allora si esaurisce tutto il programma che Dio ha sopra ogni anima, nella propria santificazione.
Supplichiamo questo Gesù Eucaristico affinché ci dia la vera vita interiore e ci conduca al vero apostolato e alla pienezza della grazia.
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1 S. Alfonso M. de' Liguori, Pratica di amar Gesù Cristo (1768). L'opera era presente nel catalogo paolino fin dal 1922.

2 Nazarena Morando, I caratteri della carità, Pia Società Figlie di S. Paolo, Roma-Alba 1937. La Morando attinge all'opera di Jacopo Giuseppe Duguet,I caratteri della carità, Venezia 1783.

3 Col 1,13 : «Ci ha trasferiti nel regno del suo Figlio diletto».

4 F. Fénélon de Salignac (1651-1715), francese, scrittore, religioso, arcivescovo. Il suo atteggiamento critico verso l'intolleranza religiosa e l'assolutismo regio gli procurarono l'inimicizia di Bossuet e del re Luigi XIV. Il suo pensiero è espresso nell'opera: Le avventure di Telemaco.