Beato Giacomo Alberione

Opera Omnia

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ISTRUZIONE VIII
LA PAZIENZA

[50] Consideriamo la pazienza in quanto si riferisce specialmente alle pene che sono permesse da Dio a nostro riguardo. Queste possono essere interne ed esterne. Quelle interne sono gli abbattimenti, gli scoraggiamenti, le aridità, gli scrupoli. Quando Gesù diede inizio alla sua passione, provò anche queste pene interne: «Coepit taedere et pavere1; coepit contristari et moestus esse»2. Iddio, nella sua bontà, vuol renderci simili al suo divin Figliuolo: per questo permette che siamo contrassegnati dagli stessi segni con cui fu contrassegnato lui.
Alle volte sono ingratitudini: Gesù aveva beneficato la moltitudine, quella stessa che poi gli gridò il «Crucifige»3.
Gesù aveva amato Giuda con predilezione, ma questi che covava nel suo cuore l'avarizia, tradì il Maestro. Quanto dovette ferire il cuore di Gesù, questo tradimento! Gesù da una parte vedeva la dolorosa passione che l'attendeva e dall'altra l'inutilità | [51] di essa per molte anime che si sarebbero ugualmente perdute. Dio dispone così: tanto più un'anima è amata, tanto più deve rassomigliare a Gesù. Tanto più un'anima è chiamata ad un'alta santità, tanto più si distinguerà dalla pazienza con cui sopporterà le croci.
Oltre le pene interne, ci sono le pene esterne. Il Signore permette malattie, indisposizioni, dolori. Alle volte le pene esterne vengono da maldicenze, calunnie da persone che continuamente contraddicono; qualche volta vengono in conseguenza di nostri sbagli: allora portiamo la croce che ci siamo meritata, e anche questa avrà il suo merito, se la portiamo in spirito di espiazione.
La pazienza fa i santi. Vale più un Deo gratias4 quando si è tribolati, che mille quando si è consolati. Un Deo gratias detto nella tribolazione, anche con le lagrime agli occhi, aumenta molto i nostri meriti. È un errore il credere di essere disgraziati, sfortunati quando il Signore permette che siamo contraddetti, tribolati.
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Anzi è proprio allora che Dio ci dimostra il suo amore. Ah, se fossimo capaci di portare la croce di Gesù! Ma, siccome le nostre forze sono deboli e la nostra virtù è poca, il Signore ci manda delle croci piccole. La forza di portare la croce ci viene dalla preghiera, dobbiamo quindi pregare per averla.
Se non abbiamo mai avuto delle croci, possiamo dubitare che il Signore non sia con noi. Se invece sentiamo la croce pesare sulle nostre | [52] spalle, allora è segno che il Signore è con noi, che Dio è presente, che ci ama. Questo vale per le persone e per le congregazioni.
Come noi fummo redenti per mezzo della croce, così ci salveremo per mezzo della croce5. Questa è la via regale, la via più sicura, la via che conduce certamente al Paradiso. Maria, la regina di tutti i santi, è pure la regina dei martiri. I santi quanto più furono amati da Dio, quanto più furono prediletti, tanto più furono segnati dalla croce. Essi non consideravano mai molestie le malattie che il Signore loro mandava, anzi ne erano contenti (sappiamo sopportare per es. un po' di mal di denti senza che tutti lo sappiano!).
Per portare le croci con merito, anzitutto dobbiamo pregare. Pregare come Gesù nel Getsemani, perché la natura si ribella alle croci. Noi non vorremmo passare per quella via che è stretta; ma è solo questa che conduce al cielo: la via del Calvario, la via che ha battuto Gesù stesso.
Se ogni mattina diciamo al Signore di darci la pazienza nelle croci della giornata, egli ci darà la forza necessaria, e se noi saremo più forti, egli ci favorirà con croci sempre più grandi, finché moriremo crocifissi con lui.
In secondo luogo, guardiamo a Gesù crocifisso. Egli era il Figlio di Dio e fu condannato come bestemmiatore e fu messo in croce fra due ladroni.
Come potremmo lamentarci noi che siamo | [53] peccatori? Se guardiamo le sue piaghe, non avremo più coraggio di lamentarci.
Terzo mezzo: guardare al cielo. Ogni giorno sentiamo i nostri pesi, le nostre fatiche; ma ogni giorno passa e il merito resta.
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Ogni piccolo sacrificio merita un premio eterno: «Aeternum pondus gloriae»6.
Molti libri non fanno risaltare abbastanza che la vita dei santi fu ricca di croci e di tribolazioni. Tutti i santi passarono per molte tentazioni e per molti dolori. Ma io ho tante tentazioni e non so come liberarmene!. Sta appunto lì il supplizio e il merito.
Avremmo noi il coraggio di lamentarci delle nostre piccole croci, quando consideriamo quelle che patì S. Paolo? «Io gli farò conoscere quanto dovrà patire per amor mio»7, disse Gesù di lui.
Chi è contrassegnato dalla croce è chiamato ad un'alta santità. Ma siccome noi lavoriamo a gettar via le croci, così non raggiungeremo mai la santità, perché la cerchiamo dove non c'è. Ma io non mi lamento perché ho male, ma perché non posso lavorare, sono di peso agli altri, non posso andare in chiesa, non posso fare la Comunione tutti i giorni, ecc..
Ma bisogna sopportare anche questo e proprio questo.
E se sentiamo di essere inutili, di peso alla comunità, bisogna che sopportiamo anche questo. Tutte le nostre scuse non fanno altro che accusare la nostra impazienza e la nostra | [54] indisposizione a soffrire. Non vogliamo convincerci che la santità sta nel rinnegare noi stessi. E finché non arriviamo a capire che la santità consiste nella pazienza con cui si sopportano le croci, noi possiamo anche aver trascorso venti anni di vita religiosa senza averne capito nulla, potremmo anche aver letto molti libri spirituali ma non avremmo imparato nulla della scienza dei santi.
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1 Mc 14,33: «Cominciò a sentire paura e angoscia».

2 Mt 26,37: «Cominciò a rattristarsi e ad essere mesto» (Volgata).

3 Mt 27,22: «Sia crocifisso!».

4 «Rendiamo grazie a Dio».

5 Cf G. AlberioneDonec formetur Christus in vobis,PSSP, Alba 1932, p. 54; Imitazione di CristoII, XII.

6 2Cor 4,17: «Una quantità smisurata e eterna di gloria».

7 Cf At 9,16.