Beato Giacomo Alberione

Opera Omnia

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3.
TRIPLICE ORDINE Dl MERITI

Voi avete seguito bene l'invito di Gesù, quello stesso invito che Gesù aveva fatto ai suoi discepoli dopo che avevano lavorato nelle varie missioni a cui erano stati destinati. Ritornando da lui, Gesù disse loro: «Venite in desertum locum et requiescite pusillum», cioè: adesso che avete così bene esercitato lo zelo in varie opere, venite in luogo solitario e un poco riposate il vostro spirito.
Alcuni, dopo le fatiche, riposano solo il corpo e si danno ai divertimenti, oppure ad altri sollievi. Voi invece date il primo riposo allo spirito, all'anima, unendovi a Gesù più strettamente, perché in Gesù vi è il riposo, vi è la pace. Gesù invita: «Pacem meam do vobis» (Gv 14,27): vi do la mia pace, non nel modo con cui il mondo dà la pace, la gioia, ma un'altra pace, un'altra gioia, e cioè quella dello spirito.
Sentirsi uniti con Gesù è grande consolazione, grande gioia.
Adesso invochiamo la particolare assistenza di Maria SS. Assunta, perché in questi giorni la luce di Dio sia più abbondante, la grazia di Dio inondi maggiormente i nostri cuori, affinché possiamo prendere risoluzioni sante, e possiamo progredire nella virtù, nella santità, nell'acquisto dei meriti.
Maria fu assunta in cielo in corpo e anima. Perché Maria ebbe questo privilegio? Tutti i santi canonizzati sono in Paradiso, ma con l'anima. Solo Maria è già in Paradiso anche con il corpo, solo Maria ebbe questo privilegio perché è stata la più santa e lassù ha il premio proporzionato alle sue sofferenze, alle sue virtù, ai suoi meriti.
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Ciò vuol dire che anche in Paradiso vi è diversità. Vi sono vari gradi di gloria e vi sono mansioni diverse, posti diversi: «Unusquisque mercedem accipiet secundum suum laborem» (1Cor 3,8): ciascuno riceverà il premio secondo il bene che avrà fatto sulla terra, secondo quanto avrà lavorato per la sua anima.
Questa mattina si è considerato che la vita è ordinata all'eternità, che sulla terra dobbiamo conoscere, amare, servire Dio perché questo è il fine per cui Dio ci ha creati. Siamo stati creati per conoscere e amare Dio ma anche per arrivare al cielo e godere eternamente la visione di Dio. Quindi conoscere, amare, servire il Signore perché vogliamo conquistare il Paradiso con questo. La terra è una prova, la vita presente è una prova. Chi la spende bene si salva, chi la spende male si perde, se non si rimette sulla buona strada con una buona confessione, con la penitenza e con la conversione vera.
Dunque noi cerchiamo di conoscere, amare, servire Dio per andare in cielo; siccome conosciamo Dio per la fede, là ci sarà la visione di Lui, e siccome serviamo Dio là lo possederemo, siccome amiamo Dio là si godrà l'unione con Lui, quindi l'eterno gaudio, quello stesso gaudio, quella stessa felicità che ha Iddio e che a noi sarà concessa, secondo i meriti di ognuno. Vi è grande differenza tra anima e anima, anche tra le anime buone.
Parlando però in generale vi sono tre mezzi che possono farci arrivare al cielo più sicuramente e farci conseguire lassù una gloria maggiore. Voi potete guadagnare: 1) i meriti della vita cristiana, 2) i meriti della consacrazione, 3) i meriti dell'apostolato. Pensiamo bene che il Signore proporziona il premio ai meriti e alla vita che si è fatta sulla terra.
Consideriamo prima i meriti della vita cristiana. Questi consistono nell'osservare i comandamenti e nel vivere secondo la fede, credendo alle verità rivelate, sperando il Paradiso e amando il Signore. Questo si richiede per tutti.
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Perciò i cristiani devono avere la fede, devono avere la speranza, devono lavorare per il cielo e devono amare il Signore e unirsi a Lui. Evitare il peccato e amare Dio, questo è necessario e sufficiente perché i cristiani arrivino al cielo. Bisogna che tutti vivano così: abbiano la fede e osservino i comandamenti, amino il Signore e siano uniti a Lui per mezzo della grazia, per mezzo dell'amore. E chi avrà fatto bene così, arrivato al giorno del giudizio sentirà l'invito di Gesù: «Vieni servo buono e fedele entra nel gaudio del tuo Signore» (Mt 25,23). Egli conseguirà il premio eterno. Questo dunque è ciò che si richiede e ciò che è assolutamente necessario per salvarsi: credere alle verità rivelate, osservare i comandamenti e vivere in grazia di Dio, cioè amare il Signore, vivere uniti a Lui. Possono esserci vari gradi nel vivere la vita per noi. Vi sono i cristiani che hanno più fede e quelli che ne hanno poca. Vi sono cristiani che osservano i comandamenti un po' sì e un po' no; poi si pentono, si rimettono sulla buona strada, e poi ricascano, e infine magari riusciranno a riconciliarsi con Dio e a morire nella sua grazia. Vi sono quelli che progrediscono nell'amore di Dio e progrediscono tanto.
Vi son quelli che fanno una comunione all'anno. Poco! E vi sono anime che fanno la comunione tutti i giorni, si confessano, vivono uniti a Dio, vogliono stabilire il loro cuore in Dio e lo amano. E questi cristiani possono trovarsi nella via semplice, la più comune, cioè la via del matrimonio; oppure sono persone che non hanno preso la via del matrimonio perché il Signore nei suoi disegni le ha chiamate a vivere in un'altra strada, quella di servire il Signore anche solo nel mondo. In ogni modo chi ha fede osserva i comandamenti e vive in grazia di Dio, arriva alla salvezza, alla beatitudine eterna: «Entra nel gaudio del tuo Signore» (Mt 25,23).
Questa è la prima categoria di anime - parliamo in generale - di quelle cioè che hanno il lume della fede, conoscono Gesù Cristo e intendono salvarsi.
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Ma sopra queste vi è un'altra categoria di anime, quelle che vogliono ciò che è più perfetto, che vogliono osservare non solo i comandamenti, ma i consigli evangelici di povertà, castità e obbedienza. Chi fa il voto di osservare questi consigli evangelici si consacra del tutto a Dio, anima e corpo. Consideriamo bene questa realtà.
Il Signore Gesù aveva predicato sulla indissolubilità del matrimonio e i discepoli fecero un'obiezione: «Se tale è la condizione dell'uomo riguardo la moglie, non merita sposarsi». E Gesù rispose: «Non tutti capiscono questa parola, ma soltanto quelli a cui è stato concesso» (Mt 19,10-11), cioè lo capiscono quelli che si consacrano a Dio nella castità perfetta e offrono al Signore tutto il corpo, per essere interamente di Dio: consacrazione del corpo, dello spirito, della fantasia, dell'intimo al Signore. San Paolo dice: «La donna non maritata e la vergine si danno pensiero delle cose del Signore, per essere sante di corpo e di spirito: la maritata invece si preoccupa delle cose del mondo e come possa piacere al marito» (1Cor 7,34). E questo perché gli sposi possano vivere una vita tranquilla nell'amore vicendevole. Ciò è grande virtù, ma è anche grande tribolazione. E perché il loro cuore è diviso tra l'amore per la persona con cui sono uniti e l'amore per Dio che devono amare. «Et divisus est» (1Cor 7,33): è diviso, dice ancora san Paolo. Invece coloro che si consacrano a Dio nella castità perpetua, hanno solo il cuore per Dio, dato tutto a Dio. Ma non devono anche aiutare la famiglia alle volte? Non devono soccorrere la mamma magari? Certo! Ma tutto fanno per amore di Dio e lo fanno anche più perfettamente, perché sovente quelle che sono sposate abbandonano anche il padre e la madre nelle difficoltà, magari nella miseria, nella loro sofferenza, invece chi è consacrata a Dio, per amore di Dio assiste, aiuta, consola.
Gesù ci ha poi insegnato il voto di obbedienza. Egli dice: «Io faccio solo e sempre quello che piace al Padre mio» (Gv 8,29).
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Cioè, secondo un'interpretazione un po' larga, io faccio sempre quello che piace a Dio. Ora chi consacra a Dio se stesso gli consacra la volontà, vuole solo fare del bene, il maggior bene, vivendo anche nello spirito di povertà e nello spirito di obbedienza, di sottomissione. E chi fa sempre l'obbedienza nella vita, è sicurissimo di salvarsi, anche se avesse delle pene interne, se ha sempre ancora dei rimorsi per i suoi peccati; se fa obbedienza al confessore e sta tranquillo, si salva sicuro, ancorché avesse dimenticato qualche cosa o qualche cosa non l'avesse confessata bene. Chi è obbediente non si perde mai.
Gesù poi ci ha ancora insegnato lo spirito di povertà. «Beati i poveri» (Mt 5 3). Ha invitato i poveri a sé, non solo, ma ha insegnato agli apostoli a vivere in povertà e andare a compiere il loro ministero senza borsa, né bisaccia, né calzari: «nolite portare sacculum, neque peram, neque calceamenta» (Lc 10,4). E ciò vuol dire: nella povertà, col cuore distaccato. Bisogna pensare sì alla vita presente, ma col cuore distaccato dalle cose; certamente bisogna provvedere per la vita presente, ma non con affanno e sempre col cuore distaccato. Gesù è nato nel presepio poverissimo ed è morto sulla croce coperto solo da un velo, e fu sepolto in un sepolcro che gli fu imprestato. Chi ama Gesù vuole imitarlo più da vicino.
Gesù inoltre ha insegnato a noi che questa vita di consacrazione è più perfetta. Ecco, venne da Gesù un giovane, il quale era ammirato della predicazione del Maestro Divino. Gli disse: «Maestro, che cosa devo fare per avere la vita eterna? E Gesù rispose: Osserva i comandamenti. - E quali? gli domandò. E Gesù rispose: non uccidere, non commettere adulterio, non rubare, non testimoniare il falso, onora il padre e la madre, e ama il prossimo tuo come te stesso. - E il giovane gli disse: Tutto questo l'ho osservato, che altro mi manca?» (Mt 19,16-20). Allora Gesù capì che questo giovane voleva fare qualche cosa di più, voleva assicurarsi la salvezza eterna e assicurarsela abbondantemente. Gesù lo guardò con amore.
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Quando un'anima che già osserva i comandamenti, vuole ancora seguire i consigli di Gesù, è amata, è favorita di tante grazie, di luce interiore. Quell'anima è attratta da Gesù. «Nemo potest venire ad me nisi Pater traxerit eum» (Gv 6,44): nessuno può venire a me se il Padre non lo attira. La grazia del Padre attira queste anime a Gesù, e Gesù attira queste anime a sé. «Se vuoi dunque - disse Gesù a quel giovane - essere perfetto, va', vendi quanto hai, dallo ai poveri e avrai un tesoro nel cielo; poi vieni e seguimi» (Mt 19,21).
Gesù insegnava qui tre cose: la povertà; poi, vieni cioè lascia la famiglia, non prendere la via della famiglia, non sposarti, e seguimi, cioè obbedisci. Ecco, «Se vuoi essere perfetto»: questa è la vita di perfezione. Con questa vita di perfezione il premio in cielo sarà molto più grande, perché queste anime hanno amato solo Gesù, si sono attaccate solo a Lui, non ai beni della terra, non a una persona e non alla propria volontà, ma solo a Gesù; e allora Gesù le chiamerà più vicine a sé in Paradiso, avranno una visione più profonda di Dio, un possesso di Dio più completo e un gaudio maggiore in Dio, perché si son date interamente a Lui.
Noi cosa facciamo sulla terra? Diamo a Dio quello che abbiamo ricevuto. Quanto meglio diamo a Dio quello che abbiamo ricevuto, tanto più è grande il merito. Se abbiamo ricevuto la salute, darla a Dio, spenderla nel bene, nelle cose che dobbiamo fare giorno per giorno; se abbiamo ricevuto intelligenza, usarla per conoscere meglio Dio, eccetera. La consacrazione vuol dire donarsi totalmente a Dio, e allora Dio corrisponde con grazie più abbondanti sulla terra e con un premio più grande in Paradiso. Vi sono persone che stanno nel mondo e sono consacrate a Dio e vi sono altre persone che non stanno nel mondo e sono consacrate a Dio nei conventi. È possibile l'una e l'altra cosa.
Poi vi è un terzo ordine di meriti che si può guadagnare sulla terra. Quando un'anima si consacra a Dio, decide di amare il Signore con tutto il cuore, con tutta la mente, con tutte le forze, con tutta la volontà.
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Ma vi sono le persone le quali capiscono alla perfezione il secondo comandamento: «Amerai il prossimo tuo come te stesso». Portare invidia, portare odio è peccato, vendicarsi è peccato, pensare il male, interpretare male è peccato, far dei dispetti è peccato. Tutti i cristiani devono amare il prossimo, ma c'è anche lì grado e grado. Chi ama il prossimo, per esempio, saluta, dà i segni di rispetto, oppure almeno non fa del male. Ma vi sono persone che consacrano le loro forze a un amore più grande del prossimo e sono quelle anime che fanno l'apostolato. È questo il terzo ordine di meriti. Quindi: meriti della vita cristiana, meriti della consacrazione a Dio, meriti dell'apostolato. L'apostolato è il fiore della carità e dell'amore verso il prossimo. Tutti devono amare il prossimo nella misura che è comandata sotto pena di peccato, ma chi fa l'apostolato lo ama anche oltre questa misura, e cioè si mette ancora a servizio delle anime per aiutarle. Istruisce gli altri, supponiamo, attraverso il catechismo, aiuta le anime, serve i malati, li va a visitare, o indirizza bene la gioventù, l'assiste nell'Azione Cattolica, oppure serve gli infelici, gli orfani, i vecchi, oppure fa il servizio sociale, oppure adopera i suoi beni per fare carità abbondante oltre quella che è comandata, aiutando le missioni, l'Università Cattolica, eccetera. Le sette opere di misericordia corporale e le sette opere di misericordia spirituale, se si fanno in una misura più perfetta, divengono apostolato.
Queste anime, dunque, che si dedicano ancora all'apostolato, già sono consacrate a Dio, ma hanno sotto di sé e attorno a sé come una famiglia di anime, ad esempio tutti i bambini che istruiscono nel catechismo, tutti i malati che servono, gli operai e i bisognosi che assistono, le Missioni che aiutano, le opere di carità e di culto. Due coniugi di Roma tanti secoli fa, non avendo figli ed essendo molto vecchi pregavano il Signore; e il Signore disse loro: «In quel luogo dove è caduta la neve fatemi una bella chiesa dedicata a Maria».
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E allora impiegarono le loro sostanze per costruire la chiesa. Vi sono contadini che raccolgono dal loro campo, supponiamo, dieci quintali per ettaro, e vi sono contadini che ne raccolgono trenta, venti dal medesimo campo, perché ben coltivato, ben concimato. Così vi sono persone che nella vita raccolgono i meriti del cristiano, altre che raccolgono i meriti del consacrato a Dio e altre che raccolgono i meriti dell'apostolato.
In questi giorni è bene che pensiate che cosa vuole da voi il Signore, che cosa vi fa sentire nell'anima, nel cuore. Pensare serenamente, senza agitazione. «Signore, che cosa vuoi da me? Che cosa ti piace, o Signore?». Quando Gesù diceva che al giorno del giudizio avrebbe usato queste parole: «Venite, o benedetti, nel regno del Padre mio, perché avevo fame e mi avete dato da mangiare, avevo sete e mi avete dato da bere, ero ignudo e mi avete vestito, infermo e mi avete visitato, in carcere e mi avete consolato», eccetera, i giusti domanderanno: «Ma quando, o Signore, ti abbiamo visto in queste necessità e ti abbiamo soccorso?». E il Giudice risponderà: «Ogni volta che l'avete fatto a uno dei miei fratelli, anche il minimo, l'avete fatto a me» (Cfr. Mt 25,34-40).
Il premio dell'apostolato! Per tutto l'amore che vi porta Gesù, pensate a quale grado di gloria volete arrivare; per tutte le grazie grandi che vi ha fatto Gesù nella vita, dal battesimo a oggi, per tutti i sacrifici che fate in questi giorni per partecipare a questa nuova grazia che sono gli esercizi, riflettete. La vita passa; come vorremmo trovarci? Quando ci presenteremo al Signore per essere giudicati e per ricevere il premio del lavoro compiuto vorremmo ricevere il premio della vita del cristiano che ha ben vissuto, che ha osservato i comandamenti, o vorremmo ricevere il premio di colui che si è consacrato a Dio facendo i voti, seguendo i consigli, o il premio ancora di colui che si è dedicato alla salvezza e all'aiuto delle anime mediante l'apostolato? Ecco ciò su cui dovete riflettere. Ciascuna deve parlare da sé con Gesù.
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Noi dobbiamo trattare gli affari della nostra anima tra noi e Gesù, in silenziosità, per poter sentire le ispirazioni di Dio. Dio aspetta che noi facciamo silenzio per parlare Lui; se parliamo già noi, egli è ben educato e non si mette in mezzo a disturbarci; ma se noi facciamo silenzio per sentire Lui, egli parlerà.
Poi naturalmente i pensieri, le risoluzioni, è bene che si dicano al rappresentante di Dio; non solo le risoluzioni, ma anche quello che potrebbe essere di dubbio, di incertezza, per avere consiglio; anche perché se si parte con la decisione del sacerdote confessore, del direttore spirituale, si opera poi sempre in obbedienza in quella via che s'intraprende e allora tutto aumenta il merito.
Se sapessimo quanto merito in più si ha a fare il bene in obbedienza e non a fare il bene di nostra iniziativa, di nostra testa! Allora cercheremmo di essere sempre aperti e di domandare sempre i consigli necessari, onde tutta la vita sia spesa per Dio. «Signore - allora si dice quando si arriva davanti al Giudice - io ho solo fatto quello che mi hanno detto i tuoi ministri, che parlavano a nome tuo. Se mi abbiano consigliato bene o male, non spetta a me giudicarlo, io so solamente che ho obbedito. E allora, «vir oboediens loquetur victoriam» (Prov 21,28): una grande vittoria, un premio grande in cielo.
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