Beato Giacomo Alberione

Opera Omnia

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15.
LA MORTE

Questa mattina dobbiamo meditare una verità che, a primo aspetto, spaventa, ma questa verità da una parte bisogna che venga meditata e considerata spesso e, dall'altra parte, il considerarla è sommamente utile per la nostra vita. Intendo parlare della morte. «Statutum est hominibus semel mori»: è stabilito che una volta dobbiamo morire (Ebr 9,27). Certamente il mio augurio è che abbiate vita lunga, tuttavia è sempre da meditare questo: Gesù è morto, Maria è morta, tutti i Santi che sono gloriosi in Paradiso sono morti. È morto Gesù e con la sua morte Egli ha acquistato la nostra redenzione e la nostra salvezza. È morta Maria e, morendo, ha compiuto il più grande atto di amor di Dio della sua vita. Sono morti i Santi e sono morti perché la morte è la porta del cielo. Non si arriva alla felicità eterna che attraverso la morte. Allora il nostro pensiero dominante è proprio questo: «Statutum est hominibus semel mori, post hoc autem iudicium»: è stabilito che gli uomini muoiano una volta sola e dopo la morte venga il giudizio (Ebr 9,27).
In primo luogo, che cos'è la morte? È una separazione dell'anima dal corpo. L'anima è destinata a vivere unita al corpo e il corpo è destinato a vivere unito all'anima. Quando il corpo non è più in grado di contenere l'anima perché qualche suo organo è guasto, allora l'anima si separa dal corpo. La morte quindi è una separazione dell'anima dal corpo; come quando diciamo peccato mortale intendiamo dire una separazione dell'anima da Dio, perché quando l'anima commette il peccato essa si distacca da Dio e per conseguenza ha la morte spirituale, cioè non ha più la vita soprannaturale, la vita divina che è in ogni anima giusta, in ogni anima santa.
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La morte è una separazione. Per questo il corpo va al sepolcro e l'anima va al giudizio di Dio a sentire la sentenza finale: «Venite, o benedetti, nel regno del Padre mio...; oppure: andate lontano da me, o maledetti, nel posto che è stato preparato al demonio e ai suoi seguaci» (Mt 25,34 e 41).
Perciò la morte è la porta del cielo e il merito più grande della vita. Il merito grandissimo nella vita è la scelta dello stato, quando l'anima si consacra a Dio e sceglie Dio per sua eredità. La morte, però, ripugna alla natura umana e noi vorremmo tenerla lontana il più possibile. D'altra parte è obbligatorio che ognuno curi la sua salute e prolunghi la sua vita, che è nelle mani di Dio, per quanto è umanamente possibile. Ma la morte è la porta del cielo, perciò senza passare per essa non possiamo entrare in paradiso.
In secondo luogo, la morte è la più grande penitenza che possiamo fare dei nostri peccati. Con l'accettazione della morte noi scontiamo la pena che rimanesse ancora da scontare per la vita trascorsa. Poi è il massimo atto di adorazione. Accettare la separazione dell'anima dal corpo, cioè la distruzione del nostro essere, è un atto di somma adorazione, perché è riconoscere Dio padrone della nostra vita, il quale ne può disporre come e quando crede.
La morte è incerta quanto al tempo. Nessuno sa se ha ancora poco o molto da vivere. È incerta anche in quanto al luogo. Ovunque si può morire. Si può morire in un incidente stradale e si può morire nel letto dopo una malattia; si può morire in chiesa, per strada, mentre si attende alle faccende domestiche, ai propri doveri della giornata. È incerta anche quanto al modo. Sarà preceduta da lunga malattia o sarà improvvisa? Gesù dice: «Estote parati»: siate sempre pronti perché nel momento in cui non ve l'aspettate essa viene (Mt 24,44).
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Perciò coloro che vivono male devono temere di morire male, perché possono essere sorpresi in un momento cattivo, cioè quando hanno il peccato grave sulla coscienza. Si muore una volta sola e allora la sorte è decisa per tutta l'eternità. Non vi è più alcun rimedio. Ma le anime che stanno sempre unite a Dio nella sua grazia, specialmente mediante la frequenza ai sacramenti, sono sempre pronte a morire.
Pur avendo la morte tante incertezze, ha anche delle certezze. In generale muore bene chi bene è vissuto e muore male chi è vissuto male. Questo non si può applicare a ogni caso, perché vi sono anche delle conversioni che sono disposte dalla Provvidenza e dalla misericordia di Dio, di certi peccatori che si sono convertiti in punto di morte, dopo una vita di peccati. Ma in generale è così: la vita è la preparazione alla morte. Chi vive bene muore bene e Iddio non l'abbandona nel momento terribile del passaggio all'eternità. Ma è anche un fatto che, generalmente, chi vive male muore male. Anche se per grazia di Dio ricevesse i sacramenti, bisogna vedere che disposizione ha, se proprio odia il peccato, oppure se invece riceve i sacramenti solo come una cerimonia esterna. Occorre il pentimento. E non è facile che abbia il pentimento dei propri peccati chi in vita ha sempre vissuto nel peccato. Quindi altra certezza della morte è che essa verrà, è sicura. Chi rimane? Alcuni muoiono vecchi, altri sono sorpresi nella media vita dell'uomo, altri muoiono giovani. La morte è certa, nessuno rimane. La città in cento anni cambia tutti gli abitanti. Dove sono quelli che vivevano in questa città cento anni fa? La loro anima è nell'eternità, il loro corpo al camposanto in attesa della risurrezione finale, perché si risorgerà. La morte poi è certa in quanto ci distacca da tutto. Si lasciano i parenti, le persone amiche, tutte le cose che ci davano piacere in vita.
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Si lasciano anche le pene, perché con la morte terminano le fatiche e le pene. Ci distacca da tutto e ognuno parte per l'eternità da solo per incontrarsi con Dio, al quale si rende conto di tutta la vita. Il premio è per coloro che sono stati fedeli a Dio. Ma chi non è stato fedele che cosa deve temere? E colui che si ostina nel male che cosa deve temere? Per chi ha buona volontà è sempre aperta la via del perdono e quindi la via ad una morte serena, tranquilla; ma chi invece si ostina nel male?
Con la morte finisce tutto. Qualche volta ci sembra grande cosa la vita presente, grande cosa vivere in una condizione o in un'altra; ma con la morte finisce tutto. Quello che importa è trovarsi sereni in morte, avere la sicurezza che si sta con Dio e stando con Dio si sarà felici con Lui per tutta l'eternità. Si vedono delle morti così belle, invidiabili! E si vedono anche delle morti che ci lasciano tanto timore. Ci si allontana qualche volta da qualche letto di morte pensando: quest'anima già si è incontrata con Dio; quale sarà la sua sorte eterna? E si ritorna a casa pensosi, pregando perché il Signore abbia misericordia di tutti.
Allora in che cosa consiste una buona preparazione alla morte? Prima di tutto bisogna cercare di evitare sempre il peccato mortale e per quanto è possibile il peccato veniale; ma in modo assoluto evitare il peccato mortale, perché è quello che rende la morte piena di agitazione, di timori e di angustie. Il peccato, il demonio che sta nell'anima, non porta mai la gioia, la serenità, ma porta sempre il tormento. Egli non è capace di dare altro che quello che ha. Egli vive nel fuoco, lontano da Dio, disperato e comunica all'anima che lo segue quello che egli ha.
Per evitare il peccato mortale bisogna evitare le occasioni del peccato, perché nessuno vuol commettere il peccato, però quando ci si abbandona e si cercano volontariamente le occasioni, allora vi è molto da temere.
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Tante volte il mettersi nelle occasioni vuol dire dare il consenso al male. Quindi evitare il peccato e le sue occasioni, che possono essere persone, cose, libri, trasmissioni pericolose, particolarmente divertimenti illeciti, i quali non solo sono occasioni pericolose, ma l'assistervi e il prendervi parte può già costituire peccato. Quindi per assicurarsi una buona morte evitare il peccato grave.
In secondo luogo, arricchire la vita di meriti. Quando una persona trascorre bene le sue giornate, ha sufficiente pietà, compie i suoi doveri santamente, guardando Dio e guardando al cielo, questa persona riempie la sua giornata di meriti. E allora i meriti in punto di morte sembra che si radunino tutti nello spirito, il loro ricordo consola, come il lasciar sfuggire occasioni di meriti tormenta. Non lasciarsi sfuggire mai le occasioni di meriti per quanto è possibile. Chi riempie ogni giorno il suo tempo di meriti, alla fine la sua vita ne sarà piena; ma chi trascorre le sue giornate vuote, si troverà come un vuoto.
In terzo luogo, chiedere sempre la buona morte, perché dalla morte dipende l'eternità. Può essere che un'anima, mentre sta per passare all'eternità, concepisca un atto di pentimento, di dolore vivo, vero, e muoia in grazia di Dio e sia salva; e può essere che l'anima invece non concepisca quest'atto di amore di Dio. La morte è il momento da cui dipende l'eternità. Allora chiedere sempre una buona morte. A chi? I tre grandi modelli della buona morte sono: Gesù, Maria e Giuseppe. Generalmente s'invoca san Giuseppe come protettore degli agonizzanti, ed è giusto, perché è desiderio della Chiesa. Però la morte più bella è stata quella di Gesù, il quale morì fra tormenti indicibili sì, ma con il suo spirito unito a Dio: «Padre, nelle tue mani raccomando il mio spirito» (Lc 23,46).
Quando si è in casa, quando si va in chiesa o in altri luoghi dov'è esposta l'immagine del crocifisso, pensare: Gesù, modello dei morenti, concedimi la grazia di passare all'eternità nell'amore di Dio, nella piena rassegnazione e accettazione della morte.
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Pensare poi a Maria, che morì di puro amor di Dio. Il suo cuore ardente di amore divino, ebbe allora un palpito più violento e il corpo non poté più reggere alla forza e allo slancio dell'amore, e l'anima sua partì dal corpo. Morire nell'amor di Dio! E se non abbiamo la grazia di morire di puro amor di Dio, almeno nell'amor di Dio, amando il Signore, abbracciando il crocifisso, baciando le sue sante piaghe e dicendo: Fiat voluntas tua! Accetto, Signore, il sacrificio della mia vita come l'ultimo atto di obbedienza che faccio a te. Tu mi chiami, eccomi; sia fatta la tua volontà.
In terzo luogo, invochiamo san Giuseppe, perché egli morì tra Gesù e Maria. Beati coloro che muoiono tra Gesù e Maria: con Gesù che hanno ricevuto in viatico e l'hanno ricevuto bene; con Maria che hanno sempre pregato. Prega per noi, o Maria, adesso e nell'ora della nostra morte. E Maria viene ad assistere. San Giuseppe si è meritato questa morte santa perché ha condotto una santa vita. Conduciamo una vita santa per poter sperare in una morte santa. Allora si porta a Dio un cumulo di opere buone e si va quindi a ricevere il premio. Invocare sempre i tre protettori e i tre grandi modelli della morte santa.
Poi, un altro modo per prepararci una buona morte è di assistere con pietà e diligenza i malati e coloro che sono vicini a passare all'eternità. Inoltre noi, durante la vita, dobbiamo saperci disporre alla morte e accettarla frequentemente. L'accettazione della morte che possiamo fare in vita, specialmente dopo la comunione, merita l'indulgenza plenaria al momento in cui l'anima spira. E allora, ecco, si ha fiducia di passare all'eternità totalmente purificati e quindi di poter essere ammessi immediatamente alla visione e al gaudio di Dio. Questa accettazione della morte è uno degli insegnamenti che san Giuseppe Cafasso dava frequentemente, ed è la pratica di tanti Santi. Del resto l'accettazione della morte è già un gran merito in sé, perché si accetta in tutto la volontà di Dio anche in quello che ripugna di più, che è morire.
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Per compiere poi questo si possono aggiungere le tre giaculatorie: Gesù, Giuseppe e Maria, vi dono il cuore e l'anima mia; Gesù, Giuseppe e Maria, assistetemi nell'ultima mia agonia; Gesù, Giuseppe e Maria, spiri in pace con voi l'anima mia.
Essere in pace per entrare nel gaudio eterno. La morte allora diviene la porta della felicità.
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