Beato Giacomo Alberione

Opera Omnia

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29.
VALORE DELLA PREGHIERA

Ieri abbiamo considerato come vi siano tre specie di preghiera. La preghiera mentale, «Elevatio mentis in Deum», che si può fare ovunque. Vedendo un bell'orizzonte, davanti all'altezza dei monti imponenti, davanti al mare sconfinato, la mente va alla grandezza e immensità di Dio. Preghiera mentale quindi, particolarmente la meditazione.
C'è poi la preghiera vocale, quella che avete fatto adesso recitando le orazioni, cantando gli inni di lode al Signore, alla Vergine Santissima.
C'è inoltre la preghiera vitale quando noi operiamo bene, e cioè quando facciamo cose buone, in stato di grazia, con retta intenzione e con un'intenzione di ottenere qualche grazia particolare sia per noi, sia per il prossimo. Quindi preghiera mentale, preghiera orale, preghiera vitale.
La preghiera ha poi tre valori. Abbiamo considerato il valore meritorio che è sempre di chi prega e serve appunto per il premio eterno; il valore impetratorio per impetrare, domandare le grazie; e il valore soddisfattorio per soddisfare e riparare i peccati sia nostri che altrui, sia di persone viventi che di persone defunte.
Adesso dobbiamo considerare quello di cui ieri non abbiamo parlato per mancanza di tempo. Vale pregare? Perché? Perché il Signore ce lo comanda, quindi eseguiamo un comando di Dio. Chi non prega mai, trasgredisce tale comando, pecca e porta con sé le conseguenze, poiché chi prega si salva, chi prega molto si fa santo e chi non prega si perde. Abbiamo soprattutto da pensare all'eternità, alla nostra anima.
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Il Signore poi quando sa nella sua sapienza che una cosa è proprio necessaria a noi, ce la comanda ripetutamente. Quando a un papà o a una mamma sta a cuore che la propria figlia faccia questo o quello, essi lo dicono, lo ripetono, lo richiamano tante volte. Ora nella Scrittura si parla oltre cinquecento volte della preghiera. Ma quando il Padre Celeste ci ripete per circa cinquecento volte di pregare e di pregare bene, di non tralasciare mai la preghiera perché chi prega viene ascoltato, quando il Signore ce lo dice cinquecento volte, dobbiamo essere così duri di orecchie, così insensibili? Si tratterà di una cosa di consiglio o di una cosa di precetto? La Scrittura non dice la quantità delle preghiere da farsi, ma dice in sostanza di pregare quanto ci è necessario. Se commettiamo ancora quel difetto, se cadiamo ancora in quel peccato, se ci troviamo così in difficoltà a praticare questa virtù o quell'altra, se non arriviamo cioè a fare quello che il Signore vuole da noi, è segno che ci manca ancora un po' di preghiera. Diciamo spesso di aver pregato, ma vi sono cose che bisogna non solo chiedere sempre, ma bisogna in certi tempi aumentare la preghiera; e per certe grazie, per vincerci su certi punti, quando abbiamo da prendere decisioni importanti, è necessaria maggior preghiera.
A Torino vi è la casa del Cottolengo, di san Benedetto Giuseppe Cottolengo. Vi sono migliaia e migliaia di ricoverati infermi, vecchi e bambini. La preghiera che si dice sempre là è: «Fateci santi». Al mattino 50 volte, al mezzodì 50 volte, alla sera 50 volte. Intanto ho letto nella storia di quella casa, con tante migliaia di persone ricoverate di ogni sorta, spesso i più miserabili moralmente, e anche ebrei, protestanti (perché la carità non fa distinzioni anzi, si preferiscono specialmente i più abbandonati) che nessuno è morto senza sacramenti. Sono passati già milioni di persone in quella casa e di lì sono andati all'eternità beata, nonostante che prima fossero così ostinati. Non solo i non praticanti, ma anche gli increduli, si sono riconciliati con Dio prima di passare all'eternità.
Sempre si deve insistere.
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Vi sono persone che dicono che quella grazia sarebbe troppo grande per loro e non la chiedono neppure, ma sbagliano. Non hanno l'audacia, la temerarietà di chiedere la santità perché si sentono cattivi, distanti dalla santità. È un errore, bisogna chiedere sempre grazie grandi, ma è necessaria la fede; chiedere quello che desideriamo e se proprio non viene concessa a noi quella grazia in particolare, ne verrà concessa un'altra che, come ho detto ieri, equivale o supera la prima. Il Signore ci ascolta più di quanto noi chiediamo, egli supera le nostre stesse richieste. Gesù ha detto: «Qualunque cosa chiederete al Padre mio ve la darà» (Mt 21,22). Lo ha ripetuto, qualunque cosa, cioè tutto; o ci dà quella grazia o ci dà una grazia maggiore o equivalente.
Qualunque cosa? E allora anche le grazie temporali? Sì, anche le grazie temporali possiamo chiedere, perché se non sono utili per la nostra salvezza il Signore ci esaudisce cambiandole con grazie spirituali. Quando Gesù ha detto quelle parole, le persone che ascoltavano erano gli Apostoli; ma insieme c'erano i farisei, gente che teneva anche vita cattiva, pagani. Eppure ha rivolto a tutti le stesse parole. Non portiamo la scusa di non essere santi e che il Signore ascolta solo le anime belle. Gesù non ha fatto una distinzione giansenista. Qualunque cosa e chiunque chiede senza distinzione, otterrà. Perciò non ci fermino i peccati, non ci fermi la nostra indegnità; fidiamoci della bontà di Dio, il quale è infinitamente misericordioso. Lo crediamo così piccolo il Signore? Che non possa ascoltarci, non possa farci quella grazia che desideriamo? Ci viene da ricordare quello che è scritto nel salmo: «Credi tu che il Signore non veda, Lui che ha creato l'occhio? Credi tu che il Signore non senta, Lui che ha creato l'orecchio?». Certuni credono di non essere visti da nessuno perché sono soli e credono di poter fare quello che vogliono. Ma non c'è un Dio che sente e non c'è un occhio che tutto vede? Sempre dobbiamo fidarci di Dio il quale ha un gran cuore. Se tuo padre e tua madre ti vogliono bene e se possono darti qualche cosa che desideri e chiedi, loro non te la daranno?
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Ha detto Gesù: «Se a voi padri un figlio chiede un pane, gli darete una pietra? Se vi chiede un pesce gli darete una serpe?». E conchiude: «Se voi che pur non siete buoni, sapete dare cose buone ai figli, quanto più il Padre celeste ne darà a voi» (Mt 7,9-11).
Bisogna però fare una distinzione: è un po' diverso pregare per noi o pregare per gli altri. Per noi il Signore esaudisce sempre o con quella grazia che chiediamo o con un'altra. Ma se chiediamo, per esempio, la conversione di un peccatore, non è così sicuro che si ottenga la conversione, perché il Signore dà la grazia, ma l'altro potrebbe ostinarsi a rifiutarla. Invece se chiediamo per noi la conversione, la santità, a noi la concede. Chiedere quindi per tutti. Allora le preghiere fatte per gli altri cadono per terra come un acqua che viene sprecata? No, non cade nulla per terra, ma sempre il Signore dà un esaudimento, quello che egli nella sua sapienza, nel suo amore, giudica meglio per quell'anima lì o per quell'altra anima, per quell'anima o per te.
Bisogna che però, come ho detto ieri, portiamo tre condizioni nella preghiera. Prima condizione è la fede, cioè credere, perché Gesù ha detto che qualunque cosa domandiamo, se crediamo, ci sarà data. «Se uno prega e dicesse a un monte: sollevati e gettati in mare, e non esiterà in cuor suo, ma crederà che quanto dice avvenga gli avverrà» (Mc 11,23). Gesù quando faceva i miracoli prima domandava: Hai fede? Credi che io possa fare questo? Così risvegliava la fede e colui che chiedeva rispondeva: Sì Signore, credo. È la fede che salva, è la fede che fa i miracoli. Il miracolo può farlo anche uno che non sia santo, ma se c'è la fede, avviene. Bisogna che portiamo in noi sempre questa fede. C'è quel bellissimo libro tradotto in italiano dallo spagnolo, dove si mette bene in mostra quello che la Scrittura dice riguardo ad Abramo. Abramo era ormai vecchio e aveva un solo figlio. Il Signore gli aveva detto che nel suo seme, cioè nella sua discendenza ci sarebbero state persone più numerose delle stelle dei cielo.
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Egli aveva invece solo un figlio Un giorno il Signore gli chiede una prova molto dura. Aveva solo un figlio e lui era vecchio; il Signore gli aveva promesso che la sua discendenza sarebbe stata più numerosa delle stelle del cielo. Tuttavia gli chiede di portare questo figlio sul monte e di sacrificarlo a Lui. Sembravano in contraddizione le parole del Signore: da una parte la promessa di una figliolanza così numerosa e invece dall'altra parte c'era solo questo figlio senza la speranza di altri. A noi non sarebbe venuto il dubbio? Il Signore si contraddice forse? Ma Abramo obbedì, persuaso che il Signore avrebbe mantenuto la promessa di donargli una discendenza più numerosa delle stelle. In quei giorni il suo spirito fu profondamente tormentato, ma intanto obbediente preparò il figlio a partire, preparò l'asino a portare la legna, si armò di coltello e salì sul monte indicato da Dio. Là mise le pietre e sopra di esse la legna; poi vi legò il suo unico figlio e alzò il coltello per immolarlo; ma il Signore fermò la sua mano. E Abramo ebbe discendenza più numerosa che le stelle del cielo.
Ma ci vuol fede; alle volte per praticare la fede bisogna sudare, non è una parola vuota. Qualche volta fa venire le lacrime, ci troviamo in circostanze che sembrano insolubili e molte preghiere non sono esaudite perché manca la fede. Occorre ostinarsi a credere alla bontà e alla potenza di Dio, sì.
La seconda condizione è l'umiltà nel pregare. «Due uomini salirono al Tempio per pregare; uno era fariseo e l'altro pubblicano. Il fariseo, ritto in piedi, così pregava dentro di sé: o Dio, ti ringrazio, perché non sono come tutti gli altri uomini, rapaci, ingiusti, adulteri, e neppure come questo pubblicano. Digiuno due volte la settimana e pago le decime di tutte quante le mie rendite» (Lc 18,10-13). Una preghiera più orgogliosa di così non ci può essere. Vi sono persone che quando si confessano vogliono mostrare più le virtù e i doni che non i bisogni e l'accusa delle proprie debolezze.
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«Il pubblicano invece se ne stava distante e non ardiva neppure di alzare gli occhi al cielo; ma si percuoteva il petto, dicendo: O Dio, sii propizio verso di me che sono un peccatore» (Lc 18,13). Il fariseo ritornò a casa più peccatore di prima e pieno di orgoglio, mentre il pubblicano ritornò a casa giustificato, cioè santificato. Aveva ottenuto il perdono, la sua domanda era stata esaudita.
Allora bisogna che noi ci umiliamo. La preghiera dell'umile parte dal cuore, s'eleva fino al tribunale di Dio, fino al seggio della SS. Trinità, e ne discende benedetta e ascoltata. Invece il superbo sarà umiliato e privato dei doni di Dio. Quanti perdono le grazie a causa dell'orgoglio che hanno in sé! E siccome ostentano una certa pietà, credono di poter disprezzare tutti gli altri. Si ritengono diversi dagli altri, superiori, perché fanno un'opera buona o una preghiera. Di superbi ce ne sono assai più di quanto si creda. Invece l'umile riconosce di essere indegno della grazia di Dio, di non meritarla, di non saper quasi neppure come chiedere, come pregare. Espone serenamente i suoi bisogni al Signore e chiede di aver pietà di lui «Signore, non son degno che voi entriate nella mia casa, ma dite soltanto una parola e l'anima mia sarà salva»; allora il Signore piega il suo capo, ci guarda con amore e ci esaudisce.
«Se non diventate come i fanciulli, diceva Gesù agli Apostoli, non entrerete nel regno dei cieli» (Mt 18,3), cioè non riceverete le grazie. Gesù stava allora correggendo gli Apostoli perché si erano un po' inorgogliti. Umiliarsi ricordando le nostre mancanze, umiliarsi ricordando le nostre debolezze, e ricordando che senza il Signore noi non possiamo fare niente. Ricorrere al Signore sapendo che non abbiamo nessuna possibilità, nessuna virtù senza l'aiuto di Dio. I bimbi che pregano con fede e con umiltà, quante volte sono esauditi! E qualche volta quando vi è un pericolo grave in una famiglia, una disgrazia, perché c'è un temporale, perché c'è il papà ammalato, le mamme che hanno un po' di fede fanno pregare i bambini.
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La Scrittura dice, in un punto, che la preghiera fu ascoltata perché tra coloro che pregavano c'erano di quelli che non sapevano distinguere la destra dalla sinistra, cioè c'erano bambini, che sono umili. A uno che chiede l'elemosina con tono superbo è difficile disporsi a farla. Se uno chiedesse del denaro non per necessità e con la forza, non ci verrebbe la disposizione propizia per ascoltarlo.
La terza condizione è la perseveranza nella preghiera. Nel Vangelo ci è indicata. «Se uno di voi ha un amico che, a mezzanotte, va da lui e gli dice: Amico, prestami tre pani, perché mi è arrivato un amico da un viaggio e non ho cosa offrirgli da mangiare; e se l'altro di dentro, gli risponda dicendo: Non mi dar noia, la porta è già chiusa, i ragazzi sono a letto con me e non posso alzarmi a darteli: io vi assicuro che se anche non si volesse alzare a darglieli perché amico, almeno per la sua importunità, si alzerà e gliene darà quanti ne ha bisogno» (Lc 11,5-8). Così insistete presso il Signore, insistete e domandate usque ad importunitatem, fino all'importunità. Se vogliamo una grazia, cerchiamo di metterci fede e ostiniamoci a domandare umilmente. Quante volte il Signore tarda a esaudirci perché vuole esercitarci nella fede e nell'umiltà! Ma chi chiede sempre e tutti i giorni, ottiene; e se si chiede oggi si hanno le grazie per oggi, e se si chiede domani si hanno le grazie per domani; e quando ci troveremo nella difficoltà maggiore, se avremo sempre pregato, vinceremo la difficoltà, saremo esauditi.
Leggiamo ancora nella Scrittura che vi era una vedova, alla quale avevano fatto dei grandi torti. Andò dal giudice affinché le facesse valere le sue ragioni per avere quanto le aspettava; ma il giudice non le dava ascolto e la rimandava sempre a mani vuote. Ma quella continuava a tornare, a insistere. Quel giudice finalmente conchiuse così: io non ho rispetto né per Dio né per gli uomini; mi prega per Dio e io non ho rispetto per Dio; mi prega perché ha tanto bisogno, ma io non rispetto neanche gli uomini. Tuttavia per togliermi questa seccatura bisogna che l'accontenti.
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La esaudì, le diede quello che chiedeva e le fece giustizia.
Voi continuate dunque a pregare perché a chi bussa sarà aperto, a chi domanda sarà dato; e chi chiede ottiene. Sempre pregare; il lavoro principale è questo, il lavoro interiore, il lavoro che riguarda la pietà. Al Cottolengo, come vi ho detto, non ci sono risorse, anzi prendono gli ammalati che sono abbandonati, che non hanno nessun aiuto. Quando viveva il Cottolengo, se arrivava a lui qualche raccomandazione da qualche signore per qualcuno ridotto in uno stato pietoso, rispondeva: «E allora, voi che siete un signore, dategli ciò di cui ha bisogno». E se l'altro era disposto a pagare una quota il Cottolengo rispondeva che lì non si pagavano quote perché c'era la provvidenza. La preghiera è la più importante occupazione della casa del Cottolengo, è il più importante lavoro che si fa in quella casa. I più sono a letto, altri sono alzati, ma in condizioni di non poter fare alcun lavoro; però il più importante lavoro, la più importante occupazione di quella casa è la preghiera. Il Signore è intervenuto con innumerevoli miracoli.
Abbiamo fede, umiltà e soprattutto perseveranza. Alcuni pregano due, tre giorni, pregano una settimana, dopo aver fatto gli esercizi stanno buoni un mese, poi di nuovo lasciano la preghiera. Come si può perseverare così nella buona via, come si possono osservare i propositi fatti? Ostinatevi a pregare, perché chi persevera nella preghiera ha una continuità di grazia, una continuità di luce, di forza e di conforto che dal cielo cade sull'anima. Non sempre succede tutto come si vorrebbe, ma succede questo, che è il fine dell'uomo: la salvezza eterna, il premio eterno, la felicità eterna. Vi salverete sicuramente.
Chi prega si salva e chi prega molto si fa santo.
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