Beato Giacomo Alberione

Opera Omnia

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34. DOMENICA VIII DOPO PENTECOSTE

Meditazione alla Comunità delle Pie Discepole del Divin Maestro.
Roma, Via A. Severo 56, 28 luglio 19631

La lettura del Vangelo secondo san Luca, capo 16°. Anche semplicemente la lettura ha già un gran merito e vi sono le indulgenze della Chiesa.
Gesù disse ai discepoli una parabola: Un signore venne a sapere che un suo fattore dissipava i suoi beni. Lo mandò a chiamare: Cos'è mai quello che sento dire? Rendi conto della tua amministrazione perché non potrai più tenerla. Il fattore pensò tra sé: Cosa faccio io, ora che il padrone mi toglie la fattoria? Zappare? Non ho forza. Mendicare? Mi vergogno. Ecco, farò in modo che qualcheduno mi dia ospitalità in casa sua quando sarò senza lavoro. Mandò a chiamare i debitori del padrone e domandò al primo: Tu quando devi al mio padrone? Colui rispose: cento barili d'olio. Ed egli: prendi la fattura, siedi e scrivi cinquanta. Poi domandò ad un altro: E tu quanto devi? Rispose: cento misure di grano. Su, prendi la ricevuta e scrivi ottanta. Il padrone lodò l'accortezza del fattore perché aveva agito con astuzia. Poiché i figli di questo mondo, nei loro affari, sono più avveduti dei figli della luce. Ed io vi dico: Fatevi degli amici con le ricchezze che sono occasione di peccato, affinché quando veniate a morire, essi vi accolgano in cielo2.
E questo viene anche a concordare, come insegnamento, nell'Epistola di san Paolo:
Noi cristiani non dobbiamo più seguire le passioni, poiché se vivrete secondo la carne, morirete, se invece, per mezzo dello Spirito soffocherete le tendenze della carne, vivrete. Tutti quelli che sono guidati dallo Spirito sono figli di Dio. Lo Spirito che avete ricevuto non vi rende schiavi per ricadere nella paura ma vi rende figli adottivi di Dio e ce lo fa chiamare col nome di Padre. Ed è lo Spirito che ci dà la certezza che Dio ci chiama figli. E se figli, siamo anche eredi, eredi di Dio e coeredi di Cristo3.
Qui viene a dire il Vangelo, e insieme l'Epistola, che dobbiamo pensare rettamente e, nello stesso tempo poi, operare rettamente. E l'Oremus: «Concedi, o Signore, la grazia di pensare ed agire sempre secondo giustizia, affinché noi che non possiamo esistere senza di te, o Signore, che riusciamo a vivere secondo il tuo volere».
In primo luogo bisogna che abbiamo la rettitudine della mente: semper spiritum cogitandi quae recta sunt, propitius et agendi. Che in primo luogo guardiamo di esaminarci sopra i pensieri, su quello che pensiamo, perché se sono retti i pensieri, poi saranno rette le opere, le parole; ma se i pensieri non sono retti, non son secondo Dio, secondo la fede, secondo la legge di Dio, secondo i voleri di Dio, se non sono retti, allora anche il nostro cuore non sarà retto e le nostre opere non saranno...
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Allora, ecco, quello che abbiamo da considerare: una fede profonda. Questo fattore che non amministrava bene e veniva dimesso dal padrone perché non amministrava bene, aveva operato male, e adesso ne combina delle altre ancora più brutte ingannando ancora il padrone, perché pensava: io se non ho questo lavoro, cosa farò per vivere? Per zappare no, non ho forza; e chiedere l'elemosina mi vergogno. E allora ricorse a una astuzia maligna.
Oh, il Signore Gesù però insiste su questo: che i cattivi studiano di fare delle cose cattive, ci pensano a ingannare il prossimo, coprire il male e mostrar soltanto il bene; ma i figli della luce, cioè coloro che sono figli di Dio, tante volte non sono così prudenti, così impegnati a farsi santi. I ladri combinano notte e giorno e poi nelle tenebre cercano di rubare. Ora, noi combiniamo sempre, notte e giorno, cose buone? che piacciono a Dio? Abbiamo noi l'impegno di farci santi, in confronto di quelli che, essendo cattivi, pensano di riuscire nelle loro cattive imprese? «Fatevi degli amici con le ricchezze che sono occasione di peccato affinché quando veniate a morire, essi vi accolgano in cielo». Ma la sentenza di Gesù è: «I figli di questo mondo, nei loro affari, sono più astuti dei figli della luce».
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Essere astuti. Che vuol dire: essere prudenti. Qui si tratta della virtù della prudenza, cioè, prudenza virtù cardinale. Oh, procede, però, questa prudenza, dalla fede, se vi è una profonda fede; e procede anche dalla speranza, da una profonda speranza. Prudenza.
La prudenza, in generale, è così: la vita presente è una prova, è il tempo di accumulare meriti per l'eternità. E avremo un paradiso proporzionato, nella gloria, nella felicità, proporzionato all'uso dei giorni, del tempo della vita presente. Quindi, chi è prudente? È prudente cioè chi, anche facendo solo piccoli sacrifici, un giorno avrà una gloria sproporzionatamente grande al bene fatto. E diceva quel tale che aveva acquistato un terreno: "L'ho pagato veramente poco e intanto adesso mi rende molto, e a rivenderlo, faccio una somma cinque volte tanto che ho speso nel comprarlo". Ecco, così noi per l'eternità. Perché, anche un'azione minima, una parola buona, un sentimento buono, un pensiero buono, momentaneum et leve1, anche se è una piccola sofferenza, ma il premio è eterno. Una sofferenza di una giornata, di un cinque minuti, di un'umiliazione, ma il premio è eterno, non cessa più, è eterno. Quindi la ricompensa è sproporzionata ai sacrifici che abbiam da fare, alle mortificazioni, alle nostre opere. Quanta gloria le vergini in cielo! Hanno santificato i loro giorni, santificato se stesse. E sant'Agnese è morta a 14 anni; altre sante sono morte più avanti. Ma anche se fossero vissute come santa Tecla, oppure qualche altra santa vergine, anche 100 anni, ma il premio non dura soltanto 100 anni e neppure cento milioni soltanto di anni, di premio. Quindi è sproporzionata la ricompensa. Perché? Perché le nostre piccole azioni, se son fatte in grazia di Dio, eh! piacciono a Dio. Perché? Perché noi operiamo in Gesù Cristo e per Gesù Cristo e con Gesù Cristo. Allora il premio è sproporzionato alle piccole nostre cose e alla breve nostra vita, anche se fosse tutta una vita di crocifissione. Ecco la prudenza. «I figli delle tenebre sono, alle volte, sono più astuti che i figli della luce».
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Ma da che cosa dipende? Dalla fede. Se pensiamo rettamente. Diversamente guardiamo solo le ragioni presenti. Si riceve un torto, c'è stata una critica, si è interpretati... un'azione che abbiam fatto; è un po' di disgusto, sì, si offre al Signore come Gesù è stato tanto calunniato, e quando venne condannato alla morte di croce. Ma è eterno il premio, eterno. Perciò, ecco, qui si parla tre volte, nell'Epistola, dello Spirito Santo. Chiediamo questa virtù cardinale: prudenza. È vero che c'è una prudenza naturale anche, ma qui si parla della prudenza come grazia di Dio e come virtù soprannaturale infusa in noi per lo Spirito Santo.
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Ora, dunque, impariamo a ragionare un po' meglio: spiritum recta cogitandi. Lo spirito di pensare in bene. Qualche volta le passioni, l'amor proprio portano a pensare non rettamente, ma secondo la carne, secondo il tempo presente. Ma se abbiamo la luce di Dio! I figli di Dio che abbiano la luce grande! Chiedere al Signore la grazia di pensare sempre in bene. Perciò l'esame di coscienza come si deve fare? Sempre ci hanno insegnato: esaminatevi sui pensieri, ecco, primo punto; e se i pensieri son santi, o se i pensieri non sono abbastanza santi, cerchiamo di purificarli. Perché quello che rende più onore e gloria a Dio è sempre, in primo luogo, la fede, il pensare soprannaturalmente, il pensare secondo le frasi del Vangelo. Basterebbe pensare alle otto Beatitudini e alle sette parole di Gesù in croce per venire sapienti, cioè per pensare sempre secondo la rettitudine, secondo Dio. Sempre, in primo luogo, chiedere la fede.
E il Credo dirlo sempre meglio, riflettendo un po' alle varie espressioni che ci sono, alle varie verità che contiene il Credo, ecco, sì. Qualche volta va molto bene che, sentendo La Messa, si dica il Credo più lungo, quello che la Chiesa vuole che noi diciamo nella Messa, sì. E il papa Giovanni XXIII diceva, nel suo testamento, che egli seguiva e professava il Credo della Messa, non l'altro breve Credo che diciamo nelle orazioni. Questo come suo testamento e per morire secondo la fede espressa nel Credo della Messa. Domandiamo al Signore questa grazia: di pensare rettamente e pensare sempre secondo la fede: «credo la vita eterna».
Sia lodato Gesù Cristo.
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1 Nastro 115/b (= cassetta 138/a). - Per la datazione, cf PM: «E il papa Giovanni diceva nel suo testamento, che egli seguiva e professava il Credo della Messa, non l'altro breve...». - dAS, 28/7/1963 (domenica): «m.s. (= Messa e meditazione alle PD del servizio)».

2 Lc 16,1-9.

3 Cf Rm 8,12-17.

1 2Cor 4,17.