Beato Giacomo Alberione

Opera Omnia

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13. LA SPERANZA

Corso straordinario di Esercizi Spirituali (12 maggio - 1 giugno 1963)
alle Superiore e Suore anziane delle Pie Discepole del Divin Maestro.
Ariccia, Casa Divin Maestro, 15 maggio 19631

La fede ci fa conoscere Dio, sommo bene ed eterna felicità. L'unico e sommo bene: Dio.
Noi abbiamo da cercare quello che è il sommo bene, Dio, eterna felicità. Il Credo che è l'atto di fede, si conchiude con la speranza. L'ultimo articolo: la vita eterna. Exspectantes beatam spem2. Stiamo aspettando il premio, il gaudio eterno.
Ecco, non sappiamo quanto ci lascia ancora su questa terra, il Signore, per aumentare i meriti. E già un sacerdote scriveva al suo superiore: "Sono già abbastanza anziano, sono stanco, potrebbe darmi il riposo". E il superiore ha risposto: "Ancora 15 anni di lavoro, poi: laetantes ibimus3, poi partiremo in letizia; arrivati al cielo, il gaudio eterno".
Non vi è proporzione fra il lavoro che facciamo e il premio che godremo. Anche un minimo sacrificio merita e ottiene un premio eterno; un sacrificio che dura un minuto, alle volte, un atto di amor di Dio, e questo avrà un premio eterno. Non habemus hic manentem civitatem sed futuram inquirimus4. Non abbiamo qui posto stabile, non abbiamo qui la residenza perpetua, no. Si prende la residenza in una città, in un'altra, ma è tutto di passaggio: non habemus hic manentem civitatem sed futuram inquirimus. E sì. Però, dovunque andiamo, qualsiasi ufficio che ci è destinato, sempre noi possiamo guadagnare il premio per l'eternità: futuram inquirimus. E quindi, quando noi entriamo in noi stessi, riflettiamo: sì, poco tempo su questa terra, poi il gaudio in proporzione alle opere buone che facciamo.
Il Signore ci ha chiamati tutti, e ci ha chiamati dandoci anche i mezzi, ci ha chiamati tutti per l'eterno gaudio. Ma per chi è consacrato a Dio, è promesso un gaudio maggiore: «Riceverete il centuplo, possederete la vita eterna»5. E quando si è fatto la professione e si è sottoscritto nel libro delle professioni, ecco la tessera per il paradiso. Non solo: «riceverete il centuplo» ma «possederete la vita eterna».
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Perciò, dopo considerazioni sulla fede, che è il proposito fondamentale della vita, non è un piccolo proposito, è il proposito della vita, viene di conseguenza la speranza.
Se Iddio è sommo bene, eterna felicità, speriamolo. Da questa valle di lacrime, da questo esilio, speriamo, confidiamo. Ma non è una speranza vaga, come dire: speriamo che domani sia una bella giornata. E assicurata, con la speranza, ecco, assicurata la felicità eterna: «possederete il paradiso». Eh, sì.
Allora, che cosa dobbiamo pensare: il Signore ha promesso il paradiso a tutti quelli che vogliono seguire. Egli è morto per aprirci il paradiso. Se il Figlio suo, il Figlio del Padre, è morto per aprirci il paradiso, questo significa che egli ci vuole in cielo. E il Figlio di Dio ha pagato i debiti che noi abbiamo con Dio e quindi ha aperto il paradiso per chiunque voglia arrivarci.
Vi è una via più stretta, anche un po' ripida, ma conduce all'eterno gaudio, all'eterna felicità, alla patria beata. Dall'esilio alla patria. E vi è una via comoda, ma mette capo all'inferno. Scegliete dunque. Elige, ergo, vitam1.
Gesù già è alla destra del Padre; Maria, con Gesù: gaudio eterno. E là ci attendono. Dice il Salmo: me exspectant iusti2: i giusti, i santi, mi aspettano. Sì, ci aspettano.
Oh, la speranza, dunque, è la seconda virtù teologale. Per molte persone serve di più il proposito sulla speranza, cioè sulla fiducia.
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La fiducia o speranza ha come un duplice oggetto, e cioè: il paradiso e le grazie per arrivare in paradiso.
La fiducia di ricevere il premio eterno. Perché? Per la bontà di Dio, per le promesse che Dio ha fatto a chi vive bene, e, soprattutto, per i meriti di Gesù Cristo. Sono tre motivi di speranza, quali ricordiamo sempre nell'Atto di fede e poi nell'Atto di speranza.
La bontà di Dio. Egli, il Signore, ci ha creati per conoscerlo, amarlo, servirlo e goderlo, quindi, in eterno [in] paradiso.
E per te che hai la vocazione? Per conoscere meglio Dio, per amare di più Dio, per servire di più Dio, meglio servirlo; ma per avere un premio più abbondante in paradiso. Credere a questo frutto della vita di consacrazione a Dio: maggior premio per l'eternità.
Oh, allora, confidiamo di ottenere due cose, e cioè: il paradiso e la grazia per conseguire il paradiso con le opere buone che dobbiamo, «che io debbo e voglio fare». Sì, la speranza.
Chi è che va in cielo? Chi ha la veste nuziale. Perché colui che non aveva la veste nuziale ed era entrato a partecipare alla cena preparata da quel ricco signore, ecco, trovando che non aveva la veste nuziale, lo cacciò fuori1.
Chi vive in grazia ha in se stesso, non solo la promessa, ma la sicurezza. Perché? Perché c'è la promessa di Dio. E Dio non inganna, Dio non promette cose inutili e inarrivabili. A tutti è promesso il cielo se si vive in grazia di Dio. Ut sedeatis et bibatis in regno Patris mei2: affinché vi troviate alla mensa celeste, al gaudio, cioè all'eterna felicità in cielo, sì.
Quanto ci manca per arrivarci? Vorreste, vorremmo indovinare quanto tempo ancora ci manca per l'ingresso in paradiso? Così spesso, noi, anche pensando a tutta la Famiglia Paolina, così spesso la notizia: la tale religiosa, il tale religioso è passato all'eternità; ecco, così spesso. E ci porteranno al cimitero: il corpo là, l'anima a Dio, al giudizio e, se è preparata, l'entrata immediata in cielo, sì.
Quando il Signore ha annunziato le Beatitudini voleva dire che, chi vive bene già prova una gioia e una pace interna per il bene fatto. Supponiamo per il voto di povertà bene osservato. Ma questo è una pregustazione di quel che segue, cioè il cielo. Qui, una pregustazione, là, la mensa celeste. Perché si può assaggiare il cibo, ma poi dopo si può sedersi alla mensa, alla tavola e nutrirsi e saziarsi quanto necessario, sì.
La grazia abituale è quella vita soprannaturale che è in noi, quell'organismo spirituale che c'è in noi e che produce fede e speranza e carità, ecco. Questo organismo è un organismo degno di entrare in cielo e di, quindi, partecipare alla beatitudine, al gaudio, alla gloria di Gesù Cristo. Sì, partecipare, perché allora è la vita di Gesù in noi: «Io son la vita»3. Allora la partecipazione al gaudio, alla gloria di Gesù Cristo in cielo. Questo si chiama la grazia abituale, cioè che rimane nell'anima stabilmente.
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Poi c'è la grazia attuale, e cioè, il secondo oggetto della speranza: le grazie per far le opere che son necessarie ad entrare in paradiso, l'aiuto della grazia di Dio. Quando si prega per vincere una passione, per acquistare una virtù, per osservare i propositi, per viver la vita religiosa, c'è sempre l'aiuto della grazia, se preghiamo, l'aiuto infallibile per chi prega. E, «chi prega si salva»1 e chi prega molto si fa santo. Ecco, allora l'aiuto per compiere quello che è necessario fare: vincere una tentazione, ad esempio; accettare un sacrificio o una pena, la prova che il Signore dà. Le grazie necessarie per fare il bene, per compiere le opere buone che son necessarie, «che io debbo e voglio fare». L' aiuto.
Quindi, l'oggetto della speranza è duplice: la speranza del cielo; la fiducia nelle grazie, la speranza di ottener le grazie per meritare. Due oggetti.
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Allora, che cosa dobbiamo pensare adesso?
Il merito fondamentale è far la volontà di Dio, sempre. È l'obbedienza.
L'obbedienza può essere in un grado semplice: si eseguisce quello che piace al Signore: l'osservanza dei comandamenti e l'osservanza dei voti e accettare le disposizioni che sono date. Obbedienza alle Costituzioni e alle disposizioni date.
Ma poi ci può essere lo spirito di obbedienza che è molto di più: la disposizione ad accettare tutto quel che vuole il Signore: sia che è freddo, sia che faccia il caldo, e sia che abbiam salute e sia che non l'abbiamo, e sia che abbiamo un ufficio o ne abbiamo un altro.
Poi c'è l'abbandono in Dio che è più perfetto dell'obbedienza.
Quindi ci son tre gradi: obbedienza, spirito di obbedienza e, terzo, l'abbandono in Dio: fa di me quel che vuoi, oggi e domani come ieri, come nel tempo che mi darai; vivere vita breve, vita lunga, in un posto, in un altro; lodato o umiliato, solo, sempre... Ecco, quello è la perfezione dell'obbedienza, cioè l'abbandono in Dio, quello che egli vuole e dispone di noi.
E allora, questo far sempre la volontà di Dio, questo abbandono in Dio. Perché non arriviamo lì? La mamma indovina i bisogni del bambinetto che fa sentire il suo bisogno come può farlo sentire, col pianto. Ecco la mamma indovina il bisogno e cerca di soddisfare al bisogno del bambino. Il bambino è del tutto lasciato alle cure della mamma, abbandonato alla cura della mamma, è una mamma buona.
Quando arriviamo a questo abbandono in Dio, nelle mani del Padre celeste, oh, allora, che cosa abbiamo? Abbiamo che il Padre celeste ci guida momento per momento, ci sostiene. Noi sempre: fiat voluntas tua sicut in coelo et in terra1. Questo è l'abbandono. Sia fatta la volontà di Dio, non in qualunque modo. E uno fa delle cose, alle volte, in qualsiasi modo, le cose che son fatte alla carlona, si direbbe. Ma fatte nel modo che vuole Dio: come in cielo, come la fanno gli angioli in cielo: sicut in coelo et in terra.
Allora la volontà ultima di Dio qual è? Veni, sponsa Christi2. E quest'anima che si è abbandonata in Dio anche allora fa l'ultima obbedienza; è abbandonata nelle mani del Padre, nelle mani di Gesù. Vieni, entra, in gaudium Domini tui3. L'ultima obbedienza. Ma questo esige che arriviamo all'abbandono in Dio, sì. Quando specialmente il Signore, per misericordia, permette che uno passi all'eternità con una malattia che precede di qualche poco, di qualche tempo, qualche giorno, la morte, se c'è ancora l'abbandono, il Padre celeste, ecco: "Mi son sempre abbandonato in lui, lui mi ha sempre dato ciò che era buono, quel che voleva da me perché mi santificassi e ora, ecco, vuole che io entri... ed andrò". Laetantes ibimus4. Intra in gaudium Domini tui. Questo abbandono. Arrivare non soltanto all'obbedienza, ma all'abbandono.
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Ora: «mediante le buone opere che io debbo fare»1. Vivi la vita religiosa? Preso l'impegno: «Tutto mi offro, dono e consacro»2? E: «Conformare la vita alle presenti Costituzioni»3? Questo è nella Professione.
Pensare punto per punto: «Tutto mi dono, mi offro, consacro», emettendo i voti, per far meglio.
Povertà: c'è il distacco sufficiente? Castità: c'è la delicatezza? E obbedienza: c'è l'obbedienza fino all'abbandono in Dio? Fino lì? E allora: «Conformare la vita alle presenti Costituzioni», è l'obbedienza stampata, cioè ci sono gli articoli. E poi vengono le disposizioni guardando, nei superiori, Dio, non tanti commenti: questa è simpatica, quella è antipatica, quella superiora; questa è molto esigente, quella, invece, lascia un eccesso di libertà; quest'oggi dispone così, e domani un'altra cosa. Questo abbandono in Dio assicura l'entrata in cielo. Perché non c'è più niente di nostra volontà. Noi abbiam da scancellare la volontà nostra, o meglio, per dire più propriamente, teologicamente: la nostra volontà deve entrare nella sua, di due se ne fa una: "Non ho altro che il volere del Padre. Non voglio altro che ciò che vuole Gesù. Non ho nessuna preferenza umana". Ecco, nessuna sofferenza ci deve fermare. Oh! - diciamo qualche volta-È duro camminare con certe sorelle, fare certi uffici". Ma questo è per un maggior bene, non è per tormentarti che faccia il Signore, che permetta il Signore, ma perché ti vuol più vicina in paradiso, ci vuole più vicino in paradiso. Oh, [di] quel che facciamo non va perduto niente, anche un bicchiere d'acqua data al povero in nome di Dio avrà il suo merito4; ma anche un sospiro, un desiderio: che quelle anime si convertano; che il Vangelo arrivi fino ai termini della terra; che le anime si salvino; che io mi prenda tutte le intenzioni con cui Gesù si immola sugli altari, tutte queste intenzioni che ha Gesù. Vivo dei desideri, delle intenzioni di Gesù.
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E la sofferenza? La sofferenza, quando è accettata bene, ecco... E sappiamo sopportare senza che tutti lo sappiano - come si esprimono i santi - allora si completa nell'intimo, il merito è conseguito del tutto e quindi è promesso il premio corrispondente. La sofferenza. "E non siamo compresi". Ma ci comprende Dio, quel che abbiamo fino al fondo dell'anima. Ci comprende; comprende tutti i pensieri che abbiamo. E beati noi se santifichiamo la mente, e non in fantasticherie. Comprende [Dio] tutti gli intimi desideri, comprende tutte le aspirazioni; capisce quando c'è superbia nel cuore o quando c'è umiltà; quando c'è lo spirito di obbedienza o quando c'è un po' il capriccio e qualche preferenza. Il Signore vede tutta la disposizione interiore che hai quando ti confessi, quando vai alla comunione, quando senti Messa, quando fai questo lavoro, quando fai quell'altro e quando ti riposi e quando, invece, sei in attività o sei in un posto o nell'altro. Ma il Signore vede tutto, l'intimo, l'intimo. Persone che si confessano solo nell'esteriorità. Persone le quali danno l'importanza a quel che è interiore, la santificazione, e cioè: santificazione della mente, della volontà e del cuore.
Quando si dice "particolare santificazione", quest'anno, col nome di "particolare" si voleva intendere: santificazione interna, non solo una esteriorità di vita regolare; santificazione interna, della mente: conoscere sempre più Dio; e del cuore: per amare sempre più Dio; e della volontà: per fare sempre meglio la volontà di Dio. Questa santificazione interiore, la vera santità; non un colore bello dato al muro, fosse anche solo un buon dipinto; ma se il muro è marcio e sta per disfarsi e cascare? Non è il colore esteriore, come non è l'abito della religiosa che la santifichi; eh, l'abito indica la mortificazione del cuore, la separazione dallo spirito del mondo; cioè [avere] lo spirito di Gesù, solo. Mettere un muro di divisione tra lo spirito del mondo, come Gesù: «Io non sono di questo mondo»1. E diceva Gesù degli Apostoli: et hi de mundo non sunt2. Ma ci son cuori che sono mezzo nel mondo, hanno da tutelare il loro amor proprio. E anime che veramente hanno lo spirito di Dio, non lo spirito del mondo.
Ora bisognerebbe parlare un poco a lungo. Come si acquistano queste grazie di cui abbiam bisogno per la santificazione? Mediante la preghiera. Ecco il mezzo. Ora, siccome richiede, questo argomento, dilungarsi un po' di più, tramandiamolo.
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Intanto i due oggetti della speranza sono: Dio, sommo bene, eterna felicità, e le grazie per arrivare a quella felicità. Ma come? «Mediante le buone opere che io debbo e voglio fare». Perché, siamo venuti nel mondo senza meriti, ma dobbiamo partire dal mondo e presentarci a Dio coi meriti . E quali meriti? Non il bene che vogliamo noi, che scegliamo noi, ma quello che vuole Dio. Dio paga secondo i meriti. Se voi, per esempio (un esempio molto materiale), se voi chiamate un operaio, mettiamo un vetraio che deve mettervi i vetri alle finestre, e gli date ordine, e lui eseguisce bene, eh, si deve pagare. Se invece andasse a mettere i vetri nella casa di un altro, non lo pagate.
Se facciamo quel che il Padre celeste vuole, comanda, esprime la sua volontà, paga in proporzione del lavoro che era prezioso e che era ben fatto. E se invece lo facciamo per noi, per farci vedere, ad esempio, mostrarsi buoni in pubblico e invece il cuore non è tutto con Dio, ma Dio pagherà questo? Non è fatto per lui. Egli paga quello che è fatto per lui, cioè secondo il suo volere. Temiamo molto il nostro volere, aver molta paura della nostra o testardaggine o presunzione. Oh, abbiam paura del nostro "io"; vogliamo noi, preferiamo noi; abbiam paura della nostra volontà. Dio solo, quel che piace al Signore.
Perché c'è una santità unica, eh? Ma sicura: la piena conformità al volere di Dio.
Come si mostra questa piena conformità al volere di Dio?
Facendo quello che Dio vuole, cioè, col fare costantemente e perfettamente il volere di Dio, ecco. Costantemente, non un giorno sì e un giorno no. E perfettamente, non le cose comunque, ma in modo sempre più santo e perfetto.
C'è una sola santità ed è quella: la piena, continuata conformità al volere di Dio, compiuta santamente, diligentemente, per amor di Dio.
Oh, quanti meriti, allora! Che bel premio vi aspetta. Laetantes ibimus1. Partiremo in gioia perché il Padre celeste ci aspetta a casa sua. Là è la patria, qui è l'esilio. «E mostraci, o Maria, dopo questo es[ilio]...».
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1 Nastro 58/a (= cassetta 127/b). - Per la datazione, cf PM: «...dopo la considerazione sulla fede (cf PM in c99), viene di conseguenza la speranza». - dAS, 15/5/1963: «Dopo la meditazione in comune va [il PM] ad Ariccia per gli Esercizi Spirituali alle PD». - dAC e VV (cf c85).

2 Tt 2,13.

3 Cf Sal 121,1.

4 Eb 13,14.

5 Cf Mt 19,29.

1 Dt 30,19.

2 Sal 141,8.

1 Cf Mt 22,1-14.

2 Cf Lc 22,30.

3 Gv 14,6.

1 Frase comune a S. ALFONSO MARIA DÈ LIGUORI (1696-1787), Dottore della Chiesa. Cf Del gran mezzo della preghiera, p. 1, c.1.

1 Mt 6,10.

2 Liber UsuaLis, commune Virginum, ant. ad Magnificat, 1 Vesperis.

3 Mt 25,21.23.

4 Cf Sal 121,1.

1 Cf Atto di speranza.

2 Formula della Professione religiosa delle PD, Costituzioni (1960), art. 99.

3 Costituzioni delle PD (1960), art. 507.

4 Cf Mt 10,42.

1 Cf Gv 17,14.

2 Cf Gv 17,14.

1 Sal 121,1.