Beato Giacomo Alberione

Opera Omnia

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XI
IL PARADISO1


Il Signore ha benedetto questi santi giorni con la sua grazia, aumentando la luce in ogni anima e ispirando propositi santi. Ringraziarlo il Signore! Sempre dobbiamo ringraziare: Vere dignum et justum est, aequum et salutare nos tibi semper [et ubique] gratias agere2, vuol dire: È cosa giusta e doverosa, degna che noi sempre e dovunque ringraziamo. Perché sempre e dovunque? Perché sempre e dovunque riceviamo grazie. E allora a ogni grazia del Signore noi dobbiamo dire: grazie! Per ogni grazia, il nostro grazie, il nostro: Deo gratias.
Vi sono però giorni in cui le grazie di Dio sono più abbondanti e sono, diciamo, più preziose, nel senso che sono più spirituali, sono le più intime, come quelle di questi giorni. Perciò, se sempre dobbiamo ringraziare, ora ringraziare con maggior sentimento di riconoscenza, con maggior volontà di corrispondere a queste grazie.
E così è cominciato un anno di spiritualità. Se vi è l’anno civile che comincia con il primo gennaio e termina con il trentuno dicembre, vi è pure un anno che si chiama scolastico e l’anno commerciale, e questi non cominciano con il primo gennaio. Così vi è un anno di spiritualità che comincia con un corso di Esercizi e termina con il successivo corso di Esercizi. E può essere che lo terminiamo l’anno e può essere che non lo terminiamo. In ogni modo, beati noi se il giorno in cui il Signore viene a chiamarci, ci trova al lavoro spirituale in primo luogo, poi al lavoro di apostolato, se si può fare l’apostolato. E tuttavia si può sempre fare qualche cosa, e beati noi, se siamo
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trovati in azione quando viene la morte: «Beati servi illi quos cum venerit Dominus, invenerit vigilantes»3. Allora il premio.
Oh, comincia l’anno di spiritualità che vuol dire: sviluppare il programma di vita spirituale, praticare i propositi e così progredire nell’unione con Dio che è la perfezione. Ed eliminare ciò che impedisce, come eliminare un difetto che può essere l’orgoglio, oppure conquistare una virtù, per esempio, conquistare l’umiltà, conquistare la carità, lo spirito di fede, e particolarmente la bontà con tutte, vedendo sempre le cose dall’alto con l’occhio di Dio. L’anno di spiritualità! E per farci coraggio, guardar sempre alla ricompensa del cielo, paradiso, il paradiso. La vita religiosa si è abbracciata per conquistare dei beni maggiori, conquistare i beni eterni, cioè farsi più meriti; amare di più Iddio, servirlo meglio, conoscerlo meglio e poi andare più sicuramente in cielo e in un posto più elevato, con la visione beatifica più profonda, con il possesso di Dio più completo, cioè più abbondante, e con il gaudio eterno tanto più profondo quanto maggiori saranno stati i meriti, quanto avremo amato di più il Signore ed eliminato più difetti.
Paradiso, ecco! Sempre guardare lassù, perché quando si fa un viaggio, per esempio da lontano si vuol venire a Roma, partendo, si parte per arrivare a Roma. E quando si è per strada, si pensa che cosa si farà a Roma, all’ora in cui si arriverà… E se il treno ferma a una stazione o a un’altra ecc., e possiamo passare anche a stazioni di città belle che farebbe piacere rivederle e dove forse ci sono delle persone care, allora si discende. Perché? Non è la mia stazione: Io voglio andare a Roma; anche se incontriamo trenta-quaranta stazioni: Voglio andare a Roma. Così, non dobbiamo guardare a destra o a sinistra e fermarci, no. Continuare il viaggio fino al paradiso, sempre mirando lassù. E ogni stazione che si passa, ci si avvicina; e ogni anno che passa ci avviciniamo. Quante stazioni mancano? La stazione è un corso di Esercizi. Adesso avanti. Verrà la stazione successiva, si confida, non si è certi. Ma in ogni modo, noi sappiamo che quando il Signore ci chiamerà, ecco, lì è la stazione defini-
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tiva per noi. E la stazione sulla terra porterà diversi nomi, ma per l’anima porta un solo nome: paradiso, paradiso.
L’ultimo articolo del Credo: Credo la vita eterna, sia il più impresso nell’anima. Paradiso sempre! E un angoletto di paradiso pagherà tutti i sacrifici, tutti gli sforzi, tutte le abnegazioni, i rinnegamenti di volontà che noi facciamo; pagherà bene tutte le preghiere, e tutte le sofferenze, e tutte le obbedienze e tutti gli atti conformi alla povertà, conformi alla castità, conformi all’umiltà. Oh, un angoletto di paradiso, com’è prezioso!
Vi sono persone che viaggiando per mare, ad esempio, soffrono il così detto mal di mare, e stanno male. Tra sè pensano: Quando arriverò a un metro di terra ferma..., ecco, lì tutti i rimedi. Gli altri non sono rimedi: possono attutire un po’ il male, ma non sono rimedi stabili. Sì, un angoletto di paradiso, là dove ci fermeremo per non camminare più. Il posto definitivo sarà sempre un posto in cui si andrà di gaudio in gaudio. Ecco, l’anima si inabisserà in Dio che è amore, che è verità, che è santità, che è misericordia, che è giustizia!
Quale gaudio allora anche solo nel conoscere i misteri di grazia che si sono operati in noi e che noi non conosciamo, non li vediamo neppure: l’attività dello Spirito Santo in noi. Che cosa ha fatto Gesù che stava nel tabernacolo, quando noi ci rivolgevamo a lui, quando venivamo a fare le adorazioni, quando egli ci parlava e noi lo ascoltavamo? Il mistero di grazia. Le grazie che ci ha concesso e ottenuto la SS. Vergine Maria. Vedremo tutti i segni di bontà e di amore con cui il Signore ci ha prevenuti e accompagnati. Sarà una meraviglia, sarà una meraviglia!
Adesso passiamo così superficialmente sulle cose, ma allora quale Te Deum si canterà in cielo! Come si ripeterà volentieri con la Madonna il Magnificat: «L’anima mia loda Iddio perché mi ha fatto cose grandi, colui che è potente»4. Paradiso sempre! La religiosa, quindi, com’è entrata con la speranza del paradiso e per assicurarsi meglio il paradiso, e per assicurarselo più bello, così ha sempre il pensiero del paradiso che la sosterrà nella vita religiosa in maniera che potrà andare avanti e progredire. Sì, andare avanti e progredire.
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Bisogna notare quello che dice S. Alfonso: Vi sono due grazie, la grazia della vocazione, una, poi seconda la grazia della perseveranza nella vocazione5. Quando si è avuta la prima grazia della vocazione, poteva anche succedere, come succede ad alcune anime, di non accettare la grazia. Ma chi ha fatto i voti l’ha accettata. E ringraziamo il Signore sempre. Però la perseveranza nella vocazione è una seconda grazia. La prima è stata una grazia che ci è venuta così da Dio, senza che la si pensasse, senza che la si chiedesse, perché dipende dalla creazione, dal Battesimo, dai sacramenti. La grazia della perseveranza, però, bisogna chiederla e si ottiene se si prega sempre per averla. Se ogni giorno facciamo bene le pratiche di pietà, otteniamo la perseveranza per quel giorno. E domani, facendo di nuovo bene le pratiche di pietà, otteniamo la perseveranza per domani. Così avanti. Si merita pregando: nessuno è sicuro della sua salute eterna, nessuno. E se sono stati dodici i chiamati, gli apostoli, uno ha tradito la sua vocazione peccando: ecco, Giuda. Il Signore ha messo al suo posto Mattia. Il Signore quando uno non segue e non corrisponde alla sua vocazione, ne chiama un altro, perché il numero dev’essere completo. E in paradiso il numero dei beati dev’essere completato. Se noi non siamo buoni, il male è per noi. Dio raggiungerà ugualmente la sua gloria, otterrà ugualmente il suo fine. L’interesse è nostro, sì.
Vi sono due modi di non corrispondere alla vocazione. L’uno è quello di lasciare l’Istituto per un motivo futile, però qualche rara volta può esserci un motivo vero, giusto. Qualche rara volta, ma proprio rara volta. Se invece si è fatto bene il noviziato, se si è avuto il tempo della professione temporanea per provare la vita religiosa, si arriva quindi alla professione perpetua.
L’altro modo è quello di stare nell’Istituto e di non fare la buona religiosa. Si sta materialmente, ma con il cuore non si sta, e cioè: o si conserva la nostra volontà e non si osserva quindi l’obbedienza, o si abbandona il fervore, il lavoro reli-
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gioso che è quello di santificarsi, perfezionarsi ogni giorno. Allora questo modo di non corrispondere alla vocazione è più comune ed è il più dannoso, è più dannoso. È vero che uno uscendo compromette molto la sua salvezza e si avventura in catastrofi morali di cui non sappiamo le conseguenze. Tuttavia colui che sta dentro non solo non corrisponde alla sua vocazione, ma danneggia gli altri con il suo esempio, con la sua tiepidezza.
Quali sono le cause per cui si può perdere la vocazione? O lasciando l’Istituto o vivendo nell’Istituto senza corrispondere alla vocazione, che è vocazione alla perfezione: «Si vis perfectus esse»6, al lavoro spirituale in sostanza: «Si vis perfectus esse». Le cause sono specialmente tre: primo è l’orgoglio; secondo lo spirito di indipendenza; e terzo il sensualismo. Sono le tre cause che generalmente si trovano.
Primo è l’orgoglio: si crede di non essere stimati abbastanza, si crede di non avere avuto quell’ufficio, di non essere stati abbastanza considerati. Poi si vedono disposizioni che non ci sembrano utili e giuste; che non si siano comprese le nostre attitudini, i sacrifici già fatti, e dopo i riguardi che si dovevano usare e che non sono stati usati, ecc. È vero che succedono queste cose negli Istituti religiosi, certamente. Ma se uno non ha finito di distruggere se stesso, andrà lui alla catastrofe. E cioè, puoi avere ragione come uomo, come persona umana, la religiosa ha fatto il voto di obbedienza e il voto di povertà e il voto di castità. Quindi in ogni occasione applica il suo voto: Ho fatto il voto di obbedienza. Avesse ricevuto anche un torto, o che non fossero stati apprezzati i meriti, le qualità e altre cose, noi dobbiamo metterci a terra, sempre. E quante volte si deve fare: più dai superiori che dalle suddite, ma dalle superiore molte volte e per tante ragioni che le suddite non hanno. Ora vedete, se siamo religiose, [dobbiamo] lavare i piedi, come Gesù. E li ha lavati agli apostoli che stavano per abbandonarlo, e si crede che ci fosse ancora Giuda presente, quindi si è inginocchiato anche davanti a Giuda. E allora occorre che noi diciamo: Io sono venuta per essere perfetta, e per essere per-
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fetta bisogna che mi umilii a terra. E allora la ragione: «Chi si umilia, sarà esaltato»7.
Al giudizio di Dio i meriti saranno tutti riconosciuti. Possono sbagliare i superiori, ma non può mai sbagliarsi il Signore. Avviene però purtroppo che alle volte inconsideratamente qualcheduno dica: E ma al giudizio di Dio si vedrà... E alle volte si dice inconsideratamente, perché davanti al giudizio di Dio tutti abbiamo piuttosto ragione di temere che non di appellarci e sperare una giustificazione: Chi non ha peccato, alzi la mano o «Chi non ha peccato, scagli la prima pietra»8. Sempre ricordare i nostri peccati, le nostre indegnità, specialmente l’incorrispondenza alla grazia. Allora, stare umili. Signore, datemi occasione di scontare i miei peccati quaggiù, purché io, appena spirato, possa amarvi e lanciarmi nelle vostre braccia paterne. Ecco, che non tardi di più ad amarvi e a contemplarvi, ma che subito sia ammesso al gaudio beatifico in cielo.
Chi non è disposto a ricevere tanti torti negli Istituti, non ci entri, perché è disposto così. Gesù ha ricevuto dei torti: viene condannato a morte, lui innocentissimo, santissimo, Dio fatto uomo e condannato dalle sue creature, da peccatori. E lui andava a morire per loro, ecco, e lui andava a morire per loro!
Seconda ragione, è lo spirito di indipendenza. Si vuole fare come si vuole l’apostolato e se non ci approvano, ecco l’amor proprio spunta e grida. Si vuole fare così, in quel modo, in quel posto, ecc., e se non si è accontentati, l’amor proprio grida. Lo spirito di indipendenza! Si crede di saperne di più, e che valga il sapere e non valga niente l’obbedienza. Oh, lo spirito di indipendenza si manifesta in tante maniere: amministrazione indipendente, modo indipendente di formare le aspiranti, apostolato indipendente. Poi l’ufficio magari scelto, e forse anche l’ufficio di superiora subalterna fatto in quella determinata maniera. Poi vedere sempre nelle altre i difetti, non solamente personali, ma anche difetti che si notano nell’attività, nell’apostolato. L’indipendenza nasce dall’orgoglio. E allora: «Se non vi farete piccoli come questo bambino, non entrerete nel regno dei cieli»9.
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Terzo, bisogna notare che il sensualismo è una delle cause per cui si perde la vocazione: la sensualità che si va risvegliando dopo una certa età, e che forse non si era sentita così nel fervore della giovinezza, nel fervore del noviziato e della professione temporanea. Dopo si risveglia. Si risveglia il sensualismo sotto tanti pretesti. Come dice il libro: Da principio ha la testa di colomba e in fine ha la coda di serpente. Cioè, sotto l’aspetto spirituale, tante volte: quel confessore, quella persona lì, quelle corrispondenze, e quel voler vedere facilmente pubblicazioni o pellicole non abbastanza regolate... E poi? Si comincia da quello che non è male forse: testa di colomba e coda di serpente.
D’altra parte è naturale che sorga a un certo punto, diciamo così, la tendenza alla maternità, questo è secondo la natura. Ma è proprio quello che abbiamo offerto con il voto. Abbiamo offerto con il voto quella tendenza per un maggior amore, l’amore di Dio. Se diminuisce il fervore, allora viene qualche altra cosa nel cuore a sostituire, se non c’è l’amor di Dio, e quindi la causa di perdita della vocazione o non corrispondenza alla vocazione, pur restando nell’Istituto: tiepidezza, è la tiepidezza abituale. Perché vi può essere la tiepidezza di una settimana, ma una si ripiglia con fervore, e prega un po’ di più per sentire più calore spirituale. E poi, fare sempre l’offerta a Dio di noi stessi. Quando si sente l’amore a Gesù, gli altri amori scompaiono, sono superati e coperti, e quando si sentono, si offrono a Dio.
Aumentare il numero dei vergini in paradiso, che bella missione per coloro che si occupano di vocazioni o pregano per le vocazioni! Contribuire ad aumentare la schiera dei vergini che in paradiso seguono l’Agnello dovunque va. E ambire, desiderare ardentemente di unirsi a questa schiera.
Benedica dunque il Signore tutti i vostri propositi. Tenere sempre in mente il paradiso. Si è entrati per il paradiso, si continua nella stessa strada. Come si è partiti dalla stazione per andare, supponiamo, a Roma, si continua sulla medesima strada finché ci si arriva. Paradiso!
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1 Predica tenuta ad Albano il 16 novembre 1957 a conclusione del corso di Esercizi spirituali. Trascrizione da nastro A6/an 39a = ac 66a. Non stupisca l’intervallo di tempo tra la meditazione precedente e la presente. Dal Diario Sp. risulta che Don Alberione nei giorni 13-15 novembre 1957 si reca ad Alba.

2 Dal Prefazio della Celebrazione eucaristica.

3 Cf Lc 12,37: «Beati quei servi che il padrone al suo ritorno troverà ancora svegli».

4 Cf Lc 1,46.49.

5 Cf S. Alfonso M. de’ Liguori, Conforto a novizi per la perseveranza nella loro vocazione in La fedeltà de’ vassalli verso Dio, Giacinto Marietti, Torino 1827, p. 252.

6 Mt 19,21: «Se vuoi essere perfetto».

7 Cf Mt 23,12.

8 Cf Gv 8,7.

9 Cf Mt 18,3.