Beato Giacomo Alberione

Opera Omnia

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V
LA POVERTÀ1


La parte positiva riguardante la povertà è il cercare le vere ricchezze, cioè cercare Dio che è il sommo bene, cercare i meriti, cercare il paradiso. Le altre cose usarle o privarsene secondo che servono per il cielo se ci sono di aiuto, o privarsene se sono di impedimento.
Quest’oggi siamo alla vigilia di S. Martino vescovo. L’antifona alle Lodi dice: Martinus, pauper et modicus, dives coelum ingreditur: Martino povero e contento del poco entra ricco nel cielo. Quindi, per adesso, la vera povertà è la maggiore ricchezza, cioè è il cercare Dio, e per le altre cose la santa indifferenza. Quel che impedisce, quel che impedisce i meriti toglierlo, e quello che invece li assicura prenderlo con gran cuore.
Parlando del distacco vediamo alcune fra le mancanze contrarie alla povertà. Solo in ordine alle mancanze, non tutte. È più facile trasgredire il voto di povertà riguardo ai beni della comunità. Ecco le principali trasgressioni, supposto sempre che si agisca senza permesso, perché se vi è il permesso, si capisce, c’è il permesso e quindi non c’è trasgressione, non c’è mancanza.
1) Appropriarsi di qualche cosa per conservarla o usarla, come vesti, libri, immagini, medaglie, oggetti di cancelleria della comunità. Farli propri. Invece sono in uso.
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2) Fare elemosine, a meno che la regola o le tradizioni lo permettano; fare regali alle sorelle, ai parenti, agli amici, a persone estranee.
3) Vendere o cambiare libri, immagini, lavori di cucito, di pittura, prodotti di vario genere, agricoli o manufatti. Così pure la religiosa che avendo ricevuto in comunità il permesso generale di vendere, alzasse o abbassasse arbitrariamente i prezzi, e non fosse anche in questo subordinata ai superiori e non seguisse la linea da essi tracciata. Il che può accadere facilmente negli oratori dove si vendono oggetti sanitari, o nelle comunità religiose dove si vive del proprio lavoro, del lavoro cioè dei componenti.
4) Acquistare durante passeggiate o viaggi: valige, borse da toilettes, piccoli oggetti, o permettersi spese straordinarie come ascensioni, funicolare, traversate in piroscafo, pellegrinaggi al di fuori dell’itinerario prescritto. S’intende sempre che queste cose non siano permesse, perché per esempio le traversate in piroscafo, quando sono passeggiate è una cosa, se è necessario per il proprio apostolato o il proprio ufficio diviene, per risparmiare tempo ad esempio, un mezzo di povertà, anziché un’offesa alla povertà.
5) Usare biancherie, stoffe, medicine, libri; mangiare e bere fuori tavola, prendere frutta, per esempio nei giardini, ecc.
6) Rendere, sfruttare, perdere, per propria colpa, o negligenza colpevole un oggetto in nostro uso. Almeno se consapevolmente lo abbiamo usato come nostro, ma guastare o rovinare oggetti di altri o della comunità, è senza dubbio peccato contro la giustizia. Perché altro è il peccato contro la povertà, altro è il peccato contro la giustizia. Mentre non è peccato contro il voto di povertà se è stato fatto in un eccesso di collera, perché allora non c’è stata appropriazione indebita, come proprietaria. Si pecca ugualmente contro la giustizia lasciando perdere o deteriorare, per propria colpa, oggetti affidati alla nostra custodia. E si peccherebbe anche contro il voto di povertà se ci fosse stata appropriazione indebita. Così una cuoca, o una dispensiera che facesse andare a male le provviste, o una
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cantiniera che lasciasse inacidire il vino, un’economa che per sua negligenza si mettesse nella necessità di acquistare roba di cattiva qualità o di pagare molto più caro ciò che ha trascurato di comprare a tempo opportuno. Una compratrice che colpevolmente si lasciasse imbrogliare sul prezzo. Una guardarobiera che per negligenza lasciasse rovinare gli abiti dalle tarme, o andare a male il bucato. Costoro potrebbero peccare gravemente contro la giustizia e anche, se il caso lo comporta, contro il voto di povertà. Lo stesso si può dire per la maggior parte degli uffici.
7) Inoltre, prestare qualunque cosa a consorelle o ad estranei, e ciò sarebbe più grave: anticipare il denaro ad estranei, tanto più imprestare denaro senza alcun permesso.
8) Tenere oggetti più del tempo stabilito. Toglierli alla vista dei superiori, nasconderli, o chiuderli a chiave per averne l’uso libero ed esclusivo. Il documento raccomanda ai superiori di visitare spesso il giaciglio delle religiose.
Poi spiega alcune cose che non toccano in generale oggi i nostri Istituti, gli Istituti religiosi in generale, ma una cosa che potrebbe anche succedere è tenere una bibliotechina occulta, o una succursale della dispensa in camera.
9) Cambiando casa portarsi appresso oltre il corredo personale, e quel poco permesso dalle Regole o dalle tradizioni, o dalle Costituzioni: biancherie, libri, arnesi, proventi diversi.
10) Rifiutare di prestare o di restituire a una sorella, che ne ha il permesso, un oggetto in nostro uso.
11) Disporre delle cose a noi affidate per ufficio, contro le prescrizioni della Regola o le direttive delle superiore.
Non cadono invece sotto il voto di povertà i taccuini personali, gli appunti delle prediche, i manoscritti che non sono destinati alle stampe, perché queste sono tutte cose personali, reliquie, purché i reliquiari non siano di valore, e perdite di tempo.
Bisogna notare che se si viola insieme il voto di povertà e la giustizia verso la propria comunità, allora vi è l’obbligo morale della restituzione. Bisogna dunque che la religiosa compensi il torto ingiusto arrecato all’Istituto, o con beni personali, o con
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lavori straordinari, che sia in grado di fare o che ne ottenga il condono dalle superiore.
Adesso, il documento nota oggetti che non riguardano la comunità, ma cose che sono di terzi, cioè di persone estranee, delle quali è interdetto qualunque atto indipendente di proprietà, in particolare: Accettare regali, dolci, medicine da persone estranee o, se avvalendosene di permessi presunti, si è creduto bene ricevere tali cose, conservarle e usarle senza permesso esplicito, perché in questi casi si può domandare il permesso.
Così si manca: chiedere in prestito a parenti e amici qualunque cosa in natura o in denaro senza il permesso. Oppure rifiutare il prezzo del proprio lavoro, come l’onorario delle prediche o di altri lavori, perché ciò che il religioso acquista con il suo lavoro o per motivo di religione lo acquista per la religione. Quindi non può rifiutare il prezzo che ne viene e che è necessario esigere. Supponiamo, per fare un esempio, che si faccia del ricamo. Ricevere denaro per opere pie in genere e impiegarlo come si vuole cambiando l’intenzione e cioè, qui vuol dire quando si riceve [denaro] per una cosa non si può usare per un’altra, perché: Ma lo chiedo per i bambini e poi lo usa invece in altre opere, in altre cose. Questo è certamente grave, perché le intenzioni dei donatori sono da rispettarsi, tanto più se si tratta di cose disposte per testamento, perché non osservare la volontà dei testatori che sono defunti è più grave che non osservare la volontà dei donatori ancora vivi. Il vivo si può difendere, il defunto non si può difendere.
Rinunziare a rendite o pensioni che secondo il Diritto andrebbero a beneficio del monastero. E quindi prima di dire ai genitori che stanno facendo testamento: Provvedete alle sorelle, io non ho bisogno, vivo del monastero, del convento cioè, della casa. Questo sarebbe [nel caso] dove c’è prescritta la dote, ecc., una cosa molto diversa.
Ora conforme alla povertà: la religiosa si contenta di poco. Poi: Niente lascia andare a male. Tutto riceve con riconoscenza, crede sempre di ricevere più di quel che merita, è contenta dei servigi che le sono resi, non si lagna di niente, perché ama la povertà che la rende simile a Gesù Cristo. Lavora per guadagnarsi da vivere, non teme di fare le cose più umili e vili,
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ha in orrore tutto ciò che sa di lusso, e di vanità, di benessere e di comodità, cerca di aiutare tutte. Si prende cura delle cose che ha; evita lo spreco e la prodigalità; non fa spese inutili per alloggio, vesti, cibo, costruzioni, abbellimenti; è un’economa, ma senza avarizia.
Sono molti punti di esame. Quando poi si tratta di raggiungere la perfezione nella osservanza della povertà [occorre] il distacco da tutto. Allora il distacco da tutto comprende: la ricerca della povertà in cui si fanno dei sacrifici, perché molte volte si è poveri, perché si è fatto il voto di povertà, ma il cuore non è ancora a posto, desidera ciò che non può avere e quindi fa dei peccati di gola a denti asciutti, come il bambino che vede i dolci nella vetrina e fa atti di golosità, perché desidera di mangiarseli, ma c’è il vetro in mezzo.
S. Giovanni della Croce: La persona che è povera, l’anima che ama la povertà è più propensa non al più facile, ma al più difficile; non al più saporito, ma al più insipido; non al più dilettevole ma al più disgustoso; non al riposo, ma alla fatica; non a ciò che consola, ma a ciò che sconforta; non al più, ma al meno; non alle cose nobili e preziose, ma alle più umili e spregevoli; non a voler alcuna cosa, ma a non voler niente. L’anima non cerchi il meglio nelle cose temporali, ma il peggio e desideri per amor di Gesù Cristo di essere povera e vuota per tutto ciò che esiste in questo mondo. È necessario che ella abbracci di cuore questo esercizio di rinnegamento, addestrandosi in esso con ordine e discrezione. Così operando vi troverà gran profitto, soavità, e dolcezza di spirito2.
E ora leggiamo, almeno leggere, quello che riguarda la per-
fezione su questo punto della povertà.
Distacco da se stessi e dagli altri, distacco dai parenti: amore soprannaturale a loro, ridurre le relazioni non necessarie e anche s’intende le relazioni epistolari.
Come comportarsi con i superiori, le sorelle, le fanciulle, le malate: Distacco anche dal confessore o dal direttore;
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distacco da tutto ciò che abbiamo: cariche, uffici, autorità, residenza, vita stessa. Quando si è contenti, anzi si ha gioia per lo spogliamento totale, allora si è toccata la perfezione della povertà. Ma qui non si parla del distacco da ciò che è l’onore, la stima degli altri, perché questo punto toccherebbe invece la virtù dell’umiltà.
Vi sono vari punti riguardo alle ultime cose lette. Felice chi potrà dire al tramonto della vita: Gesù solo! Ora non posso più illudermi, il cuore di Gesù è l’unico cuore a cui posso veramente attaccarmi. Bisogna che non vi sia più un posto nel nostro cuore dove si possa attaccare un anello o agganciare una catena. Felice l’anima che può attuare il programma del distacco completo. L’amore di Cristo sia così forte che la divida da tutte le creature, da tutti i rispetti umani, da tutto quello che si apprezza nel mondo, dai suoi desideri e da tutta se stessa, così che in lei non ci sia cosa che le impedisca di vivere tutta con il Signore con il pensiero, con il desiderio, con l’affetto.
Per ottenere questo amore a Gesù, la suora ogni dì rinunzi davanti al Crocifisso a tutto quello che può essere amato da lei: onori, comodità, consolazioni, parenti, protestando di non voler altro onore che le sue ignominie, altre ricchezze che la sua carità, altre comodità che quelle della croce, altro oggetto che lui solo, Sposo diletto e caro. Il povero che è nudo sarà rivestito, e l’anima che si spoglia degli appetiti, del suo volere e non volere, sarà dal Signore vestita della divina purezza, delizia e volontà. Perciò: «Beati i poveri, perché di essi è il regno dei cieli»3.
Quando si fanno queste enumerazioni avviene che vi sono anime che si agitano e sono le più delicate, quelle che forse non hanno mai mancato: si agitano, quasi come un ventaglio, creandosi o pretendendo di cercare colpe che non hanno. Invece chi non ama la povertà trova che tutto è esagerato. Quel distacco di cui si è parlato in ultimo, non lo comprende. E guai a privarla di una cosa! Per agitarla, a volte, basta toglierle un’immagine, cambiarla d’ufficio, metterle un’altra persona assieme, farle in cucina un cibo che non sia gustoso, che non sia gradito,
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ecc. Allora, per un niente, si rinuncia alla pace di Dio e addio alla virtù e ai meriti.
Se vogliamo dunque amare la povertà entriamo spesso nel presepio con il pensiero. Che cosa c’era là? Non c’erano tappeti, ma c’era il letame. Il card. Schuster4 diceva: Sembra che su certe persone se non si mette un po’ di letame, non finiscono mai con l’essere di Dio. E cioè bisogna che sia abbassata la testa, l’orgoglio. Occorre che non si vada in cerca di lodi. Gesù è nella greppia. Ci siamo stati e volentieri nello spirito di Gesù nella paglia, e cominciando ad abitare una casa che non era sua5 ...una casa mezza rotta.
Bisogna che anche le costruzioni, tutto sia fatto decorosamente, in modo salubre conveniente, ma nello stesso tempo si deve evitare ogni cosa che indichi lusso. Dare alle persone ciò che è necessario per la salute, è dovere, ma se quello che si dà accontenta il gusto, allora è violazione della povertà. Talvolta una ricchezza troppo smoderata, o nelle cose che riguardano lo spirito, o nelle cose che riguardano l’abitazione, o nelle cose che riguardano il vitto, è una ricchezza smoderata e indica che non siamo attaccati a Dio. Bisogna che ci attacchiamo a Dio, sommo bene! A volte l’ambizione e lo spirito contrario alla povertà si estende, entra anche negli abiti religiosi. Le pretese, le attenzioni, persone che sono divote di se stesse, solo di se stesse. E allora scherzando diceva un medico: Quella persona adora un dio solo, se stessa tanto la vedeva ambiziosa, ricercata, perfino voleva i profumi. La monaca di Monza, la cui vita triste è narrata dal Manzoni6, guardava sempre di avere una ciocca di capelli che spuntasse fuori dal velo in maniera da essere notata. Allora si attenderebbe ad abbellire l’anima? Si attenderebbe a curare il corpo. Amiamo Gesù, amiamo Dio, sommo bene, amiamo i meriti e allora: beata povertà che ci acquisterà la somma gloria, il paradiso.
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1 Predica tenuta ad Albano il 10 novembre 1957 durante il corso di Esercizi spirituali. Trascrizione da nastro A6/an 37b = ac 63a. Stampata in RA, 12 (1957) pp. 1-4. La meditazione è quasi tutta costituita dalla lettura di un documento (cf meditazione IV del 10 novembre 1957, nota 1), con qualche breve commento. Dall’ascolto della registrazione è stato evidenziato il testo letto con le virgolette (“ ”) Ha un tono esclusivamente disciplinare, riferito alla vita religiosa in genere. In vari punti il Fondatore stesso, tenta di adattarlo alla vita paolina. Pensiero stentato nei commenti.

2 Cf S. Giovanni della Croce, Salita al monte Carmelo, I, 13, 11. Giovanni della Croce (1542-1591), carmelitano spagnolo, Dottore della Chiesa. Collaborò con S. Teresa d’Avila per la riforma del ramo maschile dell’Ordine Carmelitano.

3 Cf Mt 5,3.

4 Beato Alfredo Ildefonso Schuster (1880-1954), monaco benedettino, cardinale arcivescovo di Milano dal 1929 alla morte.

5 Parola incomprensibile.

6 Manzoni Alessandro, I promessi sposi, capitoli IX-X. Alessandro Manzoni (1785-1873) scrittore, poeta e drammaturgo italiano.