IV
CHIUSURA DEL CAPITOLO1
La funzione di questa mattina, come ringraziamento, ha due sensi: primo per gli Esercizi compiuti, nei quali abbiamo atteso alla riforma di noi stesse. Sempre si deve partire da lì quando vogliamo fare del bene agli altri: occorre che prima facciamo del bene a noi. Se desideriamo che gli altri si correggano, allora correggiamo noi. E se vogliamo che gli altri siano docili, cerchiamo di essere docili noi. E se vogliamo che le persone, le suore siano osservanti, precediamole con l’esempio.
Secondo senso del Te Deum, della funzione di ringraziamento, è quello di esprimere la riconoscenza al Signore per il Capitolo, il quale da una parte ha confermato lo spirito della Congregazione, dall’altra ha dato alla medesima un governo capace di farla camminare nel suo spirito. Inoltre sono stati dati molti suggerimenti buoni, affinché ogni giorno ci sia un tantino di progresso. Mai cose rumorose, ma sempre, tutti i giorni, un tantino meglio.
In questi giorni, a meditare sulla vita di S. Paolo2 siamo arrivati al capitolo dove si parla del suo zelo. E si fa il paragone tra il suo zelo prima della conversione sulla via di Damasco, e del suo zelo dopo la conversione, dopo Damasco, anzi, dopo che S. Paolo, con vocazione speciale, era stato chiamato all’apostolato fra i gentili. Lo zelo di S. Paolo prima della conversione era uno zelo farisaico, uno zelo di partito, uno zelo
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di amor proprio, sebbene egli procedesse in buona fede. Il suo operare era tutto per la legge mosaica, era incontrollato: non era frenato il suo modo di agire, perché egli non aveva, come neppure moltissimi farisei, esaminato se Gesù fosse veramente il Figlio di Dio, il Messia atteso. Ma sapendo che Gesù era contro i farisei, bastava questo per accenderlo di odio e indurlo a perseguitare i cristiani a Gerusalemme. E l’episodio dell’uccisione di Stefano, alla quale egli assistette, è significativo. Poi zelo per distruggere il cristianesimo: «Vastabat Ecclesiam: Paolo rovinava la Chiesa» ed entrava nelle case3 quando sapeva che erano seguaci di Gesù Cristo, sia uomini che donne, li imprigionava per condannarli.
E non bastando il suo lavoro di persecuzione a Gerusalemme, ecco che chiede poteri, autorizzazione anche per andare lontano. Si diceva che a Damasco c’erano dei cristiani e allora bisognava andare là, e scovarli, incatenarli e condurli in carcere a Gerusalemme. E dice egli stesso: «Abundantius aemulator existens paternarum mearum traditionum»4. Per partito preso. Così vi sono sempre nella Chiesa di Dio quelli che hanno uno zelo amaro. E questo, un poco, qualche volta avviene anche nelle comunità. Alcuni vorrebbero fare tutto in un giorno, vorrebbero tutto rimodernare nella pietà, nello studio, nell’apostolato e nella formazione alla vita umanareligiosa e nell’organizzazione stessa della comunità. Tutto riformare. Quello che c’è stato è tutto condannabile. Occorre, secondo loro, fare tutto nuovo e si adoperano e si agitano e non si controllano. Dicono a destra e a sinistra, criticando e disapprovando, e alla fine, invece di costruire, distruggono il bene che c’è. Questa applicazione noi sacerdoti l’abbiamo fatta ieri, lunedì e martedì.
Questa mattina invece abbiamo considerato lo zelo di S. Paolo dopo Damasco, anzi, dopo che egli era stato chiamato all’apostolato tra i gentili. Allora S. Paolo aveva uno zelo ricco di due qualità: prima per Dio e per le anime, e poi secondo
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Dio, cioè nel modo in cui Dio zela la nostra salvezza. Quando si mira unicamente alla gloria di Dio e al bene delle anime, lo zelo è pacato, è prudente.
S. Giacomo dice che vi è una sapienza che si mette avanti ed è diabolica, mentre dall’altra parte vi è una sapienza che è modesta, umile, pudica; una sapienza che procede da Dio5. Ecco, colui che ha vero zelo guarda qual è il bene migliore: ciò che piace più al Signore e ciò che è di maggior vantaggio alle anime. Ama Iddio e ne vuole la gloria: «Soli Deo honor et gloria»6, diceva S. Paolo. Solo a Dio l’onore e la gloria. Colui che ha vero zelo, non cerca il proprio io, non cerca di far bella figura, di mettersi innanzi, per dimostrare che porta il suo nuovo contributo, contributo tutto di valore, no: guarda a quello che è di maggior gloria di Dio.
Inoltre, chi ha vero zelo, guarda a ciò che è di maggior vantaggio per le anime, cioè, parlando di un Istituto religioso, per la comunità. S. Paolo amava, ecco, amava come un padre e come una madre. Ecco come si esprime: «Figlioli miei, che io di nuovo partorisco per il Signore»7, «Per Evangelium ego vos genui»8.
Amare le anime, realmente. Amare i membri della Congregazione. Bisogna amare, non cercare il nostro comodo, né cercare soltanto di far valere la nostra opinione, ma essere rispettosi, mirando ciò che già c’è di buono, approvandolo e incoraggiandolo. E quel tanto di buono che già c’è, contribuire, quanto lo permettono le nostre forze, ad aumentarlo.
Quindi saggezza, vera sapienza secondo Dio. E questo lo ricordo non solamente perché è chiaro ed è fondato sull’insegnamento dello Spirito Santo nella Lettera di S. Giacomo, ma perché al Capitolo della Pia Società S. Paolo9, il P. Larraona ha raccomandato questo, e Mons. Bergamaschi10 che predicava gli Esercizi lo ha ripetuto. Zelo prudente! Lo zelo
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prudente scopre il bene che c’è, lo approva, cerca di imitarlo e poi, per quanto può, per quanto lo permettono le sue forze, la sua posizione, i suoi talenti, cerca di aggiungere ogni giorno un miglioramento. Non precipitando, perché, vedete, occorre sempre andare cauti. Le case si fanno adagino. E le case per esser ben costruite devono essere edificate in maniera razionale e prudente, aggiungendo mattone a mattone; e bisogna sempre guardare che ogni mattone sia ben messo e sia buono in sé.
Ecco, preferisco molto di più le querce che crescono adagio e si formano con un legno robustissimo e durano, ai pioppi che, messi in terreno umido, crescono presto e spandono i loro rami, ma il loro legname vale poco, ben poco. Le cose vanno fatte così, lentamente, ma non pigramente, questo sarebbe ignavia e non contribuirebbe al progresso. Devono essere fatte prudentemente ogni giorno: riescono meglio, si consolidano bene e durano. Allora: avere zelo, ma zelo secondo Dio.
Poi bisogna anche considerare il modo in cui si spiega lo zelo. Dio ha zelo per la nostra salute, non è vero? Ma come ha fatto il Signore? «Sic Deus dilexit mundum ut Filium suum unigenitum daret: Il Padre celeste amò così il mondo da sacrificare per noi il suo Figlio Unigenito»11. E Gesù? «Dilexit nos et tradidit semetipsum pro nobis: Ci amò e andò a sacrificarsi per noi»12. Ecco, non trionfare sugli altri, non mostrare le nostre abilità, ma sacrificarsi per le anime, sacrificarsi per le persone che sono con noi.
Allora quale è la conclusione che dobbiamo ricavare noi da queste meditazioni?
La prima conclusione è di aver fiducia nell’azione dello Spirito Santo: Deus, cuius Spiritu totum Corpus Ecclesiae sanctificatur13 ...: nell’azione dello Spirito Santo che santifichi tutte le persone, le singole, perché siano tutte membra vive ed operanti, che non ci sia mai il peccato nell’Istituto, mai in nessuna casa, in nessun angolo della casa, in nessuna coscienza.
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Allora lo Spirito è con voi: «Si quis diligit me ad eum veniemus, et mansionem apud eum faciemus»14.
Però, oltre a non commettere il peccato, bisogna che tutto l’Istituto sia illuminato da Dio e tutto l’insieme, cioè le disposizioni che vengono date, l’ordinamento nella formazione, l’ordinamento negli studi, l’ordinamento nell’apostolato, ecc., tutto insieme proceda nella luce di Dio. Bisogna dire che il Signore ispira tante cose per la santificazione di ognuna, però negli Istituti dove c’è un governo, ispira il governo per le cose che sono da disporsi.
Nei giorni del Capitolo il governo è nel Capitolo. Terminata l’elezione il governo ritorna nella sua sede ordinaria, cioè nella Superiora generale e nel consiglio che assiste la Superiora generale. Avere fede che il Signore illumini. Le grazie passano attraverso i superiori e se preghiamo passeranno più abbondanti: essi saranno più illuminati, procureranno sempre il bene migliore per l’Istituto. Vivere più di fede, non tanti ragionamenti, non tante parole. Ecco, sarebbe un errore questo e un errore grave, se noi avendo la fede per quel che riguarda la nostra santificazione, non avessimo la fede per quel che riguarda il governo della Congregazione. La nostra fede si deve estendere anche a questo. Allora l’Istituto vivrà di fede, perché quando si fonda su Dio si fonda su un fondamento che è incrollabile, sicurissimo. Si passerà attraverso varie peripezie, ma se ne ricaverà un vantaggio, perché anche le croci e le pene, le delusioni, ecc., sono nell’ordine della Provvidenza e hanno lo scopo di santificarci meglio. Non solamente gli uomini sono provati, gli uomini singoli, le persone singole, ma sono provati anche gli Istituti. E allora non meravigliamoci, né scoraggiamoci, ma avanti ogni giorno un tantino meglio. E sempre secondo ci conduce Iddio.
Ora avete dato tutti i vostri consigli: lasciate ai superiori, alle superiore, l’incarico di applicarli gradatamente e secondo la quantità di persone che si avranno e secondo anche le circostanze esterne che s’incontreranno nel cammino.
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Per questo vi è subito anche una prudenza da usare, ed è di fare poche parole sul Capitolo. In generale meno si parla e meglio si fa e più in pace si lascia l’Istituto. Potete dire: noi abbiamo compiuto il nostro dovere. Abbiamo esposto i nostri umili modi di vedere. Adesso viviamo nella silenziosità e attendiamo che a poco a poco quelle cose che saranno ritenute buone vengano realizzate. E che quello che non è possibile realizzarsi, ma che è buono, si attenda e quello che non è conveniente sia messo da parte.
Anche negli studi occorre dire che le cose da sapere sono innumerevoli, ma ognuno sa abbastanza quando sa fare il suo dovere. Non sa mai abbastanza quando non sa fare il suo ufficio. E quindi, applicandosi a noi, ognuno sa abbastanza quando sa fare bene la vita paolina e l’apostolato paolino.
Vi sono dei bagagli inutili che non conviene portare. Non sempre chi sa di più fa di più. E tuttavia il raggiungere quel grado d’istruzione che è conveniente e necessario per l’apostolato ed è conveniente e necessario per fare il bene di oggi, agli uomini che vivono oggi, bisogna che lo raggiungiamo.
Ora ognuna rientra nella condizione di Paolina semplice, com’era prima e attenderà alle sue cose personali per la santificazione e circa l’apostolato per quel che riguarda il proprio ufficio. Riferire il meno possibile. Non si possono neppure determinare esattamente i limiti del segreto di ciò che si riferisce al Capitolo. Sono i limiti fissati anche da promesse solenni, si capisce, ma non si possono determinare bene. Ciò che importa è che non risulti la disparità di pareri espressi. Ognuna può dire che ha espresso il proprio parere. Dopo non c’è che il parere della decisione. E la decisione verrà quando si comunicheranno stampati i risultati, le decisioni che furono prese e anche quei commenti giusti e quelle applicazioni possibili che verranno dati.
Riguardo poi a quello che si desidera che avvenga, sempre si fa bene a ricordare ed insistere nella maniera prudente, ma avendo anche la fiducia che le cose sono bene esaminate e ogni giorno si potrà fare qualche cosa, determinare qualche particolare. Inoltre occorre pensare che il Signore fa poi passare per altre vie, che sono vie sue particolari, molte grazie. Queste non le fa passare tutte per il Capitolo, certamente.
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Non possiamo dire che qualcuno abbia il monopolio delle grazie, o che le grazie abbiano solamente una via. Quella fa bene la Comunione, e può essere che quell’altra che non ha fatto la Comunione riceva più grazia. Il Signore si è obbligato a dare la grazia quando il sacramento è valido ed è ben conferito, ma il Signore non si è ristretto, né si è obbligato a far passare tutto attraverso i sacramenti. Vedete che via ha scelto per far passare le grazie a S. Paolo: l’ha buttato giù da cavallo! E in questa maniera la grazia è stata per lui decisiva. Aver fiducia che il Signore farà passare le sue grazie per le sue vie ordinarie che sono i superiori e anche per altre vie che alle volte non si pensano da noi.
Andate dunque a casa con un gran merito, perché avete compiuto un grande dovere e avrete per questo un grande premio.
Cosa c’è poi da concludere? Che tutte insieme si collabori e con la Superiora generale e con il consiglio per attuare ciò che ora si è proposto. E forse certe cose si attueranno meglio di quanto si possa ora pensare. Certamente ce ne saranno di quelle che si attueranno meglio di quanto fu suggerito. E tuttavia il Signore fa sempre vedere che vuole la nostra opera. Poi quando abbiamo messo la nostra volontà e abbiamo messo la nostra forza a suo servizio, opera lui, in maniera mirabile.
Perciò ringraziamo il Signore di tutto e invochiamo la luce di Dio sopra tutta la Congregazione.
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1 Predica tenuta a Roma l’8 maggio 1957 a conclusione del primo Capitolo generale. Stampata in sedicesimo, formato piccolo (cm 8,5x14), pp. 6-16. Precedono alcune deliberazioni capitolari. Anche di questa meditazione non è stata reperita la registrazione.
2 Per l’anno dedicato a S. Paolo Apostolo (25 gennaio 1957-25 gennaio 1958) Don Alberione aveva preparato uno schema-guida composto da trentun temi di approfondimento riguardo la vita, la dottrina, il culto e la devozione a S. Paolo. Cf CISP, pp. 603-605; RA, 2 (1957) 1-2.
3 Cf At 8,3.
4 Cf Gal 1,14: «Superando nel giudaismo la maggior parte dei miei coetanei…accanito com’ero nel sostenere la tradizione dei padri».
5 Cf Gc 3,15.17.
6 Cf 1Tm 1,17.7 Cf Gal 4,19.8 Cf 1Cor 4,15: «Io vi ho generato… mediante il Vangelo».9 Cf med. 12, nota 2.10 Mons. Bergamaschi Antonio (1894-1966), vescovo di S. Marino-Montefeltro.
11 Cf Gv 3,16.
12 Cf Ef 5,2.13 Solenne preghiera litanica del Venerdì Santo per la Chiesa: “Dio... che tutto il corpo della Chiesa con il tuo Spirito santifichi...”.
14 Cf Gv 14,23: «Se uno mi ama… noi verremo a lui e prenderemo dimora presso di lui».