24. I MISTERI DEL ROSARIO E I VOTI1
I. [I misteri gaudiosi e il voto di povertà]
L’anno in corso è dedicato a S. Paolo e a S. Paolo abbiamo da chiedere tante grazie. La principale mi sembra questa: chiedere per l’intercessione di S. Paolo l’osservanza dei voti, cioè della povertà, della castità e dell’obbedienza.
D’altra parte siamo nel corso del mese di ottobre il quale, secondo le intenzioni del Papa, è consacrato alla devozione al rosario. Allora la meditazione sarà così: nei misteri dolorosi noi chiederemo l’osservanza del voto di castità; nei misteri gaudiosi chiederemo l’osservanza del voto di povertà; e nei misteri gloriosi chiederemo specialmente l’osservanza del voto di obbedienza.
In questa meditazione fermiamoci in primo luogo sopra il voto di povertà. Il senso del voto di povertà lo conoscete dalle Costituzioni. D’altra parte il voto di povertà è come il punto di partenza, non che sia il voto principale, ma è il punto di partenza per salire nella perfezione religiosa. E se non si incomincia, se non si parte non si può arrivare. Nostro Signore ha voluto incominciare la sua vita nella povertà; d’altra parte nostro Signore ha annunziato come prima beatitudine la povertà.
Che cosa è la povertà. La povertà, è soltanto un distacco dalle cose della terra? Certamente è un distacco dalle cose della terra, ma non soltanto. La povertà suppone una cosa positiva e cioè essere attaccati a Dio. Invece delle cose della terra, dei beni della terra, cercare Dio il sommo bene, Dio sommo Bene e nostra eterna felicità. Invece dei beni, delle comodità della vita presente, cercare ciò che è eterno. In punto di morte si lascia tutto, tutto quello che è della terra, ma in punto di morte chi ha cercato Dio, lo raggiunge. Quindi chi è che ama la
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povertà nel senso pieno? Colui che si attacca a Dio, cerca Dio, e cercando Dio, le cose della terra le usa in quanto servono e sono utili per raggiungere Iddio, come mezzi. Ecco: «Guai a voi, o ricchi, dice Gesù, che avete già la vostra consolazione quaggiù. Guai a voi»2. E d’altra parte: «Beati voi, o poveri di spirito, perché possederete il regno dei cieli»3. Gli infelici mondani si contentano dei beni passeggeri e di goderli giorno per giorno, poi perderli totalmente alla fine. Invece la suora, la persona religiosa cerca quel bene che non si può perdere mai, cerca i meriti: «Quaerite primum regnum Dei et justitiam eius, et haec omnia adjicientur vobis»4, cercare prima il regno di Dio, la santità. Ecco, il regno di Dio è la santità, cercare i meriti, cercare la perfezione, cercare in ogni cosa di aumentare i meriti, anche se si devono chiedere i permessi per avere qualche cosa che ci è necessario.
Colui che fa il voto di povertà a che cosa si obbliga? A rinunziare all’amministrazione di quello che ha; si obbliga a dare all’Istituto tutto quello che proviene a lui dalla sua attività, dal suo apostolato, dalle offerte, eccetto qualche volta, rarissima, che si tratti veramente di un bene temporale proprio, riservato alla persona, ma anche in questo caso occorre il permesso per adoperare quello che è stato dato, fosse pur una macchina da scrivere, una penna stilografica, ecc.
In generale si fa il voto di povertà e che cosa si lascia? Il voto di povertà in generale per voi non è una rinunzia a delle grandi ricchezze che abbiate in famiglia; è piuttosto una rinunzia ad amministrare liberamente ciò che verrà in seguito, e rinunziare anche alla proprietà di quello che viene dato o che è fatto nostro. Quindi rinuncia a qualunque amministrazione anche delle cose nostre, e d’altra parte cercare per l’Istituto tutto quello che viene riguardo agli averi, tutto quello che viene e che è stimabile con un prezzo.
Si parte di lì per salire all’amore di Dio. E d’altra parte l’amore di Dio, il volere il sommo bene che è Dio, cioè il pa-
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radiso, è proprio la sapienza della vergine prudente. Vi era un uomo il quale aveva scoperto in un campo un gran tesoro. Allora silenziosamente andò a casa, vendette tutto quello che aveva, e mise insieme la somma per comperare il campo. Acquistò il campo. E acquistando il campo fece suo il tesoro. La vergine prudente ha trovato il tesoro che è il paradiso, e allora dà tutto quello che ha, tutto quello che ha pur di conquistare il paradiso. È una saggezza, è una grande sapienza lasciare quel che passa per acquistare quel che è eterno, lasciare quel che è temporale godimento, per conquistare quello che è merito per l’eternità. «Cercate prima il regno di Dio».
D’altra parte, quando si fa il voto di povertà, se si fa con sapienza, perché si capisce il suo valore, ecco che la persona è liberata dalle preoccupazioni della terra. Anche la preoccupazione del vestire, dell’alloggio, del nutrimento, viene lasciata alla comunità che provvederà per mezzo di chi è incaricato. E quindi, liberata da queste cose, dalle preoccupazioni di queste cose, se ne vola, si eleva verso Dio come un’aquila che tende all’alto.
Nel primo mistero gaudioso si contempla l’annunciazione dell’arcangelo Gabriele a Maria. Egli è mandato dal Padre celeste, ed è mandato in una cittadina, in un borgo povero che non era stimato: «Quid boni a Nazaret?»5. Ed è mandato in una casetta povera, e ad una vergine povera, Maria. Vedete le preferenze divine! Se il Figliuolo di Dio deve incarnarsi, cerca la vergine più santa, quella che ha più meriti, che era immacolata, quella che era già salita di virtù in virtù, quella che era ricca spiritualmente. Il Signore non ha mandato l’arcangelo a Roma nel palazzo dei Cesari, non l’ha mandato neppure nei palazzi di Gerusalemme o almeno in una casa lussuosa, ma a una vergine in una povera casetta, una casetta spoglia di tutto, in una casetta che era abitata da una vergine santissima. E Maria comprende lo spirito di Dio.
Quando è comparsa a Lourdes, Maria si mostrò non a una ricca giovane, ma a Bernardetta, giovanetta ignorante, malaticcia e di famiglia poverissima che in quel momento andava a
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cercare legna, a farsi un fascio di legna, perché in casa faceva freddo e c’era bisogno di calore. Quando la Madonna comparve a Fatima si rivolse a tre pastorelli, giovanetti poveri, che erano a pascolare il gregge, che sapevano però dire il rosario, come Bernardetta, fanciulla innocente. Chi vuole grazie sa quali sono le preferenze di Dio e di Maria. Spirito di povertà! Maria cerca le persone povere di spirito per dare le sue grazie. Iddio cerca quelli che sono poveri in spirito per dare le sue grazie e comunicare i suoi tesori celesti.
I piccoli attaccamenti quante volte sono come fili che tengono legato l’uccello per cui l’uccello non può spiccare il volo. Anche dopo i voti si può ancora conservare qualche piccolo attaccamento. Forse è vero che sarà piccolo, cosa da niente, ma basta che il cuore sia legato: allora come spiccherà il volo verso l’alto?
Il secondo mistero gaudioso ci fa considerare Maria che dopo l’annunciazione parte per andare alla casa di Elisabetta. Fa tanti chilometri di strada a piedi, attraversa le montagne, fa la sua strada sveltamente e va a trovare Elisabetta e Zaccaria. Ma va là per farsi riconoscere la madre di Dio? No. Va, perché sa che Elisabetta in quel tempo aveva bisogno di servizi, e va a servirla. L’aveva detto all’angelo: «Ecco la serva di Dio»6, ecco la serva che va a servire Elisabetta. Si ferma là tre mesi, quanto Elisabetta ha bisogno, e i suoi servizi sono fatti umilmente in quella casa. La condizione del povero: servire, servire. Quante volte abbiamo voglia di prendere certi atteggiamenti, e del resto ci sono alle volte certi tratti che non mostrano certo che noi amiamo lo spirito di povertà e il distacco che occorre avere dalle cose.
Ma vogliamo rassomigliare a Maria? Vogliamo rassomigliare a Gesù? E allora consideriamo il terzo mistero: dove nasce Gesù? In una grotta, non in città; in una stalla che vuol dire: posto per gli animali. Il Figlio di Dio, ecco dove nasce. Ed è messo in una greppia, sopra un po’ di paglia. E l’angelo chi chiama a venirlo ad adorare insieme a Maria e a Giuseppe? Chiama dei pastori poveri, semplici, rudi i quali fanno le prime
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offerte, e Gesù comincia a vivere, diciamo così, di carità, perché quelle offerte andavano a Maria ed a Giuseppe, però erano indirizzate a Gesù.
Le tentazioni delle cose un po’ distinte, e qualche cosa che si vuol conservare un po’ distinto, anche nel baule. Oh, sì, ho visto quindici giorni fa, curioso il modo con cui mi è capitato. Un po’ troppa ricercatezza nei cibi, troppe premure di comodità, attaccamento al posto dove si è. Il libro7 che leggiamo per meditazione noi sacerdoti in questo tempo dice di non essere attaccati né al posto, né all’ufficio: essere indifferenti. Porta l’esempio di quel padre che ritornava dalle missioni già anziano, già consumato nelle forze. E il superiore, appena è tornato, gli domanda: E adesso, se tu dovessi partire per l’India, quanto tempo ti occorrerebbe per accettare l’ufficio?. L’altro risponde: Tre ore. Ma poi si voltò subito indietro: No, no, neppure un minuto. Parto subito e parto lietamente8. Il distacco dagli uffici, dal posto e anche dalla vita: quello è poi l’ultimo grado della povertà. Morire quando vuole Iddio e in quelle circostanze in cui vuole il Signore. Io sono sempre stato edificato, una volta che si trattava di partire con l’aereo e il tempo era brutto e sembrava pericoloso, la suora con cui viaggiavo mi disse: E se dovessimo anche morire così, e se fosse la volontà di Dio?. Fare la volontà di Dio, perché si andava per dovere.
Quarto mistero: Gesù viene portato al tempio per essere offerto come tutti i primogeniti degli ebrei, dopo il fatto che era avvenuto in Egitto. Allora quale riscatto faranno Maria e Giuseppe rispetto al bambino? Il Vangelo nota che i poveri offrivano due tortore o due colombini. Quella fu l’offerta di Maria e di Giuseppe per il riscatto di Gesù: l’offerta dei poveri. I ricchi dovevano offrire di più, del denaro. Noi, qualche volta, invece di farci una gloria che abbiamo niente e siamo distaccati da tutto, quasi quasi ci vergogniamo di essere poveri. Maria e Giuseppe comparirono là, in pubblico, portando il Bambino e non avevano vergogna di mostrarsi poveri davanti al sacerdote e alle persone che attorniavano il sacerdote.
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Nel quinto mistero è ricordato ciò che Gesù ha fatto a Gerusalemme a dodici anni, fermandosi nel tempio all’insaputa di Maria e di Giuseppe. Si intrattenne con i dottori, interrogandoli e rispondendo mostrò la sua sapienza e mostrò anche la missione che un giorno avrebbe adempiuto in ossequio al Padre celeste. Mostrò una grande sapienza che fu ammirata: «stupivano»9. Il Vangelo nota subito che dopo questo Gesù rientrò nella sua obbedienza ordinaria: si accompagnò con Maria e Giuseppe e tornò a Nazaret, e là «erat subditus illis»10. E dai dodici ai trent’anni che cosa fece? Il falegname. Quindi il Vangelo mette subito vicino le due cose e cioè il saggio di sapienza che Gesù aveva mostrato e l’umiltà e lo spirito di povertà nel compiere per diciotto anni circa il lavoro di falegname. «Nonne hic est fabri filius?»11, «Nonne hic est faber?»12. Era il falegname del paese. Chi aveva bisogno di lavori, andava là come ora si va dal falegname per lavori di quel genere. Immaginiamo Gesù dai dodici ai trent’anni in un duro lavoro, con le mani incallite, che guadagna per sé e per la sacra Famiglia e che quel che avanza poi lo passa ai poveri.
Leone XIII13 dice: Gli angeli del cielo venivano a quella casetta povera e si affacciavano dalla porta, dalla finestra per vedere il Figlio di Dio, il padrone di tutto, che lavorava per guadagnarsi il pane. Ecco: «Mangerete il pane con il sudore della fronte»14, e il Figlio di Dio incarnato si è uguagliato a tutti gli uomini. Perché? Perché il lavoro, il distacco dalle cose della terra, è il punto di partenza per la santificazione. Se non c’è quello, l’anima sarà sempre a terra: fa degli sforzi, cercherà in qualche momento di fervore di elevarsi, ma poi ricade. Come l’uccello che legato con un filo cerca per un momento di alzarsi, ma quando il bambino vuole lo fa ricadere. Non fanno mai progresso, perché non si innamorano di Dio né si attaccano a Dio. Si attaccano a tante
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cosette che sono come i fili di una rete che li tiene impediti, impedisce loro di volare.
Ecco, occorre pensare bene se in noi vi sia questo spirito di povertà giusto, lo spirito di povertà religiosa. La perfezione della povertà arriva fino al punto che vi ho detto, fino a questo: distaccarsi dalla vita. Ci si distacca dalla vita un po’ per volta: avviene in certi casi e per molte persone, perché incominciano ad affievolirsi i sensi e gli organi interni perdono la loro forza. Allora distaccarsi dalla vita, come distaccarsi dall’ufficio, dal posto, come distaccarsi dagli amici e dalle occupazioni, e arrivare alla perfetta indifferenza. Una cosa sola voglio: Deus meus et omnia15. La giaculatoria che il Papa Pio XI non cessava di ripetere: Il mio Dio è tutto. Dio mi basta. E ci deve bastare, perché è Iddio l’infinito! Ci deve bastare. Ciò che abbiamo sulla terra è tutto in uso e quando si muore lo prendono in uso gli altri, altri abiteranno la casa, altri abiteranno la camera, altri prenderanno l’ufficio. Non perdiamo i meriti con gli attaccamenti! Ci sono persone che a volte sembra che ragionino tanto bene, ma quando arrivano lì, sembra che perdano non solo lo spirito di fede, ma anche la rettitudine della ragione. Domandare a Gesù e a Maria il loro spirito di povertà.
Poi Gesù, quando comincerà la vita pubblica vivrà di elemosina. E quando morirà, sarà sepolto in un sepolcro a lui imprestato, come era nato in una grotta che non era sua. Oh, il perfetto distacco! Dice un santo che la felicità di un religioso è di non avere nulla, e l’infelicità di un religioso è di aver qualche cosa che a volte diventa ciò che ama, e insensibilmente viene a perdere quella gioia, quella tranquillità, l’abbandono in Dio. Perché quando gli Istituti cominciano ad aver qualche cosa, perdono la grande virtù della fiducia nella Provvidenza? Onorare sempre il grande attributo di Dio: la Provvidenza. Fidarsi di lui, di Dio, perché quando il Signore predicava a questo riguardo diceva: «Vedete come gli uccelli non seminano, non hanno granai dove raccogliere i prodotti; ma intanto il Padre celeste pensa a mantenerli. E i gigli del campo sono vestiti di colori così vaghi che neppure Salomone ne trovò degli uguali
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pur nella sua sapienza... E il corpo non vale più del vestito?»16. L’ambizione per il corpo alle volte ferma tante persone che non si accorgono, non si accorgono. Quale cura avere del corpo? Avere cura ragionevole in quanto esso serve l’anima e l’anima, con l’aiuto del corpo, può fare tanti meriti, perché poi quando si distacca dal corpo17 […]. \Quando ameremo Dio sopra ogni cosa? Mettiamo dunque nei misteri gaudiosi l’intenzione di voler progredire nella virtù della povertà/18
II. [I misteri dolorosi e il voto di castità e di obbedienza]
Nei misteri dolorosi chiediamo l’osservanza del voto di castità e la perfezione della virtù della castità; nei misteri gloriosi chiediamo l’osservanza del voto di obbedienza e la perfezione nell’obbedienza.
I misteri dolorosi, in generale, sono quelli che ci rappresentano come Gesù abbia soddisfatto per i peccati, particolarmente per i peccati contro la castità. D’altra parte per mezzo dei misteri dolorosi il Signore ha acquistato a noi la grazia di osservare il voto e praticare la virtù della castità.
Sappiamo ancora che la Vergine santissima ha partecipato alla passione del Figlio come corredentrice. E in quella partecipazione ha acquistato come un diritto, un potere presso il Signore per ottenere ai suoi devoti questa virtù, la castità.
Si manca contro la castità con il cuore, con la mente, con la volontà, con i sensi esterni e con i sensi interni. E Gesù ha soddisfatto per tutte le mancanze che possono essere state commesse in queste cinque maniere. E ancora Gesù ha ottenuto a noi la grazia, perché possiamo conservare la castità del cuore, la castità della mente, la castità della volontà, e poi la castità dei sensi esterni e la castità dei sensi interni.
Consacrarsi a Dio significa mettere in pratica l’invito di Gesù: «Veni, sequere me»19. Il «veni» vuole dire: Esci da una
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famiglia e non ci pensare più umanamente; se ci pensi, pensaci soprannaturalmente, perché la vita religiosa esige il celibato. La vita religiosa esige che si adoperino tutti quei mezzi che servono a custodire il giglio, poiché la virtù della castità è chiamata la bella virtù, e il vizio d’impurità è chiamato il brutto vizio.
Noi sappiamo che le Costituzioni servono a mettere come una siepe attorno al giglio, perché il giglio non venga toccato. Toccato, esso soffre subito, perde la vivacità del suo candore e perde un po’ del profumo. Perciò tutti i mezzi che sono necessari - mai gli scrupoli! - ma la delicatezza sempre, sì, sempre la delicatezza. La virtù della castità rende l’anima cara a Dio e la persona casta, senza che se ne accorga, manifesta qualche cosa che non è solito e non si trova fra i mondani. S. Giuseppe Cafasso20 era come raggiante in volto!
La castità è essenziale alla vita religiosa, altrimenti non si può abbracciare la vera vita religiosa. Si potrà considerare che nel mondo vi sono istituti i quali non esigono in tutti i membri il celibato, ma quelli non sono considerati veramente come istituti religiosi, sono istituti di perfezione21.
Il peccato contro la bella virtù è così facile. Si sa che la materia quando si tratta di castità è sempre materia grave. Non è qui, come sarebbe per esempio del furto, che si può dare materia leggera e quindi venialità anche da parte della materia. È subito materia grave il pensiero, il sentimento veramente acconsentiti; così i discorsi, così i libri letti che non fossero buoni, così le pellicole che non fossero buone, e poi tutte le altre cose che inducono o mettono l’anima in pericolo serio.
Allora bisogna ricordare l’Atto di dolore: Signore, domandiamo perdono dei peccati e proponiamo di non commetterne e di fuggire le occasioni prossime del peccato. Si dice nel Padre
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nostro: E non ci indurre in tentazione; ma poi siamo noi che ci induciamo in tentazione. Cioè, in pratica generalmente sono le persone che si mettono nelle occasioni del male. Tuttavia il Signore permette prove, permette, ma quando lui permette le prove, le tentazioni, le accompagna con la sua grazia. Quando invece ci mettiamo noi nelle occasioni, non possiamo aver diritto all’assistenza di Dio, alla grazia di Dio.
Nel primo mistero doloroso contempliamo Gesù che agonizza nell’orto del Getsemani. Tre specie di pene opprimevano il suo cuore: primo, il pensiero della vicina passione, le umiliazioni, i dolori che avrebbe sopportato, la morte a cui andava incontro, l’abbandono dei discepoli e il trionfo momentaneo dei nemici. Poi, altra pena: egli si addossava tutti i peccati degli uomini. Che cumulo e che orrore per Gesù, Dio e Uomo, per il peccato! E in terzo luogo Gesù pensava alle anime che nonostante i suoi dolori, la sua passione si sarebbero ancora perdute: «Quae utilitas in sanguine meo?»22. Oppresso da questi pensieri e da questi sentimenti, Gesù si sentì come colmato di dolori e il suo cuore subiva tutto lo sconforto di quel momento, e quindi il sudore di sangue per l’oppressione dello spirito, per l’oppressione del cuore. Nonostante questo: «Padre, non sia fatta la mia volontà, ma la tua»23. Allora ha scontato tutti i sentimenti cattivi, tutti i peccati commessi nel cuore, con il cuore, anche i desideri, fossero pure le simpatie e le antipatie e tutto quello che inclina a disordini. Perché con il peccato di impurità la persona consacrata a Dio, oltre il peccato di impurità, contrae ancora il peccato contro la religione: due peccati.
Nel secondo mistero doloroso, Gesù legato alla colonna e i suoi carnefici che scaricano sulle sue spalle i più tremendi colpi di flagelli. Gesù resta ridotto come dice il profeta: «Dal vertice del capo ai piedi, non c’era in lui parte sana, tutto una piaga»24. Oh, bisognerebbe baciare caldamente il Cuore sacratissimo di Gesù!
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In quel punto, in quell’episodio Gesù scontava specialmente i peccati del tatto. Questo senso è il più diffuso del corpo ed è quello per cui più facilmente avvengono i peccati esterni contro la purezza. Inginocchiarci davanti a Gesù ridotto a una piaga e domandare la forza di resistere al male, di combattere il male, di mortificare il senso con la fatica, con il lavoro e con il disciplinare il corpo, sia quando si è in pubblico e sia quando si è in privato.
Il terzo mistero doloroso ci ricorda come Gesù ha scontato i peccati impuri di pensiero. La corona di spine posata sul suo capo, sulla quale i carnefici percuotevano con i bastoni, cioè con le canne, perché penetrasse più profondamente. Vi sono pensieri, e vi sono fantasie, e vi sono immaginazioni, e vi sono memorie... Oh, in primo luogo riflettere all’interno, perché il peccato parte sempre dalla mente.
Nel quarto mistero doloroso, Gesù è condannato a morte. Ed è condannato da un uomo, il quale era in autorità, sì, ma era un uomo peccatore come gli altri. Gesù accetta la morte per noi peccatori, per noi che l’abbiamo meritata. Dobbiamo allora pensare che Gesù ha preso sulle spalle la sua croce. Chi non si abitua alla mortificazione di se stesso finirà con il cadere, sia che soddisfi il gusto, sia che soddisfi gli occhi, la curiosità, la lingua e anche l’odorato. Gesù ha preso sulle spalle la croce e la portò fino al Calvario: «Chi vuol venire dietro di me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua»25, il che significa che una siepe deve stare attorno al giglio e la siepe con le spine indica appunto la mortificazione. «Sempre portate la mortificazione nel vostro corpo»26, dice S. Paolo.
Il quinto mistero doloroso ci ricorda la crocifissione di Gesù. Gesù arrivato al Calvario venne spogliato degli abiti e la sua tunica fu giocata e gli abiti furono divisi fra i carnefici, e ciò in pena di certe ambizioni e compiacenze umane troppo spinte. Gesù venne abbeverato di fiele e mirra: bisogna mortificare la gola, moderarsi sia prendendo qualche volta quello che non è gradito e mortificarsi un poco in ciò che è molto
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gradito. Gesù fatto stendere sulla croce, allungò le mani per adattarle alla croce. Le mani sono sempre tenute a posto? Da tutti? E adattò i piedi alla croce. Si è mai andati dove potevamo trovare un pericolo? I passi sono sempre stati tutti santi?
Gesù sulla croce domandò perdono al Padre per i suoi crocifissori, e morì fra gli insulti del popolo e fra i dolori del suo corpo. Ecco: la morte! Per la morte di Gesù in croce chiediamo la grazia di conservare intatto il giglio, perché nell’inferno o si va per questo peccato o si va anche con questo peccato. Baciare spesso il Crocifisso, poiché nel baciarlo noi ci eccitiamo all’amore, e quando un’anima è innamorata di Gesù sente meno la carne, le tentazioni. Ricordare ancora che nella Messa si rinnova la passione di Gesù Cristo, e fra l’elevazione, meglio la consacrazione e la comunione abbiamo Gesù sull’altare in stato di vittima. Allora le nostre preghiere a Gesù piagato, per i dolori della sua passione, voglia darci la grazia di evitare tutte le occasioni, e di vivere sempre castigando il nostro corpo. «Ne cum aliis predicaverim ipse reprobus efficiar»27, perché dopo aver fatto tanto apostolato, dopo avere insegnato agli altri a vivere bene, non si divenga reprobi. I misteri dolorosi servono per questo: il voto di castità e la virtù della castità.
I misteri gloriosi, invece, [servono] per domandare la virtù dell’obbedienza. Obbedienza di mente: uniformare il giudizio; obbedienza di cuore: uniformare i sentimenti prontamente; obbedienza di esecuzione.
Generalmente si osserva l’obbedienza. Però bisogna dire che molte volte è semi-obbedienza di mente, semi-obbedienza di cuore, semi-obbedienza di esecuzione, semi-obbedienza di forze, di attività. Si vorrebbe non commettere il peccato di disobbedienza, ma intanto far come si vuole, almeno in parte. Mettere insieme la virtù e il peccato non è possibile, perché la disobbedienza può essere peccato veniale, e lo sarà tante volte; ma la disobbedienza, mentre è una mancanza contro la virtù, è anche una mancanza contro la religione.
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I fondamenti dell’obbedienza sono tre, e cioè: c’è la legge naturale per una società, il potere domestico dei superiori, e poi il potere che chiamiamo dominativo. Tali poteri sono accettati quando si fa il voto di obbedienza. L’obbedienza non diminuisca man mano che passano gli anni.
Come possiamo domandare la virtù dell’obbedienza nei misteri gloriosi? Ecco, sta qui: Gesù e Maria si fecero obbedienti, per questo vennero esaltati. E l’esaltazione risulta: quella di Gesù nel primo e secondo mistero glorioso, e l’esaltazione di Maria nel quarto e quinto mistero glorioso. E nel terzo avviene l’esaltazione di Gesù e di Maria assieme.
Gesù si fece obbediente, obbediente, «erat subditus illis»28 nella vita privata; nella vita pubblica: «Quae placita sunt ei facio semper: Faccio sempre ciò che vuole il Padre celeste»29. E si fece obbediente anche quando i carnefici gli ordinarono di stendersi sulla croce. L’obbedienza è un’umiliazione, bisogna che pieghiamo il nostro giudizio, i nostri sentimenti e la nostra persona con gioia, anche se ripugna. Diversamente avviene quello che il Papa, nel discorso ai Gesuiti30 ha condannato solennemente. Si vuole che i superiori trattino con gli inferiori per ciò che piace e per quello che non piace, e trattando ceda un po’ il superiore e un po’ l’inferiore. Questo conformismo, dicono, è conforme ai tempi di oggi, i tempi di democrazia. Il santo Padre ha detto delle parole molto forti contro questa teoria che annulla la vita religiosa. Tanto più che l’obbedienza è la chiave di volta per cui senza l’obbedienza non si sostiene la vita religiosa. Figuratevi che qui mancassero i travi: ci viene tutto addosso. Così se manca l’obbedienza un istituto decade. È come un fascio di rami che viene slegato: la fune teneva insieme quel complesso di rami, ma se si toglie la fune, ogni ramo cade e il fascio non c’è più. Ci saranno i rami, cioè ci saranno le persone sparse, ma non c’è più la Congregazione che è unione ed è una società che ha del naturale e del soprannaturale.
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Allora è un’umiliazione, forse la più grande umiliazione che è richiesta nella vita religiosa: l’obbedienza. Noi per incoraggiarci dobbiamo sempre guardare Gesù: l’Uomo-Dio obbedisce a Giuseppe, obbedisce a Maria; obbedisce anche ai carnefici: «Humiliavit semetipsum factus oboediens usque ad mortem, mortem autem crucis»31. Ecco fin dove arriva l’obbedienza di Gesù!
E noi, quando qualche volta costa un poco, andiamo cercando ragioni per dispensarci? O magari critichiamo e condanniamo e diamo anche cattivo esempio, con la critica, con le osservazioni, e non badiamo che si smantellano i muri dell’edificio, si rovinano le fondazioni.
Oh, «…oboediens usque ad mortem, mortem autem crucis»! Notiamo quel che segue: «Propter quod Deus exaltavit illum et donavit illi nomen quod est supra omne nomen, ut in nomine Jesu omne genu flectatur coelestium, terrestrium et infernorum, et omnis lingua confiteatur quia Dominus noster Jesus Christus in gloria est Dei Patris»32. Dunque, si umiliò anche ai carnefici e il Padre lo risuscitò. Credevano i nemici di aver trionfato di lui, il Padre lo risuscitò. E se prima era stato ridotto a una piaga, adesso ecco che ogni sua piaga diviene uno splendore di gloria: egli è immortale, impassibile.
E il giorno dell’Ascensione si eleva verso il cielo alla presenza dei discepoli e di Maria, e sale alla gloria eterna. Sedet ad dexteram Patris33 , «in gloria est Dei Patris», siede alla destra del Padre. Ecco il gran premio dell’obbedienza: la glorificazione, perché noi tanto ci umiliamo, tanto saremo esaltati. E se uno ama se stesso, volendo essere un giorno molto glorioso, si umilii molto. Questa è la nostra via: dobbiamo umiliarci tanto, tanto in vita. Prendere le occasioni, e non ne mancano nella giornata. Siamo delicati, attenti a prenderle queste occa-
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sioni: «Qui se humiliat, exaltabitur»34, tutto è lì. Gesù si umiliò quanto poteva umiliarsi. Non poteva dichiarare che era un peccatore: si umiliò quanto poteva umiliarsi. Così noi: umiliamoci se vogliamo avere un grande grado di gloria in paradiso, perché dei due piatti della bilancia, ecco più un piatto discende e più l’altro si alza.
E Maria? Maria si dichiarò la serva di Dio: «Ecce ancilla Domini»35 e si comportò come serva di Dio. E andò ad accompagnare il Figliuolo suo al Calvario subendo la mortificazione e l’umiliazione di essere indicata a dito come la madre di un malfattore. Chissà quali commenti la turba maligna avrà fatto! Maria risorge dal sepolcro ed è assunta in cielo alla gloria per la sua umiliazione, l’umiltà per tutta la vita. In cielo viene incoronata regina, e regina del mondo, cioè del cielo e della terra. Glorificazione, dopo quella del Figlio la maggior gloria in cielo spetta a Maria, la Madre.
Quindi, i primi due misteri ci indicano la glorificazione di Gesù, il quarto e il quinto la glorificazione di Maria [...]36.
Terzo mistero, discende lo Spirito Santo sopra la Chiesa. Gesù in cielo ha potere su tutto: «Dedit illi nomen quod est supra omne nomen», [...]37. \Però la prima glorificazione in terra si ha con la santità. Un’anima più progredisce nell’umiltà, più ingigantisce davanti a Dio. Obbedendo non sbagliamo mai; con il rinnegarci abbiamo guadagni immensi.
Nel mese di ottobre chiediamo: nei misteri gaudiosi la povertà; nei misteri dolorosi la castità; nei misteri gloriosi l’obbedienza e così il mese di ottobre sarà veramente pieno di frutti e ricco di meriti/.
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1 Ritiro tenuto a Roma il 6 ottobre 1957. Trascrizioni da nastro A6/an 36a = ac 60a; A6/an 36b = ac 60b stampate in RA, 10 (1957) 1-4, con il titolo: “Mese del rosario” I-II. Si considerano come originali le trascrizioni.
2 Cf Lc 6,24.
3 Cf Mt 5,3.4 Cf Mt 6,33: «Cercate invece, anzitutto, il regno di Dio e la sua giustizia, e tutte queste cose vi saranno date in aggiunta».
5 Cf Gv 1,46: «Da Nazaret può venire qualcosa di buono?».
6 Cf Lc 1,38.
7 Cf med. 20, nota 9.
8 Colin L., Culto dei voti, op. cit., p. 196.
9 Cf Lc 2,47.
10 Cf Lc 2,51: «E stava loro sottomesso».11 Cf Mt 13,55: «Non è costui il figlio del falegname?».12 Cf Mc 6,3: «Non è costui il falegname?».13 Leone XIII, Gioacchino Pecci (1810-1903), Papa dal 1878. Felix Nazarethana, Breve pontificio sulla Santa Casa di Loreto, 23 gennaio 1894.14 Cf Gen 3,19.
15 Espressione di S. Francesco d’Assisi.
16 Cf Mt 6,25-34.
17 Vuoto di registrazione.18 Testo preso da trascrizione precedente.19 Cf Mt 19,21: «Vieni! Seguimi!».
20 Giuseppe Cafasso (1811-1860), sacerdote torinese, direttore spirituale. Si dedicò all’assistenza dei carcerati e dei condannati a morte, all’insegnamento della morale alfonsiana. Fu uno degli autori più letti e seguiti da Don Alberione (cf AD 133).
21 Società di vita consacrata approvate dalla competente autorità ecclesiastica i cui membri, laici o chierici secolari, professano i consigli evangelici rimanendo nel loro contesto di vita sociale e professionale, vivono personalmente il carisma dell’istituto e ne perseguono il fine.
22 Cf Sal 30,10: «Quale guadagno dalla mia morte?».
23 Cf Lc 22,42.24 Cf Is 53,2ss.
25 Cf Mt 16,24.
26 Cf 2Cor 4,10.
27 Cf 1Cor 9,27: «…perchè non succeda che, dopo avere predicato agli altri, io stesso venga squalificato».
28 Cf Lc 2,51: «…stava loro sottomesso».
29 Cf Gv 8,29.30 Cf med. 20, nota 14.
31 Cf Fil 2,8: «Umiliò se stesso facendosi obbediente fino alla morte e ad una morte di croce».
32 Cf Fil 2, 9-11: «Per questo Dio lo esaltò e gli donò il nome che è al di sopra di ogni nome, perché nel nome di Gesù ogni ginocchio si pieghi nei cieli, sulla terra e sotto terra, e ogni lingua proclami: “Gesù Cristo è Signore!” a gloria di Dio Padre».33 Dal Credo Niceno-Costantinopolitano.
34 Cf Lc 14,11: «Chiunque si umilia sarà esaltato».
35 Cf Lc 1,38: «Ecco la serva del Signore».36 Interruzione: vuoto di registrazione.37 Vuoto di registrazione. Testo riportato da una trascrizione precedente.