Beato Giacomo Alberione

Opera Omnia

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II
I PROPOSITI1


Ieri sera abbiamo considerato quel terribile male che viene dal peggior diavolo dell’inferno: lo scoraggiamento. La vita religiosa o si conduce avanti nel fervore o non è vita religiosa, perché la vita religiosa è un amore a Dio e alle anime ad alta tensione, non a bassa tensione. L’elettricità quando esce dalla centrale è ad alta tensione: 3.000 \volt/; quando invece arriva alle nostre lampadine è a 120 \volt/, quando arriva ai motori è 220 in generale, almeno per i nostri paesi. Si abbassa, ha i mezzi per venire abbassata.
La vita religiosa è ad alta tensione o è una vita non religiosa, non felice ed esposta a tanti pericoli, tanto più con l’apostolato che avete voi. Ad alta tensione, cioè odio, lotta ai piccoli difetti ancorché non siano peccato. Ve ne sono tanti difetti, so anch’io che non sono peccati, ma se non li combattiamo diventano volontari, invece combattendoli, ecco che noi ci facciamo innumerevoli meriti nella vita. Perché poi, in questo stato, la religiosa è sempre in condizione di aumentare i suoi meriti e la sua giornata finisce con l’essere tutta una catena di anelli d’oro innanzi a Dio: «Thesaurizate vobis thesaurum in coelis»2.
Per questo è molto importante che la seconda e la terza parte degli Esercizi si rivolgano specialmente al futuro. Non viviamo troppo nel passato e non preoccupiamoci troppo se siamo veramente discese a tutte le particolarità: il più è voler far bene in avvenire. Del resto quando c’è il fervore, si evitano tante mancanze e si fanno tanti atti di virtù, numerosissimi atti di virtù. Del resto lo stato di fervore fa sì che tutto quello che si opera e tutto quello che si compie sia di natura superiore.
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Con la vita religiosa non si dà a Dio solamente il frutto della nostra esistenza, come gli atti, ma si dà a Dio l’albero stesso, non solo il frutto, la vita stessa, l’esistenza stessa. Ora, quando la pianta è piena di vitalità, si capisce che fa frutti migliori e più abbondanti. Quando la vite è rigogliosa, è ben alimentata nella sua radice, è ben lavorata e custodita dall’agricoltore, dal viticultore, produce assai di più.
Pensando al futuro, parliamo stamattina dei propositi. I propositi sono la volontà di emendazione e di progresso. Infatti per chi accusa peccati gravi, il proposito sia specialmente emendazione. Per le suore che hanno come professione il progresso spirituale, la perfezione, i propositi riguardano particolarmente la santificazione, il progresso futuro. Il progresso in futuro deve dominare. Intanto, i propositi possono essere espliciti o impliciti.
Espliciti, ad esempio: eviterò i miei pensieri di orgoglio; esplicito: sarò più obbediente; esplicito: eviterò quel pericolo. E il proposito può essere implicito nel fervore in cui l’anima si è messa, è tutto compreso nel proposito: Voglio vivere in stato di fervore. È lì compreso il proposito di obbedire, di essere delicata, di osservare la povertà, di praticare bene l’apostolato; il proposito di santificare la mente, santificare il cuore, santificare la volontà, perché quello è lo stato di fervore: amare Dio con la mente, con la volontà, con il cuore. Quindi può essere implicito. Tuttavia, per voi negli Esercizi è bene che sia esplicito e determinato il proposito o i propositi, perché possono anche essere diversi.
I propositi sono necessari? I propositi sono necessari come è necessario il dolore nella Confessione; come è necessario il dolore. Perché se noi detestiamo le colpe e le detestiamo davvero, da una parte siamo pentiti di quelle commesse e d’altra parte non vogliamo più commetterne, se davvero le odiamo. Non basta dire: Son pentito di aver fatto quella cosa; bisogna aggiungere: E non voglio più farla per l’avvenire. Questo è il proposito. Proposito e dolore vanno assieme.
I propositi possono essere quindi uniti al dolore che si chiama attrizione, oppure al dolore che si chiama contrizione. La contrizione è pentirci dei nostri peccati in quanto sono soprat-
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tutto offesa di Dio, lo hanno disgustato, sono stati causa della passione di nostro Signore, hanno tolto un po’ di gloria che si doveva dare a Dio, ecc. Allora è dolore di contrizione, cioè perfetto, che nasce dall’amor di Dio. E il proposito allora sarà anche perfetto, se vogliamo d’ora in avanti far bene per amor di Dio.
Inoltre, vi è anche il dolore di attrizione, cioè dolore imperfetto: quando noi ci pentiamo dei peccati, specialmente in quanto sono male per noi, cioè ci hanno meritato il purgatorio, ci hanno meritato l’inferno, ci hanno privato di grazie, di meriti, ci hanno privato di consolazioni, ecc. Allora l’attrizione. Il proposito può essere suggerito anche da questa attrizione, cioè da questo dolore imperfetto: Voglio farmi più meriti; ecco sono pentito dei peccati, perché mi sono fatto pochi meriti, ora voglio farmene di più. Questo è un proposito alquanto imperfetto, ma è sempre buono, è sempre già molto buono. Così: Non voglio perdere più tempo, non voglio perdere più grazie, non voglio più meritarmi i castighi della vita presente, non voglio più meritarmi il purgatorio, non voglio meritare l’inferno. Ecco questi sono propositi che nascono dal dolore imperfetto. E allora sono buoni, senza essere non ancora perfetti, ma a poco a poco si cambieranno e diverranno perfetti. Il passo non sarà molto difficile. Intanto mirare al dolore perfetto, domandare la grazia di averlo e così anche i propositi saranno fatti nell’amore perfetto. Ciò che è perfetto è sempre più meritorio, piace più a Dio.
Avere questa grande fiducia che quando siamo pentiti e desideriamo di fare bene, il Signore è contento. Non vivere in agitazione. Non considerare che il Signore viva quasi con lo sguardo sopra di noi, sempre intento a scoprire il male. Il Signore Gesù è venuto a salvare ciò che si è perduto, ciò che si è perduto e cioè i peccatori, per trasformarli in figli di Dio e farli santi. Avete infinite prove, diciamo infinite per dire che non si possono contare, dell’amore che Dio ha per voi. L’essere qui, vestite con quest’abito, con buone disposizioni di vivere la vita religiosa e in una condizione di vita in cui avete abbondanza grande di mezzi, sia di istruzione, di assistenza, di aiuti più intimi, e sia ancora di essere occupate in cose che riguardano
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Dio e le anime: sono tutte prove che il Signore vi vuol bene. Dunque consideriamo soprattutto come il Signore è buono. Lo stesso dargli la volontà buona viene da Dio ed è un’altra prova del suo amore.
Il proposito come deve essere? Il proposito, per quanto riguarda i peccati gravi, deve essere fermo, efficace e universale. Deve essere fermo, non una velleità. Non un desidererei, perché è necessario che entrando in noi stessi, consideriamo se davvero noi detestiamo il peccato e lo vogliamo fuggire. Non tanto Confessioni lunghe, quanto eccitare in noi il pentimento e rafforzare il proposito. Ognuna si santifica in quanto ha di volontà: «Pax hominibus bonae voluntatis»3, non in quanto fa una lunga enumerazione di difetti che spessissimo non sono volontari; non in quanto si ascoltano delle belle cose, ma in quanto noi eccitiamo la volontà. Non dar troppa importanza a cose che sono difettose, secondarie, quanto a quello che è essenziale e cioè la buona volontà. Distinguere lì: se siamo in stato di tiepidezza, non c’è gran volontà; se c’è lo scoraggiamento, bisogna vincerlo, purché ci sia volontà. Non invertiamo il senso della Confessione: la Confessione è per la conversione futura. E preoccupiamoci del futuro, quel che è stato nella vita passata già è stato, è passato, non è più nelle nostre mani, ma nelle nostre mani c’è il presente, cioè aver buona volontà, la buona volontà che è amor di Dio. Il proposito è sempre un atto di amor di Dio. E poi, in un certo senso, c’è nelle nostre mani il futuro, in quanto noi speriamo di avere altro tempo: Spatium [verae] poenitentiae et fructuosae poenitentiae4, sia per fare una fruttuosa penitenza in avvenire, penitenza per il passato; e sia per progredire nel futuro. Scrutare bene la coscienza su questo: se c’è la volontà o se non c’è. Allora il proposito sarà fermo se c’è questa buona volontà.
Poi occorre che il proposito sia efficace. Efficace vuol dire che si adoperano i mezzi. Vi sono mezzi assolutamente necessari. E quando diciamo: E propongo di fuggire le occasioni
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prossime del peccato, se si tratta di peccati gravi, c’è l’obbligo di fuggire le occasioni. Ma faccio questo, vado con quella persona, guardo la tal cosa, ma non voglio peccare. Il peccato è già mettersi nell’occasione quando non è necessario. Perché se fosse necessario, come la figlia che deve passare la pellicola, può essere che qualche volta trovi un’occasione, ma lo fa per obbedienza e allora ha la grazia. Se si avesse da rivedere un libro e questo lo si fa per obbedienza, anche se in quel libro si trovano qualche volta degli ostacoli, ma lo si fa per obbedienza, quando incontra qualcosa che non va, vede che il libro è da pubblicarsi o no e passa oltre; allora c’è la grazia. Ma le occasioni prossime del peccato sono quelle in cui uno ci va dentro e sa per esperienza che quella cosa, quella persona, quell’atto, ecc., quel comportamento gli è pericoloso e tuttavia senza necessità e senza obbedienza ci si mette dentro. Allora è prossima l’occasione, perché non è necessaria e siamo senza la grazia del Signore che accompagna soltanto quello che si fa per necessità o per obbedienza. Però non si diventi scrupolose. Vi sono cose che sono necessarie e si fanno dopo aver pregato, e si fanno con serenità di spirito; e vi sono cose che non sono necessarie e allora si evitano.
Propositi efficaci. Quindi se mancava la preghiera, ora pregherò di più per poter praticare quella virtù, se andavo con quella persona che piuttosto mi rendeva fredda nello spirito e mi metteva un po’ in contraddizione con le Maestre, non devo frequentarla. Così, l’occasione può essere in cose più individuali e personali e dall’esperienza del passato, noi impariamo per l’avvenire. Non che avendo conosciuto adesso che quella tal cosa era peccato, la si debba confessare ora, se allora non si conosceva. Però ora che si conosce, la conoscenza nuova e l’esperienza nuova bisogna utilizzarle. Efficace!
Il proposito deve essere universale. Universale: bisogna distinguere. Se sono peccati gravi, il proposito sia contro tutti i peccati. L’offesa di Dio mai! Né in pensieri, né in sentimenti, né in parole, né in azioni, né contro un comandamento, né contro un altro, né contro un consiglio evangelico, cioè contro un voto, né contro la vita comune. Niente! Cioè, non commetterne nessuno, perché quando si tratta di peccati gravi, basta aprire
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la porta a uno, perché questo ci metta in disgrazia di Dio, quindi in pericolo di perdizione. Quando, invece, si tratta di peccati veniali, se la persona è pentita anche soltanto di uno, c’è già il dolore sufficiente per ricevere l’assoluzione; molto meglio se si pente di tutti e vuole evitare con coraggio e con fede tutti i peccati veniali. Tuttavia, a volte non si ha la forza ancora di fare certi passi, ma la grazia di Dio lavora le anime. Il Signore nutre il bambino secondo la sua età: quando è piccolino, lo tratta da bambino, poi lo tratterà da fanciullo, da giovanetto, da giovinotto finché diviene uomo adulto. La mamma non fa al bambino una giacca come al papà. Tutto è proporzionato. Il Signore è padre e madre. Quindi le grazie vengono date anche gradatamente e ciò che non possiamo far oggi, se noi continuiamo a pregare, avremo la grazia di farlo forse domani, forse dopodomani. Continuiamo a pregare e ad eccitare la volontà.
Quanto ai propositi particolari, i vostri in generale, siano propositi di progresso. Progresso! Non tanto di emendazione, che sempre ci deve essere, ma soprattutto di progresso. Gli Esercizi spirituali segnano l’inizio di un anno di vita spirituale. Quando si è promossi dalla quarta elementare alla quinta, ecco, entrando in quinta si deve sviluppare il programma delle materie di insegnamento di quell’anno; quello che si è già imparato nell’anno precedente, già si sa. Nell’anno nuovo di spiritualità andare avanti su determinati punti. Quindi propositi di progresso in generale, parlando della vostra condizione speciale.
Poi, in secondo luogo, i propositi abbraccino la mente, la volontà e il cuore. Ora se il proposito, supponiamo, è sulla carità verso il prossimo, occorre che noi pensiamo bene del prossimo, che non lo giudichiamo male, che pensiamo che tutti siamo figli di Dio, creature di Dio, anime redente dal sangue di Gesù Cristo e tante volte anche persone di buona volontà. Farci una mentalità conformata alla carità. «Non giudicate e non sarete giudicati; non condannate e non sarete condannati»5, dice il Vangelo. Scoprite piuttosto il bene nelle persone e non il male; scusare facilmente, essere comprensivi e compatire. Vo-
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gliamo pretendere che tutti abbiano le stesse grazie? O vogliamo essere tanto orgogliosi da costituirci giudici, cioè persone superiori alle persone che giudichiamo? Ma chi ci ha costituito giudici? Qui l’orgoglio è profondamente radicato! Se noi non fossimo ancora arrivati a giudicare tutti gli altri migliori di noi, il nostro progresso spirituale sarebbe ancora molto scarso, saremmo ancora molto indietro nella virtù. E in questo occorre ricordare l’esempio dei grandi santi, delle grandi sante che la Chiesa ha canonizzato.
Pensare in bene e, particolarmente, pensare in bene di coloro che hanno buona volontà, ma pensare anche in bene di coloro che sono cattivi: Qui ignorant et errant. Dice S. Paolo che noi abbiamo un Redentore, un Pontefice il quale comprende e sa compatire coloro che sono ignoranti e che sbagliano6. Dobbiamo anche noi essere di quello spirito, di saper compatire. Pensieri santi, e così sentimenti santi! Godere del bene degli altri, goderne sinceramente e desiderare il bene agli altri, desiderarlo sinceramente, e pregare per gli altri, ed essere di buon esempio per gli altri. La carità del cuore.
Poi, in terzo luogo, la carità delle opere. E cioè, trattar bene, aiutare per il bene, prendere per noi le cose più pesanti, i torti più facilmente addossarli a noi. E in tutto quello che è possibile, anche nelle minime cose, aver riguardo, bontà. Farsi in casa una vita di bontà e di premure.
E poi per quello che riguarda l’apostolato, lo zelo. Lo zelo si può mostrare nell’apostolato del cinema, nell’apostolato della stampa e nell’apostolato della radio. Noi abbiamo questo punto da compiere: l’apostolato. Considerare sempre i primi due articoli delle Costituzioni come le due rotaie su cui camminare: il primo riguarda il perfezionamento e il secondo l’apostolato7.
Vi sono alle volte delle necessità. Pregare molto per ottenere questa carità, la carità quale è descritta da S. Paolo e che è bene sia sempre ricordata, anche per mezzo di cartelli. Scriverla sui cartelli: «La carità è paziente, è benigna, ecc.»8. Carità!
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E poi nell’educazione: essere più rigorose, esigenti. Le Maestre e quelle che hanno responsabilità, abbiano sempre la carità, perché quando non si ha la carità in casa, tra sorelle, se ne avrà meno nell’apostolato, si farà l’apostolato meno bene. E se qualche volta vi sarà anche un po’ di zelo nell’apostolato, forse sarà per motivi umani. Così, il proposito sulla carità riguarda il prossimo, comprende la mente, il cuore, l’attività, la volontà. Se il proposito è sull’obbedienza vedere sempre in chi guida il Signore e avere come una devozione alla volontà di Dio, all’autorità di Dio che è in quella persona. E portare l’obbedienza fino alla cooperazione. Così il cuore: amare Gesù obbediente e considerarlo sotto questo aspetto. Pregare perché anche noi possiamo amare l’obbedienza e ciò che è fatto con l’obbedienza. E, terzo poi, osservare esattamente le Costituzioni, gli orari e tutto ciò che è disposto, particolarmente i comandamenti, i voti e la vita comune.
Ecco, il proposito deve sempre estendersi a tutta la persona: la mente, il cuore, la volontà. Questo vuol dire formare la personalità. Vi sono persone che confondono la personalità con lo spirito di indipendenza e divengono bizzarre, di carattere strano, di carattere non socievole, non sopportabile. È tutt’altra cosa. La personalità vera è quella che è stabilita in Cristo, e cioè quella in cui i pensieri sono conformati ai pensieri di Gesù. Si pensa come Gesù, si ama quel che Gesù ama, si detesta quel che Gesù detesta, si vuole e si fa quello che Gesù farebbe al nostro posto e secondo gli esempi che ci ha lasciato. La personalità in Cristo è la più alta, perché ci eleva a Dio.
Inoltre, non bisognerebbe che ad ogni momento si ritornasse a risolvere gli stessi problemi. Quando la vocazione è stata scelta bene e cioè ci si è consigliati, si è pregato, si è pensato per un anno, nel noviziato, basta. Ritornare sul problema della vocazione più tardi è uno sbaglio. Ma, se avessi sbagliato allora?. Meglio che insisti e continui nella via che hai scelto: la perseveranza piace di più al Signore. Poi, ritornare sulla vocazione più tardi: Chiamato o non chiamato, è fuori luogo, perché allora non ci sono più le grazie per conoscere bene. Le grazie c’erano a suo tempo, quando eri giovane, quando si trat-
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tava di una scelta ben ponderata, specialmente nel noviziato. Allora c’erano le grazie.
Poi, quest’anno ricordiamo che siamo nell’Anno Paolino9. S. Paolo è il santo dei forti, dei coraggiosi, delle anime ardenti. Allora guardarci dal pericolo in cui possono cadere le persone dopo un certo numero di anni dai voti: stabilirsi e adagiarsi in mediocrità. Mirare alle vette, alle altezze, sempre. Questo stabilirsi in una mediocrità è pericoloso, perché la vita allora diviene senza ideali e non conforta. D’altra parte quella vita viene poi condotta avanti con molte miserie e molte imperfezioni. Mirare alle altezze! Fissare gli occhi su Dio come l’aquila che guarda il cielo. E anche quando diminuiscono le forze, allora lanciare lo spirito ancora più in alto.
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1 Predica tenuta a Roma il 14 marzo 1957 in occasione degli Esercizi spirituali in preparazione alla professione. Trascrizione da nastro A6/an 28b = ac 48b.

2 Cf Mt 6,20: «Accumulatevi tesori in cielo».

3 Cf Lc 2,14: «Pace in terra agli uomini che egli ama».

4 Cf “…un periodo di vera e fruttuosa penitenza”. Dalla formula della proclamazione dell’indulgenza “Urbi et orbi”.

5 Cf Lc 6,37.

6 Cf Eb 5,1-2.

7 Cf Cost’53.

8 Cf 1Cor 13,1-13.

9 L’anno dedicato a S. Paolo si svolge dal 25 gennaio 1957 al 25 gennaio 1958 (cf RA, 1 (1957), 1-2).