Beato Giacomo Alberione

Opera Omnia

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OBBEDIENZA1


Il pensiero di questa meditazione è un pensiero di riconoscenza al Signore: riconoscenza per la vita religiosa, per la vocazione. Il Signore si è degnato di discendere fra le popolazioni delle nostre parrocchie, dei nostri piccoli paesi e fra tanta gioventù ha scelto noi. Degnazione grande! Come fra tanti che seguivano lui nel suo ministero, nella sua vita pubblica, nelle turbe scelse i dodici, che chiamò Apostoli: «Quos et Apostolos vocavit»2. E in quella vocazione dei dodici, non c’era solo la vocazione all’apostolato, c’era in primo luogo la vocazione alla santità, perché è inconcepibile e non può essere mai fruttuoso un apostolato che non si fondi sulla pietà e non nasca dalla pietà. Cioè, l’amore di Dio deve fruttare l’amore al prossimo e l’amore del prossimo deve essere tutto illuminato e tutto acceso, tutto fondato e tutto risplendere dell’amore che si ha per Iddio.
Perché ringraziare il Signore della vocazione? Molti sono i motivi. Ne ricordiamo uno: perché si vive nell’obbedienza, perché c’è il voto di obbedienza nella vita religiosa. Grande fortuna, grande cosa questa grazia di aver potuto emettere tale voto abbracciando tutta una vita stabilita nell’obbedienza. Perché? Perché è bello il paragone che viene spesso ricordato nei
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libri di ascetica: colui che si abbandona all’obbedienza, passa la sua vita sicura e si troverà in morte tranquillo e avrà una grande gloria in paradiso. La persona obbediente, il religioso, la religiosa obbediente sono paragonati a colui che sale su una nave sicura, guidata da un buon pilota. I passeggeri di quella nave riposano tranquilli, attendono alle loro cose senza preoccupazioni, perché sanno che c’è un buon pilota, sanno che la nave è forte, può anche resistere alle piccole tempeste e li porta al porto a cui mirano.
Il religioso, la religiosa si abbandonano, prendono questa nave della vita religiosa, che si paragona all’obbedienza. E, come il viaggiatore della nave anche quando dorme viaggia tranquillo, così chi si abbandona all’obbedienza opera tranquillamente e sta sicuro che con l’obbedienza si guadagna i maggiori meriti, si assicura una morte tranquilla, perché la nave dell’obbedienza va al porto della beata eternità. L’obbedienza è la via più sicura, più semplice per arrivare al cielo.
Perché obbedire? L’obbedienza ha questo fondamento: è il Signore che ci ha creati, siamo usciti dalle sue mani, quindi siamo una cosa sua di cui può disporre. Il Signore è il nostro ultimo fine e chi si abbandona a fare quello che lui vuole, chi si rimette nelle sue mani, raggiunge di nuovo il Signore dalle cui mani è uscito, cioè arriva a possedere il paradiso. Quindi la nostra obbedienza ha questo fondamento: Dio è il nostro padrone. Poi è il nostro padrone Gesù Cristo, il quale ci ha riacquistati dal demonio con la sua morte di croce. Poi ci siamo donati a lui, per il Battesimo, per la professione religiosa. Essendoci offerti a Dio, Dio può disporre.
Offrirsi e fare quello che si vuole non è offrirsi, è fare una commedia ridicola. Noi facciamo una cosa giusta obbedendo. Ma come obbedire ai superiori? Come obbedire al caporeparto nell’apostolato ad esempio, e nelle altre cose in cui l’obbedienza ci ordina di stare sottomessi non solo ai superiori maggiori, ma a chi è stato assegnato l’ufficio speciale di guidare? «Qui vos audit, me audit: Chi ascolta voi, ascolta me»3. Il Signore ci comanda, ci ha dato i comandamenti, ma i comandamenti
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si applicano praticamente alla vita nelle cose quotidiane. Inoltre, essendoci donate a Dio per la professione, ecco che noi ci siamo adattati, impegnati a lasciarci guidare. Non è una pretesa giusta volere che vengano sempre i superiori maggiori, i quali devono solo dare l’indirizzo. Dando l’indirizzo fanno l’obbedienza essi stessi. Ordinano, perché sono obbligati a fare quell’ufficio, come una può essere obbligata a fare la cucina, a fare la sacrestana o un altro ufficio.
Bisogna notare che l’obbedienza ha i suoi frutti. Tuttavia vi è l’obbedienza degli incipienti, dei proficienti e dei perfetti4.
L’obbedienza degli incipienti è quella in cui e per cui si osservano appena i comandamenti e talvolta si va fino ai consigli, si osservano quelle cose che vi è obbligo di osservare sotto pena di peccato. I principianti arrivano qui: a evitare il peccato.
Vi sono i proficienti, i quali vanno più avanti: considerano Gesù, che entrando in questo mondo per volontà del Padre, compì sempre quello che al Padre piaceva: «Quae placita sunt ei facio semper»5. Fino a quando? «Factus oboediens usque ad mortem, mortem autem crucis. Propter quod et Deus exaltavit illum»6. È lì la vita di Gesù Cristo: tutta una vita conformata al volere del Padre. Non però scegliendo solo quello che egli direttamente conosceva come volontà del Padre, ma obbedendo prima a due creature: Giuseppe e Maria. «Subditus illis»7, quindi la volontà del Padre manifestata attraverso Giuseppe e Maria. Ascoltandoli, egli obbediva a Dio: «Qui vos audit, me audit». E così nel resto della vita. Si abbandonò anche ai carnefici, i quali poterono fare di lui quello che la loro rabbia e la loro crudeltà suggerivano. Obbediente fino alla morte. E non lasciò, diciamo così, intervenire la morte se non nel momento preciso destinato dal Padre, quando aveva potuto dire:
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«Consummatum est»8, ho fatto tutto ciò che il Padre voleva, ora non rimane che la morte. «In manus tuas, Domine, commendo spiritum meum: Nelle tue mani, o Signore, rimetto il mio spirito»9. Oh, quante lezioni a noi che siamo spesso duri di testa! I proficienti si studiano di camminare sugli esempi del Maestro divino, sulla sua predicazione.
Vi sono poi i perfetti, i quali fanno due passi più avanti. Il primo passo è questo: amare e seguire docilmente tutti coloro che hanno facoltà, hanno ordine di disporre. Amare il comando, amare ciò che è disposto. Da una parte vi deve essere la pietà paterna o materna, d’altra parte vi dev’essere la pietà fraterna e la pietà filiale. Amare il comando: è allora che si arriva a sottomettere il giudizio, il che è più completo e più perfetto.
La sottomissione del giudizio. Uno poteva pensarla diversamente prima che fosse data la disposizione, ma data la disposizione, deve uniformare il giudizio per essere perfetto. Ma può anche sbagliarsi colui che ha disposto? Se siamo quasi sicuri, che abbia sbagliato possiamo fare un’obiezione, ricordare forse una circostanza che non era conosciuta, ma sempre con l’animo di uniformarsi qualora il comando venga confermato. Ma non si poteva dire diversamente e meglio? Conformare il nostro giudizio: si può arrivare ad approvare e capire il comando. E si può arrivare tutti, anche chi non ha molto studiato, a questo punto: Io sono sicuro che facendo questo, faccio il meglio che possa fare nella mia vita, la cosa più meritoria. Ma non era bene per la Congregazione invece che fosse così e così? Vedi, se fai l’obbedienza, anche quello che è disposto, supponiamo fosse minor bene, sarà il maggior bene per la Congregazione stessa, purché tu preghi per i superiori che siano illuminati e ti uniformi docilmente. Il Signore ricaverà il maggior bene. Crediamo di essere noi che facciamo le cose? È la bontà, l’onnipotenza di Dio. L’uomo può anche scrivere per traverso, ma Iddio legge anche diritto, e quindi corregge le nostre cose. Abbandoniamoci in Dio, poiché questo abbandono in Dio sarà il mezzo migliore per far camminare bene e far
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progredire l’Istituto in tutto il suo senso, cioè: santificazione delle anime che sono nell’Istituto e sviluppo largo e sempre più sapiente dell’apostolato. Non crediamo di dover correggere Dio, ma correggiamo noi stessi.
L’obbedienza dei perfetti ha ancora un punto a cui bisogna badare. L’obbedienza del religioso è perfetta quando va più innanzi: arriva alla cooperazione sincera, cordiale, con i superiori, non solo con la preghiera, ma interpretando i loro desideri, indovinando l’indirizzo che essi vogliono dare alla Congregazione, e poi, successivamente, mettendo a disposizione tutta la mente per capire i desideri, i comandi ed eseguirli nello spirito con cui sono dati. Amare quello che è dato da fare: disposizioni di cuore. E poi tutte le energie in quello che si deve fare, in quanto abbiamo di salute, in quanto è la nostra posizione, cooperando all’intento, agli sforzi dei superiori, non contraddicendo, non seminando lo scoraggiamento, la diffidenza verso i superiori. La mancanza di spirito religioso si mostra specialmente in questo: non cooperare ma contraddire, ostacolare l’azione dei superiori. Non rendiamoci colpevoli di una responsabilità così grave, mai! Dio ci liberi!
La perfezione sta qui: cooperare in quattro punti.
Primo, nell’osservanza religiosa: che tutti abbiamo lo spirito religioso, lo spirito di preghiera, di povertà, di castità, di obbedienza e amore alla vita comune.
Secondo, cooperando al progresso intellettuale con gli studi, con il miglioramento quotidiano delle nostre idee, con la santificazione della mente: una fede sempre più profonda.
Terzo, cooperando all’apostolato, cercando di fare con maggior sapienza e maggior carità quello che ci è assegnato.
Quarto, cooperando alla formazione umana e religiosa e allo sviluppo economico della Congregazione.
Sta qui la perfezione del religioso. Quante volte quelli che vogliono dire di meglio sono ostacolo allo sviluppo della Congregazione e non se ne accorgono. Preghiamo perché il Signore dia sempre luce. Siccome giudicano in male, criticano, è segno che oltre i difetti comuni, hanno anche questo: di ostacolare il buon sviluppo.
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1 Predica tenuta a Grottaferrata (Roma) il 22 gennaio 1957 durante un corso di Esercizi spirituali. Trascrizione dattiloscritta, di cui non è stato conservato il nastro, con alcune correzioni a mano, carta comune, fogli 4 (22x32). Il tema continua in una seconda meditazione. L’indicazione dell’autore è aggiunta a mano. Nel Diario Sp. è annotato: “Subito dopo la meditazione ai sacerdoti [il Primo Maestro] parte per Grottaferrata per andare a dettare due meditazioni alle Figlie di San Paolo che sono in Esercizi. Il tema delle due meditazioni è l’obbedienza” (p. 1430). Esiste un dattiloscritto successivo. Le curatrici si sono attenute il più possibile alla prima trascrizione.

2 Cf Lc 6,13: «…ai quali diede il nome di apostoli».

3 Cf Lc 10,16.

4 Cf Tanquerey A., Compendio di teologia ascetica e mistica, Desclée, Roma 1928, pp. 653-655. Adolfo Tanquerey (1854-1932), sacerdote sulpiziano, autore di numerose pubblicazioni di carattere ascetico.

5 Cf Gv 8,29: «Faccio sempre le cose che gli sono gradite».

6 Cf Fil 2,8-9: «…facendosi obbediente fino alla morte e a una morte di croce.

Per questo Dio lo esaltò».

7 Cf Lc 2,51: «Stava loro sottomesso».

8 Cf Gv 19,30: «È compiuto».

9 Cf Lc 23,46.