Beato Giacomo Alberione

Opera Omnia

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32. CARITÀ INTERNA ED ESTERNA1


Il presepio è a gloria di Dio e a pace per gli uomini. A gloria di Dio, perché il Signore, il Padre celeste, viene adorato dal suo Figlio fatto uomo, incarnato, e incomincia la redenzione, cioè il Figlio di Dio incarnato offre al Padre celeste riparazione per i peccati degli uomini. E il Padre celeste incomincia ad essere supplicato, pregato dal suo Figlio che si trova uomo tra gli uomini: «Verbum caro factum est et habitavit in nobis»2. Quindi le feste natalizie portano sempre un frutto ancorché non sia così visibile agli uomini.
Il primo frutto è sicuro: la glorificazione di Dio. È sempre sicuro. Quanto poi al frutto che deve portare agli uomini, dipende dalla nostra buona volontà. Per sé lo porta il frutto, ma dipende dalla nostra disposizione interna ricevere questo frutto di pace. È come la Comunione: si riceve l’Ostia santa e, per sé l’Ostia santa porta i suoi frutti, ma questi frutti in noi si realizzano se abbiamo le disposizioni: lo stato di grazia, e questo è essenziale, e ci vogliono le altre disposizioni di fede, di umiltà, di speranza e di amore. Di conseguenza, questa mattina facciamo una piccola meditazione.
Vi sono due errori che dovremmo evitare. Il primo errore è questo: far consistere la pietà, la santità in formalismi esterni, in pratiche esterne; il secondo errore è non dare importanza all’esterno, sotto il pretesto che basti il cuore a Dio. Non si può far consistere la virtù e la santità in pratiche esterne, soltanto
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esterne. La prima santità è interiore. I formalismi esterni sono utili nella loro giusta misura e secondo come sono prescritti dalle Costituzioni. Gesù ha condannato coloro che facevano consistere la pietà in queste formalità esterne. Quando c’era la discussione tra i giudei e i samaritani: i giudei dicevano che Dio si poteva adorare solo nel tempio di Gerusalemme, i samaritani dicevano l’opposto. Gesù ha sciolto la questione dicendo: «È necessario adorare Dio in spirito e verità»3, il posto poco importa, si può pregare dappertutto. Possiamo pregare in chiesa come fuori, sebbene la chiesa sia il luogo proprio per pregare. Ma non c’è da fare distinzione fra chiesa e chiesa quando c’è Gesù. Non c’è da fare distinzione fra la chiesa del convento e la chiesa della clinica: vi è sempre Gesù il quale aspetta da noi l’adorazione, il ringraziamento, aspetta da noi il cuore, aspetta da noi la riparazione, la supplica.
Questo far consistere la santità in esteriorità è un errore. Gesù colpì con parole molto forti i farisei i quali facevano precisamente consistere la religione in pratiche esterne: «Guai a voi che siete come i sepolcri imbiancati: apparite fuori belli agli occhi degli uomini, dentro invece avete il disordine, il vizio, il peccato. Guai a voi razza di vipere, ipocriti»4.
Così Gesù difese i suoi apostoli: li accusavano che essi avevano mangiato senza lavarsi le mani. Gli ebrei erano tanto diligenti nel lavarsi le mani prima di mangiare. I farisei accusavano gli apostoli, magari in campagna non avevano trovato l’acqua, non potevano compiere questa formalità. Gesù li difese dicendo: «Ricordatevi che il mangiare con le mani non lavate, non sporca l’anima. Non è peccato. I peccati escono dal cuore, dall’interno». E aggiungeva: «Dal cuore escono le parole cattive, escono dal cuore i furti, gli omicidi e tutto ciò che è male»5.
Così Gesù mostrò di avere una certa libertà esterna. Quando lo accusarono di guarire un malato di sabato, che era giorno festivo, Gesù si difese: «Se anche di sabato, o giorno festivo,
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vi cade un asino nel fosso, ancorché sia giorno di festa, non andate ad estrarlo? Ora, se c’è un malato grave, non lo si può curare?»6. Dicevano: questo è lavorare. Gesù voleva mostrare di non stare troppo attaccati alle formalità esterne, ma di guardare il cuore.
Non vorrei però, che si capisse con questo di non stare alle regole e agli orari: bisogna appunto per obbedienza stare attaccati alle regole e agli orari, tuttavia bisogna che questo esca dal cuore, non fare solo una cosa esteriore. Se c’è un orario, se ci sono le Costituzioni che stabiliscono delle norme, si devono osservare. Ma, quel che non è giusto è fare consistere la santità in queste esteriorità. L’osservanza dell’orario deve partire da un cuore convinto, da un cuore che si piega all’obbedienza e lo fa per obbedienza. Quindi si pratica l’orario, si segue l’orario, tanto se si è osservati e quando non si è osservati. Così le osservanze prescritte dalle regole, tutte si devono osservare, però non fare consistere troppo la santità in questo. La santità parte dall’abbandono in Dio, dal rimettersi perciò nella volontà di chi ha stabilito la regola, nella volontà della Chiesa, nella volontà di chi dispone. Quindi, quando noi diciamo al Signore: Fate di me quel che volete, io sono pronto a tutto, allora l’osservanza esteriore ha il merito. Partendo l’osservanza esteriore dall’interno, dal cuore, dalla volontà, dalla mente è meritoria al massimo. L’obbedienza sia preceduta prima dall’interno e poi venga l’opera esterna. Essere interiori, perché si abbia davvero il merito. L’esteriorità vuota non fa guadagnare il merito.
Abbiamo allora da tenere sempre presente che la prima santità è nella mente e nel cuore, così c’insegna il Vangelo, e le cose esteriori valgono tanto in quanto c’è l’interno, c’è l’amore di Dio. Fede in colei che dispone, che mette delle regole, cioè la Santa Sede che ci dà le Costituzioni, che rappresenta Dio e noi obbediamo a Dio, pieghiamo la volontà a Dio. Le Costituzioni si accettano con la professione, si accettano attraverso la Santa Sede, si accettano dal Signore. Si accettano da Dio, si accettano i voleri di Dio sopra di noi, ci abbandoniamo in lui e ci lasciamo guidare. Così quando si parla di povertà, quando si
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parla anche delle cose esterne, delle stesse cure esterne che si devono subire e praticare nelle malattie. Abbandonarsi in Dio, santificare l’interno, dare davvero il cuore a Dio. Che cosa sarebbe un’osservanza esterna se fosse fatta in orgoglio, per farsi vedere? È un atto di superbia.
Il libro che spiega questo dice: Che cosa c’è di più bello della Comunione? Eppure, se la Comunione non è fatta bene interiormente... Può essere che uno abbia le mani giunte e il capo chino e che abbia il peccato mortale nell’anima, e allora la Comunione si trasmuta non in atto di amore, ma in un sacrilegio. Badare sempre all’interno. Santificazione intima, del nostro interno: «Deus intuitur cor: Il Signore guarda il cuore»7. E tutte le osservanze esterne, anche per evitare lo scandalo, il cattivo esempio, perché quando si manca di osservanza esterna, allora si porta il disordine in comunità. Ma prima, e tutte le osservanze esterne dipendano dalla disposizione dell’animo, del cuore.
La seconda cosa, il secondo inconveniente è di non dare importanza all’atto esterno. Dicono: «Il Signore vede il cuore». Magari vi sono delle lettere e delle parole che sono insipienti: Mi hanno fatto quest’osservazione... Mi hanno detto quello... Dio vede. E vogliono difendersi che davanti a Dio loro sono a posto e che non hanno mancato, quasi che non si dovesse esteriormente conformarsi a quello che è stato disposto. Sì, Iddio vuole il cuore in primo luogo, ma vuole anche l’atto esterno. Lasciare l’atto esterno, da una parte può essere un peccato solamente personale, e d’altra parte potrebbe anche dare disturbo, essere occasione di male. Oppure potrebbe anche portare cattivo esempio e quindi un rilassamento nella disciplina e nella vita religiosa, e questo potrebbe essere anche un male grave. Occorre anche l’atto esterno.
Il Signore vuole che noi lo amiamo, ma ci impone anche di sentire la Messa. Anche i sacramenti hanno l’atto esterno. Non basta dire: Io me l’aggiusto con il Signore. Un tale, che era malato grave, ha rifiutato il sacerdote: I miei conti me li aggiusto con Dio. È necessaria la Confessione, è necessaria
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l’assoluzione. Il Signore vuole anche il compimento esterno. E parlando della vita religiosa, le osservanze esterne sono prescritte. Vedete che in certi articoli si dispongono anche delle penitenze e si obbligano i superiori a correggere quando le osservanze esterne non sono mantenute, oppure sono mantenute solamente a metà, specialmente quando non si osservano esteriormente le prescrizioni dando il cattivo esempio. Ci vogliono tutte e due le cose: l’interno e l’esterno.
Se è prescritto il silenzio, una può dire: Che cos’è una parola?. È un atto di disobbedienza, un atto fatto fuori tempo. Che cos’è una parola? Ci sono dei tempi in cui bisogna parlare. Una potrebbe anche dire: Che cosa importa al Signore che al venerdì io mangi carne o mangi pesce?. È una prescrizione esterna che deve essere osservata interiormente in spirito di penitenza. Riconoscere il bisogno di penitenza per i nostri peccati e il bisogno di mortificarci per dominare la nostra carne, le passioni, e in ossequio, in obbedienza alla Chiesa che vuole l’atto esterno.
Così allora noi arriviamo alla santificazione, perché se noi abbiamo amore al prossimo non basta che diciamo: Io gli voglio bene. Che cosa ha detto Gesù quando il samaritano ha curato quell’infermo, meglio quel ferito, il quale era stato derubato e assalito dai ladroni. Non era stato curato dal sacerdote e dal levita, ebrei che passavano, invece era stato curato da un samaritano che era disprezzato: cosa ha detto Gesù? Domandò: «Chi è stato veramente ad amare quel ferito, amare il prossimo? È colui che gli ha usato misericordia». E Gesù disse: «Tu fa’ lo stesso: Vade et fac similiter»8. Ecco, l’amore del prossimo non può star solo nell’interno, ma nel dare buon esempio, nel rispettare, nel parlare bene di tutti, nel fare i servizi utili. Chi fa l’infermiera compie dal mattino alla sera un atto di amore al prossimo. Gesù vuole anche l’atto esterno.
Non basta che si dica: Mi ha fatto dispiacere. Io le perdono, ma non venga più davanti a me. Io non le parlo più. È così che si perdona? Non basta dire questo! Bisogna rimettere l’offesa, e andare più avanti: offrire almeno gli atti esterni, comuni di
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benevolenza. Non c’è bisogno di mettersi con quella persona se non la si stima e farle delle confidenze, avere un’amicizia speciale. Ma gli atti comuni, le dimostrazioni comuni di rispetto e di amore sono necessarie. Non basta dire che nel cuore le si perdona, si perdoni anche all’esterno. Così in tutte le cose. Non appelliamoci facilmente al Signore con il pretesto: Dio vede tutto e nel giudizio si vedrà tutto. Si vedrà tutto, si vedrà anche l’interno com’era. Può essere tuttavia, che una venga accusata di una cosa che non ha commesso. Allora dice a se stessa: Questa volta faccio penitenza per le altre volte che ho commesso del male e non mi hanno veduto, non mi hanno corretto. C’è sempre della penitenza da fare, perché, chi non ha peccato? Se una dice che non ha peccato, dice una bugia e fa subito un peccato. E allora? Piuttosto temere che nel giorno del giudizio il Signore scopra quello che noi dimentichiamo.
Dare la giusta importanza a tutto: prima all’interno, secondo all’esterno. Qui sta la morale intiera, l’integrità della morale, diciamo così. Il Signore dice: «Amerai il Signore Dio tuo con tutta la mente, con tutto il cuore, con tutta la volontà», prima internamente l’amore di Dio. Ma poi aggiunse quello che era esterno: «Così amerai il prossimo tuo come te stesso»9. Non contentarti dell’esteriorità. S. Giacomo in una lettera, nella sua lettera cattolica, dice: «Quando tu dici al povero: Mi fai pena, va’, scaldati. E non gli dai ciò che hai, non gli dai il modo di scaldarsi, la tua carità è vuota, è di parole. Se tu vedi entrare in casa, in chiesa un ricco e gli fai il posto largo, comodo, e poi viene un povero e lo fai sedere in fondo, oppure lo fai stare in piedi, senza trattarlo bene come l’altro, tu fai distinzioni: non hai vero amore al prossimo»10. Perché? Perché fai preferenze. Naturalmente, se c’è una persona che è di riguardo, bisogna usarle riguardo, ma diversamente bisogna trattare l’uno e l’altro in modo uguale, uniforme, non fare certe distinzioni. La carità sia totale, sia giusta, sia uguale con tutti. Questo punto, sebbene adesso considerato brevemente, meriterebbe proprio di essere assai penetrato.
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Particolarmente nella vita religiosa: non far consistere la santità solamente in una pratica fissa, determinata. A volte c’è tanto da fare per amor di Dio, però osservare anche le cose esterne con spirito di fede, quindi prima sempre l’interno e poi l’esterno. All’esterno dare la giusta importanza, e all’interno la prima importanza. Il modo di presentarsi alla Comunione può essere un po’ vario: chi va in fila alla Comunione, in certi Istituti vanno tutte in fila, in altri invece ognuna parte e va alla Comunione quando è pronta. L’andare in fila può essere anche ordine, ma il presentarsi alla Comunione con quell’atteggiamento particolare, può essere anche una disposizione [d’animo]. In sostanza: prima c’è l’atto di fede, la disposizione di amore del cuore, c’è la speranza degli aiuti di Dio, tutto l’interno in primo luogo. L’esterno deve aiutare l’interno e deve procedere dall’interno, perché il culto a Dio è fatto così, è espressione dell’interno. D’altra parte ha un’influenza anche sull’interno, l’esteriorità ha anche un’influenza sopra l’interno.
Così, fare un presepio ha questa influenza nell’interno, ci fa pensare a Gesù, a come è nato nella povertà, quale amore ci ha mostrato venendo tra gli uomini, e come cominciò la sua vita nella povertà, nell’umiltà. Facendosi bambino, il Figlio di Dio incarnato, ha insegnato che noi dobbiamo essere umili, e che Gesù ama i piccoli, ama gli umili. Quindi, sempre proporzionati: interno ed esterno.
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1 Predica tenuta ad Albano in dicembre 1957. Trascrizione da nastro A6/an 40a = ac 68a. Esiste una trascrizione precedente che ha come titolo: “Formalismo ed osservanza”, ed un altro titolo è aggiunto a mano: “Carità interna ed esterna”. Nella trascrizione attuale il titolo è: “La santità vera (atti interni ed esterni)”. Le curatrici hanno preferito il titolo aggiunto a mano. Non è indicato il giorno. Il riferimento al presepio fa pensare al tempo dopo Natale, ma dal Diario Sp. risulta che nella settimana dopo Natale Don Alberione è in visita alle case dell’Italia settentrionale (cf p.1646). Perciò lasciamo la meditazione nel mese di dicembre senza altre precisazioni.

2 Cf Gv 1,14: «E il Verbo si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi».

3 Cf Gv 4,23.

4 Cf Mt 23,27.33.

5 Cf Mt 15,1-2.11.17-20.

6 Cf Mt 12, 9-13.

7 Cf 1Sam 16,7.

8 Cf Lc 10,36-37.

9 Cf Mt 22,37-39.

10 Cf Gc 2,2-4.15-16.