Beato Giacomo Alberione

Opera Omnia

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II
UMILTÀ E FEDE NELLA PREGHIERA1


[Invocare]2 le grazie di Maria Bambina e poi accompagnarsi nella vita con Maria. Anime che si danno totalmente a Maria e per mezzo di Maria al Signore; anime che accompagnano Maria nella sua fanciullezza, nella sua gioventù, quando diviene madre di Gesù, e cercano di imitarla: tutto da Maria, per Maria, con Maria, in Maria. La consacrazione di S. Luigi Grignion de Montfort3 è così bella e preziosa: farsi figli di Maria. Però, le Figlie di San Paolo aggiungono tre cose a quella consacrazione, che forse dovrebbero essere più espresse, e cioè: consacrare a Maria l’apostolato, consacrare a Maria la vita religiosa, consacrare a Maria la nostra devozione al divino Maestro nello spirito con cui viene descritta nelle Costituzioni: Gesù Maestro Via, Verità e Vita4. Perché la consacrazione del Santo era fatta in generale per tutti i cristiani, ma noi abbiamo delle cose particolari da offrire a Gesù per le mani di Maria.
Adesso una parola sopra le condizioni della preghiera. Saper pregare è saper farsi santi. Saper pregare è mettere Dio con noi, è lavorare con lui. E allora è vero che Da me nulla posso,
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ma con Dio posso tutto5 . Saper pregare con le dovute disposizioni è sapere che si lavora con Dio e che Dio lavora per noi, in tutti i sensi, in tutte le forme. Che felicità! Siamo deboli, certamente; siamo ignoranti, fragili, e quanti sbagli abbiamo fatto. Per penetrare nel mondo attuale è tanto difficile, progredisce sempre il mondo, ma se c’è il Signore con noi, che cosa possiamo temere?
Pregare per il lavoro spirituale, pregare per il lavoro intellettuale, pregare per il lavoro apostolico, pregare per il lavoro formativo, sì. Quanto a preghiera mi pare che le Figlie di San Paolo non mancano: sono fedeli. E non bisogna mai sacrificare la preghiera per il lavoro, per l’apostolato. L’apostolato, cioè l’azione, dev’essere una conseguenza dell’orazione, della pietà: un frutto. Portare alla preghiera specialmente le due disposizioni necessarie: l’umiltà e la fede. L’ufficio dell’umiltà qual è? È di fare il posto alla grazia, preparare il posto, perché Gesù sappia dove deporre la sua grazia. E invece l’ufficio della fede è di attirare la grazia, farla discendere. Così, uno può portare il suo catino sotto il rubinetto, catino vuoto: ecco il posto per l’acqua. E intanto aprire il rubinetto, perché l’acqua affluisca, discenda nel catino. Il portare il catino vuoto: l’umiltà, raffigura la condizione della preghiera. E aprire il rubinetto perché l’acqua discenda è la fede, rappresenta la fede nella preghiera. Notiamo che il rubinetto si può aprire un pochetto in maniera che cada un filo d’acqua, oppure si può aprire totalmente e, se l’acqua è abbondante, allora esce pressata e quindi si farà presto ad avere il catino pieno. La fede fa discendere l’acqua, ma è anche la misura della grazia, cioè della quantità di grazia.
Quando Gesù dice: «Fiat tibi sicut credidisti: Sia concesso a te secondo hai creduto»6 vuol dire: Se hai creduto che io possa fare fino lì, operare e dare quella grazia in quel modo e in quella forma e diciamo in quella misura, eccoti: «Sicut
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credidisti». Il centurione si era presentato a Gesù e domandava che egli guarisse suo figlio7. Gesù risponde: «Io verrò a casa tua e lo guarirò». Il centurione risponde subito in una forma che voleva dire: Non hai bisogno di venire a casa mia. D’altra parte io non son degno che tu entri in casa mia; di’ soltanto una parola, ti chiedo una parola, e il mio figlio sarà guarito. Il che voleva dire: Stando qui, darai ordine all’infermità di andarsene e il figlio sarà guarito. Io infatti, ho dei soldati sotto di me e quando comando a uno che vada in tal posto, ed egli va; o che venga da me, ed egli viene. E tu che sei il padrone di tutto e che comandi a tutto, puoi ordinare alla malattia di andarsene. Gesù rispose: «Non ho trovato tanta fiducia in Israele come oggi». E rivolto al centurione: «Va’, sia fatto come hai creduto». Cioè: Hai creduto che io potessi guarire di qui tuo figlio; va’, e lo troverai guarito.
Altre volte invece, quelli che pregavano Gesù avevano meno fede: Vieni; imponi le mani; tocca gli occhi a questo cieco; metti il dito nell’orecchio di quello che è sordo, ecc. Ecco la fede era minore. Se avessimo davvero la fede di diventare grandi santi, sarebbe tutt’altra cosa; il valore della nostra preghiera sarebbe molto più grande; sarebbe molto più grande. Però, parlando di fede, occorre dire anche un’altra cosa: Non ragionare sempre secondo i motivi umani, le viste umane. Certo, Iddio ci ha dato la ragione e dobbiamo ragionare e mettere questa nostra facoltà, l’intelligenza, tutta al servizio di Dio. Ma sopra l’intelligenza il Signore ci ha dato un’altra luce: quella della fede. Con la nascita abbiamo l’intelligenza, con il Battesimo abbiamo la rinascita, e vuol dire una seconda vita che è la vita cristiana, la vita della grazia che produce in noi la fede. Vivere di fede! Ispirarci sempre agli articoli che sono notati nel Credo e anche a quelli che non sono notati nel Credo. Vivere di fede!
Il nostro apostolato considerarlo secondo la fede. È vero che ci sono librerie come le hanno i librai anche cattivi, o almeno i librai semplicemente civili: sembrerebbero uguali, ci sono anche le scansie, c’è l’esposizione del libro, c’è la vetrina. È vero che ci sono le macchine, e che le hanno anche i tipografi
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che stampano cose non buone. Quindi se non siamo sempre illuminati dalla fede, alla fine consideriamo il nostro apostolato un po’ materialmente. Ma sia la libreria sia la macchina per la propaganda collettiva, e la macchina per comporre e stampare, e la legatoria, ecc., tutte queste cose ci vogliono nel nostro apostolato. Come per dare il Battesimo ci vuole l’acqua naturale. Senz’acqua naturale non si battezza. La virtù poi dipende dallo Spirito Santo: Descendat in hanc aquam virtus Spiritus Sancti, dice il sacerdote quando benedice il fonte battesimale: discenda in quest’acqua la virtù dello Spirito Santo. La materia, le cose che adoperiamo nel nostro apostolato sono uguali a quelle cose che gli altri adoperano per fare del male o semplicemente per fini civili, per fini commerciali.
È lo Spirito che eleva. Per cui nelle Costituzioni c’è che queste cose adoperate per l’apostolato diventano sacre: Evadunt ut sacrae, dice il testo latino8. Ed è sacra non solo la casa, è sacro non solo il locale, ma è sacro tutto ciò che c’è nella tipografia, tutto ciò che c’è nella libreria, e tutto ciò che adoperiamo come mezzo di apostolato, per esempio, l’automobile. Cosa di Dio, e consacrata a Dio perché serva nell’apostolato, come si benedice la tovaglia dell’altare perché si metta sull’altare. Una tovaglia anche di lino, una tela, quel lino, poteva adoperarsi per fare camicie o lenzuola, non è vero? Ma è consacrata a Dio.
Anche noi siamo persone come le altre, uomini come gli altri, ma consacrati a Dio. È lo Spirito! Sentire che noi siamo consacrati a Dio, che viviamo e ci serviamo di tutte cose consacrate a Dio e che adoperiamo queste cose per fine sacro: le anime. E non si dica: Ma ci sono anche i soldi di mezzo. Certo. Ma c’è anche il pranzo di mezzo, non solo il denaro. Ma quello è per fare l’apostolato. E quindi va molto bene ciò che già ho sentito in qualche casa, in una sola veramente: il ringraziamento aggiungeva: …per mantenerci nel servizio di Dio e nell’apostolato. Certo, tutte le cose finché siamo sulla terra hanno quel valore lì. E il corpo nostro non è materiale? Ma c’è
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l’anima dentro! Quindi c’è sempre materia e forma; c’è sempre materia e spirito nel nostro apostolato. Perciò vivere di fede e viverlo il nostro apostolato secondo la fede. Guardarsi dal materializzarsi, perché chiunque, anche facendo le cose più sacre, può diventare un materialone, una materialona; si guarda solo il guadagno. Si faccia un ministero o si faccia la propaganda: solo per il guadagno. Stiamo attenti di far sempre le cose secondo lo spirito di fede: Gloria a Dio, bene alle anime9; salvezza nostra, santificazione religiosa e progresso dell’Istituto.
Cinque intenzioni le quali finché durano nella nostra mente, fanno sì che tutto sia elevato, tutto sia consacrato e offerto e indirizzato a Dio. Allora non abbassiamo la nostra vita, ma eleviamola, non abbassiamo il nostro lavoro, ma eleviamolo a servizio di Dio e della Chiesa. Vedete, è cosa un po’ ardua. Quando si è trattato della prima approvazione della Società San Paolo, e lo stesso delle Figlie di San Paolo, perché hanno press’a poco il medesimo apostolato, dopo che si sono presentate tutte le carte, tutti i documenti necessari, ecco la Congregazione dei Religiosi, come per tutti gli istituti, esamina, poi si fa un congresso, poi l’adunanza plenaria in cui intervengono i cardinali e si viene a una decisione: Si approva, non si approva, si rimanda, secondo i casi. E fatte le adunanze, i membri di quelle adunanze hanno detto: Questa è cosa così nuova; si tratta di introdurre nella Chiesa mezzi che devono servire a Dio secondo lo spirito di quest’Istituto, devono servire alla Chiesa. È una novità, un passo avanti. Non ci sentiamo di decidere. Prendiamo tutto e portiamolo al Papa. E così l’approvazione è venuta direttamente da Pio XI la prima volta, e l’ultima volta da Pio XII10. Di nuovo hanno fatto lo stesso, e cioè anche l’ultima volta: Lasciamo ogni decisione al Papa. Perciò siamo figli speciali del Papa, e noi abbiamo particolare obbligazione verso il Papa: un amore più filiale e più intenso che gli altri religiosi. Egli ha proprio la paternità delle Famiglie Paoline in una maniera speciale.
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Dunque andare avanti con fede, vuol dire che tutti questi mezzi, tutto questo lavoro di redazione, di tecnica e di propaganda, sia per quel che riguarda la stampa sia per quel che riguarda il cinema, ecc., è sacro, considerarlo soprannaturalmente: è a servizio della Chiesa. Così era l’intenzione del Papa Pio XI, così è l’intenzione del Papa Pio XII. Quindi con fede: viviamo di fede! A volte si ha tanta cura delle macchine, ad esempio, e qualche volta se ne dovrebbe avere di più; a volte si ha cura della pulizia, e sta bene; aver cura anche dei tetti delle case; aver cura di tutto quello che è in casa: è sacro, è a servizio di Dio.
Secondo punto: lo spirito di fede nella preghiera: «Qualunque cosa chiederete al Padre in nome mio, egli ve la darà»11, dice Gesù. Dunque, pregare con confidenza. Certo, bisogna che pensiamo che vi sono grazie sicure che saranno certamente concesse a noi, e grazie che invece dipendono da una condizione, cioè se sono utili per la salvezza dell’anima nostra. Allora, il Signore esaudisce le preghiere per grazie materiali se queste sono utili per la nostra salvezza. Ma vi sono grazie che concede sempre: la grazia di corrispondere alla vocazione, è nella volontà di Dio che noi corrispondiamo; la grazia che ci facciamo santi, è volontà di Dio: «Haec est voluntas Dei: sancti estote»12. È nella volontà di Dio che si sviluppi l’Istituto, la Congregazione: e il Signore concede. Si preghi con fiducia piena.
Naturalmente anche la santificazione verrà un po’ ogni giorno, si camminerà avanti un po’ ogni giorno. Non dobbiamo pensare che domandando la grazia, si operi come nel sacramento: dici l’Atto di dolore in Confessione, dà l’assoluzione, il perdono e il peccato è scomparso. L’esaudimento delle nostre preghiere è un po’ diverso, ma è certo. È diverso, ma certo. Avere fede. Chissà se il Signore mi ascolterà.... Cominciamo a metterci in dubbio? Ma ho pregato per quel peccatore e non è valso a niente. Il Signore parla di domande fatte per noi: «dabit vobis». Parla delle grazie spirituali. Poi, il peccatore può essere che abbia ricevuto la grazia che anche noi abbiamo chiesta e che non abbia corrisposto. Altre volte non ha corrisposto,
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perché ha commesso dei peccati, e può essere che non abbia corrisposto neppure questa volta. Ho pregato per la salute della mamma. Ma lo sappiamo già come sono le cose. Ho anche pregato per la mia salute.... Adagio! Vi sono persone che non andrebbero mai più in paradiso, perché ogni volta che vengono malate domandano sempre di guarire, e allora? Allora è contro la volontà di Dio, perché ci ha creati per il paradiso e se non ci entriamo ci ribelliamo a lui, no? Allora bisogna pensare, bisogna soggiungere: «Fiat voluntas tua sicut in coelo et in terra»13. Ecco, dobbiamo dire così. Va bene?
Adesso, le grazie quindi che il Signore esaudisce sono quelle che rientrano qui: corrispondenza alla vocazione, apostolato, sviluppo dell’Istituto; poi gloria di Dio e nostro progresso spirituale. Il Signore ci ha creati avendo in mente, diciamo così, il punto di santità che dovevamo raggiungere e quello che dovevamo fare sulla terra. Ora, se noi preghiamo sempre: Sia fatta la tua volontà, vuol dire che io mi adatto al suo programma, cioè che io faccio quello che egli voleva da me, che io passi per le strade che mi ha segnato, che io riceva quella luce, riceva quella forza, secondo i casi, per raggiungere quel grado di santità. Quindi, tutto, anche quando preghiamo per noi: Fiat voluntas tua.
Può essere benissimo che la volontà di Dio non sia quella di darci subito un buon risultato, supponiamo nell’acquistare la pietà, ma che ci dia l’umiltà, perché il Signore compia la sua volontà. Pregare e abbandonarci a lui, rimetterci nelle sue mani: Tu, Padre, sei più sapiente di me, tu mi ami più di quanto io ami me stesso. Ti presento le mie preghiere, dammi le grazie che sono secondo la tua volontà, quelle che sono più utili per la tua gloria e di vantaggio spirituale dell’anima mia.
Fede, allora. Non tentenniamo. Non diciamo: Chissà se vincerò quelle tentazioni, chissà se romperò quella catena di male, di peccati; chissà se io riuscirò ad acquistare l’intimità con Gesù, un amore proprio fervente...: «Chiedete e otterrete; picchiate e vi sarà aperto; domandate e vi sarà dato»14. Sempre fede. E allora chiediamo anche la fede che è la prima virtù teologale.
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1 Predica tenuta ad Alba il 29 agosto 1957 durante un corso di Esercizi spirituali. Trascrizione da nastro A6/32b = ac 54b.

2 Manca una parola iniziale.

3 S. Luigi Maria Grignion de Montfort (1673-1716), francese, fondatore dei Missionari della Compagnia di Maria e delle Figlie della Sapienza. La sua opera principale è il Trattato della vera devozione alla Santa Vergine, dove espone la sua dottrina mariana soffermandosi sull’Atto di consacrazione a Maria. Canonizzato da Pio XII il 20 luglio 1947.

4 Cf Costituzioni della Pia Società Figlie di San Paolo, ed. 1953, vedere in particolare i capitoli sui voti, su “Obbligo di tendere alla perfezione e osservanza religiosa”, su “Carità fraterna”. Nel 1961, durante il corso di Esercizi di venti giorni Don Alberione fa una descrizione dettagliata della consacrazione a Gesù per le mani di Maria. Cf FSP-SdC, p, 187ss.

5 Invocazione che Don Alberione ha ereditato dalla spiritualità di S. Francesco di Sales, che accompagnava il segno della croce sulla propria persona dicendo: Da me nulla posso. Con Dio posso tutto. Per amore di Dio voglio fare tutto. A Dio l’onore, a me il disprezzo. Don Alberione cambiò l’ultima espressione con: A me il Paradiso. Cf Le preghiere della Famiglia Paolina, ed. 1996, p. 24.

6 Cf Mt 8,13.

7 Cf Mt 8,5-13.

8 Espressione presente sia nelle Costituzioni della Pia Società San Paolo, ed. 1950, art. 237 sia nelle Costituzioni della Pia Società Figlie di San Paolo, ed. 1953, art. 271.

9 Motto della Famiglia Paolina.

10 Cf Martini C. A., Le Figlie di San Paolo…, o.c., pp. 156-158 riguardo l’iter dell’approvazione diocesana il 12 dicembre 1928; per il Decretum laudis concesso il 13 dicembre 1943, ibid. pp. 236-237; per l’approvazione pontificia concessa il 15 marzo 1953, ibid. pp. 278-279. Vedere anche le relative appendici.

11 Cf Gv 14,13.

12 Cf 1Ts 4,3: «Questa infatti è volontà di Dio, la vostra santificazione».

13 Cf Mt 6,10: «Sia fatta la tua volontà, come in cielo così in terra».

14 Cf Mt 7,7.