II
IMPORTANZA DELLA MEDITAZIONE1
La seconda opera di pietà fortemente raccomandata nelle Costituzioni è la meditazione. Certamente la Messa in sé, la Comunione in sé e così il sacramento della Penitenza in sé hanno un maggior valore, ma le tre opere di pietà: meditazione, esame di coscienza, Visita al Santissimo Sacramento illuminano tutta la vita. E sono una preparazione e una garanzia che si faranno bene e con frutto tutte le altre pratiche di pietà.
Qual è il fine della meditazione? È quello di rafforzare la volontà. La lettura spirituale è come la scuola, illumina la mente, ma la meditazione deve condire la lettura spirituale e cioè deve portare la volontà a risolvere, a proporre, soprattutto a comunicarle fortezza, ottenere fortezza, perché i propositi non siano vuoti. Se nella Confessione si fanno dei buoni propositi, se al mattino si ha una certa buona volontà, se i propositi buoni si fanno anche al ritiro e agli Esercizi, questo è necessario, tuttavia, occorre poi la forza per metterli in pratica. Non basta un semplice entusiasmo, perché un giorno si è pieni di fervore, perché dopo la Confessione per due o tre giorni si sente buona volontà, perché dopo gli Esercizi si è concluso con una certa energia. Occorre la perseveranza e per la perseveranza ci vuole la fortezza.
La lettura spirituale può illuminare sulla verità cristiana, per esempio, sulla virtù della fede. La lettura spirituale può illuminare sulla speranza cristiana, può illuminare sulle Costituzioni, sulla carità e su ogni altra pratica e ogni altra virtù che si richiede nella vita religiosa, specialmente povertà, castità,
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obbedienza. Ma la lettura spirituale si può paragonare a una conferenza. Una conferenza espone le cose da fare, corregge le cose non fatte bene e serve quindi ad illuminare, ad indicare la strada. Indicare la strada è una cosa santa, però ci vuole poi l’automobile per fare la strada o le energie per fare la strada, la resistenza costante nel cammino per compiere la strada.
Se noi siamo solamente illuminate, arriviamo fino al punto di sapere che cosa dobbiamo fare e poi non abbiamo la forza di farla, ci tormentiamo. Vediamo il meglio e poi ci attacchiamo al meno bene. Allora, viene lo scoraggiamento. Qualche volta bisognerebbe quasi dire: È meglio non sapere le cose, essere un po’ più ignoranti, che conoscerne tante e poi non farle. Il fedele, il cristiano che non ebbe tanta istruzione non avrà tutta la responsabilità che abbiamo noi che abbiamo avuto tanta istruzione, tanta grazia di luce nella nostra vita, dai primi passi, dai primi anni in cui si è frequentato il catechismo fino ad oggi. Quanta luce attraverso le predicazioni, il catechismo, le conferenze, attraverso le scuole, ecc. Ciò che più importa è poi fare le cose. E per questo ci vuole la virtù della fortezza.
La fortezza può essere naturale e può essere soprannaturale, virtù infusa. Fortezza naturale quando, per esempio, uno intraprende gli studi, insiste e ogni giorno si applica e vuole riuscire per concludere l’anno con una buona promozione, concludere gli studi con una laurea, con un documento che comprovi la sua scienza. Ecco, fortezza naturale che si può avere nell’amministrazione, si può avere anche in quello che è un lavoro materiale, per esempio, una libreria tenuta al modo di semplici librai, non al modo di un apostolo. Fortezza naturale! Ma sopra la fortezza naturale c’è la fortezza infusa da Dio, una delle quattro virtù cardinali: prudenza, giustizia, fortezza, temperanza. Questa virtù cardinale specialmente si domanda, si ottiene e si eccita in noi per mezzo della meditazione. È questo lo scopo della meditazione.
È vero che al principio della meditazione vi può essere la lettura del libro che in parte sembra istruzione, invece è piuttosto per ricordare, è per fare un ragionamento che serva a rafforzare la volontà. Supponiamo che la meditazione sia sulla bellezza della carità. Uno che legge le parole di S. Paolo sulla
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carità non può non sentirsi un po’ scosso. Ma questo è per rafforzare la volontà. Vi è poi, in terzo luogo, la fortezza che è uno dei doni dello Spirito Santo, con la pietà e il timor di Dio. I doni pratici: pietà, fortezza, timor di Dio. Che cosa aggiunge il dono della fortezza alla fortezza, virtù infusa? Aggiunge quell’entusiasmo, quel fervore per cui uno sa intraprendere cose importanti e farle con gioia, oppure sa soffrire con gaudio dolori, pene interne o esteriori, fisiche magari.
Quando leggiamo il martirio di S. Stefano, vi sono queste parole negli Atti degli Apostoli: «Stefanus autem plenus gratia et fortitudine»2. Lui è arrivato al dono della fortezza, non solo, ma questo dono lo possedeva in grado altissimo e così quando guardava il cielo aperto, si sentiva pieno di gioia e quasi non sentiva le sassate che gli venivano addosso. Perciò non solo la virtù naturale, non solo la virtù infusa, ma il dono della fortezza. Vi sono persone che arrivano al dono della fortezza, dono dello Spirito Santo che si ha quando si soffre non solo con rassegnazione, ma con una certa soddisfazione, una certa consolazione, perché ci si uniforma di più a Gesù crocifisso. Si lavora, si fatica e non si sente quasi il peso, perché si pensa al paradiso, al merito che si guadagna e nella stanchezza si è soddisfatti di aver lavorato e di essersi anche stancati per il Signore.
Nella meditazione, quindi, mirare: prima alla virtù naturale, secondo alla virtù della fortezza infusa. La meditazione è orazione mentale, e serve ad ottenere da Dio questa infusione di fortezza. È orazione mentale, e serve anche per ottenere il dono quando un’anima, già arrivata alla pratica della fortezza naturale e anche nella fortezza infusa nell’anima dal Signore, fa un passo avanti.
Dunque, lo scopo della meditazione è di arrivare a fortificare la volontà. Fortificarla, così che i propositi dopo siano mantenuti, perché diversamente noi torneremmo sempre sui medesimi propositi e ci troveremmo scontenti e forse anche un po’ scoraggiati. Quando si arriva a questo punto, allora si prende animo ogni mattina. Dopo la meditazione si andrà alla
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Comunione, si ascolterà la Messa, ma la stessa Comunione e la stessa Messa serviranno di nuovo a rafforzare maggiormente la volontà.
In tutti gli Istituti religiosi è prescritta la meditazione. Già S. Paolo raccomanda di riflettere. Tutti i santi antichi, gli anacoreti, i monaci basiliani, agostiniani, i francescani, domenicani, ecc., tutti hanno la prescrizione della meditazione. La meditazione però veniva fatta un po’ secondo il pensiero e secondo lo spirito di ognuno. Dal secolo XV la pratica della meditazione si è ordinata. La sostanza è sempre uguale, ma andando avanti, essendo più numerosi i religiosi, si è andata organizzando. Di quante parti consiste? La meditazione investe tutta la persona: la mente, il cuore, la volontà, tuttavia la mente e il cuore sono sempre investiti in ordine alla volontà.
La mente: dobbiamo scegliere l’argomento della meditazione. Gli argomenti della meditazione sono un numero incalcolabile: tutte le tesi di teologia, dogmatica, tutti i principi di morale che si studiano, ancora nella teologia pratica, tutta la liturgia, tutto può essere argomento di meditazione. Ci sono poi tutte le virtù, ci sono gli articoli delle Costituzioni e ci sono i doveri quotidiani. Tutto può formare oggetto di meditazione. In generale però non leggere molto, specialmente non essere lettore di molti libri. In generale attenervi a quelli che sono indicati dalla Casa generalizia. Il pane nostro, il pane di casa è sempre preparato in modo adatto alle necessità dell’Istituto, e quindi fa meglio. Possono esservi delle cose dottissime, ma ecco la confusione.
Avviene abbastanza, e va diffondendosi questo errore, che si è buone quando si sa. Dalla scienza alla santità passa un abisso. Una può sapere le definizioni di tutte le virtù e non praticarle. S. Francesco di Sales dice appunto questo: si sono veduti dei grandi teologi parlare con precisione e con abbondanza di virtù, raccomandarle, ma non le hanno praticate così bene. Mentre ci sono pie donne, e vi sono tante suorine, che non sanno tante cose e invece sono veramente piene di fede, sono umili, hanno veramente lo spirito di obbedienza, amano davvero il Signore. Queste sono sante! E quante volte siamo umiliati per dover comandare a delle persone che sappiamo
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essere molto più sante di noi. Tuttavia si deve adempiere anche per obbedienza questo ufficio di comandare. Ma quante volte dovremmo parlare e avvertire con molto riguardo e confessare nel nostro interno: E io sono così come insegno agli altri?. Specialmente quando si ha da dare qualche avvertimento, essere sempre moderati. In primo luogo vedere se c’è la buona volontà nella persona a cui si dà l’avviso, altrimenti irrita. Tuttavia vi sono casi in cui si deve dare l’avvertimento ugualmente per altre ragioni. Dunque, la prima parte della meditazione è l’esercizio dell’intelletto sugli argomenti che ho detto. Poi si possono scegliere i fatti della Scrittura, gli episodi della vita di nostro Signore, i fatti, gli episodi della vita di Maria, di S. Giuseppe, di S. Paolo. La prima parte, quindi, è un esercizio dell’intelligenza, della mente.
Nella seconda parte vi è il lavoro del cuore che consiste nel comprendere, e nel sentire, più ancora che comprendere, che l’umiltà è gradita a Dio, ci assicura le grazie del Signore, ci fa anche graditi agli uomini, ci porta maggior frutto nell’apostolato, che l’umiltà assicura giorni pieni di meriti.
Vi sono persone che camminano così, con la testa alta e hanno dei giorni che non sono del tutto pieni dei meriti. La fiamma è mescolata con molto fumo e allora la vita non è così piena di meriti. La nostra vita è fatta di giornate. Quindi sentire nel cuore quanto vale l’umiltà oppure un’altra virtù; quanto vale un articolo delle Costituzioni, la vita religiosa, la povertà, la castità, l’obbedienza, ecc. Sentire e ordinare il cuore. Intanto pregare per comprendere, perché il Signore ci infonda la sua luce, perché discenda nella nostra anima il desiderio della santità e della pratica di quella virtù, ancorché costi fatica, come sarebbe tante volte l’obbedienza. E poi sentire che così ci uniamo a Gesù, che la nostra vita, le nostre aspirazioni, i nostri desideri sono conformati a Gesù. E quindi la parte del cuore si diffonde soprattutto nella preghiera. Pregare per poi fare. Il Signore infonda in noi lo spirito di grazia, di santità e di preghiera. Lavorare con il cuore.
In terzo luogo la volontà: esame di coscienza se veramente abbiamo già fatto oppure abbiamo fatto soltanto in parte l’esame di coscienza; secondo, il dolore per le mancanze, per
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ciò che non è stato perfetto; terzo i propositi. I propositi per la giornata, perché la meditazione, in generale, è da fare al mattino. Quindi determinare in concreto e per le varie circostanze della giornata che cosa si debba fare, cosa vogliamo fare. Quindi, esercizio della mente, esercizio del sentimento, del cuore ed esercizio della volontà. Quanto a questo, bisogna che diciamo, che la meditazione bisogna farla, poi farla fare e insegnare a farla. Diffondere i libri di meditazione, quindi in sostanza predicarla.
Farla: si veda se al mattino si fa il sacrificio di raccogliersi e di escludere tutti gli altri pensieri per unirsi a Dio, per sentire la voce di Dio. Se si fa in cappella, in chiesa, tanto meglio, si sente di più che si parla con Gesù e si sente di più l’invito di Gesù alla santità. Allora resta una comunicazione intima con il Maestro divino. La Chiesa è il posto più adatto. È vero che qualche volta si dovrà fare anche magari in viaggio, ma non può essere cosa abituale. Non si pensi che sia tempo perduto quello della meditazione o che la meditazione debba considerarsi meno di altre opere, per esempio dell’apostolato. Facciamo bene la pietà, poi il Signore benedirà tutto. Farla, farla bene.
Al termine della meditazione si può usare anche un tempo abbastanza lungo per pregare per avere il dono della fortezza. Non arrivare soltanto alla fortezza virtù infusa, ma arrivare al dono dello Spirito Santo, al dono della fortezza. Se la persona non è tanto disposta oppure è travagliata da distrazioni può anche usare più della metà del tempo in preghiera. Già si ha presente il proposito che c’è sul libretto, il proposito fatto nell’ultima Confessione, allora si prega per avere grazia, forza per praticare il proposito. Però se ci abituiamo a meditare, diverrà sempre più facile. In principio occorre una certa energia al fine di riuscire a meditare bene. S. Caterina da Siena3 fra le grazie che chiedeva sempre c’era questa: Signore, insegnatemi a meditare.
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La meditazione è la preghiera mentale, mentre le orazioni sono la preghiera vocale. Chiedere questo dono di preghiera, il dono di saper far bene la meditazione. Ma non scoraggiarsi, perché non si riesce subito. Si arriverà! Vi può essere un certo tempo di tiepidezza, però la meditazione è proprio la pratica che ci scuote dalla tiepidezza. Tanto che si può dire così: S. Alfonso4 insegna che la meditazione non può stare con il peccato. O si lascia la meditazione e si commettono i peccati oppure si fa la meditazione e allora un bel giorno si va a confessarsi5. Questo che dice S. Alfonso riguarda il peccatore, ma applicato a noi: meditazione ben fatta e tiepidezza non stanno insieme. O si lascia la meditazione oppure si è soltanto presenti, ma in realtà non si fa, oppure finiamo con lo scuoterci, rinvigorire lo spirito e quindi arrivare al fervore.
Fare bene la meditazione, anche farla fare bene. E se vi sono persone che sono al principio della loro vita spirituale, aiutarle. Però, se si vuole tenere la meditazione in comune non trasformare la meditazione in un complesso di avvisi, non un avviso dopo l’altro. Questo distrugge. Gli avvisi avranno il loro tempo, per esempio, alla domenica. Ma anche allora, pochi avvisi. Sempre pochi, per non fare pesare la vita religiosa, e d’altra parte le cose che sono proprio necessarie e importanti, dirle.
Il canonico Chiesa usava questo metodo con noi: lungo la settimana non faceva mai, si può dire, nessuna correzione, ma riassumeva quello che aveva veduto nel taccuino e poi distingueva fra le cose importanti e le cose non importanti, fra quello che è mancanza di debolezza o di ignoranza e quello che invece è mancanza di abitudine o di malizia. E poi avvertiva brevemente, sempre mescolando le correzioni con ragioni soprannaturali, in maniera che era facile ricevere quello che ci diceva, facile da accettare e si capiva che quello che veniva detto era solamente nel nostro interesse.
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D’altra parte non sarebbe utile che si venisse a fare le conferenze domenicali soltanto con avvisi e con cose spirituali soltanto. La conferenza domenicale6 è per parlare di tutte le quattro parti, è per parlarne insieme: per lo spirito, lo studio, l’istruzione religiosa, l’istruzione civile se occorre, per parlare d’apostolato e per parlare della povertà. L’unione fra i membri della casa allora si stringe di più, e tutti, sentendosi interessati, prendono più parte alle gioie, alle pene e alle iniziative dell’apostolato, ecc., in maniera che la conferenza consolidi l’unione fra le persone.
Sebbene riguardo la diffusione dei libri di meditazione noi dobbiamo restringerci a pochi, l’istruzione è un’altra cosa. La meditazione è ciò che determina il nostro spirito. Noi dobbiamo restringerci a poche cose, ma teniamo sempre presenti le necessità delle varie categorie di persone: gli uomini adulti, i laureati, le bambine e gioventù cattolica, le madri di famiglia, i sacerdoti, i collegiali, ecc. Pensiamo a tutto e provvediamo, in quanto è possibile, a tutti.
Ecco, allora, la meditazione è ordinata alla fortezza, a rafforzare cioè la nostra volontà. E nella meditazione stiamo in umiltà, perché è il Signore che deve illuminare la mente, è il Signore che deve infondere la sua grazia nel cuore, è il Signore che suggerisce i buoni propositi e comunicare l’energia per la volontà. Stiamo umili e andiamo avanti con fede, molta fede. Vedremo i frutti, nelle singole case e nell’intera Congregazione.
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1 Meditazione tenuta a Roma il 6 aprile 1959 in occasione del corso di Esercizi spirituali alle superiore. Trascrizione da nastro: A6/an 63b = ac 108b. Stampata in trentaduesimo con altre tre meditazioni del medesimo corso di Esercizi.
2 Cf At 6,8: «Stefano intanto, pieno di grazia e di potenza…».
3 Caterina da Siena (1347-1380), terziaria domenicana. Operò per il ritorno del Papa da Avignone a Roma. La sua dottrina mistica è espressa nelle oltre trecento lettere e specialmente nel Dialogo sulla divina provvidenza. Papa Paolo VI la dichiarò Dottore della Chiesa nel 1970.
4 Alfonso Maria de’ Liguori (1696-1787), napoletano, vescovo, fondatore della Congregazione del Santissimo Redentore, Dottore della Chiesa. È autore di numerose opere di morale, di spiritualità e di celebri melodie natalizie.
5 Cf Alfonso Maria de’ Liguori, La vera sposa di Cristo, capitolo II, 7, Pia Società San Paolo, Alba 1928, pp. 28-29.
6 Cf med. 17, nota 3.