16. DOMENICA DOPO L’ASCENSIONE1
Nella Messa ricordare e suffragare la mamma del superiore don Lamera2 che ieri sera ha telefonato: Oggi alle tre la Regina è venuta dal cielo a prendersi mia mamma. Egli spera da voi preghiere di suffragio per la mamma e nello stesso tempo preghiere per la famiglia.
Quest’oggi si celebra la giornata al divino Maestro, quindi l’esposizione solenne, le adorazioni continuate, pregando sempre Gesù che ha promesso, salendo al cielo, di mandare lo Spirito Santo. Lo Spirito Santo infonda molta luce, sapienza nella nostra mente e il vero amore a Gesù, il vero desiderio del paradiso. E infonda in noi un coraggio, una volontà, una costanza sempre ferma in quello che è il compimento della volontà di Dio, e nei propositi.
Giornata che ha come fine particolare le vocazioni. Primo, che le vocazioni entrino negli Istituti di formazione; secondo, che accettino e corrispondano alle cure per la formazione; terzo, e ancora di più che i chiamati, le chiamate al servizio particolare di Dio e delle anime, compiano il loro ufficio, la missione loro affidata da Dio. La preghiera al Signore: Gesù, pastore eterno delle anime nostre, mandate buoni operai alla vostra messe. La quantità degli operai è sempre scarsa, e sempre più abbondante, invece, è la messe. La messe: «Alzate gli occhi, diceva il Maestro Gesù, guardate le messi biondeggianti: aspettano i mietitori»3. Oltre a questo, si può anche domandare che il Signore liberi sempre la sua Chiesa dai non chiamati, perché i non chiamati sarebbero infelici e, in conclusione, nel gregge vi sarebbero più lupi che non buoni pastori.
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Che cos’è la vocazione? La vocazione è la volontà di Dio che destina anime al suo servizio particolare, poiché il Padre celeste, come ha fissato un posto al sole, un posto alle stelle, ecc., così, creando, fissa e determina la strada che ognuno ha da seguire per giungere all’eterna salvezza. È lui, la sua volontà che determina. Non la nostra volontà, non sono i genitori che devono decidere sul destino dei loro figliuoli, non è il desiderio di trovare una vita comoda e onorata, no! «Nec quisquam sumit sibi honorem sed qui vocatur a Deo tamquam Aaron»4, nessuno si prenda, diciamo, quasi si rubi l’onore della vocazione, ma colui che viene chiamato da Dio: questi è chiamato. Non è poi che noi siamo liberi: conosciuta la volontà di Dio, quella è da compiersi. Non facendo distinzioni.
Il Signore Iddio ha creato tutto per la sua gloria; ha creato il mondo e l’uomo, perché l’uomo, un giorno in cielo desse a lui gloria. E l’uomo mentre in paradiso dà gloria a Dio, ha pure la sua gloria, la sua felicità in Dio. Un coro immenso di beati in cielo, ognuno deve rappresentare la sua parte in quel coro immenso di lodi. Si dice una Messa a quattro voci, si dice un Magnificat a otto voci, ma chi può enumerare le voci di quel coro celeste, eterno che sale a colui da cui tutto è stato fatto? Ora, se ognuno è destinato in cielo a fare una voce, a essere una parte di quel coro eterno, questo è per chi deve prepararsi seguendo e compiendo sulla terra una missione segnata da lui, da Dio. E allora arriverà proprio in quel posto e metterà quella voce, quel suono, quel canto che compie il coro celeste. Ma se una voce è stonata, Iddio non la mette, perché non è al suo posto, non si è preparato.
Il volere di Dio è da studiarsi in umiltà, in fede, in generosità. Quest’oggi avrei tante cose da ricordare, ma specialmente questo: la volontà di Dio. «Gesù passò la notte in preghiera, dice il Vangelo, al mattino chiamò le moltitudini che stavano per sentire la sua parola, e tra la moltitudine scelse i dodici: Elegit quos voluit, chiamò quelli che volle»5. Non quello che
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vuole la mamma, non quello che vuole la nonna, non quello che vogliamo noi, ma quello che vuole Iddio: quella è la nostra vocazione. E quando Pietro volle sostituire Giuda che aveva tradito la sua vocazione, domandò il consenso al popolo e propose che il popolo ne scegliesse due, poi pregò e fece pregare i presenti perché il Signore mostrasse quale dei due era destinato da lui a sostituire Giuda. E la scelta cadde su Mattia6.
Ecco il pensiero: la vocazione nasce da un cuore caldo, si forma in un cuore caldo, si mantiene in un cuore caldo, perché ha sempre bisogno di un clima caldo. Perciò in coloro che hanno pietà, che hanno spirito di fede, che mostrano tendenza alle cose del culto di Dio, che vanno volentieri ai sacramenti della Confessione e Comunione, che assistono volentieri alla Messa e alle altre funzioni, che pregano. \La vocazione/ è un fiore che ha bisogno di questo, di una buona temperatura elevata. Non è un fiore che nasce sui ghiacciai. Questo fiore si sviluppa mediante lo spirito di fede, la pietà viva e la generosità. Inoltre, questo fiore darà frutti secondo il fervore. Il fervore, cioè lo spirito di fede; la speranza ferma negli aiuti di Dio e nel premio, nel cielo; la carità nell’amore a Dio e nell’amore alle anime. Tutti devono amare il Signore, ma la vocazione è di colui che «ama Iddio con tutta la mente, con tutto il cuore, con tutte le forze, con tutta la volontà»7.
Certo, per la vocazione ci vogliono anche qualità naturali, specialmente per i nostri apostolati di redazione, di tecnica, di propaganda. Occorre una buona intelligenza, almeno mediocre, poiché l’intelligenza può mostrarsi negli studi intellettuali e può mostrarsi di più in ciò che riguarda la pratica della vita, in quello che riguarda la tecnica, la propaganda. Alcuni credono che la propaganda sia una vendita di libri. Certo si dà il libro, ma la propaganda è frutto di una fede viva, di un amore sincero e di intelligenza per conoscere quello che si dà e per conoscere a chi si dà. Ed è frutto di generosità, poiché tutto nell’apostolato richiede calore che si manifesta in questa generosità, in questa donazione.
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A volte basta in un gruppo di persone, in una casa che vi siano tre o quattro, anche due, e qualche volta uno, se il gruppo è piccolo, che abbassano il livello dei discorsi, del comportamento, dell’atteggiamento, della pietà, della puntualità, della generosità. Abbassa il livello! Il Signore si cerca i fiori scelti. Non si diano al Signore delle margherite appassite, dei gigli già sciupati, delle rose senza profumo. Al Signore si dia il meglio, e che questo meglio si mantenga, cresca, e il fiore divenga frutto. Vi sono delle piante da frutta, peschi, ciliege, ecc., che in primavera si caricano di fiori e, arrivata la stagione dei frutti, c’è quasi nulla o qualcosa soltanto di meschino. Forse per il gelo improvviso, giunto un po’ tardi, quando la pianta era già fiorita, forse per qualche malattia della pianta, forse anche perché è mancata alla pianta la sufficiente umidità, e i fiori non hanno dato frutti. Alcune vengono, si adattano in una vita di tranquillità, ma tranquillità oziosa, non la tranquillità in Dio: poco studio, poca preghiera, poca generosità, poco amore alla Congregazione, agli uffici, all’apostolato, tutto poco. Ed essendoci poco, il fiore non arriva a portare il frutto.
E allora? Allora occorre il fervore, sempre il fervore! Quando vedo che vi sono degli straordinari, contenuti in quella misura ragionevole, tuttavia si mostra generosità, prontezza, ecco il calore! Ecco l’amore di Dio intenso, l’amore a quell’apostolato. E se S. Paolo avesse seguito l’orario per la predicazione, che cosa sarebbe stata la sua vita? Anime piene di ardore, calde! Certamente nella vita si passano anche delle battaglie, perché la vita è una milizia, è un combattimento contro il male e nello stesso tempo un combattimento contro il nostro egoismo, la nostra comodità, il nostro orgoglio. Tutto questo per amare di più il Signore, per servirlo meglio. Che cosa se ne fa il Signore dei neghittosi? Non sono buoni per sé e non sono buoni per gli altri. Ci vuole fervore, ardore. Tante volte non si capiscono le cose, ma chi ha fervore e fede, le fa perché sono volontà di Dio. E compiendo la volontà di Dio, la luce verrà. La consolazione vi scenderà nel cuore, ci si troverà bene, contenti.
Ogni giorno ci si riempie di meriti e arrivati alla sera si fanno i conti nell’esame di coscienza: Oggi ho fatto questo, ho
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fatto quello per il Signore. Ne ho anche sbagliate. Se qualche male ho compiuto, Signore, perdonatemi! Se qualche bene ho fatto, accettatelo. E quel bene va nella cassa, nella cassa spirituale. Non abbiamo la cassaforte, ma c’è una cassa che è conservata dall’angelo custode. Ecco, ogni sera si mettono tesori in quella cassa. E quanti sono i giorni, altrettante sono le volte che si mettono meriti, perle preziose in quella cassa. Alla fine: «Vieni, servo buono e fedele, perché sei stato fedele in quel poco, ti costituirò sopra molto»8, cioè avrai una grande felicità, un premio proporzionato alle fatiche che hai compiuto, al lavoro che hai fatto. E doppio onore, doppio premio: il premio di chi ha fatto bene e il premio di chi ha insegnato il bene. Allora, calore, il calore spirituale.
Quanto poi alle vocazioni, dato lo scopo di questa giornata, ecco: domandare al Signore che tutti i chiamati entrino negli Istituti corrispondendo alla volontà di Dio, tutti. Ah, quante vocazioni si perdono! Fiori che appassiscono prima che arrivino a dare il frutto. Pregare il Signore che mandi buoni operai alla sua messe. Secondo, che vi siano le persone zelanti, intelligenti nella ricerca delle vocazioni che sappiano distinguere tra il chiamato e il non chiamato. S. Barnaba, era cugino di S. Paolo, pregando ad Antiochia e vedendo che i ministri di Dio in quella chiesa fiorente erano pochi pensò, e pensando si fermò con il suo pensiero sul cugino Paolo, e andò a chiamarlo, andò a prenderlo dov’era. E quale apostolo è diventato! La ricerca sapiente!
Questo non è un collegio, è un vocazionario. Chi vuole andare in collegio e fare studi civili, prenda altra strada. E neppure è un ricovero di fanciulli, di persone che non hanno aiuto: per questi ci sono altre case. La Casa, le Case di San Paolo sono soltanto case apostoliche, cioè case per formare gli apostoli. Sono soltanto vocazionari. Le opere di beneficenza si fanno in altro posto. Ognuno deve compiere la volontà di Dio. Poi vigilare sempre che tutti vivano il fervore. Fermarsi vuol dire marcire. L’acqua stagnante si riempie di insetti. Fervore, acqua in moto, camminare!
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Terzo, arrivati sul campo del lavoro non sedersi, ma mettere mano all’aratro e mai voltarsi indietro. Ognuno ha le sue tentazioni, e siccome i bocconi del diavolo sono i cibi eletti, i migliori, quanto più una vocazione è buona, tanto più va soggetta a tentazioni contrarie. Se c’è il fervore, la pietà, si esce vittoriosi. A volte basta una di queste vittorie per stabilire un’anima in Dio e nell’apostolato, da cui poi non recede più. Nella vita vi sono dei passi che sono decisivi e in questi passi decisivi tutto verrà superato con la fede, la pietà, il consiglio di chi guida e la fermezza di carattere unita all’orazione.
Sia dunque piena di fervore la giornata di oggi e porti tante consolazioni a ognuno di noi. Porti tanti frutti di gloria a Dio e porti tanto bene agli uomini, questi uomini che vivono ancora nelle tenebre, che brancicano nel buio, che sono preda delle passioni, sono tutti attaccati alla terra mentre il Signore li ha fatti per il cielo. «Ut quid diligitis vanitatem?»9. Perché guardate sempre la terra? Alzate gli occhi al cielo. Ma Iddio ha bisogno degli uomini, perché se adesso vorrete fare la Comunione, Iddio ha bisogno che il prete vi porti l’Ostia. Dio ha bisogno degli uomini, cioè degli apostoli.
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1 Meditazione tenuta alla Famiglia Paolina a Roma, nella cripta del Santuario Maria Regina degli Apostoli il 10 maggio 1959. Trascrizione da nastro: A6/ an 65b = ac 112a.
2 Lamera Stefano Atanasio (1912-1997), sacerdote della Società San Paolo. In quel tempo aveva l’incarico di Postulatore generale ed era superiore del vocazionario di Roma.
3 Cf Mt 9,37-38.
4 Cf Eb 5,4: «Nessuno attribuisce a se stesso questo onore, se non chi è chiamato da Dio, come Aronne».
5 Cf Lc 6,12-13.
6 Cf At 1,26.
7 Cf Mt 22,37.
8 Cf Mt 25,21.
9 Cf Sal 4,3: “Fino a quando... amerete cose vane?”.