26. L’ANNO DI PASTORALE1
Voglio parlare di questo, in due parole: come il vostro studio deve diventare pratico, e quindi l’insegnamento e poi la corrispondenza, la reazione all’insegnamento. Vedete, vi sono due studi da fare: primo, la materia che si ha da dare alle anime e, secondo, la via per farla arrivare alle anime. Quindi c’è uno studio delle materie scolastiche e c’è uno studio da fare sulle persone a cui noi dobbiamo comunicare quello che abbiamo a suo tempo appreso.
In questo, il Piemonte ha sempre preceduto le altre regioni d’Italia, e quindi si è messo non solo un anno, ma due anni di pastorale nei seminari piemontesi, specialmente Torino, Alba e quelli che, in generale, erano in relazione con Torino, con Novara e Vercelli. E cioè, fatti per quattro anni gli studi teologici, si aggiungevano due anni di studi pratici. Questi erano sulla morale in particolare, e poi sulle norme per comunicare alle anime, per mezzo della predicazione, del confessionale e di tutto il ministero, comunicare la dottrina, la morale, la pietà, la liturgia. Sempre, cioè, far entrare ciò che è dogma, morale e culto, perché non rimanga una ricchezza soltanto per il sacerdote quello che viene dato dai superiori ai giovani chierici, ai seminaristi, ma sia una ricchezza che dopo viene comunicata come dice S. Paolo: «Predica e spiegati, specialmente con quelli che poi a loro volta, dovranno comunicare la verità che tu hai appreso»2. In maniera che si continui la tradizione e cioè passi da una generazione all’altra l’insegnamento del Vangelo.
Quindi, che cosa è la pastorale? La pastorale è la scienza che insegna a comunicare alle anime quello che si è appreso. Come c’è nella medicina lo studio teorico e si fanno gli anni di esperimenti, e si fanno i tirocini dagli avvocati, dai medici, dai
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maestri e da tutti quelli che hanno delle responsabilità sociali in generale, esercizi pratici.
L’anno di pastorale o gli anni di pastorale, hanno tre fini. L’ha detto espressamente il Papa che gli esperimenti fatti in alcune diocesi, particolarmente del nord, avevano dato buon risultato e quindi questa usanza si estendeva a tutta la Chiesa: che i sacerdoti novelli, non entrassero subito nel ministero, ma fossero addestrati secondo la Sedes Sapientiae3 la quale dice che la pastorale ha tre fini.
Primo: i novelli sacerdoti, dopo che hanno imparato le virtù individuali, imparino le virtù sociali e le virtù sacerdotali. Le virtù religiose individuali e le virtù religiose sacerdotali prima erano per noi religiosi. E questo è il primo fine. Vi è sempre la necessità di passare gradatamente dalla vita individuale, che si può dire singolare, alla vita sociale, alla vita del ministero. Le virtù sono sempre le stesse, ma l’applicazione è diversa, perché il raccoglimento è sempre lo stesso, ma prima il raccoglimento era più facile, perché il chierico doveva attendere solamente a se stesso, dopo deve conservare il raccoglimento pure nella quantità di comunicazioni, di relazioni con il ministero. Questo è il primo fine.
Il secondo fine è studiare le materie pratiche, quindi quelle che insegnano a dare la verità, ossia particolarmente la predicazione e il catechismo. Inoltre oggi usare gli altri mezzi moderni per la comunicazione del pensiero. Poi dare quello che comunica la vita alle anime: amministrare i sacramenti, particolarmente la Comunione, ancora di più la Confessione. Infine dare ciò che è la morale cristiana, e che riguarda tutto il modo di educare la gioventù e il popolo cristiano a una vita veramente conformata al Vangelo. E dopo questi tre compiti vi è anche un maggior bisogno di preghiera per entrare definitivamente nell’apostolato del sacerdote.
Ora, a voi che cosa si deve dire? Che non avete l’anno di pastorale, ma si suppone che facciate, durante gli studi, quello che i sacerdoti novelli devono fare dopo l’ordinazione sacerdo-
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tale. È sempre poco, tanto che adesso già si vuole arrivare più in su, e cioè invece di un anno, dare già la possibilità di fare due anni, particolarmente per quelli che dopo dovranno studiare e insegnare la pastorale agli altri. Ecco per voi è questo: quando si studia, quello che si fa in classe è solamente la metà, e quindi molte scuole devono essere completate con la pratica.
Riguardo alle virtù, che è il primo fine della scuola di pastorale, esercitarle già quando si fa propaganda, e si va nelle case e si fa l’apostolato pratico. È chiaro: altro è la suora che vive in comunità e quindi non si trova a contatto con tanti pericoli ed è condotta ora per ora dal regolamento, dall’orario. E altro invece è la vita della suora che viene mandata in una libreria, in un’agenzia del cinema, viene mandata nella propaganda singolare o collettiva. Bisogna allora che si fortifichino le virtù. E coloro che devono prepararsi a questo apostolato hanno bisogno di essere un po’ assistite quando escono, quando entrano in contatto con le persone, con i fedeli, quando entrano, si può dire, in ogni ambiente.
Qualche volta si incontrano anche con ambienti mondani. E allora educare le scolare ad essere migliori delle altre, perché andranno incontro a delle circostanze e a dei pericoli. Tanto più poi se si trovano in una casa dove la vita religiosa è vissuta un po’ tiepidamente, perché i pericoli esterni hanno la loro forza, ma i pericoli interni a volte hanno più forza su un’anima, su un cuore, e quindi vengono quelle debolezze, e magari quella tiepidezza fino a giungere alla noia, al disgusto della vita religiosa e quindi allo scontento. Vedere che si arrivi alle virtù sociali.
Poi, quanto all’insegnamento, bisognerà fare qualcosa di pratica4, perché veramente la scuola sia utile. Molte sono le
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qualità, molti sono gli studi fatti, molte cose si sanno, ma non ugualmente si comunicano queste cose che si sono apprese e restano tanti talenti improduttivi. Attualmente questo è ciò che mi pare più necessario dire: troppi talenti improduttivi. Si possiedono molti talenti, si sanno molte cose, tuttavia se noi non sappiamo come usare questi talenti, restiamo lì incerti e non si trovano le vie di comunicazione. Bisogna essere vasi comunicanti con il popolo, cioè che comunicano la dottrina di Gesù Cristo e la comunicano efficacemente. Comunicano i pensieri di vita, quello che è necessario per la salute delle anime.
Che cosa si dovrà fare? In ogni scuola, dopo la spiegazione, si può aggiungere ciò che riguarda il modo di insegnare e di comunicare. Si capisce, qui si tratta di ciò che è sacro, che riguarda l’insegnamento della morale, del dogma e del culto. Non che uno debba comunicare, debba insegnare la lingua italiana o la lingua inglese, no. Ma parliamo di ciò che è proprio del ministero, perché bisogna capire che noi siamo Figlie di San Paolo. Che cosa ha comunicato S. Paolo al mondo? Tutta la vita deve consumarsi lì. Dopo che S. Paolo ha fatto i suoi tre o quattro anni di noviziato, se vogliamo chiamarlo così, di meditazione, di penitenza, di preghiera, come ha operato? Tutto ha utilizzato, tutto ha cercato di comunicare e in tutti gli ambienti. Quindi, mi pare che si debba fare questo lavoro: rendere facile ed esigere che un poco si arrivi a comunicare, a comunicare bene, con buoni esercizi. In parte lo fate già, e in parte può essere ancora migliorato.
Supponiamo in Italia: con dieci persone che fanno l’opera catechistica, in due anni il catechismo dovrebbe entrare dappertutto. Il nostro catechismo dovrebbe entrare dappertutto. Ci vogliono tante industrie: bisogna scrivere, bisogna muoversi... Sì, bisogna proprio arrivare e non darsi pace. E allora muoiono da sé certe cose che disturbano la persona stessa oppure disturbano anche le altre persone che sono attorno. Così è un po’ nelle altre parti. Inventare molti mezzi per comunicare. Quindi la redazione deve avere la sua parte; l’insegnamento della redazione deve avere la sua parte. Poi la sua parte deve averla la propaganda, la deve avere la diffusione. Deve esserci un certo insegnamento generale e possibilmente anche esercizi pratici.
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Ma questi già li fate fare alle studenti, se le mandate un poco a lavorare durante i periodi di vacanza.
Ora, precisamente cosa dovete fare? Questo dipende dalle Maestre, da chi guida. Ma questo è il principio: o si aggiunge qualche tempo per la parte pratica oppure si fanno le lezioni in maniera che si possa subito arrivare alla redazione e alla diffusione, ai modi di redazione e di diffusione. Certamente adesso le Figlie di San Paolo sono chiamate per conferenze, per giornate e settimane catechistiche, sono chiamate per parlare del cinema, ecc. Questo è tutto buono. Se si aggiunge questa parte pratica allo studio che avete, il vostro risultato crescerà ancora e sarete sempre più soddisfatte.
Vedete, la Società San Paolo ha pubblicato il primo libro di pastorale in Italia5. Fino allora non c’era nulla di stampato, eccetto la traduzione del Krieg6, che era in tedesco. Il nostro apostolato è tutto di carattere pastorale. C’è nelle Costituzioni7. D’altra parte il periodico Vita Pastorale8 è proprio uscito, forse il primo, anzi senza dubbio il primo, prima ancora che vi fosse l’Istituto già si pubblicava ed è sempre vissuto. Ed è proprio così che dobbiamo fare il ministero pastorale.
Da notare anche ciò che è detto molte volte anche nelle predicazioni: Non uno studio teorico, ma uno studio pratico che frutti per le anime. In questo non dovreste lasciarvi precedere, perché già si parla dell’anno pastorale per le suore. Que-
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sto dipende certamente dai vari Istituti che ci sono. Ma per voi vi è qualcosa di più che pastorale. Quelli che si preparano a fare scuola hanno il loro tirocinio, il loro insegnamento per arrivare a fare scuola convenientemente. Qui ci vuole la scuola di apostolato che in parte avete già. Forse bisognerà arrivare maggiormente alla pratica.
Ci sono anche poche lezioni sull’apostolato mariano, ma voi lo fate nelle mostre mariane. Così vi è l’apostolato che si deve fare nelle carceri, tra i soldati, negli ospedali psichiatrici e negli ospedali in generale, e anche alcune lezioni, non solo una lezione, circa i criteri pastorali per la costruzione delle chiese. Anche le chiese devono rappresentare Gesù Cristo Via, Verità e Vita, essere cioè adatte a comunicare alle anime i beni che il Salvatore è venuto a portare dal cielo. Fino al Concilio di Trento9, particolarmente dominava l’arte. Si guardava la forma, l’arte soprattutto, e questa nei vari stili. Dal secolo VIII fino al secolo XVI, l’arte dominava, e non importava molto se la chiesa era adatta al popolo. Doveva essere bella, in primo luogo. Il Concilio di Trento ha richiamato a tutti il concetto della chiesa basilicale, cioè con pianta basilicale o non proprio basilicale, in maniera che anzitutto, fosse facile la predicazione, e perciò come in un solo vano, dal pulpito e dall’altare, si potessero vedere tutti e parlare a tutti. La chiesa come un solo vano, e cappelle poco profonde che non avessero un’importanza singolare, quindi adatta a dare la verità. Tanto più che dal Concilio di Trento la Chiesa si è trovata a dovere combattere contro l’eresia. E allora doveva dare maggiore istruzione al popolo, perché i protestanti continuavano a predicare. E se non diamo noi l’istruzione i fedeli restano presi al primo incontro.
In secondo luogo, poi, la Chiesa deve comunicare la vita alle anime. Quindi chiese dove i fedeli siano tutti obbligati a guardare l’altare maggiore, da dove viene la vita, dove si fa il sacrificio, si rinnova il sacrificio del Calvario, dove si distribuisce la Comunione. I confessionali siano messi in mostra
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di nuovo, in evidenza, e così il battistero, in maniera che sia rappresentato Gesù Cristo Vita e Gesù Cristo Via per le anime.
Quindi possibilmente non ci siano navate da dove non si vede l’altare maggiore o che ci siano troppe cappelle che siano rifugio delle piccole divozioni, ma ci sia il vano grande, la chiesa sala come veniva chiamata sovente nel secolo XVII, dove i fedeli si sentano uniti, si sentano il corpo sociale, religioso, cristiano e quindi edificati l’uno con l’altro, tutti insieme oranti, in maniera che si formi una nuova educazione: il cristianesimo integrale, sociale. In ciò si è fatto un grande progresso. Ma se il Concilio di Trento ha indicato la chiesa pastorale, non è che subito si sia seguito. L’arte vuole ancora quasi imporsi più della pastorale. Invece l’arte deve servire alla pastorale e non imporsi, e che il resto sia sacrificato.
I Gesuiti sono stati i primi ad assecondare il pensiero del Concilio di Trento. La Chiesa del Gesù10 è sempre stata citata come la chiesa modello per la vita pastorale, per mostrare come l’edificazione delle chiese deve rappresentare Gesù Cristo Via, Verità e Vita. È una grande sala. Poi si è incominciato a introdurre delle cappelle, ma questo non è il concetto vero della chiesa. Il concetto vero della chiesa è che non ci siano delle chiesuole, cioè delle devozioni particolari, dei personalismi, ma che si viva il cristianesimo nella sua essenza, nella sua sostanza. La pastorale arriva fino lì.
Vedete, quanto si insiste nell’anno di pastorale per la Chiesa, i catechismi, le scuole, le associazioni, le parrocchie. Come dev’essere svolto il culto liturgico. E ancora come si devono formare i fedeli così che sentano che sono un corpo sociale, parte del corpo mistico innestato in Gesù Cristo che è il capo di questo corpo, e ognuno è un membro e tutti siamo membri in Cristo.
Ora questo è solo per dire come oggi si tende alla pratica. Tempo fa si guardava molto alla letteratura, soprattutto, in so-
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stanza, si era più schiavi dell’arte. Oggi invece deve dominare l’utile, e l’arte è un mezzo per far entrare ciò che è utile, l’arte deve essere come al servizio. Non che s’imponga al servizio.
Adesso basta, no? Il resto lo fate voi. Avete qualche cosa da dire? Molto lo fate già. Fate degli esercizi?
Per la rinnovazione del catechismo si sono fatte molte proposte di catechismi e, appunto, sono molto più indirizzate alla pratica.
Ci sono due proposte: una proposta, suppone millecinquanta domande e dà alla vita di Gesù uno svolgimento abbastanza importante. Mentre l’altra proposta è di aggiornare il Catechismo di Pio X11 e avrebbe soltanto circa la metà di domande. Dipende molto anche dalle nazioni, ma il catechismo che si vuole introdurre, che si vuole rinnovare si rivolge soltanto alla nazione italiana, quanto alle altre nazioni il catechismo rimane quello che c’è.
I Vescovi sono giudici se rinnovare il catechismo che adoperano oppure conservarlo ancora qualche anno o scegliere quello che verrà da Roma. In ogni modo, in ogni nazione vi sono bisogni speciali.
12…Diciamo Bibbia e catechismo: la Bibbia annotata con il catechismo. La parola non è del tutto chiara, si vorrebbe dire: la Bibbia annotata con i principi di verità, e così la morale e la liturgia. Sarebbe così, vero? Ora, con questa lettura della Bibbia e i commenti biblici, si va più incontro a quello. 13 Da una quindicina di anni hanno dominato particolarmente i commenti scientifici. Ma ci vogliono tutti e due: la Bibbia scientifica, critica, e la Bibbia popolare. Oggi i protestanti lavorano. Si appoggiano sulla Scrittura per fare entrare i loro errori, noi dobbiamo appoggiarci sulla Scrittura per fare entrare le nostre verità. Quindi, da un fatto storico, da un discorso di Gesù, ecc.
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mostrare come da lì dipende l’insegnamento morale e dogmatico della Chiesa e la pratica liturgica.
Quindi, questo convegno: Bibbia e catechismo, la Bibbia e la catechesi che in questi giorni si sta svolgendo a Bologna. È già passato14? È già finito, va bene così. In sostanza, ad esempio questo è il modo di insegnare la Scrittura con la pratica. Prima, quando noi siamo entrati \a lavorare nella catechesi/15, \nella Chiesa/ si sono messi un po’ con gli occhi aperti16, sembrava fosse una stranezza, invece adesso cominciano a vedere che bisogna fare così: alla Scrittura unire la Tradizione, cioè l’insegnamento dogmatico, morale, liturgico della Chiesa. Così studiando la Scrittura venire già a questa pratica, cioè mostrare le verità che ci sono insegnate dalla Chiesa, ma prese dalla fonte principale che è la Scrittura. E poi la fonte della Scrittura unita alla fonte della Tradizione.
Sì, va bene. Certamente il lavoro che fate è molto importante adesso e si sente che ce n’è bisogno. E come siete state le prime suore che si sono messe a studiare teologia17 proprio di proposito e in modo regolare, così adesso siate anche le prime suore che introducono questo modo pratico di utilizzare l’insegnamento. Noi lo chiamiamo pastorale, da Bonus pastor. Il nome pastorale ha un significato molto largo.
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E così va bene. Non è una cosa nuova quel che ho detto, ma \l’ho detto/ perché vi sentiate sicure camminando in questa direzione. E camminare sempre più abbondantemente. Certo, il corso di studi potrebbe essere più lungo, ma anche al Regina mundi18 fanno solo tre anni di teologia e, in generale, danno subito le cose più pratiche e non si perdono in discussioni non necessarie.
Credo che fino ad oggi si è lavorato di più per studiare, e non parlo di noi. Ma da due secoli a venire, fino agli ultimi decenni, si è stati molto più impegnati a far studiare che al modo di comunicare. A noi un medico che abbia solo studiato non ci basta, vogliamo che ci guarisca, no?
Va bene. Avete la grazia di studiare in casa senza dover uscire, e quindi non ci sono tante distrazioni, e così fate molto più profitto. Altrimenti, se si va fuori, si perdono ore per strada e anche le ore di scuola sono come sono.
Da quel che sento dire, le scuole sono ben fatte, solo questa parte è da aggiungere più di tutto19: applicare la pratica allo studio.
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1 Conferenza alle insegnanti tenuta a Roma il 13 ottobre 1959. Trascrizione da nastro: A6/an 70a = ac 120b.
2 Cf Tt 2,1.15; 2Tm 2,2.
3 Cf Pio XII, Costituzione Apostolica Sedes sapientiae, 31 maggio 1956, AAS 48 (1956).
4 Fino a questo momento le suore studenti studiavano la mattina e al pomeriggio andavano in apostolato (tipografia, spedizione,…). Oltre a questo, in modo sporadico, frequente ma non ordinato venivano mandate a fare conferenze a diverse categorie di persone, settimane del Vangelo, catechistiche o mariane, ecc. Dopo questo colloquio del Fondatore con le insegnanti, Maestra Ignazia Balla, allora Vicaria generale e Consigliera per gli studi, progettò l’anno di esperienza e successivamente il Corso pedagogico. Cf Giovannina Boffa, Gli studi e la redazione nella storia delle Figlie di San Paolo in Italia 1915-1971, Figlie di San Paolo, Roma 2011, pp. 175-180.
5 Cf Giacomo Alberione, Appunti di teologia pastorale (ATP), Edizioni San Paolo, Cinisello Balsamo (MI) 2002. La prima edizione fu pubblicata nel 1915 da Pietro Marietti Editore.
6 Cf Cornelio Krieg, Scienza Pastorale, Teologia Pastorale, in 4 libri, versione autorizzata sulla edizione tedesca per l’arciprete A. Boni, Marietti, Torino. In realtà l’opera è rimasta incompiuta per la morte dell’autore. È stato pubblicato il I vol.: Cura d’anime speciale (ed. tedesca 1904), Marietti, Torino 1913; II vol.: Catechetica, ossia scienza del catecumenato ecclesiastico (ed. tedesca 1907), Marietti, Torino 1915; III vol.: Omiletica o scienza dell’evangelizzazione della parola di Dio, di cui l’autore ha lasciato il manoscritto, pubblicato postumo. In Italia apparve nel 1920. Cf ATP, p. 30, nota 56.
7 Cf Cost’53 artt. 2, 250, 258-298.
8 Vita pastorale, periodico paolino per la pratica del ministero sacerdotale, pubblicato dal 1916, diretto da Don Alberione. Negli anni precedenti “Vita pastorale era solo un bollettino-catalogo che usciva a intervalli irregolari” (cf Damino Andrea, Bibliografia di Don Giacomo Alberione, EASG, Roma 1994, p. 232). Di questi bollettini precedenti al 1916 finora non si è trovata traccia nei diversi archivi diocesani e di congregazione consultati.
9 Il Concilio di Trento fu il XIX concilio ecumenico riunito per discutere argomenti riguardanti la vita della Chiesa cattolica. L’apertura del Concilio indetto da papa Paolo III nel 1545, fu chiuso dopo numerose interruzioni, nel 1563 da papa Pio IV.
10 Nel 1551 S. Ignazio di Loyola (1491-1556) commissionò all’architetto fiorentino Nanni di Baccio Biggio (?-1568ca.) il disegno di una Chiesa per la Compagnia di Gesù a Roma. La costruzione della chiesa iniziò nel 1568 e fu conclusa, dopo alcune riprogettazioni, nel 1575. Fu consacrata il 25 novembre 1584. La Chiesa del Gesù è considerata una svolta importante nella storia dell’arte, perché fu costruita secondo lo spirito dei decreti del Concilio di Trento, progettata a navata unica, perché l’attenzione dei fedeli fosse concentrata sull’altare e sul celebrante.
11 Il Catechismo di Pio X, detto più comunemente Catechismo di San Pio X. Il titolo originario era Compendio della dottrina cristiana, conosciuto come Catechismo Maggiore. L’edizione del 1905 si presentava con 993 domande e relative risposte. Nella riedizione del 1912 si presenta con il titolo Catechismo della dottrina cristiana, e le domande con risposte furono ridotte a 433.
12 Dialogo con l’assemblea. Interruzione cassetta.
13 Nell’originale: “Dominavano, adesso per parecchi anni, più i commenti scientifici; o da adesso, una quindicina di anni particolarmente, hanno dominato”.
14 Dialogo con l’assemblea.
15 Don Alberione fa riferimento al metodo catechistico condiviso e sperimentato nella commissione catechistica della diocesi ad Alba durante i primi decenni del 1900. Di questa commissione facevano parte il canonico Francesco Chiesa (1874-1946), che nel 1913 diventò parroco di SS. Cosma e Damiano in Alba, Don Giacomo Alberione, che nel 1914 fu esonerato per attendere alle sue fondazioni, e il canonico Giuseppe Priero (1880-1966) che portò avanti l’opera pubblicando in cinque volumi la Dottrina cristiana. A partire dal 1952 Don Alberione comunicò alle Figlie di San Paolo la caratteristica fondamentale: “Un catechismo basato sulla Sacra Scrittura e vissuto nella Sacra liturgia” perché diventasse loro metodo per la redazione dei catechismi. Cf Giuseppe Barbero, Il sacerdote Giacomo Alberione. Un uomo-un’idea, Società San Paolo, Roma 1991, pp. 131.181-183. Vedi anche: Giovannina Boffa, Gli studi e la redazione nella storia delle Figlie di San Paolo in Italia 1915-1971, Figlie di San Paolo, Roma 2011, pp. 216-218.
16 Cioè: Ci hanno guardato con titubanza.
17 Un primo corso di studi superiori si ebbe nel 1932-1933. Il corso regolare ebbe inizio nel 1934. Nel 1936, con il trasferimento a Roma della Casa generalizia e dello studentato, il corso continuò per un biennio con l’approfondimento di materie teologiche. Cf Giovannina Boffa, o.c., pp. 108-112 e 119-121ss.
18 L’Istituto Regina Mundi, con sede a Roma, fu eretto nell’Anno Mariano 1954, con lo scopo di offrire alle religiose la formazione spirituale e teologica. L’Istituto ha cessato la sua attività nel giugno 2005.
19 Frase incomprensibile. Registrazione interrotta.