Beato Giacomo Alberione

Opera Omnia

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15. L’INFINITA PROVVIDENZA DI DIO1

Questa mattina adoriamo la provvidenza di Dio, provvidenza che riguarda le cose spirituali e le cose materiali. Provvidenza che tutto dirige alla gloria di Dio stesso e alla nostra salvezza e santificazione. Tutto Iddio dispone, tutto in numero, peso, misura. Noi sappiamo che Iddio è provvido, perché è sapienza infinita e, nello stesso tempo, è bontà infinita ed anche onnipotenza infinita. Egli, creando il mondo, si è proposto un fine e ordina tutto al fine. Creando ogni anima si propone un fine per quell’anima e ordina tutto al fine di quell’anima, cioè alla sua salvezza e alla sua santificazione.
Il Signore ha cura tanto del mondo, dell’umanità in generale, quanto ha cura di ognuno di noi. Egli è onnipotente e, diciamo, non prova nessuna fatica a creare il sole, la terra e gli astri, come non trova nessuna fatica a creare anche la formica: per lui è tutto uguale. La sua potenza è infinita. Sempre dobbiamo ricordare che egli estende la sua cura ad ogni creatura, anche minima. E sarebbe un grave male, una bestemmia, dire: Il Signore si è dimenticato di me. Il Signore non mi ascolta, è un errore. Il Signore ascolta tutti. Il Signore non dimentica l’uccellino che stamattina anche lui ha da fare colazione.
«Può forse, dice il Signore nella Scrittura, può forse una madre dimenticare il figlio oppure abbandonarlo? E se anche una madre arrivasse a quest’estremo di dimenticare il figlio, di abbandonarlo, di abbandonare il bambino, io non mi dimenticherò di nessuno di voi, non abbandonerò nessuno di voi»2.
Il Vangelo si esprime così: «Vedete gli uccelli dell’aria, i quali non hanno nessun granaio, noi diremmo adesso: non hanno nessun fornaio, eppure il Padre celeste pensa a tutti. E se il Padre celeste pensa a nutrire gli uccellini, quanto più pensa a
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nutrire voi che siete più degli uccelli»3. Vedete che espressioni ha il Signore: «Non cadrà un capello dal vostro capo senza che Iddio lo voglia»4, senza l’intervento di Dio, senza cioè che lo voglia direttamente o che lo permetta. Ma anche quando permette una cosa, ordina tutto al bene nostro. Un capello è così poco, eppure il Signore segue anche quello: la caduta di un capello. Il Signore dice ancora: «Guardate i gigli del campo: essi non pensano a farsi l’abito e non pensano a vestirsi di colori vari, eppure il Padre celeste ne ha cura e neppure Salomone, nella sua sapienza, ha trovato dei colori così belli come il Padre celeste ha usato, adoperato attorno ai gigli»5.
Dunque questo è il Signore. Queste similitudini il Signore le ha portate perché noi comprendessimo ancora qualcosa di più, cioè la cura che egli ha per la nostra anima, per ciascuno di noi. Non pensiamo, perché siamo due miliardi e settecento milioni di uomini viventi, che egli ne dimentichi uno o che ricordi soltanto quelli che sono in alto, in autorità, al governo, quelli che sono più dotti, che sono più ricchi, quelli che si distinguono per qualche dote o per la loro posizione. Non dimentica il bambinetto, non dimentica la vecchierella, non dimentica nessuno di quelli che gemono magari in carcere, nessuno dimentica, anche se un’anima del purgatorio è dimenticata da tutti, il Signore ci pensa, non la dimentica.
Oh, conoscessimo il cuore del Padre celeste! Quando il Signore crea un’anima la infonde nel corpo, a questa nuova persona vivente dà un fine, una missione. Come non ci sono due foglie precisamente uguali, così non ci sono due anime precisamente uguali. Il Signore vuole che ogni anima compia una missione, perché in cielo, nel complesso del coro di lodi che sale alla Trinità, ciascuno canti la sua parte, compia la sua parte di glorificazione di Dio. Vi è un complesso, diciamo indefinito, per non dire infinito, di variazioni fra creatura e creatura, e vi sarà una variazione di voci, di sentimenti, di espressioni e di modi, una variazione quasi infinita in cielo. Gli angeli sono
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tanti, tanti non vuol dire che siano uguali, ognuno ha una sua proprietà e ognuno ha il suo compito in paradiso.
Quando il Signore crea un’anima, le assegna una strada, le assegna dei doni particolari. Poi circonda quest’anima di circostanze e di aiuti esterni ed interni che vengono da lui direttamente o attraverso altre persone, perché essa cammini nella via di Dio e si faccia santa, si salvi in una certa maniera. Nessuna persona è precisamente uguale all’altra, anche quando sembra che siano uguali, perché sono della stessa famiglia, fratelli e sorelle, e sembra che conducano la stessa vita, perché sono dello stesso istituto religioso. E magari vivono assieme, nello stesso ufficio e compiono le medesime cose, hanno il medesimo orario, e sembra che all’esterno abbiano una regolarità sempre uguale.
Se noi potessimo penetrare la diversità che vi è tra anima e anima, conosceremmo la sapienza infinita di Dio e la sua provvidenza infinita. Vedete, poco fa hanno cantato un Magnificat a otto voci, e non l’avevo mai udito a otto voci. Ogni voce segue la sua parte, compie la sua parte. Così in cielo vi è un coro non di otto voci, ma di miliardi e miliardi di voci: angeli e santi e anime che hanno meritato sulla terra il loro paradiso, ciascuna eleva la sua voce a Dio.
Per conseguenza, se poi ognuno in paradiso deve compiere un ufficio, sulla terra il Signore la ordina, la prepara con una particolarità di occasioni, mettendola nell’occasione di farsi meriti propri, distinti dalle altre anime. A questa corrisponderà una gloria distinta, particolare. Vedremo insieme qualche cosa di meraviglioso, come Iddio è stato provvidente. Tutte le cose che ci succedono, non sono a caso. Il caso è nella bocca e nel pensiero degli stolti, indica la nostra ignoranza. Innanzi a Dio tutto è guidato con infinita sapienza, sapienza infinita che si estenderà fino alle cose più ordinarie della nostra giornata. Lo stato spirituale, le ispirazioni che dà, i richiami che ci fa sentire, le malattie stesse, le tentazioni a cui siamo soggetti, tutto è ordinato alla santificazione precisa di quell’anima.
A volte vi sono cose che ci sembrano misteri: Ma io non capisco più niente. Capisci solo questo: Iddio ti vuol bene e ti guida. Noi dobbiamo corrispondere alla provvidenza di Dio
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con docilità e sapienza. Sapienza, perché conosciamo che Iddio è infinito nella sua sapienza, e tutto dispone a nostro vantaggio. Avere questa sapienza di credere alla Sapienza che ci guida.
Secondo, avere la docilità di abbandonarci nelle mani del Padre celeste, la docilità nostra in tutto ciò che Dio dispone. A volte sembra che una cosa sia proprio successa contro di noi, sembra che in quel giorno abbiano disposto in maniera diversa da quello che volevamo, ci sembra di non essere capiti. Un giorno forse ci sembra di avere entusiasmo, di essere pieni di fervore, e un altro giorno ci sembra di essere accasciati. Anche se ci sembra che il Signore ci ha lasciato cadere in qualche fallo che non viene poi utilizzato dalla provvidenza, egli ricaverà sempre il bene dal male. E anche quando permette il male, lo permette e ricava il bene, tutto ordina alla sua gloria eterna.
Ecco allora due conseguenze: prima, essere riconoscenti alla provvidenza di Dio per tutto, per i benefici di oggi. Come non essere riconoscenti, per esempio, di aver sempre la Messa, di poter sempre fare la Comunione, di poter avere quelle cure che sono necessarie alla salute, e il pane quotidiano? Come non essere riconoscenti? Allora la parola che deve risuonare più spesso sul nostro labbro: Deo gratias6! E delle cose che a volte ci sembrano proprio tutte contrarie ai nostri pensieri e ai nostri progetti: Eh, ma i miei progetti erano pur buoni. Volevo una cosa, ma mi hanno mandata in una casa dove stanno male e non so se mi farò dei meriti. Se non vuoi fartene, là avrai le grazie necessarie per farti i meriti. Tutto dispone il Signore: se ti mettono in quel letto, se ti portano quella sedia, se quest’oggi portano quel cibo diverso dal nostro gusto, ecc. Pensare invece alle cure minutissime, sapientissime, amorosissime che il Signore ha per ciascuna di noi per lo spirito, per la santificazione.
Non capita a caso che un giorno abbiamo un libro e, apertolo, troviamo una sentenza che forse fa per noi. Forse, e senza forse, perché in qualche maniera possiamo utilizzarla. Allora, riconoscenza. Essere persone che sempre ringraziano o persone che spesso si lamentano? E allora? È perché non ci vedia-
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mo, siamo un po’ ciechi. Tante volte le nostre vedute non sono più lunghe di una spanna. Ringraziare, ringraziare, ringraziare!
Secondo, abbandonarsi nelle mani del Padre celeste. A chi potrei affidarmi, a chi più sapiente, più amante, più potente di lui? Abbandonarsi serenamente, sì. Noi sappiamo che camminiamo proprio nella via, in quella santità particolare, in quella santità di quel grado e di quel colore che Iddio aspetta da noi. Sentire la mano di Dio sopra di noi. Sentirla, sì. Siccome egli vuole veramente che arriviamo a quel grado di santità e a quella santità particolare a cui ci ha ordinati quando ci ha creati, quando abbiamo ricevuto il Battesimo ha infuso i suoi doni. E fino all’ultimo respiro ci dà quei doni che ci servono per raggiungere quella santità, quel grado di santità che egli aveva pensato e predisposto sopra di noi. Allora siamo docili, docili.
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1 Meditazione tenuta ad Albano il 23 aprile 1959. Trascrizione da nastro: A6/ an 65a = ac 111b.
2 Cf Is 49,15.

3 Cf Mt 6,26.
4 Cf Mt 10,30.
5 Cf Mt 6,28-29.

6 “Grazie a Dio”. Era l’espressione rituale, presa dalla liturgia, che sostituiva il “grazie”.