22. IL LAVORO INTERIORE DI SANTIFICAZIONE NELLA FAMIGLIA PAOLINA
Esercizi Spirituali, 5° giorno, Ariccia (Casa Divin Maestro), 5 agosto 19631
Ieri abbiamo ricordato come devono essere fatti i propositi, e cioè: un proposito in generale, un proposito principale, il quale proposito si adempie con tutto il nostro essere, cioè con la mente e poi con la volontà e poi con il cuore, con il sentimento.
Se noi facessimo solo il cammino con un piede, non avanzeremmo: bisogna che si muovano le due gambe, bisogna che si muovano entrambe. Così, quando uno avesse una virtù soltanto esterna ma non di pensiero… e supponiamo, questa gente che usa tante gentilezze alle volte, tanti complimenti, tante proteste di affetto, di interessarsi delle pene e delle gioie, eccetera: quello è tutta una cosa esteriore. È una cosa esteriore fare gli auguri, promettere preghiere, desiderar tanto bene, l’anno felice, l’onomastico… e poi dentro non si pensa davvero, non si hanno quei pensieri di carità, di desiderio di vero bene… e non si prega: magari si protesta di pregare ma è tutta una vestitura esterna. Mi aveva fatto impressione, proprio – mi pare – nel primo anno di sacerdozio: mi mandano a chiamare per una giovane la quale era malata e doveva confessarsi, doveva prepararsi [perché] il male non era curabile, non era rimediabile. Oh!, tuttavia aveva sempre vergogna di apparire malata, che la credessero malata. Sono
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andato, era stata tutta…, si era vestita tutta a festa, e con i profumi… e difatti di lì a una settimana è morta, era tubercolosi all’estremo. Voleva presentarsi così. Quante virtù che sono solamente esteriorità! Perché? Perché ci vuole la mente: che si pensi così! E il cuore proprio ordinato tutto a Dio. E poi la volontà, sì, la volontà interna e la volontà esteriore: e cioè interiormente sopportare quel male, esteriormente, anche, dare buon esempio di pazienza.
Oh! Adesso dovete pensare che nella Famiglia Paolina c’è una ricchezza di spiritualità che è un dono di Dio grande! Non è una spiritualità qualunque, no… Una spiritualità piena, che è questa!
Ma per questo ci vuole un lavoro ordinato: per crescere, per crescere. Gesù «proficiebat sapientia, et aetate, et gratia apud Deum et homines»2 [Lc 2,52]: Gesù progrediva e noi dobbiam progredire, eh! E progredire in tutto il nostro essere. E dopo che siamo stati istruiti e abbiamo preso la nostra strada, la strada Paolina… e cioè: una volta nella vita si fanno gli Esercizi e si decide la vita: qua… là… come Dio vuole, come sono le tendenze del cuore, ecco. Non molte parole; le parole necessarie, centrali, perché allora vi è la benedizione di Dio, e il confessore o il direttore spirituale benedice questa volontà: E portala a fine, fino a quando Gesù ti accoglierà in paradiso, l’ultima volontà sua. Qual è l’ultima volontà di Dio a nostro riguardo? Vieni, sposa di Cristo… entra nel gaudio del tuo Signore3 [cf Mt 25,21.23]. È l’anima la sposa di Cristo. L’ultima volontà di Dio, l’ultima volontà di Gesù, ecco, che invita al gaudio eterno: Vieni, sposa di Cristo. Oh, dunque si sceglie la vita.
Secondo. Supponiamo che sia già scelta, come credo che voi ormai l’avete scelta, tanto più chi ha fatto dei voti non può tornare indietro in nessuna maniera senza perdere le grazie.
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E allora [ci] si ordina: che cosa devo fare soprattutto per progredire adesso? Perché cos’è la vita religiosa? È la vita in cui si lavora a progredire… fai questo! Chi farà quest’ufficio, quell’altro, questa occupazione, quell’altra, l’apostolato così e così… ma tutte quelle sono cose esterne! Ci siano delle Costituzioni o delle altre, ci sia un apostolato o dell’altro… Si è scelto, ma ciò che è per tutte e ciò che è essenziale non è quello! La vita religiosa è una carità più distinta, più calda, cioè è il lavoro di perfezionamento, fare la volontà del Signore, ecco qui… Quindi negli Esercizi si fa un programma. La vita, perché sia perfezionata, [a] cosa tende? Vivere come Gesù Cristo! Il grande esemplare è lui. Questa biografia, e la vita di quel santo, e la vita di quella santa, eccetera: tutto questo va bene, in quanto interpretano il Vangelo, ma è la vita di Gesù Cristo che è il primo modello! È lui, che non solo ha fatto bene ma ha insegnato bene, e inoltre ci ha guadagnato la grazia perché facciamo bene. Quindi vivere in Gesù Cristo, vivere in Gesù Cristo. E allora, se si vuole arrivare alla perfezione, mirare a che cosa? Alla gloria di Dio: Padre, Figlio, Spirito Santo. Lì si è sopra il livello, sopra il piano della scala, l’alto piano della scala; ci saranno ancora dei gradini [da salire], perché può essere più o meno perfetta, la perfezione stessa può esser più o meno perfetta: in Gesù Cristo.
Ora, si fanno i propositi: ci possono essere propositi generali e propositi particolari, ci possono essere dei propositi che riguardano e che si chiamano negativi e dei propositi che si chiamano positivi. Negativi: e non voglio più parlare così, e non voglio più essere così dispositivo4, e non voglio essere così mondana con i pensieri e con il cuore, eccetera… parte negativa. Ma è meglio la parte costruttiva, positiva, e cioè: voglio essere più umile, voglio avere più fede, voglio vivere di amore a Dio, a Gesù Cristo, oppure voglio fare la sua volontà.
E quando si domanda: che cosa è la santità, come si fa a farsi santi?, si danno tre risposte in generale. La prima risposta
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è imitar Gesù Cristo, ecco, generalmente; la seconda risposta, far la volontà di Dio, altra risposta questa; e terza risposta: unione di vita con Gesù. Ma tutto questo può esser riassunto [così]: spirito di fede, spirito di carità, unione con Dio. Voglio combattere la superbia. No: lavora per l’umiltà! Voglio combattere la mia ira, il mio nervoso. No: pensa alla mansuetudine di Gesù e cerca di acquistarla! Voglio toglier la pigrizia. No: Mi dedicherò alla preghiera e ai doveri quotidiani con generosità. Far la parte positiva nei propositi… fare la parte positiva.
Oh, qui questi propositi si possono suddividere: quest’anno lavoro per quello. Facciamo un esempio: a me manca un po’ lo spirito di preghiera; quindi faccio il proposito positivo: voglio fare bene la preghiera. Il primo mese voglio far bene la Comunione, il secondo mese voglio assistere bene alla Messa, il terzo mese voglio far bene la meditazione, il quarto mese voglio far bene l’esame di coscienza, il quinto mese farò bene l’adorazione… e poi avanti, si divide per dodici mesi. E a fin del mese si fa il ritiro mensile: ho migliorato la meditazione? Quindi, ho progredito o non progredito?
Qualcheduna può fare così per rendersi più facile [il lavoro], ma uno può anche prendere in generale: voglio mettere amore alla pietà, alla preghiera, e poi l’applica secondo i casi, sì. Oh, quindi si fa il lavoro tutto l’anno! Ho detto: si scrivono i propositi, se si vogliono scrivere; poi si fan benedire dal confessore o dal direttore spirituale; poi alla fine del mese si rende conto, poi l’altro mese si rende conto… Vedete, io ero iscritto all’Unione apostolica dei sacerdoti: lì, mese per mese, mandavamo per iscritto l’esame di coscienza di ogni giorno5. Questa non è una stranezza! Ed anche i sacerdoti di Gesù Sacerdote, che è il nostro terzo Istituto Secolare, ci
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mandano l’esame di coscienza mese per mese, e si risponde. In questo potrei… ho migliorato, quella va molto bene: e si risponde. Ma bisogna lavorare però, eh! Il lavoro spirituale è più importante che fare il lavoro che uno ha, se una è sarta, se una è maestra, se una ha invece altri uffici, eccetera… ma il lavoro principale è santificarci: la mente, il cuore, la volontà!
Del canonico Chiesa sono rimasti solamente tredici taccuini6, che cominciavano dal giorno in cui ha cominciato lo studio di ginnasio fino a un certo punto; e altri non li abbiamo più trovati perché dopo morte… le scansie, i mobili… non sempre sono state conservate tutte le cose che si dovevano conservare… ma [c’è] quello.
Un buon negoziante si rende conto mese per mese se perde o guadagna: e se perde, ci mette rimedio; e se guadagna, si fa coraggio a guadagnar ancor di più! Quindi un lavoro organizzato: questo è il lavoro organizzato così paolinamente. Ora le anime che sono entrate, siano di una Congregazione, sia[no] di un’altra, tutte seguono questo, e quindi il lavoro spirituale si fa ordinato, continuo. E l’Istituto non si preoccupa in primo luogo se tu fai bene la scuola, ad esempio, se tu fai bene la sarta, perché ci sono anche le sarte fra le [suore] – sarebbe vergogna che le suore si facessero fare le sarte dagli altri, fuori! O che i preti andassero da altri fuori a farsi fare gli abiti che non fossero fatti dalle nostre suore –. Ma… è il lavoro principale, quello!
Quel libretto, accanto al letto di morte, sul tavolino: se ci sono le Costituzioni, ecco vado al Signore che mi domanda cosa ho fatto, [se] ho osservato queste regole che sono dal Papa – dunque piacciono a Gesù perché sono piaciute al vicario di Gesù Cristo –; oppure il libro degli esami di coscienza e di propositi: questo è l’attestazione del mio lavoro spirituale. Naturalmente, se poi si parla di mancanze, e cioè di esame, bisogna sempre che uno abbia i segni convenzionali che, anche se si perde, se vien trovato, nessuno lo capisca,
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perché lo capisce solo chi lo scrive: se può essere un punto, se può essere un meno, se può essere una virgola, se può essere un interrogativo… un segno. Oh! Il lavoro spirituale ordinato, ordinato. Sì.
Allora la Confessione è brevissima. A cercare delle cose in giro… oh, il mio lavoro è questo: l’ho fatto o non l’ho fatto, l’ho fatto più bene o un po’ meno bene, sono stato un po’ tiepido due giorni, poi mi son ripreso, eccetera… Che cosa si ha da troppe particolarità? Fan solo perder tempo! Poche parole nette. Confessione: a noi avevano sempre insegnato tre minuti o quattro minuti, eccetto qualche volta negli Esercizi, perché allora c’è da parlare un po’ di più perché si ha da guardare tutto l’anno; ma, altrimenti, brevissima, e ciò che importa è il dolore per il tempo perduto, per la tiepidezza e le offese… che ci ha accompagnato, eccetera; e poi, il dolore con il proposito, perché: ho sbagliato, non voglio far più; ecco, ho sbagliato: dunque c’è il dolore; non voglio far più: ecco il proposito. E tutto lì sta. Perché non è poi il confessore… eh, si vorrebbe fare una conversazione! No! Se hai bisogno di istruirti, prendi dei libri, che ce ne sono e te li fai magari indicare dal confessore. Ma quel che importa: un dolore vivo, un fermo proposito. Non è il confessore che ci santifica, siamo noi che ci santifichiamo, con l’umiltà e con la fede, lavorando e confrontando la settimana corrente con la settimana precedente! Ecco che si progredisce nel lavoro spirituale… ma un lavoro vero! E in questo senso [il nostro] è uno degli Istituti che accompagna di più il lavoro interiore della santificazione… gli Istituti, cioè la Famiglia Paolina. Vedete come si sentono anche le superiore, i superiori negli Esercizi, perché ci sia, sia costatato un lavoro: perché si è progredito, perché si è mancato, ricevere i consigli, gli avvisi, e poi dopo si prega tutti assieme per la santificazione. Ho fatto un giro in molte nostre case, molte nostre case… certo, non le ho visitate tutte, ma dove sono stato – e si son radunate le persone di varie case, secondo le nazioni –, la Messa [l’ho] sempre celebrata per la santificazione di coloro che appartengono a questa casa o a quelle case. Quindi quello è l’importante, è la santificazione!
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E non preoccuparsi troppo della santificazione degli altri, a un certo punto… solo, sì, vedete gli altri7… Noi, noi! Io! Ciascheduno! Perché porta poi al paradiso quel che ha fatto di bene! D’altra parte, quando si prega e si sta buoni, si edificano anche gli altri, la grazia di Dio si allarga a tutte le persone con cui si ha relazione, alle quali si desidera la santificazione, sì.
Chi è superiora? Chi prega di più e ottiene di più per la comunità: interiormente è quella, esteriormente è altra cosa. Quel che si vedrà al giudizio di Dio, sarà questo: se allora c’era fervore, c’era spirito di fede, c’era carità e c’era specialmente il lavoro di santificazione.
Istituti che hanno il lavoro spirituale così organizzato! Eh, ma ci sono anche in un posto le stesse opere di pietà [che sono] nell’altro: ma quello è l’esterno! Quello che importa è il lavoro interiore dell’anima, di ciascheduna anima! Perché non basta mica vestire l’abito o entrare in una casa, prendere un libro delle Costituzioni, accettare un ufficio o simili cose… ma [occorre] il lavoro di correzione dei difetti e conquista delle virtù! Poiché la santificazione ha sempre due parti: purificazione e conquista delle virtù.
Non avete voglia di parlare, ma è segno che volete riflettere di più… quindi è buon segno allora! E il Signore vi benedica. È inutile che vi domandi di parlare, perché nessuna vorrà far la prima! Oh!
E come facciamo? Cosa facciamo? Vi fate o non fate sante? Al Cottolengo dicono tre volte al giorno la Coroncina Fateci santi; noi ci contentiamo di una, in pubblico… poi in privato, una può dirsela almeno tre volte al mattino: Vergine Maria, Madre di Gesù, fateci santi8. Ma questo è l’impegno! Cosa vuoi far della tua vita se non santificarti? E vuoi farlo? Ecco. Dopo scegli bene la strada, e avanti! Non restare a guardare di qua e di là, scuse… tante cose che infine sono scuse per
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non lavorare veramente! Spiritualmente cioè: togliere l’amor proprio, togliere le proprie idee, togliere gli attaccamenti! San Giovanni della Croce mette proprio quelli… per dominare te stesso. Ricorda il Vangelo: «Abneget semetipsum» [Mt 16,24; Lc 9,23], rinnega te stesso: e rinnegare specialmente le idee… le idee, i vagamenti della fantasia e del cuore. E dice: preferisci quello che è meno gustoso a ciò che è più gustoso, preferisci quel che è più incomodo rispetto a quel che è comodo, preferisci ciò che è più vile, più umiliante, che non quello che ti distingue, ti onora, ti fa chiamare con un certo nome e con lode, in sostanza. Amare piuttosto le persone che sono antipatiche che le persone simpatiche, fare quello che è più faticoso, prendere la parte più faticosa quando c’è del lavoro da fare, prendere la parte più faticosa rispetto a quello meno faticoso9. Quando non ci rinneghiamo, non facciam mai nessun passo, siamo sempre legati all’io, come uno che avesse una catena per cui è legato a un pilastro, e sta lì con tutti i suoi benvoleri, e sta lì legato. Notando che il passerotto, il passero può esser legato da un filo… il bambino lo ha preso, lo ha legato con un filo e lo tiene con il filo in mano… e l’uccello vorrebbe scappare ma il bambino lo tiene: e ci sono dei piccoli difetti che tengono sempre indietro, e l’anima non vola verso Dio, non si alza alle vette: alle vette bisogna mirare… volare come l’aquila. San Giovanni è chiamato l’evangelista che ha per simbolo l’aquila: volo verso Dio.
Sia lodato Gesù Cristo.
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1 Nastro originale 154/63 (Nastro archivio 141b. Cassetta 141, lato 2. File audio AP 141b). Titolo Cassetta: “Ricchezza della spiritualità paolina”.
2 «Cresceva in sapienza, età e grazia davanti a Dio e agli uomini».
3 Il PM collega l’inizio di un’antifona (cf Breviarium Romanum, Commune Virginum) con il versetto biblico della parabola dei talenti.
4 Il PM lo intende: come di colui che dispone. La parola è comunque incerta.
5 Sta parlando dell’Unione Apostolica del Clero (UAC), nata in Francia nel 1862, a cui era iscritto con altri giovani sacerdoti albesi, sotto la guida del canonico Chiesa. Cf a questo proposito, GIACOMO ALBERIONE, Appunti di teologia pastorale, Pratica del ministero sacerdotale per il giovane clero, Roma 2001, pp. 84–85; anche ID., Meditazioni per consacrate secolari (1958/67), pp. 64, 103; San Paolo, Agosto–Settembre–Ottobre–Novembre 1960, p. 8.
6 Tutto il vasto patrimonio del canonico Francesco Chiesa è oggi depositato nel Fondo Canonico Chiesa dell’Archivio Storico Generale della Famiglia Paolina.
7 Espressione incerta.
8 Vedi AP 1961, p. 161, nota 12.
9 Vedi p. 21, nota 4. Il PM attribuisce questi pensieri anche a santa Teresa d’Avila nella meditazione del 3 febbraio (cf p. 53, nota 6).