52.
IL PADRE NOSTRO (II)
(PB 5, 1941, 156-160)
I.
1. Nella seconda parte del «Padre nostro» chiediamo a Dio, nostro Padre, con fiducia di ottenere, quelle cose che ci sono necessarie. La quarta domanda è: «Dacci oggi il nostro pane quotidiano» (Mt 6,11). Queste parole possono essere intese in tre sensi: o del pane eucaristico, o del pane corporale, o del pane dello spirito, ossia della parola di Dio.
Il Pane eucaristico. - «La mia carne è veramente cibo, e il mio sangue è veramente bevanda» (Gv 6,55); «Sono io il pane vivo disceso dal cielo. Se uno mangia di questo pane, vivrà in eterno» (Gv 6,51); «Il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo» (ivi). Di qui è manifesto che coloro i quali mangiano degnamente questo pane, hanno la vita eterna in loro stessi. Si deve perciò temere, e pregare affinché non avvenga che qualcuno col rimanere lontano dal corpo di Cristo, venga poi a trovarsi da lui separato e non si salvi, secondo che ha minacciato lo stesso Cristo dicendo: «Se non mangerete la carne del Figlio dell'uomo e non berrete il suo sangue, non avrete in voi la vita» (Gv 6,53). Ogni giorno perciò domandiamo questo pane, per non venir meno lungo la strada della vita e per poter camminare, rifocillati di questo vitale sacramento, fino al monte di Dio.
Inoltre questa refezione deve essere fatta dai degni, ed in modo degno, affinché realmente l'anima rimanga nutrita di Dio. «Ciascuno adunque esamini se stesso e così mangi di questo pane e beva di questo calice; poiché chi mangia e beve indegnamente si mangia e beve la propria condanna, non discernendo il corpo del Signore» (1Cr 11,28s.). I pastori sono stabiliti per questo: «Affinché sumano loro e lo distribuiscano agli altri»; affinché nutrano le pecore a questo celeste banchetto; poiché: «Hai preparato loro un pane del cielo, avente in sé ogni delizia» (Rituale Romano, tit. 9, cap. 5, n. 5).
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2. Il pane corporale. - Il Signore lo ha promesso: «Non vogliate dunque angustiarvi, dicendo: Che cosa mangeremo? che cosa berremo? di che ci vestiremo? Di tutte queste cose, infatti, si danno premura i pagani; or, il Padre vostro celeste sa che avete bisogno di tutto questo. Cercate prima di tutto il regno di Dio e la sua giustizia, e tutte queste cose vi saranno date per giunta» (Mt 6,31-33). «Infatti, dice S. Cipriano, essendo tutte le cose di Dio, colui che possiede Dio non mancherà di nulla, se egli stesso non manca a Dio» (De dominica oratione, 21). Il Salmista dice: «Fui giovane, ora sono invecchiato; e non ho mai visto abbandonato un giusto, e la sua prole mendicare il pane» (Sl 36,25). Se Dio nutre gli uccelli del cielo, quanto più nutrirà gli uomini, che sono creati ad immagine e somiglianza di Dio! Preghiamo dunque con fiducia, anche in tempo di carestia e di guerra, anche per i bambini, i malati ed i vecchi: «Dacci oggi il nostro pane quotidiano» (Mt 6, 11). Si dice «oggi», perché giustamente il discepolo di Cristo chiede le cose necessarie per la giornata. Chi ha cominciato ad essere discepolo di Cristo, secondo la raccomandazione stessa del Maestro ha rinunziato ad ogni cosa, e gli basta chiedere il necessario sostentamento quotidiano, senza estendere tanto avanti nel tempo il desiderio della domanda, tanto più che anche qui lo stesso Signore ha dato prescrizioni dicendo: «Non vogliate dunque mettervi in pena per il domani, poiché il domani avrà cura di se stesso: a ciascun giorno basta il suo affanno» (Mt 6,34).
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Si dice «pane nostro». La nostra speranza è in cielo, dove è il nostro tesoro: «Nulla abbiamo portato in questo mondo, e niente possiamo portar via. Ma quando abbiamo di che nutrirci e di che ricoprirci, siamo di questo contenti. Poiché quelli che vogliono arricchire cadono in tentazioni ed in lacci, e in molte cupidigie insensate e nocive, che sommergono gli uomini in rovina e in perdizione. Radice infatti di tutti i mali è la cupidigia del danaro, e alcuni per essersi abbandonati ad essa deviarono dalla fede e si martoriarono con molte angustie. Ma tu, o uomo di Dio, rifuggi da tutte queste cose, e cerca invece la giustizia, la pietà, la fede, la carità, la pazienza, la mansuetudine» (1Tm 6,7-11). Ricordi il cristiano il racconto evangelico di quel ricco, che avendo raccolto molti frutti, faceva progetti per il futuro, ma la misteriosa voce divina si fece sentire: «Insensato! Questa notte stessa ti verrà richiesta la vita; e quello che hai preparato per chi sarà?» (Lc 12,20). È sapiente colui che accumula tesori nel cielo al quale è diretto; è invece stolto colui che accumula tesori in terra, che un giorno abbandonerà.
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3. Il pane dello spirito è la verità rivelata: «Non di solo pane vivrà l'uomo, ma di ogni parola che esce dalla bocca di Dio (Mt 4,4); «Nella tua legge pongo le mie delizie» (Sl 118,174); «Il mio cibo è fare la volontà di colui che mi ha mandato» (Gv 4,34). Mentre la mente medita ogni giorno le parole del Signore, si infiamma del fuoco del divino amore, e aumenta il desiderio di osservare i divini comandi.
«E il Verbo si è fatto carne» (Gv 1,14), ed è presente sacramentalmente nell'eucaristia, ed è presente come verità nelle sacre Scritture. «Io conosco, dice l'autore del libro Della Imitazione di Cristo, che due cose mi sono in questa vita oltremodo necessarie... Sì, finché mi trovo ristretto nella prigione di questo corpo, confesso di aver bisogno di due cose, cioè di cibo e di lume, pertanto avendo voi riguardo alla mia debolezza, mi avete dato la vostra sacra Carne per ristoro dell'anima e del corpo; e mi avete lasciato la vostra parola per servirmi di lampada, ond'io vegga la strada che debbo calcare.< Senza questi due aiuti io non potrei vivere bene; perocché la vostra parola è luce dell'anima, e il vostro Sacramento è pane di vita. Si possono ancor essi chiamar due mense, poste di qua e di là nel tesoro di santa Chiesa. Una è la mensa del sacro altare, su cui sta il pane santificato, cioè il prezioso vostro Corpo; l'altra è la mensa della vostra divina legge, la quale contiene la santa dottrina, insegna la vera fede, e ci conduce per via sicura fin dentro il velo, dov'è il santo dei santi» (lib. 4, c. 11, n. 4).
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II.
1. La quinta domanda è: «Rimetti a noi i nostri debiti, come anche noi li rimettiamo ai nostri debitori» (Mt 6,12). I nostri debiti sono i peccati che abbiamo commesso, secondo quel detto: «Io ti ho condonato tutto quel debito, perché tu ti raccomandasti» (Mt 18,32). Nella precedente domanda chiediamo quello che ci è necessario alla vita presente; nella quinta domanda chiediamo che vengano rimossi gli ostacoli alla vita eterna, ossia i peccati. Nessuno infatti è puro. «Se diciamo di essere senza peccato, inganniamo noi stessi, e la verità non è in noi; se confessiamo i nostri peccati, Dio è fedele e giusto per perdonarci i nostri peccati, e purificarci da ogni iniquità» (1Gv 1,8s.). «Affinché uno non si compiaccia quasi come innocente ed innalzandosi perisca maggiormente, viene istruito ed ammaestrato che pecca ogni giorno, mentre gli si comanda di pregare ogni giorno per ottenere remissione» (S. Cipriano, De dominica oratione, 22).
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Ognuno può ottenere il perdono dei peccati. «A chi rimetterete i peccati, saranno loro rimessi, e a chi li riterrete, saranno ritenuti» (Gv 20,23). S. Leone il Grande dice: «La misericordia di Dio in molti modi soccorre alle mancanze degli uomini, così che non solo mediante la grazia del battesimo si può riacquistare la speranza della vita eterna, ma anche per la medicina della penitenza». Il Signore Gesù ha promesso di esaudire colui che prega con fedeltà. Chi in modo dovuto cerca perdono dal Signore, l'ottiene. Il pubblicano cercando umilmente perdono esclamava: «O Dio, sii propizio verso di me che sono un peccatore!» (Lc 18,13), e ritornò a casa giustificato.
Fuori del sacramento è necessaria tuttavia la contrizione, e nel sacramento, per ottenere il perdono, è necessaria almeno l'attrizione. Vien detto in Gioele: «Tornate a me con tutto il vostro cuore» (Gl 2,12), e S. Pietro ripete: «Convertitevi, affinché siano cancellati i vostri peccati» (At 3,19).
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2. «Come anche noi li rimettiamo ai nostri debitori» (Mt 6,12). In questo luogo il Signore «aggiunse chiaramente ed unì alla legge una esplicita condizione ed una promessa vincolante a chiedere che ci siano rimessi i debiti, in quella misura con cui noi li rimettiamo ai nostri debitori» (S. Cipriano, De dominica oratione, 23). Soltanto ci saranno perdonati i peccati alla condizione che noi pure perdoniamo; inoltre questa sola è la misura del perdono: «Colla misura colla quale misurate, sarà rimisurato a voi» (Mt 7,2). Il servo che non volle condonare al suo conservo, fu messo in prigione fino a che non avesse scontato tutto il debito di pena. S. Agostino dice: «Se uno trova nel suo cuore la carità fraterna, stia sicuro di passare dalla morte alla vita; è già alla destra di Dio».
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3. Cristo apertamente dichiara: «E quando siete in piedi a pregare, perdonate, se avete qualcosa contro qualcuno, affinché il Padre vostro che è nei cieli, vi perdoni le vostre colpe. Perché, se voi non perdonerete, neppure il Padre vostro che è nei cieli, vi perdonerà i vostri peccati» (Mc 11,25s.). Nel giorno del giudizio dunque saremo giudicati con la stessa sentenza con cui noi abbiamo giudicato il prossimo; giacché siamo per la grazia figli di Dio, imitiamo Dio, che è il Dio della pace, e che non vuole la morte del peccatore, ma che egli si converta e viva. «Chiunque odia il proprio fratello è omicida» (1Gv 3,15), né perverrà al regno di Dio.
«Abele pacifico e giusto, mentre sacrifica a Dio nell'innocenza, insegna a tutti, che quando fanno all'altare l'offerta, devono avere timore di Dio, cuore semplice, giustizia e concordia pacifica» (S. Cipriano, De dominica oratione, 24). Tutti quelli che offrono all'altare, se si ricordano di avere qualche amarezza verso il fratello, non devono continuare a fare l'offerta, ma prima devono andarsi a riconciliare col prossimo, affinché il loro sacrifizio sia gradito al cospetto di Dio.
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III.
1. La sesta domanda è: «E non c'indurre in tentazione» (Mt 6,13). Tentazione equivale a prova. Per sé non è né un bene e né un male, ma è occasione di merito ed anche occasione di peccato. C'è chi nella tentazione ottiene «il buon esito» (1Cr 10,13), e c'è chi presta consenso alla tentazione e pecca. Chiediamo al Signore o di essere liberati dalla tentazione, o di non cadere in peccato, nell'occasione della tentazione. Dio è fedele e non permette che noi siamo tentati sopra le nostre forze, il demonio infatti è da Dio trattenuto, e, come un cane legato alla catena: potrà abbaiare, ma non può mordere se non coloro che volontariamente gli si avvicinano.
Affinché noi possiamo resistere alla tentazione, occorrono due condizioni: vigilanza e preghiera. La vigilanza ha origine dal timore, la preghiera ha origine dalla fiducia in Dio. Dice il Signore ai suoi discepoli: «Vegliate e pregate, per non cadere in tentazione» (Mt 26,41). Sapendo che il mondo ci circuisce, che il diavolo gira per divorarci, che in noi vi sono le tre concupiscenze, guardiamo sempre a Dio, per ottenere l'aiuto nel tempo dovuto.
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2. A satana viene data potestà sopra di noi per due motivi: o per punirci quando pecchiamo, come avvenne per Salomone, o per glorificarci quando siamo provati come avvenne per Giobbe. Quando incalza la tentazione, dobbiamo ricordare le parole: «Essendosi a me affezionato, io lo scamperò... Appena m'invoca, io lo esaudirò» (Sl 90,14s.). Nessuno però tenti se stesso, prendendo le parti di satana, coll'esporsi cioè ai pericoli ed alle tentazioni. Chi disprezza il pericolo o chi confida nelle proprie forze, facilmente cade nel peccato con il consenso.
«Beato l'uomo che soffre tentazioni, perché quando sarà stato provato, riceverà la corona di vita da Dio promessa a quelli che lo amano. Nessuno, quando è tentato, dica d'esser tentato da Dio, perché Dio non può tentare a fare il male, anzi egli non tenta nessuno; ma ciascuno è tentato, attratto, adescato dalla propria concupiscenza, la quale poi, avendo concepito, partorisce il peccato, e il peccato, consumato che sia, genera la morte» (Gc 1, 12-15). Colui che cammina nell'umiltà, sapendo che la sua carne è debole, e dà a Dio tutto ciò che da Dio gli è chiesto, nella sua pietà sarà soccorso (cf S. Cipriano, De dominica oratione, 26).
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3. La settima domanda è: «Liberaci dal male» (Mt 6, 13), che la Chiesa così commenta: «Deh! ci libera, o Signore, da tutti i mali passati, presenti e futuri, e per l'intercessione della beata e gloriosa sempre Vergine Maria, Madre di Dio,... sicché... siamo liberi sempre dal peccato e sicuri da ogni turbamento» (Messale Romano, Canone della Messa). Il male passato è il peccato commesso, del quale chiediamo perdono; il male presente è il pericolo per l'anima e per il corpo; il male futuro è la dannazione eterna.
Il Signore non ci libera da ogni male corporale, anzi coloro che sono amati da Dio, vengono provati, sull'esempio del Figlio di Dio, che non fu risparmiato da Dio Padre. Il male ultimo sarà la morte. Tuttavia S. Tommaso ci espone quattro punti sull'argomento: 1) Dio ora prova soltanto quando vede che le nostre forze ed il suo aiuto sono sufficienti, come fece con Giobbe e con Tobia; 2) Dio ci sostiene e ci conforta nelle nostre tribolazioni: Dio che conforta l'umile consolerà pure noi; 3) Dio fa sovrabbondare i godimenti spirituali, e la speranza del cielo come dice S. Paolo: «Sono ripieno di consolazione, sono inondato di gioia in mezzo a tutte le nostre tribolazioni» (2Cr 7,4); 4) «Con la tentazione (Dio) provvederà anche il buon esito dandovi il potere di sostenerla» (1Cr 10,13) allungando la vita. (Cf Expositio in orationem dominicam 35). Tutti ricevono forza di luce e di celeste speranza, imparando bene il capitolo che tratta della via regale della santa croce (cf Della Imitazione di Cristo, lib. 2, cap. 12). Dice il Maestro: «Se qualcuno vuol venire dietro a me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua» (Mt 16,24). Dio ci libera così dal male o togliendo la pena, od aumentando il potere di soffrire, o concedendo il gaudio eterno. «Poiché il lieve peso della nostra tribolazione del momento presente, prepara a noi oltre ogni misura un peso eterno di gloria» (2Cr 4,17).
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