2.
LA DIGNITÀ E LA SANTITÀ DEL SACERDOTE
(PB 2, 1938, 150-158)
I.
1. Origine divina del sacerdozio. - Il Sacerdote è eletto da Cristo, per compiere in terra le sue veci, e per regnare con lui in cielo. O Sacerdote, apprezza la tua dignità; infatti come per creazione sei opera di Dio così, per il sacerdozio, sei opera di Cristo. Il sacerdozio nacque dal cuore di Cristo.
Per una doppia fiamma di amore vive ed arde il cuore di Gesù: amore a Dio ed amore agli uomini. Gesù cercò sempre la gloria del Padre, e per restituire al Padre questa gloria era disceso dal cielo. Tutto fece in ordine al Padre e per il Padre: nacque, visse la vita privata, operò nella vita pubblica, morì sulla croce. Dio Padre sempre ricevette da Cristo lode e lode piena come incenso in odore di soavità; e questa lode sempre riceve in cielo, dove Cristo vive ed intercede per noi.
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Ed ecco che il cuore di Cristo, avendo amato gli uomini che erano sulla terra, li amò fino alle estreme conseguenze. Venne nel mondo per donarci la vita; prese su di sé i nostri dolori, cancellò i nostri peccati, ci riaprì il cielo, e si lasciò vivente nell'eucaristia. Stando per lasciare il mondo, Cristo volle che l'opera sua iniziata sulla terra perdurasse sino alla fine dei secoli, e si estendesse in tutto quanto il mondo. Per questo elesse gli Apostoli: «Come il Padre ha mandato me, anch'io mando voi» (Gv 20,21). Chi dice Sacerdote, dice perciò un altro Cristo.
Una ed identica è la missione di Cristo e dei Sacerdoti: glorificare Dio Padre, comunicare la grazia agli uomini. In Maria si formò il Cristo; il Sacerdote è l'alter Christus. Cristo rivive nei suoi Sacerdoti, nella sua Chiesa. Nell'eucaristia si succedono le particole, ma in tutte vive sempre il medesimo Cristo, così in un certo senso, anche nei diversi Sacerdoti che si succedono nel tempo, vive, insegna, battezza, consacra Cristo, il Sacerdote eterno «alla maniera di Melchisedec» (Sl 109,4). Nel sacerdozio vi è lo stesso Cristo «ieri e oggi ed in eterno» (Eb 13,8). L'Apostolo rivendica a sé questo altissimo ufficio e grande onore: «Ognuno adunque ci consideri come ministri di Cristo ed amministratori dei misteri di Dio» (1Cr 4,1); «Noi... siamo ambasciatori per Cristo» (2Cr 5,20).
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2. Somma è la dignità del Sacerdote. - Lo pseudo Dionigi Areopagita scrive: «Chi dice Sacerdote, dice uomo venerabile, quasi divino» (De ecclesiastica hierarchia, 1, 3. - MG 3, 374). Ed Innocenzo III: Il Sacerdote «è posto tra Dio e l'uomo; al di qua di Dio, ma al di là dell'uomo; è inferiore a Dio, ma è superiore all'uomo» (Sermones de diversis. Sermo 2. - ML 217 658 A). È dunque il Sacerdote quasi un terzo termine, più vicino però a Dio, perché legato di Dio, e perché tutto riceve da Dio, secondo quel detto di Paolo a Timoteo: «Ma tu, o uomo di Dio...» (1Tm 6,11). Il legato ha maggior relazione con il mandante che non con colui presso il quale è mandato. S. Ignazio martire dice: «Alla cima di tutto sta il sacerdozio»1 (cf Ad Phil. 9, 1). Nello stesso modo si esprimono S. Ambrogio e S. Giovanni Crisostomo parlando del sacerdozio: Il sacerdozio è superiore a tutte le dignità, a tutti i poteri ed a tutti i diritti, a causa della sua relazione con il corpo reale e con il corpo mistico di Cristo.
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Per la pratica, è necessario che prima di tutto siamo persuasi di questa dignità, secondo la raccomandazione di S. Ambrogio: «Occorre dapprima che noi riconosciamo la dignità sacerdotale, e poi che viviamo in modo ad essa conforme» (De dign. Sacer., l). Delle cose vili nessuno ha cura; delle cose piccole ognuno ha poca cura. S. Paolo si chiama apostolo, dottore delle genti, segregato per il vangelo di Cristo; queste sono le vere cose di cui dobbiamo gloriarci, e non delle onorificenze civili, delle ricchezze, della forza, della scienza, della bellezza fisica. Come pensare di un Sacerdote che prostituisca questa sua eccelsa dignità nel giuoco, ai pubblici spettacoli, con parole, con azioni ed in aspirazioni dei secolari? Vivi, o Sacerdote, in Cristo.
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In secondo luogo tale dignità sia onorata. I Sacerdoti sono quasi trapiantati in cielo, dice il Crisostomo (cf De sacerdotio, 1. 3, c. 2 e 3). Ne conseguono due regole pratiche, che giova ricordare con le stesse parole di S. Ambrogio: «Iddio non vuole nel Sacerdote nulla di plebeo, nulla di sciatto, nulla di comune con i desideri, le azioni ed i costumi della rozza moltitudine» (Lib. 1 Ep., 6 ad Iren.). Come puoi preferire i discorsi vani, al catechismo? La conversazione con gli amici, all'eucaristia? Le bicchierate ed i pranzi, alle delizie del Sangue di Cristo? S. Ambrogio aggiunge: «Dimostriamo quello che noi siamo più con la condotta che con il nome» (De dign. Sacer., 1).
O Sacerdote, nei pensieri, nelle parole, nei desideri e nelle azioni, di notte e di giorno, sii un altro Cristo. In pubblico ed in privato, domandati: che cosa ora farebbe, e come lo farebbe Cristo? L'ornamento del Sacerdote è una vita integra, pia, operosa; insigne per carità, pazienza ed umiltà.
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3. Il Sacerdote regnerà con Cristo in cielo. - Il Sacerdote che condivide con Cristo fatiche e dolori, sarà pure compartecipe con lui della gloria e del trionfo. Molto appropriate sono quelle parole del Maestro divino: «In verità, in verità vi dico: voi piangerete e gemerete e il mondo godrà; voi sarete nell'afflizione, ma la vostra tristezza sarà mutata in letizia... E ne gioirà il vostro cuore, e nessuno vi potrà più togliere la vostra gioia... (Gv 16,20.22). Voi siete quelli che avete perseverato con me nelle mie prove; ed io preparo per voi un regno come il Padre mio ha preparato un regno per me, affinché voi mangiate e beviate alla mia mensa nel mio regno e vi sediate sopra dei troni per giudicare le dodici tribù d'Israele... (Lc 22,28-30). Io vado a preparare un posto per voi (Gv 14,2). Padre, io voglio che là dove sono io, sian pure con me quelli che mi affidasti» (Gv 17, 24). Rallegrati, o Sacerdote: riceverai il cento per uno, possederai la vita eterna; il paradiso sarà tuo.
Faticosa è la vita del buon Sacerdote, perché di continuo il mondo ed il demonio ne ostacolano l'azione. Dice a proposito S. Agostino: «Non vi è niente di più difficile, niente di più faticoso... dell'ufficio di Sacerdote, ma non vi è nulla di più beato presso Dio» (Epist., 148, ad Valer.). Difatti, da un lato Dio è con noi, e dall'altro «le sofferenze del tempo presente non hanno alcuna proporzione con la gloria, che si dovrà manifestare in noi» (Rm 8,18).
Gli apostoli ed i martiri, i confessori ed i vergini, la beata Vergine e tutti i santi ci attendono in cielo. «I giusti mi aspettano pel momento in cui mi darai la ricompensa» (Sl 141,8 Vg). Consideriamo anche le parole di S. Cipriano: «Là ci attende la moltitudine delle persone care: parenti e fratelli... tutti ci aspettano» (De mortalitate, 26). Giungere alla loro presenza e ricevere il loro amplesso è grande letizia per noi e per loro! Ricorda spesso, o buon pastore di anime, questa tua vocazione; sederai un giorno, dopo aver riportato vittoria sul mondo, sul demonio e sulle passioni, in cielo, tra le tue pecorelle, e dirai ad una moltitudine di anime: siete «mia gioia e mia corona» (Fl 4,1).
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Pratica. Siano fissi i nostri desideri dove sono i veri gaudi. «Una sola cosa chiedo al Signore, e la richiederò; di abitare nella casa del Signore tutti i giorni di mia vita» (Sl 26,4). Io, coerede di Cristo, che cosa cercherò ancora in questo mondo? Stimerò una perdita i piaceri e gli onori, le delizie e la tranquillità. Tutto stimerò come spazzatura, onde poter acquistare Dio (cf Fl 3,8).
Su, fratelli, intraprendiamo il viaggio della vita, ritorniamo alla città celeste, nella quale siamo iscritti, e fatti cittadini. Lavoriamo ora; ci riposeremo in paradiso. «Chi semina scarsamente, scarsamente mieterà; e chi semina con abbondanza, con abbondanza pure mieterà» (2Cr 9,6) la vita eterna. «Nell'andare si va piangendo e portando il seme da gettare, ma nel tornare si torna cantando e portando i propri covoni» (Sl 125,6); «Ciascuno riceverà la propria mercede a proporzione del suo lavoro» (1Cr 3,8).
Concludendo: il Signore non tarda;... il giorno del giudizio si avvicina;... affaticatevi, o fratelli, «studiatevi sempre più di rendere sicura per mezzo delle opere la vostra vocazione» (2Pt 1,10). La lotta è molesta ma fruttuosa, chi combatte si affatica, ma chi vince viene coronato. Qui lottiamo, in cielo saremo coronati.
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II.
1. Essendo il Sacerdote primo per dignità, deve pure essere il primo per santità. Non vi è dubbio che l'eccelsa dignità sacerdotale esiga in coloro che ne sono adorni anche una grandissima purità di mente, di cuore, e di animo, ed integrità di vita. È infatti il Sacerdote il mediatore, in Cristo, tra Dio e l'uomo; bisogna perciò che rappresenti degnamente Colui del quale tiene le veci, ossia Cristo! Dice S. Tommaso degli ordinati: «Siccome sono posti in mezzo tra Dio ed il popolo, devono risplendere per purità di coscienza davanti a Dio, e per buona reputazione davanti agli uomini» (Summa, Suppl. q. 36, a. 1, ad 2.um). Ed in primo luogo, continua S. Tommaso: «Per il conveniente esercizio degli ordini non basta una bontà qualsiasi, ma si richiede una bontà eccellente, affinché, come quelli che vengono ordinati restano, per il grado del loro ordine, innalzati sugli altri uomini così devono essere agli altri superiori per la santità» (Summa, Suppl. q. 35, a. 1, ad 3.um). Il Sacrifizio eucaristico, nel quale si offre la Vittima divina per togliere i peccati dell'umanità, richiede in modo particolare che il Sacerdote medesimo sia a Dio accetto, più degno adoratore, propiziatore grato, intercessore potente, affinché venga esaudito per la sua pietà, sull'esempio di Cristo. «Pensate a quel che fate, uniformate la vostra vita al vostro ministero», ammonisce il Pontificale (De ordinatione Presbyteri: Consecrandi...). Se il valore essenziale dei sacramenti, e del Sacrificio, dipende da Cristo Signore ex opere operato, la pietà e la santità del Sacerdote tuttavia, ex opere operantis, conferisce assai nell'ottenere di più.
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Inoltre il Sacerdote è nell'amministrazione dei sacramenti l'uomo di Dio, il dispensatore delle grazie divine. Come può compiere lecitamente questo suo ufficio se lui stesso è privo della grazia, o non ha della grazia stima alcuna? Il Sacerdote, secondo le parole di S. Bernardo, deve essere una conca: «Se sei saggio, sarai una conca e non un semplice canale» (Serm. 18, in Cant.). Che giova illuminare gli altri e oscurare te stesso? Salvare gli altri e perdere te stesso? «Oggi abbiamo nella Chiesa molti canali, ma poche conche» (S. Bernardo, Serm. 18, in Cant.).
Colui che tratta cose sante e vive male, diventa sacrilego: «Coloro che non sono santi, non devono trattare le cose sante»; (si cf il Corp. Iur. Can., dist. 81, can. 4-6). È temerità insana appressarsi all'altare, apparire nelle parole, negli atti, nelle vesti ministro di Cristo, mentre si ha il cuore lontano da Cristo, e mentre con un bacio si tradisce Cristo.
Iddio aveva comandato ai leviti del Vecchio Testamento: «Sarete santi perché io sono santo» (Lv 11,45). Ora, dice S. Roberto Bellarmino, se si richiedeva tanta giustizia, santità e zelo in quei Sacerdoti che dovevano sacrificare pecore e buoi, e che lodavano Dio per i favori materiali, quanta sarà, di grazia, la santità richiesta in quei Sacerdoti i quali sacrificano l'Agnello divino, e ringraziano Iddio per i favori sempiterni? (In Ps 131, v. 7). «Grande senza dubbio è la dignità dei prelati, soggiunge S. Lorenzo Giustiniani, ma maggiore è la loro responsabilità; sono posti in alto davanti agli uomini, bisogna perciò che abbiano anche un alto grado di virtù agli occhi di Colui che tutto vede. In caso contrario non eccellono a merito, ma a propria condanna» (De Inst. et regim. Prael., c. 11). I1 Sacerdote, «prima di parlare, disseti la sua anima in Dio, per poter poi comunicare agli altri ciò che ha attinto, e dare ciò che ha preso» (S. Agostino).
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2. Il Sacerdote deve essere santo per ragione dell'ufficio che ha verso il suo gregge. Il Sacerdote è maestro tra il popolo di Dio; come potrà insegnare agli altri i precetti del Signore, se il popolo può apertamente o di nascosto rivolgergli quel proverbio: «Medico, cura te stesso» (Lc 4,23)? Come potrà dare consigli di perfezione e togliere le pagliuzze dagli occhi degli altri se lui è in peccato e porta una trave nell'occhio proprio? Il discepolo non sarà forse in questo caso migliore di colui che dovrebbe fargli da maestro? «È chiaro che si richiede più perfezione per chi deve inculcare la perfezione agli altri, di quanta se ne richieda per chi deve semplicemente essere perfetto» (S. Tommaso). Da questo principio si deduce che si richiede più perfezione nel pastore di anime che nel semplice religioso. Si aggiunga che se le parole muovono, gli esempi trascinano; e gli esempi del Sacerdote sono apologia e via morale del popolo. S. Gregorio il Grande dice: «Penetra più gradevolmente nel cuore degli uditori la voce di chi parla come vive, perché quello che dice doversi fare, aiuta a metterlo in pratica, con il suo esempio» (Regula pastoralis p. 2, c. 3). I1 metodo del Maestro divino fu questo: «fece ed insegnò» (At 1,1); prima fece. Gli scribi ed i farisei assisi sulla cattedra di Mosè «dicono e non fanno» (Mt 23,3); S. Paolo invece grida: «Siate miei imitatori, come io stesso lo sono di Cristo» (1Cr 11,1); e Gesù diceva: «Imparate da me (Mt 11,29) ... Io, infatti, vi ho dato l'esempio» (Gv 13,15).
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Pio X, nella sua Esortazione al clero, del 4 agosto 1908, dice: «Coloro che non sono abituati a parlare con Dio, quando parlano di Dio agli uomini, o quando danno consigli di vita cristiana, mancano completamente di afflato divino, così che la parola evangelica sembra in essi quasi morta. La loro voce, ancorché brillante per prudenza ed oratoria, non rende però minimamente il suono della voce del pastore buono, che con profitto le pecorelle ascoltano; questa voce fa solo strepito e risuona invano».
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3. Tra le virtù che sono da raccomandarsi maggiormente, vi sono la pietà, la purezza, lo zelo pastorale e la pazienza.
Parlando della pietà, l'apostolo S. Paolo dice a Timoteo: «Esercitati nella pietà» (1Tm 4,7); «La pietà è utile a tutto» (1Tm 4,8), sia a ciò che riguarda la vita presente, come a quello che riguarda la vita futura; sia alla salvezza nostra, sia alla salvezza degli altri.
La purezza mentre è legge per il Sacerdote, è pure suo degnissimo ornamento, ed ornamento, al dire di S. Epifanio, che ridonda sommamente «ad onore e dignità» (Adversus haereses Panarium, 59, 4).
Per la castità il Sacerdote diventa come una persona della sacra Famiglia; Gesù è il giglio, la Vergine Maria un fiore, S. Giuseppe è sposo purissimo. Il Sacerdote casto acquista maggiori meriti, perché tra le battaglie umane, le più dure sono quelle combattute per la castità. Colui che non ha il cuore diviso può spendere tutte le sue forze e dedicare tutte le sue sollecitudini per le anime.
Con lo zelo per le anime si ubbidisce al comando di Cristo: «Vi ho destinati, perché andiate e portiate frutto, ed il vostro frutto sia duraturo» (Gv 15,16). S. Paolo esclama: «Spenderò quanto ho, anzi spenderò tutto me stesso per le anime vostre» (2Cr 12,15).
Con pazienza, lo zelo sacerdotale riporta frutto; con la pazienza infatti il seme giunge a maturazione; «E portano poi frutto per la loro perseveranza» (Lc 8,15).
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III.
1. Esame di coscienza. - Mi esaminerò sulla mia pietà sacerdotale.
Sono convinto che solo dalla pietà sacerdotale viene la grazia di Dio, e di conseguenza la santificazione mia e quella degli altri? Faccio quotidianamente la meditazione? Faccio la dovuta preparazione e il dovuto ringraziamento alla santa Messa? Recito sempre, e bene, e nel tempo stabilito, il divino Ufficio? Con quale frequenza e con quali disposizioni mi accosto al sacramento della Penitenza? Ho forse bisogno di una buona confessione generale o straordinaria? Faccio la visita al SS. Sacramento? Recito ogni giorno la terza parte del Rosario? Faccio l'esame di coscienza? Mi sono dispensato, stimando che mi mancasse il tempo, da qualche dovere di pietà, non riflettendo che sono proprio gli esercizi di pietà che mi avrebbero aiutato ad occupare bene il tempo? Come ho fatto i miei ultimi Esercizi Spirituali? Non potrei forse propormi di farli con maggior frequenza? Ho il fermo proposito di riformare ora tutto ciò che nella mia vita deve essere riformato?
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2. Mi esaminerò sulla mia condotta sacerdotale.
I miei costumi sono irreprensibili? I miei pensieri, le mie parole e le mie opere sono tutte conformi alla purezza angelica? Ho evitato anche l'apparenza del male? Ho qualche volta ricevuto persone, visitato famiglie, usato tratti che, ancorché non siano peccato, tuttavia disdicono alla dignità sacerdotale, e perciò devono essere evitati? Ho forse in casa persone che, secondo le leggi della Chiesa, non possono coabitare col Sacerdote? Quelle che è permesso tenere in casa sono veramente esemplari per costumi, indole e pietà? Ho trasmodato nel mangiare e nel bere? Sono pronto all'ira, e tardo al perdono, fino a scandalizzare i fedeli? Le mie parole ed i miei atti sono sempre consoni a quella dolcezza e carità che attira ed edifica il prossimo? Aiuto, per quanto è possibile, i poveri, e so piangere con chi piange? Ho sollecitudini esagerate per acquistare comodi alla famiglia, per allogare i parenti, e per arricchirli? Mi occupo di affari secolari, di compere, di vendite, di contratti, fino a causare lo stupore nei laici? Mi paleso spilorcio ed avaro nell'esercizio del ministero, nell'esigere gli incerti di stola, i frutti del beneficio? Mi lascio attirare dal desiderio di accumulare ricchezze? Ho già fatto il testamento in modo che i fedeli ne abbiano sollievo ed edificazione? Oppure ho disposto dei miei beni a favore di parenti, domestici, in modo tale da scandalizzare il popolo, e da farmi seguire al sepolcro dalle dicerie?
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3. Atto di preparazione alla morte. - Protesto, o Dio mio, di rassegnarmi alle divine ed amabili tue disposizioni a mio riguardo. Venga la morte quando a te piacerà: confesso di rassegnarmi completamente alla tua volontà. Accetto volentieri tutti i dolori della mia ultima malattia ed agonia; te li offro uniti alla tua passione e morte. Siimi vicino e proteggimi; mi rimetto completamente a te, e consegno nelle tue mani la mia misera anima. Stendi la tua mano sul mio letto, e concedimi, te ne prego, che l'ultima mia consolazione sia il santo Viatico; che l'ultimo mio sguardo sia volto al crocifisso Gesù; che le ultime mie parole siano i nomi santissimi di Gesù, di Giuseppe e di Maria; che l'ultimo mio affetto sia il tuo amore, e l'ultimo mio pensiero sia volto al paradiso...2.
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Atto di accettazione della morte. - O Signore Dio mio, fin d'ora accetto dalle tue mani, con pieno consenso e con animo volenteroso, qualsiasi genere di morte, come a te piacerà, con tutte le sue pene, dolori ed affanni che l'accompagneranno (cf Enchiridion Indulgentiarum, [Roma 1950], n. 638).
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1 Citazione a senso.
2 Mancano qui due brani, che furono portati nella prima meditazione (n. d. T.).