Beato Giacomo Alberione

Opera Omnia

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39.
L'EUCARISTIA IN QUANTO È SACRAMENTO

(PB 4, 1940, 114-120)

I.

1. L'eucaristia è un sacramento della nuova Legge, nel quale, sotto le specie del pane e del vino, si contiene veramente, realmente e sostanzialmente il corpo, il sangue, l'anima e la divinità di Cristo, per il sostentamento spirituale dell'anima nostra. Negli altri sacramenti si agisce per modo transeunte; il battesimo, per esempio, si dà con l'abluzione dell'acqua unita alla pronunzia delle parole della forma; con queste due cose il sacramento viene costituito, mandato ad effetto ed applicato al soggetto, in un solo tempo. Il sacramento della eucaristia invece consta di tre momenti: nel primo momento viene costituito lo stesso sacramento, nel secondo si ha il sacramento fatto, nel terzo il sacramento viene applicato al soggetto.
Mediante la consacrazione si ha la transostanziazione, e di conseguenza la reale presenza di Cristo sotto le specie. Questa presenza continua anche dopo la Messa, fino a che le specie non vengano corrotte. Si riceve questo sacramento quando i fedeli sumono la sacra particola. Ciò dipende dalla natura speciale di questo sacramento, che fu istituito a modo di cibo, affinché per esso venisse sostentata la vita degli uomini. La lucerna infatti serve a dirigere i nostri passi nella via della salvezza; il cibo invece ripara ed aumenta le forze: «Correrò per la via dei tuoi comandamenti quando m'avrai allargato il cuore» (Sl 118,32). Nel libro Della Imitazione di Cristo, in un capitolo intitolato: «Che il corpo di Cristo e la sacra Scrittura sono cose in sommo grado necessarie all'anima fedele», si legge: «Sì, finché mi trovo ristretto nella prigione di questo corpo, confesso di aver bisogno di due cose, cioè di cibo e di lume; pertanto avendo voi, o Signore, riguardo alla mia debolezza, mi avete dato la vostra sacra carne per ristoro dell'anima e del corpo; e mi avete lasciato la vostra parola per servirmi di lampada, ond'io vegga la strada che debbo calcare» (lib. 4, cap. 11, n. 4).
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2. I sacramenti furono istituiti per sopperire alle necessità della vita spirituale; e tali necessità hanno un'analogia in quelle corporali. Nella vita corporale, oltre alla nascita ed alla crescita, ha grande importanza e necessità l'alimento, mediante il quale l'uomo vive, si mantiene in salute, e cresce; ugualmente necessario è l'alimento spirituale, affinché l'anima venga sostentata e cresca in virtù.
Questa verità è apertamente enunciata nel fatto della moltiplicazione dei pani, specialmente con le parole: «Non voglio mandarli via digiuni, perché non abbiano a venir meno per la strada» (Mt 15,32). Si legge infatti in Matteo: «Gesù, chiamati i suoi discepoli, disse loro: Ho pietà di questo popolo, perché son già tre giorni che sta con me e non ha niente da mangiare. Non voglio mandarli via digiuni, perché non abbiano a venir meno per la strada. Ma gli dicono i discepoli: Dove potremo procurarci, in un deserto, pani abbastanza per sfamare tanta gente? Gesù domandò loro: Quanti pani avete? Risposero: Sette e pochi pesciolini. Fece allora sedere la folla per terra, prese i sette pani e i pesci e, dopo aver rese le grazie, li spezzò e li dette ai suoi discepoli, e i discepoli alla folla. Sicché tutti mangiarono fino a saziarsi; e dei pezzi avanzati ne portaron via sette ceste piene. Or, quelli che avevano mangiato erano circa quattromila uomini, senza contare le donne e i fanciulli» (Mt 15,32-38).
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3. Nella santissima eucaristia abbiamo: a) Il segno sensibile nelle specie del pane e del vino: «Gesù prese del pane... poi, preso il calice...» (Mt 26,26s.); b) La significazione ed il conferimento della grazia come è ben rappresentato dallo stesso cibo spirituale, al modo che nel battesimo l'abluzione con l'acqua indica l'abluzione dai peccati; c) L'istituzione divina, come viene narrato dai Vangeli; Cristo infatti prese il pane ed il calice e pronunziò su di essi le parole: «Questo è il mio corpo...» (Lc 22,19); «Questo è... il calice del sangue mio» (Messale Romano, Ordinario della Messa: Consacrazione).
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La necessità dell'eucaristia si desume dalle parole: «Se non mangerete la carne del Figlio dell'uomo e non berrete il suo sangue non avrete in voi la vita» (Gv 6, 53). Per precetto ecclesiastico, ogni fedele dei due sessi, dopo che ha raggiunto gli anni della discrezione, deve ricevere il sacramento dell'eucaristia, almeno una volta all'anno. Per precetto divino, si è obbligati in special modo a ricevere l'eucaristia in pericolo di morte, per qualsiasi causa determinato. È invece molto conveniente che i fedeli ricevano di frequente, anche tutti i giorni, la comunione.
Degne di essere ricordate sono le dichiarazioni di un decreto del Concilio di Trento: «I. Nessun cristiano di qualsiasi ordine o condizione, può essere impedito di comunicarsi frequentemente e quotidianamente, purché sia in stato di grazia, e si accosti alla sacra mensa con retta e pia intenzione. II. Ancorché massimamente convenga che quelli che si comunicano frequentemente ed anche quotidianamente siano esenti da colpe veniali, almeno da quelle pienamente deliberate, e non abbiano l'affetto a tali colpe, è sufficiente però che costoro non abbiano colpe mortali, e che abbiano il proposito di non più peccare in avvenire. III. Affinché la frequente e quotidiana comunione venga fatta con più prudenza e sia occasione di maggiore merito, si chieda consiglio al confessore. IV. Venga promossa la comunione frequente e quotidiana, specialmente negli istituti religiosi di qualsiasi genere; ugualmente (ed a più forte ragione) nei seminari dei chierici, dove gli alunni aspirano al servizio dell'altare; lo stesso si faccia in altri collegi cristiani di ogni genere».
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II.

1. «O sacro banchetto, nel quale si sume Cristo...» (Rituale Romano, tit. 4, cap. 2, n. 6). La divina eucaristia è per dare nutrimento soprannaturale alla vita. «Con il battesimo rinasciamo spiritualmente; con la confermazione aumentiamo in grazia, e ci rafforziamo nella fede; dopo che siamo rinati e ci siamo rafforzati ci nutriamo con il divino cibo dell'eucaristia» (Decretum pro Armenis. - Denzinger n. 695).
Degne di essere qui ricordate sono le parole di Cristo: «Io sono il pane della vita. I padri vostri mangiarono nel deserto la manna e morirono. Questo è il pane disceso dal cielo, affinché chi ne mangia non muoia. Sono io il pane vivo disceso dal cielo. Se uno mangia di questo pane, vivrà in eterno; e il pane che io darò è la mia carne sacrificata per la vita del mondo... Perché la mia carne è veramente cibo, e il mio sangue è veramente bevanda. Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue, rimane in me ed io in lui... Chi mangia me, vivrà anch'egli per me» (Gv 6,48-51.55-57). Per questo il Concilio di Firenze, nel Decreto per gli Armeni, dice: «Il medesimo effetto prodotto per la vita corporale dal cibo e dalla bevanda materiale, ossia il sostenere, il crescere, il riparare e il dilettare, è pure prodotto da questo sacramento riguardo alla vita spirituale. In esso, come dice Papa Urbano [IV], ravviviamo la grata memoria del nostro Salvatore, veniamo preservati dal male, rafforzati nel bene, e cresciamo nelle virtù e nella grazia» (Denzinger n. 698). L'eucaristia sostenta infatti conferendo la grazia abituale ed attuale; accresce unendo di più a Dio; ripara liberandoci dalle colpe veniali e dalla pena dovuta per il peccato, diletta anche, in quanto apporta all'anima una certa soavità e dolcezza.
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2. Ricordiamo le parole dell'istituzione dell'eucaristia: «Or, mentre mangiavano, Gesù prese del pane, lo benedì, lo spezzò, lo diede ai suoi discepoli e disse: Prendete e mangiate; questo è il mio corpo. Poi, preso il calice, rese le grazie e lo diede loro, dicendo: Bevetene tutti» (Mt 26,26s.). E S. Paolo ai Corinzi scrive: «Il Signore Gesù... prese del pane,... e disse: Questo è il mio corpo dato per voi» (1Cr 11,23s.). Appare dunque che il carattere di questo sacramento è di essere cibo spirituale. Si dice perciò: «La carne (nostra) si ciba del sangue e del corpo di Cristo, affinché l'anima sia nutrita di Dio» (Tertulliano, De carnis resurrectione, 8).
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Altri effetti riguardanti l'anima: L'eucaristia può indirettamente rimettere anche i peccati mortali e conferire la prima grazia santificante. Riguardo ai peccati veniali, abbiamo la dichiarazione del Concilio di Trento che ci assicura essere l'eucaristia «l'antidoto che ci libera dalle colpe quotidiane» (Sess. 13, cap. 2. - Denzinger n. 875). I peccati veniali si oppongono alla carità, ma per l'aumento della carità prodotto dalla sunzione dell'eucaristia, essi vengono bruciati come paglia secca dal fuoco. Anche le pene temporali possono venire rimesse dalla comunione ex opere operantis. Però il più importante effetto dell'eucaristia è l'aumento della grazia santificante, che viene manifestato dalle grazie attuali che preservano l'anima dal peccato mortale e l'aiutano ad acquistare tutte le virtù cristiane. S. Giovanni Crisostomo dice: «Ci dipartiamo da quella mensa come leoni, spiranti fiamme, e divenuti terribili al demonio». La Chiesa canta: «O Ostia di salvezza, che spalanchi le porte dei cieli; battaglie ostili si addensano: da' forza; porta aiuto!» (O salutaris Hostia, str. 1).
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3. Gli effetti dell'eucaristia riguardanti il corpo sono: la diminuzione della concupiscenza, ed il germe dell'immortalità. La concupiscenza viene diminuita in due modi. In primo luogo, in quanto viene aumentata la grazia, e diffusa nel cuore una celeste soavità: «Hai ammannito loro dal cielo senza fatica un pane bell'e fatto, bastante per ogni delizia e buono per ogni gusto» (Sp 16,20). In secondo luogo, la concupiscenza viene diminuita misticamente, in quanto l'unione intima con la carne divina ed immacolata di Cristo smorza le impurità della carne nostra, come l'acqua spegne l'incendio. S. Bernardo dice: «Se qualcuno di voi non sente più così spesso e così fortemente i moti dell'ira, dell'invidia, della lussuria, e simili, ne renda grazie al corpo ed al sangue di Cristo ricevuti nell'eucaristia».
L'eucaristia immette in noi il germe dell'immortalità, e perciò il Concilio di Trento dichiara che questo sacramento è «pegno... della nostra gloria futura, e dell'eterna felicità» (Sess. 13, cap. 2. - Denzinger n. 875). Cristo infatti disse: «Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue ha la vita eterna, ed io lo risusciterò nell'ultimo giorno» (Gv 6,54).
Considera, o confratello Sacerdote, con quale frequenza e con quali disposizioni ti comunichi. Inoltre esaminati sui seguenti punti: con quale zelo amministri i sacramenti ai moribondi ed ai malati; con quale diligenza prepari i fanciulli ed i giovani alla prima ed alle successive comunioni; quale è il tuo zelo pastorale riguardo alla comunione frequente presso ogni ceto di persone.
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III.

1. L'eucaristia è cibo santissimo, è lo stesso Gesù Cristo Dio e Uomo, ma richiede alcune disposizioni per portare frutto. Si può applicare allo stesso Verbo eucaristico la parabola del seme evangelico: «Il seminatore uscì a seminare il suo seme. E nel gettarlo, parte del seme cadde lungo la strada, fu pesticciato e gli uccelli del cielo se lo beccarono, parte cadde sulla roccia, e spuntato che fu, si seccò, perché non aveva umore. Parte cadde fra le spine, ma le spine crebbero insieme e lo soffocarono. Parte cadde in terreno fertile e, cresciuto, fruttò il centuplo. Detto questo, esclamò: Chi ha orecchi da intendere intenda! I suoi discepoli gli domandarono che cosa significava questa parabola. Ed egli rispose: A voi è stato concesso di conoscere i misteri del regno di Dio; agli altri invece è annunziato in parabole, affinché guardando non vedano, e udendo non comprendano. Ecco che significa la parabola: il seme è la parola di Dio. Quelli che sono lungo la strada, son coloro che ascoltano, poi viene il diavolo e toglie dal loro cuore la parola, per impedire che, credendo, si salvino. Quelli sulla roccia son coloro che dopo aver ascoltato, accolgono la parola con gioia, ma non hanno radici; credono per un certo tempo, e al momento della prova vengono meno. Quello caduto fra le spine sono coloro che hanno ascoltato la parola, ma poi, a poco a poco, si lasciano sopraffare dalle preoccupazioni, dalle ricchezze, dai piaceri della vita e non giungono a maturazione. Quello caduto nel terreno fertile, son coloro che hanno ascoltato la parola e la conservano in un cuore onesto e buono, e producono frutto con perseveranza» (Lc 8,5-15).
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2. Vi sono alcune disposizioni per [ben] ricevere l'eucaristia, che riguardano l'anima, [ed altre che riguardano il corpo]. Tra le prime, è necessario, oltre la fede e l'immunità dalle censure, principalmente lo stato di grazia; sia perché l'eucaristia è un sacramento dei vivi che presuppone nel soggetto la prima grazia; sia perché è cibo spirituale, e non può giovare a chi è spiritualmente morto. Pecca perciò e commette gravissimo peccato di sacrilegio colui che si accosta alla santa comunione indegnamente. I peccati veniali, per quanto numerosi, non impediscono di fare la comunione; nei casi dubbi si ricordino le parole di S. Alfonso: «Se qualcuno dubita di aver peccato gravemente o no, può lecitamente accostarsi alla comunione, senza premettere la confessione... (gli basta, per ricevere con maggior sicurezza il frutto del sacramento, premettere la contrizione). Se invece uno è certo di aver peccato, non può fare la comunione, se non è pure certo di essersene confessato» (Homo Ap., tr. 15, c. 3, n. 34).
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Altra disposizione richiesta, riguardante l'anima, è la devozione attuale, affine di riportare dal sacramento più copioso frutto spirituale. Infatti con quanta maggior devozione l'anima del fedele si accosta al Signore Gesù Cristo, con maggior amore viene da lui ricevuta e più largamente colmata di grazie. La devozione attuale viene ottimamente attuata dal fervoroso atto di fede, da quello di umiltà sincera, di ardente desiderio e di fervorosa carità. Di qui il dovere di ammonire spesso il popolo perché si accosti a questo divino sacramento ben preparato, con religione e pietà, e con umiltà palesata anche dall'esterno portamento. Si ammoniscano i comunicandi di non uscire subito di chiesa dopo essersi comunicati, di non distrarsi parlando, o guardando in giro; ma di fermarsi qualche tempo, con devozione, a pregare, a ringraziare Dio di un così singolare beneficio, e anche della divina passione del Signore, in memoria della quale questo sacramento viene celebrato e ricevuto.
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Tra le disposizioni corporali sono richieste: il digiuno naturale e la decenza. Per il digiuno naturale si richiede che il comunicando non abbia preso cibo o bevanda dalla mezzanotte: così secondo il diritto canonico e secondo la consuetudine universale. Questo per la riverenza dovuta al sacramento, in vista del suo significato: «affinché cioè si possa comprendere che Cristo,... e la sua carità devono avere il primo posto nei nostri cuori» (S. Tommaso, Summa Th., 3, q. 80, a. 8, in c.).
Per rompere il digiuno naturale si richiedono tre cose: che ciò che si sume provenga dall'esterno; che abbia qualità di cibo o di bevanda; che venga preso a modo di cibo o di bevanda. La legge del digiuno eucaristico, essendo ecclesiastica, può cessare o intrinsecamente per cause gravi: quando si tratti di portare a termine il sacrifizio iniziato; quando si debba impedire una grave irriverenza verso il sacramento, quando si debba evitare il pericolo di infamia o di scandalo; quando urga il pericolo naturale di morte. «Per concessione contenuta nel canone 858, § 2, del CJC: «I malati che sono a letto già da un mese senza speranza di prossima guarigione, col prudente consiglio del confessore, possono ricevere la santissima eucaristia, una o due volte alla settimana, anche dopo aver preso qualche cosa a modo di bevanda, o qualche medicina».
È richiesta l'esteriore decenza ed il devoto atteggiamento del corpo che manifesti l'interiore riverenza e devozione dell'animo, ancorché nessuna macchia corporale impedisca, di per sé, di ricevere l'eucaristia.
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3. Ripensa alle seguenti parole del Rituale Romano: a) «La Chiesa di Dio non ha nulla di più degno, nulla di più santo, nulla di più ammirabile» del santissimo sacramento dell'eucaristia (cf Tit. 4, cap. 1, n. 1); b) Il parroco perciò ponga somma diligenza per trattare, custodire e amministrare questo venerabile sacramento con quella riverenza e debito culto richiesto. Anche il popolo a lui affidato religiosamente adori, santamente e frequentemente riceva questo sacramento, specialmente nelle feste maggiori dell'anno (ib. n. 2); c) Si ammonisca spesso il popolo con quale preparazione e con quanta religione dell'animo e purità di coscienza si deve accostare al divin sacramento; e con quanta devozione si deve fare il ringraziamento dopo la comunione; d) Il pastore di anime abbia cura che si conservino sempre delle particole consacrate per gli infermi, secondo le regole date dalla Santa Sede; e tali particole vengano spesso rinnovate; e) Ammetta alla comunione tutti i fedeli, e secondo la dottrina della Chiesa e gli autori approvati, promuova la comunione frequente» (cf ibid., nn. 3-8).
Il Sacerdote che celebra ogni giorno la Messa secondo il rito, che bene si comunica e che fa ogni giorno la visita all'eucaristia, avrà somma consolazione e devozione, quando, sul letto di morte, riceverà il Viatico. Bisogna insomma concludere con le parole del libro Della Imitazione di Cristo: «Signore Iddio mio, mio creatore e mio redentore, io bramo di ricevervi oggi con tale affetto, riverenza, lode ed onore, con tale fede speranza e purità, come vi ricevette e desiderò la gloriosa Vergine Maria, vostra santissima Madre, quando all'angelo, che le annunziò il mistero dell'incarnazione, rispose con umiltà e devotamente: Ecco l'ancella del Signore: si faccia in me secondo la tua parola» (lib. 4, cap. 17, n. 2).
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La fedeltà alla visita al SS. Sacramento è un segno di predestinazione: chi cercò sempre Gesù non verrà da lui rigettato; chi l'adorò assiduamente velato nel tabernacolo merita di adorarlo in eterno svelato in paradiso1.
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1 Il brano contenuto sotto questo numero fu aggiunto, manoscritto, dal Sac. G. Alberione, nella correzione da lui fatta sulla prima edizione del presente libro.