Beato Giacomo Alberione

Opera Omnia

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41.
IL SACRAMENTO DELLA PENITENZA

(PB 4, 1940, 251-256)

I.

1. La penitenza è sacramento istituito da Gesù Cristo, nel quale, mediante la giuridica assoluzione del Sacerdote, all'uomo contrito, confessato e che promette di riparare, vengono rimessi i peccati commessi dopo il battesimo. In questo sacramento viene presa la stessa virtù della penitenza coi suoi atti e viene elevata alla dignità ed efficacia di sacramento.
Il sacramento della riconciliazione è un più laborioso battesimo, la seconda tavola di salvezza dopo il naufragio, la confessione dei peccati.
Nel fatto della sanazione del paralitico, Gesù Cristo aveva detto: «Figliuolo, ti son perdonati i tuoi peccati» (Mt 9,2). Ai farisei che tra di loro pensavano: «Chi può rimettere i peccati, se non Dio solo?» (Mc 2,7), Gesù risponde: «Or, affinché sappiate che il Figlio dell'uomo ha sulla terra il potere di rimettere i peccati: Lèvati su, disse al paralitico, prendi il tuo letto e vattene a casa tua» (Mt 9,6).
Questa potestà venne da Cristo trasmessa alla Chiesa, ai Sacerdoti, quando apparendo agli apostoli disse: «La pace sia con voi! Come il Padre ha mandato me, anch'io mando voi. E, dopo aver così parlato, alitò su di essi, dicendo loro: Ricevete lo Spirito Santo. A chi rimetterete i peccati, saranno loro rimessi, e a chi li riterrete, saranno ritenuti» (Gv 20, 21-23). Gesù dà la pace che è frutto della riconciliazione con Dio, e poi dà il potere di comunicare la pace alle anime.
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Questo è il sacramento del misericordiosissimo Cuore di Gesù. Come il Redentore divino venne a riconciliare l'umanità caduta in Adamo, così questo sacramento rialza ogni singolo uomo caduto per il peccato. Cristo applica in questo sacramento il frutto della sua passione, meritato mentre pendente dalla croce pregava: «Padre, perdona loro, perché non sanno quello che fanno» (Lc 23,34); ed al buon ladro che supplicava: «O Gesù, ricordati di me, quando sarai giunto nel tuo regno» (Lc 23,42), rispose: «Oggi sarai in paradiso con me» (Lc 23, 43). Nello stesso modo, con il sacramento della penitenza, Gesù applica la redenzione ad ogni singolo uomo peccatore. Dice S. Leone il Grande: «La molteplice misericordia di Dio viene in aiuto agli uomini caduti, non solo dando la grazia per mezzo del battesimo, ma anche ridonando la speranza della vita eterna per mezzo della medicina della penitenza» (Ep. 18, 2). E questo non ostante che molti e gravi siano i peccati, secondo quanto dice S. Agostino: «Vi furono di quelli che dissero che la penitenza non doveva essere concessa per alcuni peccati; costoro però vennero separati dalla Chiesa e divennero eretici. Di qualsiasi peccato si tratti, la Chiesa conserva sempre tenero amore di madre» (Sermo 352, 3, 9).
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2. Noi poi che siamo peccatori, e che speriamo nella grande misericordia divina, ci consoliamo meditando le pagine del Nuovo Testamento che manifestano maggiormente la misericordia di Dio. Il Signore Gesù Cristo trattò con benignità la donna samaritana; liberò la peccatrice adultera da coloro che l'accusavano, e dopo aver scritto in terra, si alzò e disse: «Chi di voi è senza peccato, scagli la prima pietra contro di lei» (Gv 8,7): mangiò con i peccatori perché del medico hanno bisogno i malati e non i sani; difese la Maddalena di fronte al fariseo Simone, dichiarando: «I suoi numerosi peccati sono stati perdonati, perché essa ha amato molto (Lc 7, 47).
Cristo per dare il perdono richiede un minimo di disposizioni; perciò si dica a tutti i fedeli, di presentarsi al tribunale sacerdotale, con fiducia ogni volta che hanno peccato, perché riacquistino la salvezza a mezzo della seconda tavola.
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3. Gli effetti di questo sacramento sono i seguenti: a) rimette i peccati quanto alla colpa ed alla pena eterna, e così perfettamente che non riviviscono più per un successivo peccato, e ciò in seguito all'infusione della grazia santificante; b) rimette la pena temporale sia per ragione dell'assoluzione, e sia per ragione della soddisfazione imposta dal confessore: e ciò in grado maggiore o minore secondo le disposizioni del penitente. Non mai però, secondo il Concilio di Trento, la pena è rimessa totalmente, senza grande nostro pianto e fatica, esigendo così la giustizia divina; c) fa rivivere le opere buone fatte prima in stato di grazia e poi mortificate dai peccati; d) conferisce la grazia sacramentale, per la quale concepiamo sempre maggiore odio al peccato, e da esso più efficacemente veniamo preservati.
Molto si deve stimare questo sacramento da quelli che hanno la coscienza agitata dalle colpe; essi espongano le malattie e le ferite dell'anima loro al Sacerdote confessore, il quale come ministro di Cristo, è tenuto da un perpetuo e rigorosissimo silenzio, vincolato da leggi molto severe. Né si deve sottovalutare l'utilità che ha la confessione in relazione alla vita ed all'unione sociale (cf Catechismus Romanus, p. 2, c. 5, n. 37). Perciò: «Mostratevi ai sacerdoti» (Lc 17,14).
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II.

1. «Preferisco la misericordia al sacrifizio» (Mt 9, 13), dice il Signore. Questa utilissima ammonizione appare chiarissimamente nella parabola della dramma perduta: «Qual è quella donna, che avendo dieci dramme se ne perde una, non accende la lucerna, spazza la casa e cerca attentamente, finché non l'abbia ritrovata? E dopo averla ritrovata, chiama le sue amiche e le sue vicine e dice loro: Rallegratevi con me, perché ho ritrovato la dramma che avevo perduta. Così, io vi dico, si fa festa davanti agli Angeli di Dio, per un peccatore pentito» (Lc 15,8-10).
Gesù stesso invita il peccatore, lo cerca, lo aiuta dandogli la grazia affinché ritorni, anzi lo prende e lo porta all'ovile con maniere delicatissime e ammirabili. Ecco la parabola della pecorella smarrita: «Chi di voi, avendo cento pecore, se ne perde una, non lascia le novantanove nel deserto e non va in cerca di quella smarrita, finché non l'abbia ritrovata? E quando l'ha ritrovata, se la mette sulle spalle tutto contento e ritornato a casa, chiama gli amici e i vicini, dicendo loro: Rallegratevi con me, perché ho ritrovato la mia pecorella smarrita. Così, io vi dico, vi sarà in cielo una gioia maggiore per un solo peccatore che si pente, che per novantanove giusti, i quali non han bisogno di penitenza» (Lc 15,4-7).
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2. Gesù: a) quasi dimentico delle ingiurie, riceve con bontà il peccatore quando torna dal padre suo; b) quasi dimentico dello spreco fatto dei suoi beni, concede altri beni e rimette e conferma il peccatore nella sua missione di prima; c) quasi dimentico della giustizia e ricordandosi soltanto della misericordia paterna, del peccatore che ritorna dice: «Era ben giusto far festa e darsi alla gioia, perché... era morto ed è ritornato in vita» (Lc 15,32).
Ecco la meravigliosa parabola del figliuol prodigo: «Un uomo aveva due figli. Or, il più giovane disse al padre: Padre, dammi la parte dei beni che mi spetta. E il padre divise tra i figli i suoi beni. Pochi giorni dopo, il figlio più giovane, messa insieme ogni cosa, se ne partì per un paese lontano, e là scialacquò tutto il suo patrimonio vivendo dissolutamente. Quando ebbe dato fondo ad ogni cosa, venne in quella regione una tremenda carestia ed egli cominciò a sentir la miseria. Allora se ne andò e si mise a servizio d'un uomo di quel paese, il quale lo mandò nei suoi campi a badare ai porci. Avrebbe voluto riempirsi il ventre delle carrube che mangiavano i porci, ma nessuno gliene dava. Allora rientrato in se stesso, disse: Quanti mercenari di mio padre hanno pane in abbondanza, ed io, qui, muoio di fame! Mi alzerò e andrò da mio padre e gli dirò: Padre, ho peccato contro il cielo e contro di te! Non son più degno di essere chiamato tuo figlio: trattami come uno dei tuoi mercenari. E alzatosi, andò da suo padre. Lo vide il padre, mentre era ancora lontano, e ne ebbe pietà; allora correndogli incontro, gli si gettò al collo e teneramente lo baciò. E il figlio gli disse: Padre, ho peccato contro il cielo e contro di te; non son più degno di essere chiamato tuo figlio. Ma il padre ordinò ai suoi servi: Portate subito la veste più bella e rivestitelo, mettetegli un anello al dito e i calzari ai piedi. Prendete il vitello grasso, ammazzatelo, si banchetti e si faccia festa; perché questo mio figlio era morto ed è tornato in vita, era perduto, e si è ritrovato. E incominciarono a far festa. Ora il figlio maggiore era nei campi; mentre tornava, quando fu vicino a casa, sentì musica e canti, e chiamato uno dei servi, gli domandò che cos'era tutto quello. Il servo gli rispose: È ritornato tuo fratello e tuo padre ha ammazzato il vitello grasso, perché l'ha potuto riavere sano e salvo. Egli allora si adirò e non voleva entrare. Sicché il padre uscì fuori e cominciò a pregarlo. Ma egli si rivolse al padre, dicendo: Ecco, son tanti anni che io ti servo, senz'aver mai trasgredito uno dei tuoi ordini, e tu non mi hai dato mai nemmeno un capretto per far festa coi miei amici. E ora che è tornato questo tuo figlio, che ha consumato tutti i suoi beni con delle meretrici, tu gli hai ucciso il vitello grasso. Figlio, gli rispose il padre, tu sei sempre con me, e tutto quello che io ho è tuo; ma era ben giusto far festa e darsi alla gioia, perché questo tuo fratello era morto ed è ritornato in vita, era perduto e si è ritrovato» (Lc 15,11-32).
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3. L'applicazione della parabola si può facilmente considerare anche nella conversione di Pietro e di Paolo; e poiché essi sono due prìncipi nel regno di Cristo, ammoniscono tutti noi che tale eredità fu guadagnata da Cristo col suo sangue, e che nessuno è tanto peccatore da dover disperare della conversione, e che da un infelice peccatore Gesù può ricavare dei felicissimi santi ed apostoli, e dare al peccatore «il ministero della riconciliazione» (2Cr 5,18). Di Pietro si legge: «Cominciò a imprecare e a spergiurare: Io non conosco quell'uomo!» (Mt 26,74); «Il Signore, voltatosi, guardò Pietro» (Lc 22,61). Ed egli convertitosi rafforzò i fratelli ed il mondo sulla verità della risurrezione e della divinità di Cristo. A lui vennero affidate le chiavi del regno dei cieli e fu il primo vicario del Maestro divino; fu maestro dei popoli, apostolo e martire; la sua gloria viene annunziata in tutto il mondo e per tutta l'eternità viene festeggiato nel cielo.
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Di Paolo si legge che «desolava la chiesa» (At 8,3); «Intanto Saulo, ancora spirante minacce e stragi contro i discepoli del Signore» (At 9,1); ed ancora: «Durante il viaggio avvenne che avvicinandosi lui a Damasco, d'improvviso una luce del cielo gli sfolgoreggiò d'intorno. E caduto per terra sentì una voce che gli disse: Saulo, Saulo, perché mi perseguiti? Ed egli chiese: Chi sei, Signore? E l'altro: Io sono Gesù che tu perseguiti; dura cosa è per te ricalcitrare contro il pungolo. E tremante e stupefatto, Saulo disse: Signore, che vuoi ch'io faccia? E il Signore: Alzati ed entra in città, lì ti sarà detto quello che devi fare» (At 9,3-6). E divenne uno strumento eletto, dottore dei pagani, apostolo che faticò più degli altri, prigioniero per Cristo, scrittore ispirato elettissimo, martire glorioso, compagno di S. Pietro durante la vita, nel martirio e nella gloria della corona di giustizia. Possiamo concludere: «L'empietà dell'empio non nocerà a lui nel giorno in cui si convertirà dalla sua empietà» (Ez 33,12).
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III.

1. Mediterò le parole di Gioele: «Convertitevi ora, dice il Signore, tornate a me con tutto il vostro cuore, nel digiuno, nelle lacrime, nei sospiri. Lacerate i vostri cuori e non le vostre vesti; tornate al Signore Dio vostro, che è benigno e misericordioso, paziente e ricco di clemenza» (Gl 2,12s.). E così pure le parole del Vangelo: «Se voi non fate penitenza, perirete tutti nello stesso modo» (Lc 13,5), ed altre: «Fate adunque penitenza e convertitevi, affinché siano cancellati i vostri peccati» (At 3,19). «La penitenza fu sempre necessaria per tutti gli uomini che in qualche modo si macchiarono di peccato mortale, per riacquistare la grazia e la giustizia» (Concilio Tridentino, sess. 14, cap. 1. - Denzinger n. 894). Nella confessione settimanale, mensile ed annuale degli esercizi spirituali, confesserò perciò con diligenza i peccati che ho commesso.
Il pastore accoglie con bontà le pecore smarrite, specialmente perché anche lui attingerà da questo salutarissimo sacramento grazia e vita.
Questo sacramento è a perdono dei peccati e nello stesso tempo a rimedio dell'infermità. «Ecco l'Agnello di Dio, ecco colui che toglie i peccati del mondo» (Gv 1,29), non solo perché rimette i peccati commessi, ma anche perché impedisce le ricadute. Il Signore Gesù trattando con l'adultera la interroga: «Nessuno ti ha condannata?». Ed ella rispose: «Nessuno, Signore». E Gesù le disse: «Nemmeno io ti condannerò: va', e d'ora in poi non peccar più» (Gv 8,10s.). Questi due effetti del sacramento devono essere assai meditati.
Da questa meditazione ricaverò il proposito fermo di accostarmi alla confessione almeno una volta alla settimana, anche per usarne come medicina delle infermità spirituali, affinché non pecchi nel futuro.
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2. Le confessioni dei Sacerdoti richiedono più eccellenti disposizioni, affinché ottengano completo effetto di conversione, secondo la quotidiana invocazione: «Ristoraci, o Dio, nostro salvatore, e deponi il tuo sdegno contro di noi» (Sl 84,5). Dai frutti di santità possiamo conoscere se vi siano o no le disposizioni per il sacramento: «Il bene risulta dalla perfezione di tutte le parti, ed il male da qualsiasi difetto». Perciò per il Sacerdote si richiedono, come per i fedeli, diligente esame di coscienza, contrizione, proposito, accusa e soddisfazione. Ma la contrizione è parte essenziale, la soddisfazione è parte integrale. Deve essere premessa una fervorosa preghiera: si tratta infatti di un'opera soprannaturale e la contrizione è un dono soprannaturale di Dio. «Deh! Signore, togli da noi le nostre iniquità; affinché meritiamo di entrare con anima pura nel Santo dei santi» (Messale Romano: Ordinario della Messa).
L'esame di coscienza del Sacerdote deve essere fatto: a) sugli obblighi comuni dei cristiani, ossia sui precetti divini ed ecclesiastici; b) sulle virtù teologali, cardinali e morali; c) sulle obbligazioni sacerdotali, specialmente sull'orazione, sulla castità e sul buon esempio; d) sui doveri pastorali di ammaestrare il gregge, di governare le anime e di amministrare i sacramenti. Scelga il Sacerdote un luogo raccolto dove possa mettere sé di fronte a sé, e giudichi se stesso, senza lasciarsi ingannare da illusioni. Sia giudice prudente di se stesso, sia padre benigno verso gli altri.
Duplice è la contrizione: perfetta ed imperfetta; si desidera che almeno i Sacerdoti cerchino di avere dei loro peccati una contrizione perfetta, per ricavare più abbondanti frutti dal sacramento: «Io amo quelli che mi amano» (Pv 8,17); «Chi ama me, sarà amato dal Padre mio, ed io pure l'amerò e gli manifesterò me stesso» (Gv 14,21); «Dio è carità e chi rimane nella carità sta in Dio, e Dio dimora in lui» (1Gv 4,16). Di questa carità perfetta parla S. Giovanni Crisostomo quando dice: «Come il fuoco appiccato ad una selva purga ogni cosa, così il fervore di carità in qualsiasi luogo si manifesti toglie tutto e tutto annienta... Dove vi è la carità vengono rimossi tutti i mali» (Hom. 7 in 2Tm, 3).
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3. L'accusa dei peccati. Il Sacerdote si scelga un confessore dotto, santo, prudente, ed a lui vada abitualmente. Per tutti sono adatte le parole di Agostino: «A questa confessione, o fratelli carissimi, bisogna accostarsi con sollecitudine, in modo che non solo con le parole essa venga fatta, ma anche con il cuore e con le opere. Nessuno si vergogni di confessare la sua ferita, perché non può essa venire sanata senza la confessione». A queste parole fa eco S. Girolamo, il quale afferma: «Se il peccatore avrà taciuto e non avrà fatto penitenza, né avrà voluto manifestare la sua ferita al fratello ed al maestro, il fratello ed il maestro, che hanno la lingua per sanare, facilmente non potranno a lui giovare. Se infatti il malato ha vergogna di confessare il suo male al medico, la medicina non può curare ciò che non conosce».
Riparerò alle offese recate alla Maestà divina. La soddisfazione è la volontaria accettazione della pena temporale imposta dal Sacerdote nel sacramento della penitenza, per riparare l'ingiuria fatta a Dio con il peccato. La soddisfazione serve pure a compensare per la pena temporale non ancora rimessa, ed a restituire più perfettamente all'anima la sanità spirituale. Il Tridentino dice: «E s'addice proprio alla divina clemenza che noi non siamo così assolti da' peccati senza una soddisfazione, affinché, abusando dell'occasione e pigliando alla leggera i peccati, non cadiamo, da ingiusti oltraggiatori dello Spirito Santo (cf Eb 10,29), in peccati più gravi, accumulandoci ira pel giorno dell'ira (cf Rm 2,5). Senza dubbio queste opere di soddisfazione penale distolgono energicamente dal peccato e servono come di freno; esse rendono i penitenti più cauti e vigilanti per l'avvenire; portano un rimedio pure ai rimasugli del peccato, e, con gli atti delle virtù opposte, distruggono gli abiti cattivi contratti col viver male» (Sess. 14, cap. 8. - Denzinger n. 904).
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