29.
LO ZELO PASTORALE
(PB 2, 1938, 211-217)
I.
1. Necessità dello zelo. - Il Sacerdote deve salvare se stesso; e salvare quelli che lo ascoltano; è infatti uomo privato e uomo pubblico: «Essendo preso di tra gli uomini, è costituito rappresentante degli uomini» (Eb 5,1).
«Siate adunque imitatori di Dio, come si conviene a figli carissimi» (Ef 5,1). Dio Padre ama le anime che ha create, e «vuole che tutti gli uomini si salvino e giungano a conoscere la verità» (1Tm 2,4); «Dio ha tanto amato il mondo, che ha sacrificato il suo Figlio unigenito» (Gv 3,16).
«Siate inoltre imitatori di Cristo, che ci ha mostrato il Cuore suo amantissimo, affinché ardiamo della stessa fiamma. Gesù venne «a salvare ciò che era perduto» (Lc 19,10); venne per porre fine al peccato e lavare l'iniquità; venne tra gli uomini ad instaurare il regno della verità, della giustizia e dell'amore, avendo perciò amato i suoi che erano nel mondo, li amò fino a dare la vita.
Siate ancora imitatori degli apostoli, di tutti i santi Sacerdoti e religiosi, i quali in ogni epoca si fecero tutto a tutti; infiammati dalla carità di Cristo, si spesero e sopraspesero tutti in discorsi, in scritti, in opere; lasciarono tutto, e soltanto solleciti delle anime, divennero, ancora viventi, anatema per i fratelli, e si offrirono a Dio in olocausto per il bene delle anime.
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2. Lo zelo è comandato da Cristo. Il Maestro divino affermava di se stesso: «Lo Spirito del Signore... mi ha unto, per annunziare la buona novella ai poveri» (Lc 4, 18), e soggiungeva: «È necessario che io annunci la buona novella del regno di Dio... perché appunto per questo sono stato mandato» (Lc 4,43). Gesù trasmise questo dovere agli apostoli: «Li mandò a predicare il regno di Dio» (Lc 9,2); «Andate per tutto il mondo predicate il Vangelo ad ogni creatura» (Mc 16,15). Gli apostoli ubbidirono a questo comando, e «se ne andarono a predicare dovunque» (Mc 16,20). Essendo poi cresciuto il numero dei fedeli, Pietro ai fratelli congregati disse: «Non è bene che noi lasciamo di predicare la parola di Dio per servire alle mense... Noi invece ci occuperemo totalmente dell'orazione e del ministero della parola» (At 6,2.4).
Lo zelo è poi richiesto dalla natura stessa del Sacerdote, che fu eletto da Cristo perché porti frutto, e frutto duraturo. Appare dalle parole di S. Paolo a Timoteo: «Predica la parola, e insisti a tempo e fuori tempo, riprendi, correggi, esorta con ogni longanimità e dottrina» (2 Tm 4,2).
Il timore del giudizio deve spronare allo zelo. Cristo infatti comandò al portinaio di vigilare; il portinaio della casa di Dio è il Sacerdote, dovrà, nel giorno del giudizio, rendere conto della sua vigilanza. «Non ho infatti di che gloriarmi, se annunzio il Vangelo; è dovere questo che mi incombe, e guai a me se non predicassi» (1Cr 9,16). Il Sacerdote, per quanto può, deve impedire i peccati degli altri, memore di quel detto: «Del sangue di lui ne chiederò conto a te» (Ez 3,18). Nel giudizio, i fedeli saranno esaminati delle loro opere, ma il Sacerdote sarà invece esaminato anche delle colpe commesse da coloro che gli erano affidati, in quanto poteva impedirle.
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3. Perciò: «Non chi loda se stesso è un uomo provato, ma chi è lodato da Dio» (2Cr 10,18). S. Bernardo dice: «Arde lo zelo ecclesiastico quando si tratta di difendere la dignità, o di accumulare ricchezze», ma più difficilmente si trova chi si curi di quelli che miseramente ed eternamente si perdono. Molti sono i Sacerdoti, ma pochi gli apostoli. E quelli che poco o nulla si curano delle anime, non sono neanche solleciti di loro stessi e della loro salvezza eterna, sprecano forze, tempo, ingegno in cose inutili od anche peccaminose. Non si illudano costoro, perché Dio non si prende in giro. Chi non ha lo zelo richiesto dal suo ufficio, non è un buon Sacerdote, perché non adempie al dovere principale della sua condizione. «Rigorosissimo sarà il giudizio di quelli che comandano» (Sp 6,6).
All'opposto, la Chiesa di Dio è allietata dai missionari, dai predicatori, dai confessori, dai Sacerdoti del clero secolare e regolare, i quali ogni giorno spendono la loro vita per il gregge. «Oh, se vedessi nella mia vita la Chiesa di Dio sostenuta da tali colonne! Oh, se vedessi la Sposa del mio Signore affidata a uomini così fedeli, e così dediti alla pietà!... Oh, se avessimo tanti di questi uomini! Che cosa di più felice? Che cosa di più fruttuoso?» (S. Bernardo).
Lo zelo è la carità sacerdotale. L'apostolo si rallegri nella speranza di essere perdonato dei propri peccati, poiché «la carità copre la moltitudine dei peccati» (1Pt 4,8). Nella raccomandazione dell'anima si dice giustamente «Ancorché abbia peccato, tuttavia... ebbe in sé lo zelo di Dio» (Rituale Romano, t. 5, c. 7).
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II.
1. Condizioni dello zelo. - Lo zelo deve essere soprannaturale: per l'origine, perché deve venire da Dio; per il fine, perché deve tendere a Dio; per i mezzi, perché deve appoggiarsi alla grazia. È il fiore della carità: «La carità è paziente,... non ricerca il proprio interesse, non si muove ad ira, non tiene conto dei torti ricevuti,... ma si rallegra con la verità» (1Cr 13,4.5s.). La pietà sacerdotale considera le anime con l'occhio dell'amore; il Sacerdote diventa ministro di salvezza per la gloria di Dio: «Io sono geloso di voi della gelosia stessa di Dio» (2Cor 11,2); «L'amore di Cristo ci sprona» (2Cor 5,14); «In tutto ci rendiamo commendevoli, come si conviene a ministri di Dio: con grande pazienza nelle tribolazioni, nelle necessità, nelle angustie;... con purezza, con scienza, con longanimità; con bontà, con opere di Spirito Santo, con carità sincera, con la parola di verità,... nella gloria e nell'ignominia, nella cattiva e nella buona riputazione... La nostra bocca si è aperta verso di voi o Corinti, il nostro cuore si è dilatato» (2Cr 6,4.6 s.8.11). Lo zelo che sgorga dall'avidità del danaro, dall'ambizione, dalla naturale affezione, non dura, né dà frutti per la vita eterna.
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2. Lo zelo deve essere forte, perché «chi non arde non incendia», dice S. Gregorio il Grande. Spesso l'ardore dell'animo si risveglia nelle difficoltà, ma si ricordi il detto: «Producono frutto con perseveranza» (Lc 8, 15). Quale triste spettacolo è vedere il giovane pastore fanatico ed imprudente, ed il vecchio pastore pigro e scoraggiato! Poca cosa è splendere, poca cosa è ardere: splendere ed ardere è cosa perfetta. Bisogna agire con fortezza, ma in modo soave.
Il divino Pastore e gli apostoli hanno faticato fino alla morte. La forza pastorale sta principalmente nella pazienza, nella magnanimità, nella longanimità, nella soavità. Lo zelo violento, inconsiderato, fantastico, non giova a nulla. Perciò tu avanza lentamente, ricordando che il Signore «tutto il giorno» stese «le mani ad un popolo incredulo e ribelle» (cf Rm 10,21). Molti pastori, come dice S. Gregorio il Grande, facilmente si abbattono di animo, perdono la speranza, rimangono travolti dalla corrente dei cattivi, e si consegnano legati ai nemici. Similmente ammonisce S. Agostino il pastore di anime: «Non disperi della correzione di nessuno di quelli che la pazienza di Dio lascia in vita, appunto perché siano condotti a penitenza» (De catech. rud.).
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3. Lo zelo deve essere misericordioso. Gesù Cristo, prima di conferire a Pietro la pienezza dell'autorità pastorale sugli agnelli e sulle pecore, volle da lui una triplice attestazione di amore. La misericordia entra nei doveri del Sacerdote. Chi non zela, non ama. Gesù venne come medico per gli ammalati. La bontà risana, lenisce e sostiene. S. Gregorio il Grande, maestro di pastorale, dice: «Quando i superiori correggono i sudditi che hanno mancato, è necessario che con sollecitudine badino fin dove deve giungere la loro autorità punitrice della colpa, e dove invece, per spirito di umiltà devono riconoscersi uguali a coloro che riprendono... Bisogna che il superiore sia una madre per bontà, ed un padre per la disciplina che esige... Inoltre bisogna badare che la severità non sia eccessiva e che la pietà non trasmodi in debolezza;... vi sia il giusto equilibrio tra la misericordia e la tutela della disciplina» (cf La regola pastorale, p. 2, c. 6).
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Lo zelo deve essere prudente. La prudenza è poi l'occhio dello zelo. Prima per te e poi per gli altri abbi cura del bene e della santità. Abbi cura di non apparire quasi nube senz'acqua, od occupatissimo a fare nulla.
È prudenza proporsi il fine, ordinare a questo fine i mezzi adatti, considerare attentamente le difficoltà, le circostanze di tempo, di luogo, e lo spirito dei fedeli. Dice il Signore: «Chiama tua amica la prudenza» (Pv 7, 4 Vg). Il pastore buono procede con fedeltà e mansuetudine (cf El 45,4), perché «il servo del Signore... deve essere benigno con tutti,... paziente, mansueto nel riprendere» (2Tm 2,24s.). La divina onnipotenza massimamente si palesa nel perdonare e nel condonare. La vera virtù e la giustizia di Cristo sta nell'«usare giusta indulgenza verso gli ignoranti e gli erranti» (Eb 5,2). Gesù era spesso tra i peccatori e tra gli ammalati bisognosi del medico; la falsa giustizia dei farisei invece e lo zelo smodato dei discepoli che invocavano il fuoco dal cielo sopra Samaria, furono da Cristo ripresi.
Agisce sempre con prudenza quel Sacerdote che si cura prima dei bambini, dei malati e dei poveri; che in ogni cosa imita l'esempio di Cristo, il quale è «dolce ed umile di cuore» (Mt 11,29).
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III.
1. Esame di coscienza sull'azione pastorale. - a) Sui doveri del ministero sacerdotale.
Ho celebrato la S. Messa, fatto le varie funzioni sacre, amministrati i sacramenti, badando ai miei comodi, più che al bene del popolo? Chiamato ad udire le confessioni, ho manifestato tedio, e sono andato tardi al confessionale? Ho ascoltato le confessioni con pazienza, carità, prudenza e zelo, quale è richiesto da sì altissimo ufficio? Ho cercato di aumentare la frequenza ai sacramenti in ogni classe di persone, compresi gli uomini? Ho esortato le anime veramente pie ad accostarsi anche quotidianamente alla S. Comunione? Ho promosso il culto verso il sacramento della SS. Eucaristia e verso la beata Vergine Maria? Ho visitato come dovevo i malati, specialmente se in grave infermità? Oppure chiamato da essi mi sono impazientito, od ho tardato ad andare, o li ho abbandonati subito dopo aver amministrato loro gli ultimi sacramenti? Insegno la dottrina cristiana ai fanciulli ed il catechismo agli adulti? Spiego il santo Vangelo, come comandano le leggi ecclesiastiche e le prescrizioni diocesane? Mi sono con diligenza preparato alla predica, ancorché breve? Ho predicato per vanità o per desiderio di lucro? Ho istituito le pie unioni e le varie associazioni di Azione Cattolica, le quali aumentano veramente nella parrocchia la vita cristiana, e sono oggi un dovere del pastore di anime? Se già queste associazioni sono istituite, le curo con diligenza? Chiamo ogni tanto confessori straordinari per il bene del popolo? Ho indetto speciali corsi di predicazione, specialmente sacre missioni?
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2. b) Esame di coscienza sui doveri del Sacerdote verso la Chiesa, verso i superiori, verso i confratelli.
Ho verso la santa madre Chiesa spirito di amore, di fedeltà, di ubbidienza, come si addice ad un vero suo figlio? O, meglio ancora, ad un suo degno ministro? Considero il Papa come vero Vicario di Gesù Cristo? Ho ricevuto e custodito le sue parole con l'adesione della mente e del cuore? Ho ubbidito ai suoi comandi, ed assecondato i suoi desideri? Venero il mio vescovo e l'ubbidisco? Ho osservato i suoi comandi ed i suoi consigli riguardo al governo della parrocchia? L'ho fatto oggetto di critica, di calunnia, di maldicenza, dimenticando quelle parole del Signore e della sua Chiesa: «Maledetto chi ti maledice»? (Gn 27,29). Per vanità, per motivo economico, o dietro indebita pressione dei miei parenti, ho ricusato di andare nel luogo o di accettare quell'ufficio che i superiori intendevano affidarmi? Amo i miei confratelli, ho compassione di loro, e a tempo dovuto, li ho soccorsi? Oppure ci sono state tra di noi relazioni tali, da scandalizzare anche i fedeli? Fui di buon esempio ai confratelli con le parole e con le opere? Li ho corretti quando era necessario? Se il caso lo esigeva, ho riferito ai superiori sui difetti e sulle colpe dei miei confratelli? Ho forse riferito ai superiori cose che non dovevo o, peggio, ho calunniato e fatto il pattumaio a danno dei miei confratelli? Ho impedito loro di godere presso i superiori della giusta fama alla quale avevano diritto; e magari ho sfruttato a mio vantaggio la loro rovina? Ho riparato a questo grave male?
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c) Esame di coscienza su altri doveri del Sacerdote.
Ho adempiuto ai particolari doveri inerenti al mio ufficio di parroco, di cappellano, di confessore, di maestro? Ho un registro personale ed ordinato per segnare le Messe? Ho ancora degli oneri di Messe inadempiuti? Celebro la Messa e faccio le sacre funzioni rettamente e con diligenza, osservando le prescrizioni liturgiche? Studio seriamente, applicandovi il tempo dovuto, le scienze sacre e profane, per avere la sufficiente dottrina? Perdo tempo a leggicchiare cose inutili? Leggo giornali sconsigliati dalla ecclesiastica autorità? Sono abbonato al giornale cattolico? Ho cura della chiesa, oppure la lascio disordinata, contravvenendo anche alle prescrizioni liturgiche? La mia casa è bene ordinata e tenuta in modo che possa servire di esempio alle case dei secolari? Vi sono in essa fotografie, pitture o sculture non convenienti ad un'abitazione di Sacerdote? Frequentano la mia casa laici il cui modo di vivere è poco edificante? La mia casa è sempre aperta ai poveri, agli afflitti, ai bisognosi di consiglio o di soccorso dal Sacerdote? Ho cura di evitare l'ozio? Ho un programma, un orario, per evitare di vivere disordinatamente? Ho ore prestabilite per la preghiera, lo studio, i pasti? Disposte in modo di andare d'accordo con le necessità e le giuste esigenze dei fedeli? Ho a posto l'amministrazione della mia casa, della chiesa e del beneficio? In modo da evitare di fare debiti, che difficilmente potrò pagare, con detrimento della giustizia?
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3. Orazione per ottenere la buona morte. - «O Maria concepita senza peccato, prega per noi, che ci rifugiamo presso di te; o Rifugio dei peccatori, o Madre degli agonizzanti, non abbandonarci nell'ora della nostra dipartita, ma ottieni a noi dolore perfetto, contrizione sincera, remissione dei nostri peccati, e di ricevere degnamente il santissimo Viatico, di venire corroborati col sacramento dell'Estrema Unzione, affinché con più sicurezza possiamo presentarci al trono del giusto, ma misericordioso Giudice Dio e Redentore nostro. Così sia» (Enchiridion Indulgentiarum [Roma 1950], n. 642).
Se c'è tempo, si possono recitare le Litanie di S. Giuseppe, protettore degli agonizzanti, come sono riportate alla fine del Breviario Romano.
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