3.
LA MORTE
(PB 2, 1938, 261-266)
I.
1. La morte è pena per il peccato. Nello stato di innocenza Iddio aveva provveduto all'uomo per mezzo dell'albero della vita; mangiandone i frutti, l'uomo poteva conservarsi indefinitamente in vita, fino a quando, senza però morire, sarebbe stato assunto all'eterna gloria. Ma Iddio aveva comandato ad Adamo: «Dell'albero della conoscenza del bene e del male non mangiarne, perché il giorno che tu ne mangiassi, moriresti di certo» (Gn 2,17). Adamo però peccò e fu condannato a morire. L'Apostolo dice perciò: «Per un solo uomo il peccato entrò nel mondo, e per il peccato la morte» (Rm 5,12).
Ma considero: con la pena volontariamente accettata si cancella il peccato. La ripugnanza naturale a morire, i dolori della separazione, la dissoluzione che avviene nel sepolcro sono mezzi per espiare, se uniti a Gesù diciamo: «Non la mia, ma la tua volontà sia fatta» (Lc 22,42); «Padre, nelle tue mani raccomando lo spirito mio» (Lc 23,46).
Accettiamo, dunque, volontariamente quello che necessariamente dovrà accadere. Mentre che per il peccato venne la morte, ora meditando la morte ucciderò il peccato: con la detestazione e con la purificazione.
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Con la morte termina il tempo di meritare. «Tutto quello che puoi fare coi tuoi mezzi, fallo presto, perché né attività, né pensiero, né sapienza, né scienza ha luogo nella regione dei morti dove tu corri» (Ec 9,10); «L'albero, o cada a mezzodì o a tramontana, dove cade, resta» (Ec 11,3).
La morte è come una porta, attraverso la quale si entra o alla vita eterna o all'eterno supplizio. Non vi sarà più tempo di fare ancora dei meriti, né di cancellare i peccati con la penitenza. Ripenso all'ammonimento del Maestro divino: «Camminate mentre avete la luce» (Gv 12,35).
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La morte è separazione dell'anima dal corpo. Vengono separati, e tuttavia l'anima continua ad esistere; la separazione avviene a causa del corpo il quale è soggetto alle forze disgregatrici, sia interne che esterne. Il corpo separato dall'anima, si corrompe; è infatti polvere e ritorna in polvere.
Ricorderò la parabola del ricco che banchettava ogni giorno, vestito con eleganti vesti di porpora e di bisso, e che «fu sepolto nell'inferno» (Lc 16,22). Freno ora il mio corpo, e lo faccio servire all'anima, per poter salvare il corpo e l'anima nel giorno della risurrezione.
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2. La morte è certa. L'esperienza mi dice che tutti dobbiamo morire; la sacra Scrittura mi insegna che «è stabilito che gli uomini muoiano una sola volta» (Eb 9, 27), la mia ragione mi assicura di questa verità, perché il mio corpo è formato da elementi corruttibili. Mi considererò perciò mortale e come forestiero e pellegrino in questo mondo. Ciò che ha fine non ha importanza; solo ciò che è eterno è importante. Io sono uomo destinato all'eternità.
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La morte è sotto certi aspetti incerta. È sconosciuto il tempo, il modo, il luogo della nostra morte. «Il giorno del Signore viene come un ladro di notte» (1Ts 5,2); «State preparati, perché il Figlio dell'uomo verrà in quell'ora che meno pensate» (Mt 24,44); «Non sta a voi sapere i tempi ed i momenti» (At 1,7); «Ora quello che dico a voi, lo dico a tutti: vigilate» (Mc 13,37).
Ricorderò la parabola delle dieci vergini (cf Mt 25, 1-13). Vivrò in modo da essere pronto ogni giorno a morire. Non sono mai sicuro: né di notte né di giorno, né in casa né fuori; né perché sono in salute, né perché sono giovane. Starò perciò sempre preparato a morire.
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3. La morte è la separazione da tutto: dalle ricchezze, dal mondo, dalle persone. Passerò dalla vita presente all'eternità. Si legge nella sacra Scrittura il lamento dei dannati: «Qual vantaggio ci ha apportato la boria delle ricchezze?» (Sp 5,8); abbiamo sbagliato! All'uomo ricco viene detto: «Insensato! Questa notte stessa ti verrà richiesta la vita; e quello che hai preparato per chi sarà?» (Lc 12,20).
I parenti e gli amici accompagneranno il mio cadavere al cimitero, e poi torneranno alle loro case; io da solo dovrò presentarmi al tribunale del Giudice.
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Rifletterò: «Temi Dio ed osserva i suoi comandamenti: questo è tutto l'uomo» (Ec 12,13). Se volete essere ricchi, amate le ricchezze vere, ossia i meriti per la vita eterna. «Fatevi degli amici con le ricchezze che sono occasione d'iniquità, affinché quando verrete a mancare, vi ricevano nei tabernacoli eterni» (Lc 16,9).
Il mio unico amico è Cristo; coltiverò sempre questa amicizia; aspetterò questo amico al punto della mia morte; confido di incontrare dopo morte più l'amico che non il giudice, che dirà all'anima mia: «Vieni, tu sarai coronata» (Cn 4,8 Vg).
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II.
1. Considera le parole dette da Isaia ad Ezechia ammalato: «Metti in ordine le tue cose, perché tu morrai e non potrai vivere» (Is 38,1). È questa una sentenza pronunziata per tutti, ma molto diversa è la morte dei giusti da quella dei peccatori. La prima è il coronamento delle grazie, e l'ingresso alla vita; la seconda invece è pena del peccato, e ingresso nell'inferno. Speri il giusto, ma non presuma; il cattivo invece tema il peccato, e, se non teme il peccato, tema almeno la morte.
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2. Pessima è la morte dei peccatori. «L'uomo non conosce il suo fine e come i pesci sono presi all'amo e gli uccelli al laccio, così son presi gli uomini dal tempo cattivo» (Ec 9,12).
La sacra Scrittura ce lo insegna: «L'uomo violento il malanno lo tragga alla rovina» (Sl 139,12), «Al sopravvenire dell'angoscia cercheranno la pace, ma non vi sarà. Verrà sventura sopra sventura» (Ez 7,25s.); «Il cuore duro andrà a finir male, e chi ama il pericolo vi perirà» (El 3,27 Vg); «Avete disprezzati tutti i miei consigli e non avete voluto saperne delle mie ammonizioni, anch'io riderò nella vostra rovina, e vi schernirò quando vi assalirà il terrore, quando vi piomberà addosso la sventura, quando come turbine vi sorprenderà la morte... Allora mi chiameranno ma io non risponderò» (Pv 1,25-27.28 Vg).
L'esperienza ce lo attesta: S. Alfonso dice: «I peccati, a guisa di serpenti, morderanno l'anima in punto di morte»; e S. Agostino: «Chi è lasciato dal peccato, prima che egli lo lasci, in morte difficilmente lo detesterà come deve, perché allora quello che farà, lo farà a forza», e S. Girolamo: «Ritengo, e l'esperienza molte volte me lo ha dimostrato, che non farà buona morte colui che visse sempre male» (In ep. Eusebii ad Dam.); e l'Oleaster: «I cattivi non impararono a fare il bene se non quando non vi era più tempo per fare il bene»; e S. Vincenzo Ferreri: «È più gran miracolo che coloro i quali vissero male muoiano bene, che non sia il ritorno alla vita di un morto».
La ragione ci dice che il peccatore ed il negligente, in punto di morte, sono tribolati da ogni parte: i demoni spingono alla disperazione, conoscendo che hanno più poco tempo per perderli. I peccati dicono all'infermo: «Siamo opere tue, e non ti lasceremo». Sarà difficile non tanto il potersi confessare, quanto piuttosto avere il dolore dei peccati. Come potrà dolersi del peccato, chi sempre lo ha amato? Il moribondo sarà ancora angustiato dal tempo passato, perché ricorderà i peccati fatti; tutte le sollecitudini del presente saranno volte a scegliere le cure più efficaci; il futuro sarà oscurato dal timore del giudizio divino. Se la morte giungesse invece improvvisa, allora non vi sarebbe neppure il tempo per pentirsi.
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3. La morte dei giusti è preziosa al cospetto di Dio. Vi è la promessa divina: «Chi teme il Signore si troverà bene negli ultimi momenti, e nel giorno della sua morte sarà benedetto» (El 1,13); «Il giusto, anche se muore avanti tempo, godrà riposo» (Sp 4,7); morire per il giusto sarà come un addormentarsi e risvegliarsi nella gloria eterna: «Quando egli ha dato ai suoi diletti il sonno. Ecco l'eredità del Signore» (Sl 126, 2s. Vg); «Felice chi si dà pensiero del misero; nel giorno di sventura lo scamperà il Signore» (Sl 40,2).
L'esperienza insegna che i giusti muoiono bene. Beata fu la morte di S. Giuseppe, la cui vita fu eccellente, la cui fedeltà ai doveri fu continua, il cui beato transito fu confortato dalla presenza di Gesù e di Maria. Beata fu la morte degli apostoli e dei patriarchi, dei confessori e delle vergini; ed anche quella dei martiri, che agli occhi degli insipienti sembrarono morire, ma che invece vivono nella pace. Il pastore di anime assiste qualche volta a delle morti serene e quasi gioconde, e gli salgono allora alle labbra le parole: «Possa io morire la morte del giusto, e sia la mia fine simile alla sua!» (Nm 23,10).
La ragione ci persuade di questa verità. S. Agostino dice: «Non può morire male chi visse bene, perché il Signore non abbandona chi sempre ha cercato Dio». Il giusto che vive sempre in grazia di Dio non può morire male; se ha commesso qualche peccato, ne ha pure fatta la dovuta penitenza; il peccato è l'unica causa della cattiva morte.
Il Signore nostro Gesù Cristo, la Beata Vergine pia consolatrice dei moribondi, S. Giuseppe protettore degli agonizzanti, soccorrono i loro devoti nei pericoli e li difendono dal male, e li confortano con la speranza della vera vita.
«Beati i morti che muoiono nel Signore» (Ap 14,13). Muoiono nel Signore coloro che fanno una santa confessione dei peccati commessi, per evitare le pene dell'inferno. Muoiono nel Signore coloro che hanno soddisfatto alle pene temporali, dovute per i loro peccati, con l'acquisto di indulgenze e con opere di penitenza, per evitare il purgatorio. Muoiono nel Signore coloro che si fecero tanti meriti con opere buone, che vissero nel fervore, in modo da essere trovati dalla morte con giorni pieni.
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III.
1. Il Signore ci ha prescelti e predestinati ad essere conformi al nostro modello, a Cristo crocifisso. Dirò sinceramente a Gesù: «Io insieme a te, sono pronto a subire anche il carcere e la morte» (Lc 22,33).
«Era la Parasceve della Pasqua, circa l'ora sesta; e Pilato disse ai Giudei: Ecco il vostro re! Quelli allora gridarono: Via, via, crocifiggilo! Pilato disse a loro: Dovrò crocifiggere il vostro re? Risposero i grandi sacerdoti: Noi non abbiamo altro re che Cesare. Allora finalmente lo diede nelle loro mani, perché fosse crocifisso. Presero dunque Gesù, e lo condussero via» (Gv 19,14-16). - «Padre, nelle tue mani raccomando lo spirito mio!» (Lc 23,46). «Non la mia, ma la tua volontà sia fatta!» (Lc 22,42); sempre, in ogni occasione, ma specialmente nelle circostanze e nei dolori della mia morte.
O Signore Gesù, mio Maestro, offro a te la mia vita, in unione alle tue intenzioni divine con cui hai accettata la morte, e con cui rinnovi, per mezzo del mio ministero sacerdotale, ogni giorno, sull'altare, il sacrifizio della croce.
«E, dopo averlo [Gesù] così schernito... lo condussero a crocifiggere. Or, nell'uscire, incontrarono un uomo di Cirene, chiamato Simone, e lo costrinsero a portare la croce di lui. Giunti sul luogo detto Golgota, che vuol dire: luogo del cranio, gli diedero a bere del vino mischiato con fiele; ma, assaggiatolo, non ne volle bere. Quando lo ebbero crocifisso, si divisero le sue vesti, tirandole a sorte» (Mt 27,31-35).
O Signore, mio Maestro, insegnami la via regia della tua santa croce. Meriti io di portare il mio «manipolo» di lacrime e di dolore, affinché con esultanza possa poi ricevere la mercede della fatica. Questa è la più importante lezione, impartita, con le parole e con gli esempi: «Se qualcuno vuol venire dietro a me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua» (Mt 16,24).
Confido, o Signore, di non essere indegno della santa Croce; «Chi non prende la sua croce e non mi segue, non è degno di me» (Mt 10,38). Porterò lietamente ogni giorno, o Gesù, dietro di te, la mia croce.
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2. «Andarono dunque i soldati e ruppero le gambe al primo e all'altro che erano crocifissi con lui. Invece, venuti a Gesù, quando videro che era già morto, non gli ruppero le gambe, ma uno dei soldati con una lancia gli aprì il costato; e subito ne uscì sangue ed acqua» (Gv 19, 32-34).
«Per le mie pecore dò la vita» (Gv 10,15). Le piaghe, i chiodi, la spugna, l'aceto misto a fiele, mi dicono: «Nessuno ha amore più grande di colui che sacrifica la propria vita per i suoi amici» (Gv 15,13).
O Signore, tu ci hai amati fino alla morte, ed alla morte di croce! Ahimé, quanto sono tiepido per le anime! Le amo più a parole che non con i fatti. Le amo fino a che l'amor proprio, il denaro, l'onore, il comodo mio non ne vengono a soffrire. Ricordo quanto dice l'evangelista di Gesù: «Avendo amati i suoi che erano nel mondo, li amò sino al segno supremo» (Gv 13,1).
D'ora innanzi farò mio il proposito: Dammi le anime, e la roba tienila per te (cf Gn 1,21).
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3. «Uno dei due ladroni che erano stati crocifissi, lo [Gesù] insultava, dicendo: Non sei tu il Cristo? Salva dunque te e noi. Ma l'altro lo rimproverava, dicendogli: Non temi tu Iddio, tu che soffri la stessa condanna? E per noi, con giustizia, perché riceviamo degna pena dei nostri delitti; ma lui non ha fatto niente di male. Poi soggiunse: Gesù, ricordati di me, quando sarai nel tuo regno. E Gesù gli rispose: In verità ti dico: oggi sarai in paradiso con me» (Lc 23,39-43). «Gesù dunque, vedendo sua Madre e lì presente il discepolo che egli amava, disse a sua Madre: Donna, ecco il tuo Figlio. Poi disse al discepolo: Ecco la tua Madre. E da quel momento il discepolo la prese con sé» (Gv 19,26s.).
Spero in te Signore e Maestro mio; spero nella Madre tua Maria. Mi sono balsamo salutare le parole che tu hai dette a favore dei tuoi crocifissori: «Padre, perdona loro» (Lc 23,34), e la tua divina promessa al [buon] ladro: «Oggi sarai in paradiso con me» (Lc 23,43).
Perché cammino ancora nella tristezza? Spero in te; le tue ferite sono i miei meriti. Il tuo sangue fu sparso per tutti, in remissione dei peccati. L'acqua sgorgata dal tuo costato è lavacro salutare.
O santa Maria, Madre di Dio e madre mia, per la dolorosissima passione del Figlio tuo e per i tuoi dolori, prega per me peccatore, ora, e nel punto della mia morte. Così sia.
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