Beato Giacomo Alberione

Opera Omnia

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50.
L'ORAZIONE (II)

(PB 5, 1941, 267-272)

I.

1. L'orazione mentale è elevazione della mente a Dio. Può essere di tre specie: meditazione, contemplazione ascetica, e mistica. L'orazione mentale, in quanto consiste nel ricordare le verità eterne, è necessaria di necessità di mezzo; in quanto è meditazione metodica secondo regole stabilite dai maestri della vita spirituale, è conveniente che venga usata, ed è di molta utilità. Si considerino le parole dell'Ecclesiastico: «In ogni tua azione ricorda la fine, e giammai non farai il male» (El 7,40), ed anche queste altre: «Tutta la terra è stata orrendamente desolata, perché non v'è nessuno che rifletta nel cuore» (Gr 12,11). La Scrittura inoltre è un libro che deve essere meditato: «Voi scrutate minuziosamente le Scritture... e son proprio quelle che mi rendono testimonianza» (Gv 5,39). Ed ancora: «Non avete mai letto nelle Scritture: La pietra che gli edificatori hanno riprovata, essa è divenuta pietra angolare?» (Mt 21,42).
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Praticamente, Mosè, in tutto il volume del Pentateuco, intese porre, sotto gli occhi del popolo, tutto quello che Dio aveva fatto a loro bene. «Ricorda, - grida nel suo cantico, - i tempi antichi, considera gli anni di tante generazioni! Interroga tuo padre e te lo conterà, i tuoi vegliardi e te lo diranno» (Dt 32,7). A tal fine ricorda i miracoli ed i benefizi divini; così pure vengono questi narrati nei salmi, affinché gli Ebrei siano mossi a ringraziare, e si mantengano fedeli e devoti a Dio: «Ascolta, popolo mio, la mia istruzione» (Sl 77,1). Isacco era uscito nei campi, a sera, per meditare; Giuditta si era preparata, nella parte superiore della sua casa, una dimora appartata, e quivi viveva racchiusa, in compagnia delle sue ancelle; Paolo, dopo la sua conversione, si recò nella regione desertica dell'Arabia, per meditare; Gesù Cristo trascorse nel deserto quaranta giorni e quaranta notti, attendendo alla meditazione in silenzio, ed al digiuno. Si legge in Osea: «La condurrò nella solitudine, e parlerò al suo cuore» (Os 2,14).
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2. Giova l'esempio dei santi. Fin dai primi secoli della Chiesa, nei deserti di Egitto, della Libia, della Tebaide, di Etiopia, come sul monte Carmelo, molti monaci conducevano una vita meditativa secondo le regole di sant'Antonio, S. Pacomio, S. Basilio ed altri. La stessa cosa avveniva in occidente, ove il monachismo si estese per opera di Agostino, Benedetto, Colombano, ecc. Per i monaci, l'occupazione principale consisteva nell'orazione e nella meditazione. Quando cominciarono a sorgere altri Ordini religiosi per opera di S. Francesco d'Assisi, di S. Domenico, di S. Ignazio di Loyola, ecc., la meditazione non solo fu universalmente ammessa ma si determinò anche il metodo da seguirsi nel meditare, per poter ricavare dalla meditazione frutti più ubertosi.
Dopo S. Ignazio di Loyola, si cominciò in tutta la Chiesa a praticare gli esercizi spirituali, in modo più regolare; con grande frutto per le anime, dai Sacerdoti, dagli ordinandi e dai religiosi. Oggi poi si tengono ovunque corsi di esercizi di durata varia; vi sono case apposite per esercizi, e pie associazioni per promuoverne la pratica. Il nucleo degli esercizi è costituito dalla meditazione.
Oggi non si trova nessun noviziato, o seminario, o casa religiosa di educazione, in cui non vi sia l'uso della meditazione fatta con metodo. Furono scritti innumerevoli libri per spiegare la natura, il fine ed il metodo della meditazione. Anche presso i laici dei due sessi è molto estesa la consuetudine della meditazione quotidiana. Si ripete spesso la sentenza: Il peccato può stare con la comunione, con l'orazione vocale e con le fatiche dell'apostolato, ma non può stare con la meditazione.
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3. «Tutto ciò che è nel mondo è concupiscenza della carne, concupiscenza degli occhi e superbia della vita» (1Gv 2,16). Realmente l'uomo, a causa del peccato originale, è agitato dall'interno da oscurità di mente, da malizia di volontà e da passioni innumerevoli della concupiscenza, mentre dall'esterno è molestato anche da ogni sorta di gravi tentazioni, da scandali e da pericoli. La proclamazione delle false dottrine risuona forte e dappertutto, tanto da assordare, mentre la voce della verità è ridotta ad un lene soffio, che riesce quasi impercettibile. L'uomo si trova come travolto nella corrente di vorticoso fiume, che nell'impeto suo tutto inghiotte. È perciò necessario che egli resista fortemente, e trovi in se stesso un punto fermo e consistente, dal quale possa scorgere la luce e nel quale possa attingere quelle energie necessarie per respingere e superare le difficoltà. Tutto questo lo può trovare nella meditazione. La meditazione infatti illumina l'intelletto, eccita santi affetti nel cuore, dispone la volontà ad efficaci risoluzioni.
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Nella meditazione la mente resta prima di tutto illuminata dalla laboriosa considerazione delle verità eterne; la meditazione ridona a queste verità il loro nativo splendore, fugandone le tenebre od il falso luccicar degli errori. Inoltre, mediante la più profonda e più matura considerazione, la mente resta perfettamente convinta delle verità eterne, ed in base ad esse stabilisce regole di vita pratica. In secondo luogo, dall'accurata e profonda considerazione delle verità, e dalla loro bellezza ed efficacia per vivere bene ed onoratamente, vengono suscitati nel cuore sentimenti di ammirazione e di desiderio, e così facilmente il cuore resta inclinato ad odiare i vizi, ed a tendere all'acquisto delle virtù; secondo il detto: «Toglierò dal vostro corpo il cuore di pietra, e vi darò un cuore di carne;... vi farò seguire i miei precetti» (Ez 36,26.27). In terzo luogo quindi segue la disposizione della volontà, della regina delle facoltà umane, spinta ai buoni propositi ed alla pratica delle sante virtù, e a fare forti risoluzioni. E questa è la più importante parte della meditazione, alla quale le altre parti sono ordinate. E così vediamo che con il frequente esercizio della meditazione si prendono ogni giorno opportune risoluzioni, si riesce ad estirpare i vizi, ed acquistare le virtù, e la vita rimane mutata in meglio. Si legge nel libro Della Imitazione di Cristo: «Se ogni anno estirpassimo un vizio, in breve tempo diverremmo perfetti» (I. 1, c. 11,5). La meditazione conferisce perciò all'uomo la forza per la lotta quotidiana, e per percorrere la via dei comandamenti e della perfezione. La meditazione quotidiana è dunque un segno di eterna salvezza.
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La meditazione è il laborioso discorrere della mente sopra qualche verità divina, per convincere l'intelletto, per infiammare il cuore riguardo ad essa, e per spingere la volontà a tradurla nella pratica. La contemplazione ascetica invece è la semplice considerazione delle verità eterne, senza lavoro discorsivo, per cui l'anima resta penetrata dallo splendore della verità, si rallegra e viene trasformata. La contemplazione mistica poi, detta anche orazione affettiva o di quiete, è la stessa contemplazione in quanto procede dalla divina liberalità, ed è indipendente dal nostro precedente lavoro.
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II.

1. Tre sono, secondo S. Alfonso, le condizioni dell'orazione, da parte di chi prega: la fede, l'umiltà, la perseveranza. Per speranza, fiducia, confidenza si intende un atto affettivo verso Dio che vuole e fa il nostro bene; la benevolenza di Dio deve infatti fare sorgere in noi la fiducia: «Accostiamoci pertanto con piena fiducia al trono di grazia per ottenere misericordia e trovare grazia ed aiuto al momento opportuno» (Eb 4,16). Nei Salmi si dice: «Ma ecco Dio che veglia sui timorati di lui, su quelli che da lui aspettano grazia, per strapparne le anime dalla morte» (Sl 32,18s.); «Essendosi a me affezionato, io lo scamperò» (Sl 90,14); «Si allietino... quanti in te si rifugiano» (Sl 5,12); «O salvatore di chi dagli avversari si rifugia nella tua destra» (Sl 16,7). Abramo credette a Dio e venne fatto padre di tutti i credenti; Giuditta confidò solo in Dio ed ottenne una mirabile vittoria; Susanna per la sua fiducia in Dio venne liberata da morte.
Il Maestro divino dice: «Abbiate fede in Dio» (Mr 11,22), S. Giacomo scrive: «Se alcuno di voi ha bisogno di sapienza, la chieda a Dio,... e gli sarà concessa. Ma chieda con fede, senza esitare» (Gc 1,5s.). E S. Giovanni: «E noi abbiamo in Dio questa fiducia, di essere esauditi, qualunque cosa chiederemo secondo la sua volontà» (1Gv 5,14). Nel tabernacolo vi è lo stesso Gesù che soleva esaudire nella Palestina tutti quelli che lo supplicavano: guarì i due ciechi (cf Mt 9,27 ss.), sanò il servo del centurione (cf Mt 8,5 ss.), scacciò il demonio che da lungo tempo tormentava un ossesso (cf Mc 9,14 ss.): ma sempre dopo che quelli che lo pregavano avevano mostrato di credere. Anzi la misura dell'esaudimento dipendeva dalla misura della fede dei richiedenti. La nostra fede ha dei fondamenti certissimi, ossia l'onnipotenza e la bontà divina unite alla fedeltà di Dio nel mantenere le sue promesse di ascoltarci.
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2. Si richiede inoltre l'umiltà. Nei Salmi viene detto: «Si è piegato alla preghiera dei derelitti» (Sl 101,18); «I1 Signore assiste gli abbattuti di animo e soccorre gli affranti di spirito» (S1 33,19); «Un cuor contrito e affranto, o Dio, tu non spregi» (S1 50,19). L'uomo infatti che è umile di cuore, crede che tutto procede da Dio, e confessa la propria indegnità. Giona predicò la penitenza ai Niniviti, ed essi nel dolore e nell'umiliazione pregarono Dio, e furono salvati. Dio rifiutò la sua grazia al fariseo superbo mentre l'umile pubblicano discese nella sua casa giustificato, perché: «Chi si esalta sarà umiliato, e chi si umilia sarà esaltato» (Lc 18,14).
Gesù, durante la preghiera fatta nel Getsemani, si umiliò profondamente: «Cominciò a rattristarsi e ad essere mesto... Confidò ad essi: l'anima mia è triste fino alla morte... Quindi s'avanzò un poco, si prostrò a terra e pregava» (Mt 26,37 s. 39). Questa umiltà in chi prega è realmente indispensabile, perché: «Il grido del misero oltrepassa le nubi» (E1 35,17). Chi prega non ha il diritto alle grazie, ma le può ottenere per la misericordia di Dio.
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3. In terzo luogo nella preghiera si richiede la perseveranza: «Sii fedele fino alla morte, e ti darò la corona di vita» (Ap 2,10); «Nessuna cosa t'impedisca di sempre pregare» (E1 18,22). Nel Vangelo si legge: «Vigilate quindi e pregate in ogni tempo» (Lc 21,36). S. Paolo dice: «Siate... perseveranti nella preghiera» (Rm 12, 12). Trasparente è la parabola del Maestro divino: «Chi fra di voi, se ha un amico, che, a mezzanotte, va da lui e gli dice: Amico, prestami tre pani, perché mi è arrivato un amico da un viaggio e non ho cosa offrirgli da mangiare; quello di dentro, gli risponda, dicendo: Non mi dar noia, la porta è già chiusa, i ragazzi sono a letto con me, e ora non posso alzarmi a darteli. Io vi assicuro, che se anche non si volesse alzare a darglieli perché amico, almeno per la sua importunità, si alzerà e gliene darà quanti ne ha bisogno. Or, io vi dico: Chiedete e vi sarà dato; cercate e troverete; bussate e vi sarà aperto. Perché chi chiede, riceve, chi cerca, trova» (Lc 11,5-10). Paolo poi raccomandava: «Prendete l'elmo della salvezza e la spada dello Spirito, che è la parola di Dio. Con ogni sorta di preghiere e di suppliche pregate incessantemente mossi dallo Spirito. Siate in questo dovere vigilanti con ogni perseveranza nella preghiera» (Ef 6,17s.). Ed ancora: «Perseverate assiduamente nella preghiera, e vigilate in essa» (Cl 4,2); e: «Non cessate di pregare» (1Ts 5,17).
Il Concilio di Trento ci ammaestra che: l'uomo giustificato non può perseverare nell'avuta giustificazione, senza un aiuto speciale di Dio; e che con tale aiuto può perseverare nella giustizia (cf sess. 6, can. 22. - Denzinger n. 832). Questo speciale aiuto si può ottenere con la preghiera perseverante. In conclusione: l'umiltà è un abbassamento nel quale può scendere l'acqua della bontà divina; la fede è la misura con la quale la grazia fluisce in noi; la perseveranza determina l'effusione dell'acqua e la sua continuità, così che fino a tanto che l'orazione sale, incessantemente discende la misericordia di Dio.
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III.

1. L'efficacia dell'orazione è infallibile e tuttavia molte domande rimangono inesaudite. Quale spiegazione si può dare di questo fatto? Esauriente e facile è la risposta che ne dà S. Basilio: «Per questo qualche volta chiedi e non ricevi, perché hai chiesto male; o perché infedelmente, o superficialmente, o cose a te inadatte, o perché non hai perseverato nel chiedere». S. Giacomo apertamente ammonisce: «Chiedete e non ottenete, perché chiedete male» (Gc 4,3). S. Agostino afferma che anche alcuni fedeli non ottengono, o perché cattivi, o perché chiedono in malo modo, o perché chiedono cose sconvenienti: cattivi, o perché caduti nel peccato, o perché sono spinti a pregare da intenzione non retta; in malo modo, cioè senza pietà, senza fede, senza umiltà e senza perseveranza, cose sconvenienti, ossia cose che non sono di volontà di Dio, o impediscono la salvezza eterna.
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Prima il pastore preghi per se stesso. È bensì vero che possiamo, anzi dobbiamo, pregare per gli altri, secondo il precetto: «Pregate l'uno per l'altro, per essere salvati» (Gc 5,16); «Pregate per coloro che vi perseguitano» (Mt 5,44); «Se uno vede il suo fratello commettere un peccato che non mena alla morte, preghi, e sarà data la vita a chi ha peccato non mortalmente» (1Gv 5,16), tuttavia secondo la sentenza comune, la preghiera fatta per gli altri non ha la stessa efficacia, che ha invece la preghiera fatta per noi. Ciò proviene non per un difetto dell'orazione in se stessa, ma piuttosto da parte della persona per la quale si intercede, la quale può avere la volontà contraria. Invece chi prega per se stesso, ha già la volontà di ricevere la grazia, e di ricavare frutto dalla grazia. E perciò, se preghiamo per noi, la nostra salvezza è certa; se invece io abbandono la preghiera, non perverrò alla vita.
Pregherò perciò per me stesso, senza intermissione, ossia nessun giorno, nessuna settimana, nessun mese trascorreranno per me senza che io preghi; ma sempre cercherò presso Dio la buona volontà, la vita eterna, e le grazie necessarie per conseguirla. Per gli altri pure pregherò ogni giorno, chiedendo prima per essi la buona volontà di convertirsi e di vivere bene; poi chiederò per essi la perseveranza nelle opere buone e la salvezza eterna.
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2. Preghi, in secondo luogo, il pastore, per il gregge che gli è stato affidato. Il maestro dei pastori, Gesù, pregò sempre per noi, e sempre vive pregando per noi in cielo e nella SS. Eucaristia. All'apostolo S. Pietro dice: «Ma io ho pregato per te affinché la tua fede non venga meno» (Lc 22,32). «Io prego per loro; non prego per il mondo, ma per quelli che mi hai donati, perché son tuoi... Padre santo custodiscili nel nome tuo... affinché siano una cosa sola con noi... che tu li guardi dal male» (Gv 17,9.11.15). Perciò S. Paolo dice: «Ogni sommo sacerdote,... è costituito rappresentante degli uomini nelle cose concernenti il culto di Dio» (Eb 5,1). E questo dovere è molto inculcato ai pastori: «Bisogna che il Sacerdote, notte e giorno, preghi per il popolo a lui affidato» (S. Ambrogio). S. Gregorio afferma, «essere Sacerdote, colui che ha già imparato con l'uso e con l'esperimento dell'orazione, che può ottenere dal Signore quello che chiede» (De cura pastorali). S. Bernardo consiglia Eugenio III ad eleggere a chierici «quelli che in ogni contingente si poggiano più sull'orazione che non sulla loro capacità e lavoro». Diportarsi in questo modo è un dovere del pastore.
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3. L'orazione, da parte dell'oggetto, chiede a Dio solo ciò che veramente è bene. Ed è tale ciò che ridonda a gloria di Dio ed a pace degli uomini, secondo quel detto: «Cercate piuttosto il suo regno (e la santità) e il resto vi sarà dato in più» (Lc 12,31). Come ha fatto nella creazione del mondo e nella redenzione per opera di Cristo, così Dio elargisce tutti i beni e le grazie unicamente a questi fini; da lui infatti tutte le cose buone procedono. Coloro che domandano cose cattive, non pregano in nome del Salvatore. Quelli che domandano cose che costituiscono pericoli di peccati o ridondano a danno dell'anima, chiedono cose cattive.
Devono essere chieste cose inchiuse nel Padre nostro: la riverenza verso il nome di Dio, l'esaltazione e la libertà della Chiesa, la diffusione del Vangelo, l'osservanza dei divini precetti, la conversione dei peccatori; inoltre la salvezza eterna del pastore e del gregge, le vocazioni al sacerdozio ed allo stato religioso, la vittoria sulle tentazioni, l'aumento di fede, di speranza e di carità, la buona morte, la remissione della colpa e della pena. È pure lecito chiedere anche i beni temporali, in quanto sono necessari o utili all'ufficio ed allo stato nostro di vita, e per compiere le opere buone e in quanto servono per acquistare dei meriti.
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