40.
IL SACRIFIZIO DELLA MESSA
(PB 3, 1939, 585-590)
I.
1. L'eucaristia è anche il sacrifizio della nuova Legge, succeduto a tutti i sacrifizi dell'antico Testamento: «Da levante a ponente» (Ml 11), viene offerto a lode di Dio ed a remissione dei peccati. Il sacrifizio è l'oblazione di una cosa sensibile fatta dal ministro legittimo, a Dio solo, con la distruzione della detta cosa, per testimoniare il supremo dominio di Dio e la nostra dovuta sottomissione. La Messa viene offerta non da qualsiasi fedele, ma dal Sacerdote eletto ed ordinato a questo fine: «Infatti ogni Sacerdote, essendo preso tra gli uomini, è costituito rappresentante degli uomini nelle cose concernenti il culto di Dio, affinché offra oblazioni e sacrifizi per i peccati» (Eb 5,1). L'uccisione mistica della vittima dipende dalla volontà del Sacerdote. Cristo sulla croce offrì un vero sacrifizio: «È stato sacrificato perché ha voluto» (Is 53,7); e questo sacrifizio viene ogni giorno rinnovato dal Sacerdote.
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La materia di questo sacrifizio è il pane ed il vino, che per la transostanziazione diventano corpo e sangue del Signore nostro Gesù Cristo. L'Apostolo dice: «Ogni Sacerdote è costituito per offrire oblazioni e sacrifizi; è necessario quindi che anch'egli abbia qualche cosa da offrire» (Eb 8,3). La vittima che viene offerta è ancora quella che volontariamente sulla croce si è offerta al Padre. La medesima infatti è l'ostia: questa vittima è innocente, accetta a Dio, e viene offerta per tutti gli uomini. Il fine di questo sacrifizio è l'onore e la gloria di Dio. Il sacrifizio è in ogni religione il supremo atto di latria, che soltanto può essere dato a Dio. In quanto il sacrifizio ringrazia Dio per i benefizi ricevuti, è detto eucaristico; in quanto ci propizia la divinità per le offese da noi arrecatele, è detto propiziatorio; in quanto poi ci ottiene benefizi e grazie, è detto anche impetratorio.
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2. La Messa è l'identico sacrifizio della croce. Dice infatti il Concilio di Trento: «Egli dunque, Dio e Signore nostro, si sarebbe un giorno sulla Croce, morendovi, immolato al Padre, per operare la redenzione eterna; ma, perché il suo sacerdozio non doveva estinguersi per la morte, nell'ultima cena, nella notte in cui veniva tradito, per lasciare alla sua sposa diletta, la Chiesa, un sacrifizio visibile, come la natura umana esige, dal quale fosse riprodotto quello di sangue che stava per consumarsi una volta soltanto sulla Croce; inoltre perché ne restasse memoria sino alla fine del mondo e la sua salutare efficacia fosse applicata in remissione de' peccati, che noi ogni giorno commettiamo, dichiarando d'essere stato costituito Sacerdote in eterno secondo l'ordine di Melchisedec, offerì a Dio Padre, sotto le specie del pane e del vino, il corpo e sangue suo, e sotto le apparenze di essi, ne fece dono, perché lo ricevessero, agli Apostoli che costituì da quest'istante Sacerdoti del Nuovo Testamento; e fece loro precetto, e ai loro successori nel sacerdozio, di offrirlo con queste parole: Fate questo in memoria di me, ecc., come intese e insegnò sempre la Chiesa cattolica» (Sess. 22, cap. 1. - Denzinger n. 938). «E poiché in questo divin Sacrifizio, che si compie nella Messa, è contenuto e s'immola incruento quel Cristo medesimo, che una volta s'immolò sull'ara della Croce, il santo Sinodo insegna che questo Sacrifizio è veramente propiziatorio;... difatti unica è la vittima ed identica, e chi offre ora pel ministero de' Sacerdoti è il medesimo che allora si sacrificò sulla Croce, diversificando soltanto il modo dell'offerta» (Sess. 22, cap. 2. - Denzinger n. 940).
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3. L'essenza del sacrifizio eucaristico consiste nella consacrazione, poiché, in forza delle parole, il corpo viene misticamente separato dal sangue. Dice infatti S. Ireneo: «(Cristo) dicendo: Questo è il mio corpo,... indicò l'oblazione nuova del Testamento nuovo» (Adversus haereses, 1. 4, c. 17, n. 5).
Rifletti, o Sacerdote, sulle disposizioni che si richiedono per celebrare la Messa; esse sono: il digiuno naturale, la devozione, lo stato di grazia. Bisogna ricordare alcuni principi di morale: «Nessuno si accosti alla sacra eucaristia colla coscienza del peccato mortale, per quanto egli creda di essere contrito, senza premettere la confessione sacramentale. È lecito ricevere l'eucaristia, premettendo la sola contrizione senza la confessione, solo quando urge la necessità di comunicarsi o di celebrare, e manca il confessore. Il Sacerdote che, verificandosi le condizioni del caso precedente, ha celebrato la Messa senza premettervi la confessione, è tenuto, quanto prima, a confessarsi» (cf Conc. Tridentino, sess. 13, cap. 7 e can. 11). Ecco per disteso la prescrizione conciliare: «Se a chicchessia è sconveniente accostarsi non devotamente a qualsiasi sacra funzione, senza dubbio quanto più è conosciuta all'uomo cristiano la santità e la divinità di questo sacramento, tanto più attentamente gli conviene evitare di accostarsi a riceverlo senza grande riverenza e pietà, specie se ricordiamo le parole dell'Apostolo piene di terribilità: Chi mangia e beve da indegno, mangia e beve la sua condanna, non distinguendo il corpo del Signore (1Cr 11,29). Perciò a chi vuole comunicarsi è bene ricordare quel precetto dell'Apostolo: L'uomo si renda degno (1Cr 11,28). Ora il costume della Chiesa mette in chiaro che è necessaria tal dignità nel senso di non accostarsi alla sacra eucaristia colla coscienza del peccato mortale, per quanto il fedele creda di esser pentito, tralasciando di premettere la confessione sacramentale: tal dovere questo sacro Sinodo ha deciso che debba essere osservato da tutti i cristiani, e anche da quei Sacerdoti ai quali per ministero incombe di celebrare, salvo che non ci sia un confessore; che se, per urgente necessità, il Sacerdote celebra senza prima confessarsi, è tenuto poi a confessarsi quanto prima» (Id., sess. 13, cap. 7. - Denzinger n. 880).
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II.
1. La Messa viene definita: il sacrifizio della nuova Legge, nel quale Cristo viene offerto ed incruentemente immolato, sotto le specie del pane e del vino, per ministero degli uomini, a favore della Chiesa, per riconoscere il dominio supremo di Dio, e per applicare a noi le soddisfazioni ed i meriti della stessa passione di Cristo. Il valore della Messa consiste nella potenza a produrre gli effetti del sacrifizio; i frutti invece sono l'applicazione di questo valore ad un particolare oggetto. Il valore della Messa è infinito, i frutti invece sono finiti rispetto agli uomini.
Il primo effetto della Messa è latreutico, e consiste nell'efficacia che ha il sacrifizio della Messa a tributare alla divina Maestà il dovuto ossequio. Ogni atto infatti di Cristo in ossequio del Padre ha un valore infinito, ciò che maggiormente è evidente nel suo sacrifizio della vita, che è la più alta delle dimostrazioni di amore. Inoltre la Messa ha un effetto detto eucaristico, perché rende a Dio i dovuti ringraziamenti: quale maggior dono infatti si può offrire a Dio che superi il dono fatto dallo stesso Figlio unigenito a Dio Padre? Perciò Davide dice: «Che renderò al Signore per tutti i benefici da lui ricevuti? Prenderò il calice di salute invocando il nome del Signore» (Sl 115, 3s.).
Altro effetto è quello soddisfattorio: «Questo è il mio sangue, versato per voi, in remissione dei peccati». Il sacrifizio di Cristo, essendo di valore infinito basta per salvare tutto il genere umano. Dice infatti Giovanni: «Ed egli stesso è vittima di propiziazione pei nostri peccati; e non soltanto pei nostri, ma anche per quelli di tutto il mondo» (1Gv 2,2).
Il quarto effetto è l'impetrazione. Dice l'Apostolo: «Lui (Iddio) che nemmeno risparmiò il suo Figliuolo, ma lo diede a morte per tutti noi, come non ci accorderà anche ogni altra cosa insieme con lui?» (Rm 8,32). I sacrifizi dell'antica Legge erano poveri elementi; ma Malachia dice: «Non mi piacete più, dice il Signore degli eserciti, non accetterò più doni dalla vostra mano; perché da levante a ponente il mio nome è grande fra le nazioni, e in ogni luogo si sacrifica e si offre al mio nome un'ostia pura, perché grande è il mio nome tra le nazioni, dice il Signore degli eserciti» (Ml 1,10s.).
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2. Il frutto, per coloro che partecipano alla Messa, è quadruplo. Vi è un frutto generalissimo al quale in qualche modo partecipano tutti i fedeli, sia vivi che defunti. Siccome il ministro di ogni sacrifizio agisce a nome della Chiesa, il sacrifizio giova a tutta la Chiesa. Vi è un secondo frutto generale al quale partecipano i fedeli che assistono al sacrifizio o concorrono ad esso offrendo i paramenti, le candele, le ostie, ecc. Vi è un frutto speciale o ministeriale che riguarda coloro per i quali viene applicata la Messa. Questa applicazione dipende dalla volontà del Sacerdote. Il frutto specialissimo poi è quello che riguarda il solo Sacerdote celebrante, e gli è del tutto proprio.
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3. Le rubriche che nella celebrazione della Messa definiscono il rito, il modo e la regola della celebrazione, obbligano sotto precetto di genere suo grave. Dice infatti il canone 818 del CJC: «Riprovata ogni consuetudine in contrario, il Sacerdote celebrante accuratamente e devotamente osservi le rubriche dei suoi libri rituali, e si guardi dall'aggiungere altre cerimonie o preghiere di proprio arbitrio». E Sisto V dice: «I riti e le cerimonie sacre contengono grande ammaestramento per il popolo cristiano, e professione di vera fede, apportano maestà alle cose sacre, innalzano le menti dei fedeli alla meditazione delle supreme cose, ed avvivano anche il fuoco della devozione. Per questo non si ometta alcuna rubrica, non si aggiunga nulla ad esse, non si muti nulla in esse».
Oltre che l'esterna osservanza delle rubriche, si richiede anche l'attenzione e la devozione interna. La Messa è infatti un segno per noi, ad una preghiera ed un atto di culto tributato a Dio. Se perciò si ha una distrazione volontaria durante il Canone, o specialmente nella consacrazione e nella sunzione, sarà peccato1. Alla devota celebrazione si riferiscono la preparazione ed il ringraziamento alla Messa, che sono molto raccomandati dal canone 810 del CJC. Chi senza premettere alcuna preparazione, almeno fatta in casa, va a celebrare, non può essere scusato da colpa. Nel ringraziamento bisogna almeno occupare un quarto d'ora.
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Il Sacerdote deve poi diligentemente badare, tanto più se è pastore di anime, che i fedeli assistano devotamente alla Messa nelle domeniche e negli altri giorni di precetto, e che vi assistano dal principio alla fine. È inoltre molto importante l'assistere, se è possibile, alla Messa anche tutti i giorni. Affinché poi il frutto della Messa venga più abbondantemente applicato alle anime, bisogna insistere a tempo e fuori tempo, affinché i fedeli partecipino al sacrifizio della Messa ricevendo, con il celebrante, la comunione.
O Sacerdote, cura che ogni giorno il tuo fervore nella celebrazione, aumenti, così che le successive Messe si distanzino molto dalla prima, per devozione e per osservanza delle rubriche.
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III.
1. Il sacrifizio della Messa, che viene offerto dal Sacerdote, si può dividere in tre parti: parte preliminare, parte liturgica, parte complementare. La parte preliminare va dal principio fino all'offertorio: è come una ricapitolazione sommaria delle cerimonie solite farsi, nei primi tempi della Chiesa, prima del sacrifizio. La prima azione viene compiuta dal Sacerdote davanti ai gradini dell'altare; la seconda, quando il messale è dal lato dell'epistola; la terza quando il messale è trasportato al lato del vangelo.
La prima è come un simbolo dell'umanità perduta ed un atto di umiltà e di dolore. Il salmo «Sii mio giudice, o Dio» è specialmente messo per le parole: «Mi accosterò all'altare di Dio» (Sl 42,4), ossia all'altare di Cristo. La confessione che segue e che viene ripetuta dall'inserviente a nome del popolo, quale augurio reciproco, tra Sacerdote e ministro, di misericordia e di assoluzione; ed altre preghiere che chiedono perdono a Dio, specialmente la seguente: «Deh! Signore, togli da noi le nostre iniquità; affinché meritiamo di entrare con anima pura nel Santo dei santi». Il medesimo concetto viene ripetutamente espresso dalla ripetizione: «Signore, abbi pietà di noi; Cristo, abbi pietà di noi; Signore, abbi pietà di noi». Questa è un'ottima preparazione alla consacrazione del calice di quel sangue «che sarà sparso per molti a remissione dei peccati» (Mt 26,28).
Nella seconda azione, con l'introito ed il salmo, viene come enunciata la dedicazione della Messa, ed il tema dominante di essa. Seguono le orazioni che chiedono a Dio quelle grazie che sono conformi al carattere della Messa. Viene poi l'epistola, la quale, con le parole dei profeti che molto prima preannunziarono la redenzione degli uomini, ci indica la divina rivelazione manifestata per mezzo di essi; oppure ci indica la rivelazione stessa.
Nella terza azione viene significato il passaggio del sacerdozio levitico nel nuovo sacerdozio di Cristo; si legge il Vangelo perché «Iddio, che negli antichi tempi aveva parlato a più riprese e in più maniere ai nostri padri per mezzo dei Profeti, in questi ultimi tempi parlò a noi per mezzo del Figliuolo» (Eb 1,1s.). Durante la lettura del Vangelo tutti si alzano in piedi come pronti ad eseguire i precetti contenuti nel Vangelo; si recita poi il «Credo» per professare la fede nelle verità evangeliche.
Questa parte della Messa si chiama anche didattica, e, specialmente in antico, era ordinata ad istruire il popolo.
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2. La parte liturgica del sacrifizio della Messa va dall'offertorio fino alla comunione, ed è la parte essenziale.
Nella prima azione viene preparata la materia del sacrifizio mediante l'oblazione del pane e del vino. Nella seconda azione abbiamo l'essenza del sacrifizio, ossia la consacrazione. Dopo il «sanctus», cominciato il canone, il Sacerdote prega Iddio Padre, in un modo che si può così rappresentare schematicamente:
A: Questo sacrifizio «per» tutti gli uomini, e «con» tutti gli uomini santi offerto,
B: accetta, «o Dio Padre», per la nostra salvezza,
C: e cambialo nel corpo e nel sangue del diletto Figlio tuo.
A: Te l'offriamo, o Padre, affinché lo riceva per la salvezza di tutti:
B: per i defunti,
C: e per noi peccatori.
Con questo schema assai facilmente si comprende il senso di tutto il canone, fino al Padre nostro.
Prima della consacrazione:
A: Comprende le preghiere che cominciano: «Te adunque, clementissimo Padre; Ricordati, o Signore; In comunione».
B: «Questa offerta dunque... ti preghiamo, o Signore, di accettare placato...».
C: «La quale offerta,... affinché diventi per noi il Corpo e il Sangue...».
Nella consacrazione, si ripetono le parole riportate dal Vangelo, con qualche accidentale adattamento.
Dopo la consacrazione:
A: «Perciò, o Signore,... offriamo....; Sopra i quali ti degni di riguardare... e di averli accetti...; Supplichevoli ti preghiamo... che veniamo ricolmi d'ogni celeste benedizione e grazia».
B: «Ricordati anche, o Signore, dei tuoi servi... che dormono il sonno di pace...».
C: «E a noi pure tuoi servi peccatori... degnati di dar qualche parte e società coi tuoi santi...» (Messale Romano, Ordinario della Messa).
Qui termina l'azione centrale ed essenziale del sacrifizio.
Nella terza azione vi è la preparazione alla comunione, la comunione stessa ed il ringraziamento per essa. Si comincia con la recita del Padre nostro e si termina con l'antifona detta «comunione».
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3. La parte complementare della Messa va dal «dopo comunione» fino alla fine. Si recitano le orazioni, viene data la benedizione e si legge il più delle volte l'inizio del Vangelo di S. Giovanni quasi a significare che i fedeli, dopo il sacrifizio, liberati dai peccati, sono entrati nella società dei figli di Dio.
Il Sacerdote, dopo che ha lasciato l'altare deve pregare più a lungo dei fedeli, sia per ricavare più abbondanti frutti dalla Messa celebrata, sia per dare buon esempio agli altri fedeli.
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1 Altri autori sono meno rigorosi su questo punto, anche per non suscitare scrupoli (n. d. T.).