Beato Giacomo Alberione

Opera Omnia

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30.
LA CASA DEL PASTORE

(PB 6, 1942, 418-424)

I.

1. La casa canonica. - La casa del pastore di anime, qualunque essa sia (o palazzo episcopale, o casetta di montagna, od anche una semplice cameretta), deve sempre presentarsi come: a) la casa ed il luogo di santificazione e di letizia del Sacerdote; b) la casa del padre per tutti i figli; c) la casa modello di tutte le altre case. Il Sacerdote ami la sua casa ed ami la vita ritirata. Colui che troppo è in giro, difficilmente si santifica! La casa del pastore di anime sia come quella che Gesù aveva a Nazaret; o come quella che abitava a Cafarnao.
È incredibile quanto giovi alla salute, alla santificazione ed al buon esempio, l'ordine, ossia un orario per le occupazioni della giornata.
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Quanto alla preghiera: la preghiera del pastore sia veramente una preghiera sacerdotale, ossia frequente, fervorosa, ordinata. Alla sera, ad ora prestabilita, se non vi sono impedimenti, il Sacerdote reciti il Rosario mariano con i suoi familiari, nella chiesa oppure nella casa. Poi si ritiri nella sua camera e legga i punti della meditazione, e, con poche ma scelte formule, reciti con attenzione e devozione le orazioni della sera, e le concluda con l'esame di coscienza, e con l'atto di contrizione perfetta. Raccomandi poi la sua anima a Gesù, a Maria ed a S. Giuseppe, come se dovesse morire in quella notte medesima.
Al mattino, il Sacerdote si alzi sollecitamente all'ora stabilita, faccia con decenza e speditezza la pulizia personale e poi reciti le orazioni del mattino e faccia la meditazione, prima di attendere ad altre cose. La meditazione non sia differita, omessa od abbreviata, senza una vera necessità. Nel primo tempo libero, il Sacerdote reciterà degnamente e con attenzione e devozione il divino ufficio; si consiglia di recitarlo davanti al santissimo Sacramento. Quando è possibile, si procuri di fare in modo che il popolo veda il suo pastore a pregare, a confessarsi, a meditare piamente.
Durante il giorno, il Sacerdote innalzi con frequenza la mente a Dio, a Maria, agli angeli, e viva alla presenza di Dio. È ottima la consuetudine di recitare, alla sera prima, il Mattutino e le Lodi, e di dire al mattino seguente le Ore minori.
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2. Quanto al lavoro: il Sacerdote non stia mai ozioso, ma abbia sempre di che essere occupato, e segua nell'azione i quattro principi suggeriti da S. Francesco di Sales: a) Prima le cose più importanti: tutto ciò che riguarda l'ufficio pastorale sia eseguito prima delle altre cose. Il pastore preparerà la predica e la spiegazione del catechismo, visiterà i malati, curerà le cose materiali, risponderà alle lettere; b) Il più possibile: per poter fare il più possibile, prima di cominciare a lavorare il pastore prevederà, in un breve esame di coscienza, ciò che dovrà fare lungo il giorno, e ne prenderà nota, per non dimenticarsene. Avrà diligente cura del tempo libero, e riserverà almeno un'ora al giorno per lo studio ecclesiastico. Non si immischierà in questioni politiche e in affari puramente materiali; c) Il meglio possibile: il pastore si applichi tutto a ciò che sta facendo, dopo aver premessa una preghiera alle principali azioni, per poter eseguire ogni cosa integralmente, con spirito soprannaturale, e secondo le sue capacità; d) Perseverando fino alla fine: se avrà cominciato le cose a tempo, ed avrà perseverato in esse, superando tutte le difficoltà, il pastore riceverà la corona di vita.
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Riguardo al buon esempio. Si richiede pulizia in tutto. Questo conferisce molto alla salute, ed all'edificazione del prossimo. Il pastore che ha anche cura dell'edificio materiale della casa canonica e della chiesa, sarà benemerito per i suoi successori. Si può essere poveri, ma non è mai lecito essere sporchi. Il pastore esiga in ciò la dovuta diligenza dalla persona di servizio. Vi deve pure essere l'ordine conveniente. L'ordine è la via che conduce a Dio, dice S. Agostino. Mantenete l'ordine e l'ordine manterrà voi, soggiunge S. Bernardo. La biblioteca sia ordinata; ordinate siano le pentole ed i piatti in cucina; ordinati siano i conti, ordinate le annotazioni d'archivio, e ben tenuti i vari registri, e le carte da conservarsi.
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3. L'aurea mediocrità. Ne conviene anche il Sapiente: «Non darmi né povertà né ricchezze; ma del vitto passami la razione» (Pv 30,8). Né avarizia, né prodigalità; non si ammettano questi due vizi contrari allo spirito pastorale. Vi sia invece la conveniente moderazione nella casa, nelle suppellettili, nella mensa, nelle vesti: questo costituirà il decoro sacerdotale. La casa sia ornata in modo conveniente per il pastore e per il popolo. Sia essa accogliente, in modo che si possa rimanere volentieri in casa e non si sia tentati di abbandonare facilmente la propria dimora. Quando il dovere costringe a lasciare la casa, si procuri di farvi sollecito ritorno. Le suppellettili siano sufficienti, pulite, adatte al servizio che devono fare; non siano troppo ricercate, di lusso, preziose, superflue. La biblioteca sia formata da libri scelti; e tutta la casa dimostri e favorisca il desiderio di studiare, e la vita di pietà del pastore.
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II.

1. Le persone che abitano nella casa del pastore. - Gli autori ed i vari statuti sinodali sono d'accordo nel dire che il Sacerdote, specialmente in cura d'anime, non deve prendersi il gravame di provvedere ai parenti, come ai fratelli e nipoti. Eccezione fatta per il padre e la madre, il Sacerdote non tenga in casa altri consanguinei, che vivono poi oziosi. Specialmente procuri il pastore di non accogliere nella sua casa ragazze bisognose di custodia, anche se non vi è chi possa con sicurezza e decoro prendersene cura. Procuri che non avvengano scandali nella sua casa. Se è costretto a tenere presso di sé qualche sorella o qualche nipote, vigilerà affinché queste non si implichino in relazioni sconsiderate. Non le lascino troppo libere, affinché non siano esposte a qualche pericolo, a causa di quelli che frequentano il presbiterio. Abbia sempre timore di ciò.
Se il parroco ha con sé il padre o la madre, tributi loro da una parte l'ossequio filiale di amore, e dall'altra parte conservi la completa libertà ed autorità pastorale.
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2. I consanguinei che abitano nella casa del pastore, non siano a lui di impedimento nell'amministrazione e nella beneficenza, né nelle spese da farsi per il culto, ed inoltre il pastore non chieda per queste cose il loro consiglio. Similmente non permetta che quando viene qualche parrocchiano, i parenti indaghino il motivo per cui è venuto, o gli impediscano di entrare.
Riguardo alla persona di servizio, è così stabilito: «Il Sacerdote abbia una serva non più giovane, non ciarliera, non immodesta, non dominatrice». Ella non vesta ambiziosamente, né si presenti in modo altezzoso, né riveli i segreti; non stia mai in ozio, ma neppure sia troppo onerata di lavoro. Il Sacerdote si diporti con essa in modo energico e paterno. Non accetti da essa denaro in prestito, e le paghi il giusto salario. Il governo della casa pastorale sia come una monarchia assoluta, non una democrazia con la partecipazione dei parenti e della serva. Dalla casa siano tenute lontane tutte quelle cose che possono renderla odiosa a Dio, molesta ai confratelli, e nociva al pastore. Bontà e fermezza ne faranno una casa modello per tutti.
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3. Persone che sogliono frequentare la casa canonica. - Vengono i parrocchiani che richiedono l'opera del pastore; sempre il pastore riceva costoro prontamente e con bontà, e se può li accontenti. Si presenti sempre ai parrocchiani mettendosi a loro disposizione, in modo che essi vedano che per i loro affari il pastore volentieri lascia le cose sue, gli amici, ed anche talvolta tramanda la preghiera. Non permetta che i parrocchiani debbano richiamarlo più volte, od attenderlo a lungo. Non abbia accezione di persone.
Vengono i miseri ed i poveri, e per costoro la casa parrocchiale deve presentarsi come fosse senza porte: essi devono sempre poter aver udienza col pastore: «I poveri... li avete sempre con voi» (Mt 26,11). Sono come i rappresentanti di Cristo, e se ricevono denaro, lo depositano presso la banca del cielo. Il tesoro del cielo è la mano del povero; ciò che essa riceve lo ripone in cielo, perché non abbia a perire sulla terra. La mano del povero è il gazofilacio di Cristo, poiché tutto quello che si dà al povero, lo si dà a Cristo. Da' perciò, o uomo, terra al povero, per ricevere in cambio il cielo; da' soldi, per ricevere cielo; da' ai poveri, affinché venga poi restituito a te. Ogni cosa che avrai data al povero, la riavrai; ciò che non hai dato al povero, se lo prenderanno invece gli altri. Vi è in cielo una misericordia, alla quale si giunge attraverso le misericordie terrene (San Pietro Crisologo). Se si volesse porre un'iscrizione sulla casa del pastore di anime, questa dovrebbe essere la seguente: «Venite a me voi tutti che siete affaticati e stanchi, ed io vi darò completo riposo» (Mt 11,28).
Vengono i confratelli Sacerdoti. Il pastore li riceva sempre con la faccia sorridente; eviti tuttavia la perdita del tempo, e si ricordi delle parole: «Praticate l'ospitalità gli uni verso gli altri, senza mormorazioni» (1Pt 4,9). Vengono donne e fanciulle. Non siano mai sospette: dice infatti S. Girolamo: «Tutti gli occhi ti guardano: la tua casa e il tuo modo di vivere sono poste come in una vetrina; siano perciò modelli di condotta pubblica». Quando la cosa lo consente, le donne si ricevano al confessionale; con esse si tenga sempre un linguaggio sostenuto e breve. Per esprimerci metaforicamente, il pastore, quando parla con fanciulle e donne anche pie, tema ed eviti, che il guadagno cessi, che ne sorga danno, che naufraghi ogni buona iniziativa.
O Gesù maestro, che hai detto: «Siate adunque prudenti come i serpenti e semplici come le colombe» (Mt 10,16), perdonami le mie imprudenze e concedimi di unire la prudenza alla semplicità, in modo da divenire «l'economo fedele e prudente, che il padrone metterà a capo dei suoi domestici, per dar loro, nel tempo stabilito, la rispettiva porzione di cibo» (Lc 12,42).
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III.

1. Raccomandazione dell'anima composta da S. Giuseppe Cafasso1. - «Grande Iddio, prostrato avanti di Voi io accetto ed adoro quella sentenza di morte, che avete pronunziato sopra di me. Io sto aspettando che venga l'ultima mia ora, ed in questa aspettazione, che può sorprendermi in ogni istante, io mi porto col pensiero sul mio letto di morte, per dare un addio a tutto questo mondo, e per fare adesso per allora una chiara e solenne protesta di quei sentimenti ed affetti, con cui intendo terminare la mia mortale carriera, ed entrare nella mia eternità.
«1) Ho peccato, lo dico e lo confesso con tutta l'amarezza dell'animo mio. Detesto e riprovo con tutto il mio cuore ogni e qualunque colpa che abbia commesso nel corso della mia vita. Per ognuna di esse sarei disposto a morire in soddisfazione all'offeso mio Dio, e vorrei esser morto mille volte prima d'averlo disgustato. Dimando perdono a Dio ed agli uomini del male che ho fatto, e lo domanderò fino all'ultimo di mia vita, perché abbia a trovar misericordia nel giorno del mio giudizio.
«2) Siccome questo miserabile corpo fu la cagione per cui offesi tanto il caro mio Dio; così per sua punizione e castigo ne fo ben di cuore un totale sacrificio all'offeso mio Signore. Non solo mi rassegno a discendere nella tomba, ma godo e ringrazio Iddio, che mi abbia dato questo mezzo di pagarne la pena. Tra quelle ceneri, che di me rimarranno nel sepolcro, con quelle ossa, che parleranno per me, confesserò fino al giorno estremo della mia risurrezione, che giusto fu il Signore, e giusta la sentenza che mi ha condannato a morire.
«3) Ringrazio tutti i miei parenti, compagni ed amici della carità che mi hanno usato nel sopportare i miei difetti, come li ringrazio di tutti i favori e di tutte le assistenze, che ebbero la bontà di prestarmi. Dimando loro perdono della mala mia corrispondenza e degli scandali loro dati. Li prego a continuarmi la carità delle loro preghiere, e nel separarmi da essi porto la ferma speranza di rivederli un giorno tutti quanti e di bel nuovo abbracciarli in quel santo Paradiso.
«4) Avendo voluto Iddio nella sua imperscrutabile Provvidenza che io avessi ad amministrare e disporre nel mio stato di temporali interessi, io gli dimando sinceramente perdono, se non ne avessi fatto quell'uso, che Egli aspettava da me. Egli solo è il padrone, io rimetto nuovamente ogni cosa nelle sue mani. Le disposizioni che ho fatte o sarò per fare intendo siano tutte alla maggior sua gloria, e frattanto in quel po' di vita, che avrà ancor a rimanermi sulla terra, quanto potrò risparmiare dai miei bisogni è mia ferma e decisa volontà d'impiegarlo totalmente in opere del Signore, disposto pur anche, anzi desideroso di spogliarmene affatto fino da questo punto, qualora Iddio lo volesse, e solo lo gradisse da me.
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2. «5) Venendo al punto principale di queste mie spirituali disposizioni, vale a dire, a quel giorno che sarà l'ultimo per me, rendo le più sincere grazie al mio Dio, per avere così disposto di me sopra la terra. Questo giorno che porrà fine ai miei peccati, e mi strapperà di mezzo a tante colpe, che si commettono nel mondo, io lo saluto, lo desidero, lo benedico. Ringrazio fin d'ora la persona, che vorrà darmene la consolante notizia, e finché non arrivi, io lo terrò così caro al mio cuore, che non lo cangerei colla giornata più bella di questo mondo.
«6) Io affido la mia sorte all'amore ed alle cure della mia tenera Madre. Entro al suo cuore io ripongo le mie ore estreme, e gli ultimi miei sospiri. Sì a fianco e tra le braccia di questa Madre io voglio partir da questo mondo e presentarmi alla mia eternità. Ogni gemito che darò in quel punto, ogni respiro, ogni sguardo intendo sia una voce che la chiami, che la solleciti per me dal Cielo, sicché presto la veda, la contempli, l'abbracci, e possa morire con Lei. Che se per tratto speciale del suo buon cuore volesse chiamarmi in un giorno a Lei consacrato, sarebbe una consolazione ancor più grande per me poterle presentare l'offerta della mia vita in un tempo, in cui in cielo e in terra si festeggia il suo Santo Nome e le tante sue misericordie.
«7) Raccomando in special modo il mio passaggio alla potente intercessione del grande Sposo di Maria, S. Giuseppe, di cui porto indegnamente il nome, all'assistenza dell'Angelo mio Custode, ai due grandi santi e particolari miei protettori S. Ignazio e S. Alfonso de' Liguori, agli Angeli e Santi tutti del Cielo, ed a quelle anime specialmente che in Paradiso si ricordassero di me. Io le saluto tutte quante da questa valle di lagrime, ed a ciascuna mi rivolgo, perché preghino per me, e perché venga presto quel giorno, che abbia la bella sorte di cominciare con loro a godere di quella festa, che non finirà mai più.
«8) Per quello che riguarda il tempo e le circostanze tutte della mia morte, io mi rassegno pienamente ad esempio del mio Divin Redentore a tutto ciò che il Padre Celeste avrà disposto di me. Io accetto quella morte qualunque che Iddio nei suoi decreti crederà migliore per me. Per compiere la volontà sua intendo accettare da Lui e per Lui tutti quegli spasimi e dolori che sarà in voler suo che io soffra in quel punto. Nel sacrificio più duro e nelle agonie più dolorose voglio ed intendo che sempre sia fatta la sua santa volontà.
«9) Rendo grazie infinite a quel buon Dio che per tratto di sua pura e speciale misericordia ha voluto nel mio nascere chiamarmi alla fede e pormi qual figlio, tuttochè immeritevole, nelle braccia della Santa Chiesa Cattolica. Io rinnovo oggi quelle promesse e proteste che un giorno al sacro fonte si fecero per me. Piango e detesto quanto nella mia vita non vi fu conforme. Condanno e rigetto tutto ciò che nei miei giorni fosse stato mancante d'ubbidienza e rispetto alla Santa Romana Chiesa. Oggi e per sempre protesto di voler vivere e morire nella comunione più stretta di questa Madre. A Lei affido le mie ceneri, perché le benedica e le serbi come in custodia sino al giorno finale.
«10) Desidero e dimando tutti quei Sacramenti e conforti che la religione nostra sacrosanta tiene riservati in quel punto pei moribondi suoi figli; e quando il Signore chiamerà il sacrifizio della mia vita, intendo d'unirlo a quello, che hanno fatto tanti confessori della fede, ed esalare l'ultimo mio spirito in omaggio e sostegno della nostra fede santissima.
«11) Essendo per finire la mia missione sulla terra, io rispondo e consegno al mio Dio quella grande Vocazione, di cui egli ha voluto onorarmi. Io non ho termini quaggiù per ringraziarlo degnamente ed aspetto l'eternità. Ringrazio con tutto il mio cuore quanti si sono adoperati a questo fine per me, e a ciascuno mi raccomando, perché trovi misericordia in quel gran punto in cui sarò chiamato a render conto della mia carriera. Io morrò e mi consola il pensiero, che colla mia morte vi sarà di meno un ministro indegno sulla terra, e che un altro Sacerdote più zelante e più fervente verrà, a compensare la mia freddezza e mancanza.
«12) Siccome sono certo per fede, che Iddio nella sua onnipotenza e misericordia può e vuole perdonare a chiunque si pente davvero dei suoi peccati, così appoggiato a questa ferma fiducia, che non può fallire, e penetrato dal più vivo dolore delle passate mie colpe, protesto di sperare con tutta fermezza il perdono delle mie mancanze e l'acquisto della mia eterna salute. Qualunque sia l'assalto che in vita od in morte sia per darmi il mio nemico ripeterò sempre che credo nel mio Dio, che spero in Lui, e che Egli mi salverà.
«13) Ora che i miei giorni sono per finire, e che il tempo sta per mancare e sparire per sempre da me, conosco e comprendo più che in addietro il mio dovere sulla terra quale era di servire ed amare il caro mio Dio. Finché avrò vita piangerò quel tempo in cui [non L'] ho amato e ripeterò continuamente d'ora in avanti: o amare o morire. Quanto sarò per fare o soffrire in questa misera vita, intendo sia una prova d'amore a questo mio Dio, sicché vivendo io viva solo per amare, e morendo muoia per amare ancor di più.
«14) Il dolore che provo, o Signore, per non avervi amato, il desiderio che sento vieppiù di amarvi, mi rende oltremodo noiosa e pesante questa vita, e mi sforza a pregarvi di voler abbreviare i miei giorni sulla terra, e perdonarmi il purgatorio nell'altra, sicché presto io possa giungere ad amarvi in Paradiso. Io vi domando questa grazia, o Signore, non già per timore della pena, che confesso meritare mille volte maggiore, ma pel sincero desiderio di amarvi molto, di amarvi presto, di amarvi da vicino in quel bel Paradiso. Mi serva, o mio Dio, di purgatorio l'angoscia, che sento per non avervi amato, il pericolo che io corro di offendervi e non amarvi più.
«I vostri meriti, o caro mio Redentore, l'amore della vostra Madre, il patrocinio dei Santi, le preghiere dei buoni, le indulgenze di Chiesa Santa, che intendo acquistare principalmente in quel punto, suppliscano per me e m'ottengano il condono di quella pena, di cui purtroppo mi troverò debitore in punto di morte, talmente che, sciolto dal carcere di questo corpo, e chiusi gli occhi per sempre a questo misero mondo, io parta e voli a quella gloria, ad amare il mio Gesù e ad abbracciare la cara mia Madre Maria.
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3. «15) Finalmente disceso che sarò nel sepolcro, desidero e prego il Signore a far perire sulla terra la mia memoria, sicché mai più alcuno abbia a pensare a me, fuori di quelle preghiere che attendo dalla carità dei fedeli. Io accetto in penitenza dei miei peccati tutto quello che dopo la mia morte nel mondo si dirà contro di me. Condanno e detesto tutto quel male, che in avvenire avesse a commettersi per mia cagione. Vorrei colla mia morte poter impedire tutti i peccati del mondo, anzi sarei pronto a morire ogni volta, quanti son i peccati che si commetteranno sulla terra. Deh! accetti il Signore questo misero sacrifizio, sicché morendo io abbia la più dolce delle consolazioni di risparmiare in quel giorno un'offesa al mio Signore.
«Questa è la mia ferma e precisa volontà, con cui intendo vivere e morire in ogni e qualunque momento Iddio voglia disporre di me. Io la metto tra le mani della mia cara Madre Maria, del mio buon Angelo Custode e dei Santi miei speciali protettori, S. Giuseppe, S. Ignazio, e S. Alfonso de' Liguori, i quali tutti attendo sul punto di mia morte, e pel viaggio alla mia eternità.
Così sia.

Vieni pur morte gradita
Ma si celi il tuo venire
Perché l'ora del morire
Non mi torni a dar la vita.

«Non già morte, ma dolce sonno sarà per te, o anima mia, se morendo t'assiste Gesù, se spirando t'abbraccia Maria.
«Viva Gesù, viva Maria, tanto in cielo come in terra, nel tempo e nell'eternità per sempre. Così sia».
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1 Cf S. Giuseppe Cafasso, Homo Dei. Per la vita e il ministero sacerdotale (Torino, L. I. C. E., 1947, pp. 350-354).