Beato Giacomo Alberione

Opera Omnia

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13.
L'EUCARISTIA È SCUOLA

(PB 7,1943, 187-192)

I.

1. L'eucaristia ha lo scopo di unirci a Cristo, di modo che il Padre, con un unico sguardo, possa vedere noi ed il Figlio suo, del quale sempre dice: «Questo è il mio Figlio diletto, nel quale mi sono compiaciuto; ascoltatelo!» (Mt 17,5). Il Padre ama il Sacerdote per l'affinità e l'unione che questi ha con Cristo. «Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue rimane in me ed io in lui» (Gv 6,56). Qui devono essere considerate le parole di Sant'Agostino: «Rimaniamo in lui in quanto siamo sue membra; rimane egli in noi, in quanto siamo suo tempio: e questa unione è mantenuta da che cosa? Dalla sola carità». L'unione richiede la somiglianza; e la somiglianza viene prodotta solo dall'amore.
Per acquistare tale somiglianza approfittiamo della scuola dell'eucaristia: qui il Maestro divino ci ammaestra col suo esempio. Gli esempi eucaristici sono continui, sono chiari; e questo per tutti, ma specialmente lo sono per i Sacerdoti.
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2. La vita eucaristica di Gesù è scuola di virtù. Nel giorno della nostra ordinazione sacerdotale, il Vescovo ci ammonì: «Imitate ciò che maneggiate» (Pontificale Romano, De ordinatione Presbyteri: Consecrandi...). L'eucaristia è una scuola perfetta, per l'eccellenza del Maestro che insegna, ossia di Cristo. «Quando il Maestro è Dio stesso, come presto si impara ciò che viene insegnato!», dice il Papa S. Leone. Ed è evidente: il Maestro divino infatti mentre insegna le cose che dobbiamo imparare, infonde la capacità di capire, rende docile la volontà ad agire. «Quando Iddio insegna, lo fa in modo che impariamo ciò che dobbiamo, ed operiamo come dobbiamo», dice S. Agostino.
È una scuola perfetta, per l'eccellenza della dottrina che viene insegnata. Nell'eucaristia vi è ogni verità, ogni virtù, ogni perfezione di Cristo: «Vi ho fatto conoscere tutto quello che ho udito dal Padre mio» (Gv 15,15)
È una scuola perfetta, per l'eccellenza del metodo, che è in modo perfetto adatto a noi: «Ora sì che parli chiaro, e non usi nessuna parabola» (Gv 16,29). Gli istruiti, come gli ignoranti, facilmente comprendono, perché si insegna con grande bontà, più con l'esempio che con le parole; sia agli incipienti come ai perfetti, si insegnano cose sublimi e comprensibili.
È una scuola perfetta per la sua continuità. È sempre accessibile, sia di giorno, come di notte; né diventa noiosa per quelli che la frequentano; anzi più si prolunga e più reca diletto. In ogni secolo, dagli apostoli fino ad oggi, molti fecero grandi progressi a questa scuola, fino a raggiungere la più alta perfezione: «Le mie parole non passeranno» (Mt 24,35).
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3. È scuola perfetta, perché è diffusa in ogni luogo, tanto nelle grandi città, come nei paesi; tanto in riva al mare, come sulle montagne; tanto nei paesi collinosi, come nelle valli. Quello stesso Cristo che insegnava come chi ha autorità, nella Palestina, oggi ammaestra in ogni luogo i bambini ed i vecchi, i filosofi, i Sacerdoti, i fedeli, i giusti ed i peccatori.
È scuola perfetta per l'eccellenza della carità che in essa regna. Non si insegna per lucro, non per ambizione, non per fare sfoggio di sapere; ma solo la dottrina del Maestro amato perché ama, che è comprensibile perché è verace. S. Clemente Alessandrino dice a questo maestro: «Tu sei cetra e tromba», perché rapisci i cuori, illumini le menti, dai forza alle anime rette.
È poi scuola perfetta per l'eccellenza dei frutti che produce: «Saremo simili a lui» (1Gv 3,2). A forza di frequentare un tale e tanto Maestro, che ne sarà? «...Predestinati ad essere conformi all'immagine del Figlio suo» (Rm 8,29); negli scolari appariranno i lineamenti della perfezione divina: «Voi in me, ed io in voi» (Gv 14,20).
Perché indugio ancora? Ecco che egli mi invita: «Venite, figliuoli,... io vi ammaestrerò...» (Sl 33,12). Accostiamoci perciò con fiducia: «Il primo incitamento ad imparare è dato dalla nobiltà del maestro», dice S. Ambrogio.
La lampada del tabernacolo eucaristico sarà la mia luce, ed ai suoi raggi vedrò la luce. «Chi segue me, non camminerà nelle tenebre, ma avrà la luce della vita» (Gv 8,12). Egli è la luce del mondo. Il Sacerdote veramente eucaristico è fervoroso: illumina e riscalda. O Maestro Gesù, accresci la fede! Se credo amerò; se amo sarò fedele. Da' alla mia mente la grazia di vivere di te, e di dolcemente gustarti.
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II.

1. Tutte le virtù vengono irradiate dall'eucaristia, perché quivi è la perfetta e la continua scuola di carità, il compendio delle perfezioni di Cristo, il ricordo delle meraviglie del Signore. Penetriamo nel Cuore eucaristico di Gesù: ammiriamone le intime virtù, lodiamo, imitiamo. Egli ci invita: «Imparate da me, perché sono dolce ed umile di cuore» (Mt 11,29). Tre sono le virtù inseparabili, secondo S. Paolo: «Con tutta umiltà, con mansuetudine, con pazienza» (Ef 4,2).
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L'umiltà. - Nella santissima eucaristia non si vede né l'umanità, né la divinità di Cristo. Con l'incarnazione Dio si è annientato, prendendo la forma di schiavo; con la morte in croce si elencò tra gli iniqui, con l'istituzione dell'eucaristia si celò sotto le specie del pane e del vino, e divenne cibo e bevanda; anzi un frammento di pane ed una goccia di vino consacrati sono Cristo. Il vento può portare via la sottile ostia; la goccia del sangue che cade viene assorbita; un insetto può rosicchiare l'ostia incustodita, la goccia di sangue dimenticata può evaporare. E da tanti secoli continua tale annientamento!
«Imparate da me» (Mt 11,29). Nel mio cuore vive ancora la tendenza naturale ad apparire, a dominare, alla vanità? È difficile confessare che spesso le azioni, le parole, i costumi, i pensieri sono originati dalla superbia. L'invidia, il sospetto, la propria volontà hanno la stessa origine. Anche tra i Sacerdoti, le dispute per vedere chi di loro è il maggiore, ed i dissensi, non hanno forse qualche volta origine dalla superbia? È facile illudersi: spesso sotto il pretesto della dignità, del diritto, dello zelo si nasconde l'amor proprio. «Dio resiste ai superbi e dà la grazia agli umili» (1Pt 5,5). Alla scuola dell'eucaristia facilmente comprenderemo le parole di sant'Agostino: «Non volle insegnare quello che non era; non volle comandare quello che egli stesso non faceva».
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2. La mansuetudine. - Come apparve tra gli uomini la benignità di Gesù, così nell'eucaristia continua a rimanere. San Tommaso compose questa antifona: «O quanto soave è, o Signore, il tuo spirito che, per mostrare la tua dolcezza ai figli tuoi...». Chi potrà narrare il silenzio dell'Agnello eucaristico tra gli uomini indifferenti, ostili o bestemmiatori? Possibile che il Sacerdote, il quale ogni giorno supplica il Signore: Donaci la Pace!, sia poi tanto iracondo? tanto bramoso di vendicarsi? Non si accorge che dà scandalo con le sue frequenti intolleranze, e reca stupore? La predicazione stessa diventa inefficace. Egli suscita soltanto timore e non confidenza. Gli avversari lo deridono, i bambini lo fuggono, i penitenti tacciono o si allontanano, ed il fonte della carità si inaridisce!
«Beati i miti, perché erediteranno la terra!» (Mt 5, 5). Qui si parla della virtù della mansuetudine, non già di quella bonomia che procede da naturale indifferenza o da ignoranza. «Adiratevi pure, ma non vogliate peccare» (Sl 4,5 Vg); e tale precetto Gesù lo ha adempiuto quando scacciò i profanatori dal tempio. Anche quando ci bolle il sangue, procediamo con tutta pazienza e prudenza. Questa mansuetudine conquide le anime: «Figlio mio, fa' le tue cose con mansuetudine ed oltre la gloria avrai l'amore degli uomini» (El 3,19).
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3. La pazienza. - Il Signore diriga i nostri cuori ed i nostri corpi nella carità e nella pazienza di Cristo. Molte e ammirabili sono le testimonianze della pazienza di Cristo nell'eucaristia. L'inferno sembra maggiormente accanirsi contro di lui, quanto maggiore è la carità dimostrata da Cristo in questo sacramento. La presenza di Giuda all'ultima cena, la sua ostinazione innanzi agli amorosi inviti di Gesù a ravvedersi, quanto lo amareggia! E successivamente, attraverso i secoli, le abominazioni, le ingiurie, i sacrilegi sono senza numero. Gli angeli inorridiscono dell'abominazione della desolazione che vi è nel luogo santo. Sono offese nascoste, ma più crudeli: «Oh, mi avesse oltraggiato il mio nemico! lo sopporterei; si fosse levato contro di me uno che mi odia! l'avrei scansato. Ma invece è un mio pari, mio amico e familiare che già stretti insieme in dolce intimità nella casa di Dio andavamo di concerto!» (Sl 54, 13-15). Gesù qui tace. Vede e tace, anche quando la grande opera di Dio viene eseguita o seguita con ipocrisia, con negligenza e con distrazione.
«La pazienza poi fa l'opera perfetta» (Gc 1,4). La pazienza è necessaria tanto nel lavoro spirituale, quanto negli studi; tanto nel ministero della penitenza, quanto nel governo delle anime. S. Ambrogio dice: «La prima virtù è questa: non scoraggiarsi nelle avversità, né insuperbirsi nelle prosperità». Le anime pacifiche godranno molta pace. È migliore un uomo paziente che un uomo forte.
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III.

1. Tutta la perfezione cristiana è contenuta in questa frase: «Rinneghi se stesso... e mi segua» (Mt 16,24). Evitare il male, cercare il Signore: «A spogliarvi... dell'uomo vecchio... e a rivestirvi dell'uomo nuovo» (Ef 4,22.24). Morire in Cristo, vivere in Cristo: «Schiva il male e fa il bene» (Sl 36,27). Distacco dalle creature e unione con Dio. Per distaccarsi dalle creature bisogna praticare le virtù separative; per unirsi a Dio bisogna praticare le virtù unitive. Le virtù separative sono: l'ubbidienza, la povertà, la mortificazione.
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L'ubbidienza. - Ogni peccato è una disubbidienza. Mediante l'ubbidienza di Gesù: «Tutti saranno costituiti giusti» (Rm 5,19). Venendo egli nel mondo, disse: «Ecco io vengo a fare la tua volontà» (Eb 10,9). Tutta la vita nascosta di Gesù è compendiata nella frase: «Stava loro sottomesso» (Lc 2,51). Tutto il suo ministero pubblico è riassunto nelle parole: «Il mio cibo è fare la volontà di colui che mi ha mandato» (Gv 4,34). Tutta la storia della passione è riassunta nella frase: «Sia fatta la tua volontà» (Mt 26,42): così dal Getsemani al Calvario, alla consumazione. Tutta la vita eucaristica è riassunta nelle parole: «Avendo Iddio obbedito alla voce d'un uomo» (Gs 10,14). Gesù ubbidisce al Sacerdote.
Il Sacerdote nella celebrazione della Messa chiama Gesù Cristo, che subito discende dal cielo; ed ogni fedele che chiede la comunione viene ubbidito. L'ubbidienza di Cristo è pronta: il Sacerdote parla, ed immediatamente il pane ed il vino si mutano in Cristo. L'ubbidienza di Cristo è cieca: non distingue tra Sacerdote santo e cattivo, tra mani innocenti e mani macchiate. L'ubbidienza di Cristo è integra; senza alcuna difficoltà, il Sacerdote eleva l'ostia, la depone, la trasporta secondo la propria volontà. L'ubbidienza di Cristo è costante; non l'ha mai violata dall'ultima Cena fino ad oggi; né mai la violerà.
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Ed il Sacerdote ubbidisce? Dato che il Sacerdote deve presiedere, può dimenticare l'ubbidire. Siccome si ha una certa età, facilmente pensiamo che l'ubbidienza sia riservata ai bambini; siccome vediamo che i superiori hanno anch'essi difetti ed un modo di fare spesso spiacevole, ci abituiamo a considerare in essi più l'uomo che non il rappresentante di Dio. Non vogliate giudicare i superiori secondo la loro virtù, o secondo la loro posizione sociale; pensate secondo la fede, e secondo la fede regolatevi nelle vostre azioni: sempre Gesù è presente ed in loro ti chiama al lavoro, alla pace, al premio: «Non vi è autorità se non da Dio» (Rm 13,1). Se Dio ubbidisce ad un uomo ordinario, imperfetto, magari sacrilego (che il ciel ne liberi!); come ubbidisce ad un uomo santo, non sarà cosa disdicevole per te seguire l'esempio del tuo Creatore. Sia dunque la tua ubbidienza lieta, anzi gaudiosa.
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2. La povertà. - La cupidigia è la radice di tanti mali. Siccome Cristo venne a restaurare ed a condannare il mondo, visse poveramente dalla nascita alla morte. «Non ha dove posare il capo» (Mt 8,20); ed all'inizio del discorso del monte dice: «Beati i poveri in spirito» (Mt 5,3); e questa povertà viene messa come condizione alla perfezione: «Chiunque di voi non rinunzia a quanto possiede, non può essere mio discepolo» (Lc 14,33).
Anche con il suo esempio, nell'eucaristia, Gesù insegna la povertà: l'ostia è fatta di pochi chicchi di grano; il vino è fatto di pochi acini d'uva; eppure sotto le specie del pane e sotto le specie del vino vi è tutto Cristo. Gesù è ricchissimo e tuttavia S. Vincenzo de' Paoli lo invoca: «O Gesù, padre dei poveri, abbi pietà di noi!». S. Prospero scrisse: «Le nostre ricchezze sono la pudicizia, la pietà, l'umiltà, la mansuetudine».
Veramente ammirevole è il Sacerdote che vive poveramente, e tuttavia con la sua opera arricchisce molti. «Beato il ricco ... che non è andato dietro all'oro, e non ha sperato nel danaro e nei tesori» (El 31,8); costui sarà veramente un Sacerdote lodato presso Dio e presso gli uomini; costui sarà un vero ricco. «Sono soltanto vere ricchezze, dice S. Gregorio, quelle che ci rendono ricchi di virtù».
È più facile trovare un povero in ispirito tra i ricchi, che non tra i realmente poveri. Essendo noi poveri, vigiliamo per non diventare ricchi in ispirito. Non siamo troppo preoccupati per il domani; non anteponiamoci alla divina Provvidenza, né facciamo posto all'avarizia. L'avarizia del pastore diventa scandalo per il gregge. L'avarizia inaridisce la vita spirituale: «Niente è più iniquo di colui che ama il danaro: egli infatti mette in vendita anche l'anima sua, giacché da vivo si cava le proprie viscere» (El 10,10). L'avarizia frena lo zelo del pastore, anzi lo impedisce: «Cercate prima di tutto il regno di Dio e la sua giustizia, e tutte queste cose vi saranno date per giunta» (Mt 6,33).
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3. La mortificazione. - Consiste nel rendersi come morto, in relazione all'amore proprio ed all'amore mondano. Questa virtù può essere generale o particolare, secondo il diverso punto di vista dal quale si considera. Nell'ordinazione presbiterale, il Vescovo legge: «Conoscete ciò che fate; imitate ciò che maneggiate, e poiché celebrate il mistero della morte del Signore, procurate di mortificare le vostre membra astenendovi da tutti i vizi e da tutte le concupiscenze» (Pontificale Romano, De ordinatione Presbyteri: Consecrandi…). Consacrare è immolare, offrire la vittima, perciò dobbiamo imparare dal nostro stesso ministero. Il pastore che cerca le comodità non viene ricevuto da Cristo come suo discepolo: «Chiunque di voi non rinunzia a quanto possiede, non può essere mio discepolo» (Lc 14,33). Il Sacerdote ingordo dà al popolo più scandalo che edificazione: «Ora coloro che appartengono a Cristo, hanno crocifisso la carne» (Gt 5,24). Il vero Sacerdote conosce i digiuni, il cilicio, le preghiere notturne, le vigilie mattutine, ed a tempo opportuno le esercita. Quando sale l'altare per offrire il sacrifizio, si ricorda di offrire il suo corpo «come vittima, viva, santa, gradevole» (Rm 12,1) a Dio; egli pure si offre «in libazione nell'offerta sacrificale» (Fl 2,17).
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«Salve, o vittima di salute, offerta per me e per il mondo intero sopra la croce. Salve, o nobile e prezioso sangue, scaturito dalle ferite del crocifisso mio Signore Gesù Cristo, e che lava tutti i peccati del mondo. Ricordati, o Signore, della tua creatura, che hai redenta col tuo sangue. Mi pento di aver peccato; desidero riparare ciò che ho fatto. Togli dunque da me, o clementissimo Padre, ogni mia iniquità e peccato, affinché, purificato nella mente e nel corpo, meriti di gustare degnamente le cose sante dei santi» (S. Ambrogio, Oratio; Ad mensam. Cf Breviario Romano: Praeparatio ad Missam).
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