Beato Giacomo Alberione

Opera Omnia

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11.
IL BUON PASTORE

(Ps 3, 1939, 96-104)

I.

1. Gesù Cristo è il buon Pastore. - «Buon Pastore, vero pane, Gesù, abbi pietà di noi: tu ci nutrisci, tu ci difendi, tu ci fai vedere i beni nella terra dei viventi» (Dalla Sequenza «Lauda, Sion, Salvatorem»). «Io sono il buon Pastore. Il buon Pastore dà la propria vita per le sue pecore. Il mercenario invece è chi non è pastore, a cui non appartengono in proprio le pecore, quando vede venire il lupo, lascia le pecore, e fugge, e il lupo le rapisce e le disperde. Il mercenario fugge, perché è mercenario, e non gl'importa delle pecore. Io sono il buon Pastore, e conosco le mie, e le mie conoscono me, come il Padre conosce me ed io conosco il Padre; e per le mie pecore dò la mia vita. Ed ho altre pecore, che non sono di quest'ovile; anche quelle bisogna che io guidi; e daranno ascolto alla mia voce, sicché si avrà un solo gregge e un solo pastore» (Gv 10,11-16).
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«Né c'è in altro salvezza» (At 4,12). Tutte le pecore riceveranno la vita soltanto da Gesù. Infatti la vita eterna fu guadagnata da Gesù Cristo per tutti gli uomini, quando sacrificò se stesso sulla croce per tutti. Per Gesù ci venne infusa la prima grazia nel battesimo, come pure per Gesù ci sarà concessa l'ultima grazia di ben morire. Infatti «da Mosè fu data la legge; da Gesù Cristo invece è stata fatta la grazia e la verità» (Gv 1,17). Gesù ci meritò la grazia de condigno. Infatti Gesù patì come uomo «ed essendo stato esaudito a motivo della sua pietà» (Eb 5,7), meritò a tutti, come Dio, la vita eterna. Egli comunica questi meriti a tutti quelli che «vogliono piamente vivere in Gesù Cristo» (2Tm 3,12). Prima di Cristo ne vennero molti pastori, ed anche ora dopo Cristo ne vengono ancora, ma tutti sono insufficienti. Come Adamo, in quanto capo dell'umanità, trasmise a tutti il peccato, così Cristo comunica a tutti la sua redenzione, egli è Capo del corpo che è la Chiesa: ogni giorno da lui esce una virtù che guarisce tutti (cf Lc 6,19). Cristo infatti è morto per tutti.
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Dunque Cristo è pastore buono, perché dà la vita per tutti quelli che gli appartengono; è pastore buono al quale tutte le pecore devono andare e tutte devono rimanere nel suo ovile; è pastore buono perché nutre pecore ed agnelli, ossia fedeli e vescovi. Cristo è pastore unico: «Da un solo uomo, Gesù Cristo» (Rm 5,15), ci viene la grazia; lui solo ci ha apportato una redenzione abbondante.
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2. Il Signore Gesù Cristo chiamò e mandò altri pastori, che formano con lui una cosa sola, ossia i Sacerdoti ed i Vescovi: «Come il Padre ha mandato me, anch'io mando voi... Ricevete lo Spirito Santo...» (Gv 20,21.22). «È lui che ci ha resi capaci di essere ministri del Nuovo Testamento» (2Cr 3,6). «Ognuno adunque ci consideri come ministri di Cristo ed amministratori dei misteri di Dio. Ebbene ciò che si ricerca dagli amministratori è che siano fedeli» (1Cr 4,1s.). Perciò l'apostolo Pietro ammonisce: «Pascete il gregge di Dio che vi è affidato» (1Pt 5,2), come lui stesso aveva imparato da Cristo: «Pasci i miei agnelli... Pasci le mie pecore» (Gv 21,15.17).
Nei primi tempi della Chiesa, Cristo era spesso raffigurato come il pastore che conduce il suo gregge ai pascoli salutari, oppure come il pastore che ricerca la pecora smarrita, e che trovatala se la pone sulle spalle e la riporta all'ovile. Ecco come Gesù ama le anime!
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Il Sacerdote è pure pastore delle anime, il titolo richiede le attitudini, ossia scienza e virtù, zelo e pietà; attitudini che si possono riassumere tutte in una frase: sollecitudine pastorale. Questa parola comprende la cura delle anime nella carità, la diligenza e la premura, il lavoro, la vigilanza, l'istruzione, la predicazione, l'amministrazione dei sacramenti, la cura dei malati e dei bambini, e tutti quei ritrovati pastorali che rendono il Sacerdote tutto a tutti. Nella Chiesa tutti i fiori di virtù sono stimati, ma specialmente vengono esaltati quelli delle virtù pastorali.
La sollecitudine generosa del pastore, sebbene in altra forma, è eroica come la carità dei martiri, è luce del mondo e delle anime, è sale della terra, è fermento che penetra tutta la massa. «Eravate infatti come pecore erranti, ma ora siete stati fatti ritornare al pastore e vescovo delle anime vostre» (1Pt 2,25). Il Sacerdote pastore, come «il principe dei pastori» (1Pt 5,4), rappresenta la benignità, la mitezza, la pazienza, la mansuetudine di Cristo. Egli è l'uomo di Dio, che manifesta Dio in se stesso.
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La sollecitudine pastorale è il primo e principale dovere del pastore. A questo ufficio devono essere ammessi soltanto coloro che hanno l'amore di Dio e non coloro che desiderano il sacerdozio mossi da vana gloria, da avarizia, da desiderio delle comodità. La carità sacerdotale è la maggior dilatazione della carità di Cristo. Si ponga mente alle parole del Maestro divino: «Gesù chiede a Simon Pietro: Simone di Giovanni, mi ami tu più di questi? Gli rispose: Sì, o Signore, tu lo sai che io ti amo. Gesù gli dice: Pasci i miei agnelli. Poi gli chiede una seconda volta: Simone di Giovanni, mi ami tu? Ed egli risponde: Sì, o Signore, tu lo sai che io ti amo. E Gesù a lui: Sii pastore delle mie pecore. Poi per la terza volta gli domanda: Simone di Giovanni, mi ami tu? Si contristò Pietro che per la terza volta gli avesse chiesto: Mi ami tu? e gli disse: Signore, tu sai tutto, tu lo sai che io ti amo. Gesù gli rispose: Pasci le mie pecore» (Gv 21,15-18).
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3. Il pastore non ha nessun altro motivo di esistere e di godere di un beneficio materiale, se non a questo solo patto: cercare la salvezza delle anime. La salute delle anime è per lui la suprema legge; su questo assioma si basa tutta l'organizzazione della Chiesa. Bisogna fare come il Maestro Gesù, «che... amò e diede se stesso...» (Gt 2,20). Il programma è costituito dalle parole: «Figli carissimi» (Ef 5,1), e «Padre mio» (Mt 26,39). Infatti «la carità non ricerca il proprio interesse... tutto sopporta... tutto scusa...» (1Cr 13,5.7). Colui che ama non pensa al male, ma al bene: «Io conosco bene i disegni che ho fatti sopra di voi, dice il Signore, disegni di pace e non d'afflizione» (Gr 29,11). Costui desidera il bene a tutti, ha un modo di fare cordiale, parla in modo gradito ed affabile, è sempre pronto a perdonare, a scusare, ad aiutare. La carità sacerdotale prega e prepara le conversioni e riceve paternamente i peccatori, e dissimula il male, e sopporta gli ostinati e non dispera mai del loro ravvedimento. La carità pastorale esclude la negligenza, l'amor proprio, l'azione interessata. S. Paolo ricorda con dolore quei pastori i quali «cercano gli interessi personali e non quelli di Cristo» (Fl 2,21).
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La carità sacerdotale è forte nell'allontanare i mali dal gregge, e nel sostenere le avversità: «Né tengo la mia vita più di me» (At 20,24); «Io tutto sopporto per amore degli eletti» (2Tm 2,10). La carità sacerdotale è di animo grande e forte, nell'istruire e nel correggere, nel rimproverare e nell'incoraggiare, ad imitazione dei grandi pastori quali furono, ad esempio, Giovanni Crisostomo, Gregorio il Grande, Carlo Borromeo, Francesco di Sales ed altri.
La carità sacerdotale si dirige a tutte le pecore, e tutte abbraccia; non le abbandona, anche se viene prima abbandonata. Perciò è sollecita che i bambini rinascano col battesimo e che i defunti entrino nella pace eterna; che i fanciulli siano per tempo ammessi alla prima comunione, e che i malati ed i moribondi siano con sollecitudine curati; che le scuole istruiscano gli adolescenti nello spirito cristiano, e che i vecchi diano buon esempio di vita virtuosa; che i matrimoni siano santi e che la morale professionale sia osservata; che le famiglie siano rette da spirito cristiano; che i figli ubbidiscano ai genitori, e che i genitori siano di edificazione ai figli nei discorsi e nella vita; che gli operai e gli agricoltori compiano il loro lavoro con pazienza e fedeltà, e che i ricchi si diportino verso di loro con giustizia e carità; che i padroni ed i sudditi si amino scambievolmente; che i poveri e gli afflitti vengano sollevati e consolati, e che tutti giungano a salvezza. «I sacerdoti che sono tra di voi li scongiuro io, sacerdote come loro, e testimone dei patimenti di Cristo... pascete il gregge di Dio che vi è affidato,... come sinceri modelli del gregge» (1Pt 5,1.2.3).
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II.

1. La sollecitudine. - «E susciterò per essi dei pastori che li pasceranno» (Gr 23,4). «Io mi susciterò invece un sacerdote fedele, che farà secondo i miei disegni e i miei desiderii, ed io gli formerò una casata duratura, e così egli terrà il ministero presso di me, qual mio Unto, per tutti i tempi» (1Sm 2,35).
Il buon pastore conosce le pecore, le guida, sta con esse.
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Il buon pastore conosce le pecore: «Conosco le mie, e le mie conoscono me» (Gv 10,14). Il buon pastore conosce le pecore non tanto per nome, quanto piuttosto nei costumi, nelle aspirazioni, nei doveri, nella pietà... Il pastore sperimentato ed attento conosce facilmente quello che le pecore hanno nel cuore e nell'animo; conosce le loro necessità spirituali, ed i pericoli cui la loro vita spirituale è esposta. Le pecore poi conoscono il pastore, se sono veramente pecore sue; odono la sua voce: a volte è voce che ammonisce, che incita, che insegna, che sgrida; altre volte è voce che supplica, che riprende: «le sentinelle, giammai, né di giorno né di notte taceranno» (Is 62,6). Sempre questa voce ricorda quello che è di Dio: i suoi diritti, le sue verità, i suoi benefici, le sue minacce e le sue promesse. Questa voce sempre ricorda al popolo i suoi doveri, lo invita alla vita eterna, ed insiste «a tempo e fuori tempo» (2Tm 4,2). Questa stessa voce ogni giorno si pone a colloquio con Dio e gli raccomanda il gregge.
Il buon pastore ogni giorno osserva, non si lascia sfuggire nessuna occasione, studia le attitudini ed i caratteri; tiene in ordine ed aggiornato il libro dello stato d'anime; conosce a nome tutti i parrocchiani, come un padre ed una madre conoscono i loro figli. Infatti «sono io che vi ho generati in Cristo Gesù per mezzo del Vangelo» (1Cr 4,15); «o figliuoli miei, per i quali io di nuovo soffro i dolori del parto» (Gt 4,19).
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2. Il buon pastore guida le pecore: La conoscenza è ordinata all'opera pastorale. Le conduce al fine soprannaturale. La giurisdizione infatti comprende il magistero della parola ed il governo delle anime, ed applica la potestà di santificare per mezzo dei sacramenti. Il buon pastore nutre il gregge con la sua dottrina, si offre vittima con Cristo, impetra ai piedi dell'altare la più importante delle grazie per il suo gregge, ossia la salvezza eterna. «E, quando ha fatto uscire tutte le sue» (Gv 10, 4), innalza le anime e le libra sopra le cupidigie umane, verso la vita che è Cristo Gesù; come lui, il buon pastore esercita se stesso ogni giorno alla lotta, ed alimenta la fiamma dell'amore.
Guida le pecore, ossia le porta a Cristo, in modo che l'uomo, liberato dal naturalismo, possa condurre anche su questa terra una vita quasi divina. Le guida, ossia le libera dagli errori, dalle superstizioni e dalle empietà del secolo presente, di modo che l'uomo viva di fede e di carità. Sorgeranno in ogni tempo degli uomini che parleranno in modo da solleticare le orecchie, e da indurre, se fosse possibile, in errore anche gli eletti; costoro sono ciechi e guide di ciechi, e bisogna smascherarli, affinché non inducano nell'errore i semplici.
Il buon pastore guida il gregge, ossia lo libera dalle superstizioni e dalle vane osservanze, affinché gli uomini adorino Dio in spirito e verità. Il pastore considera i tempi ed i costumi, e sa riprovare il male ed eleggere il bene, in modo che la legge divina venga osservata, i diritti del Creatore siano rispettati ed il male sia sempre fuggito. Il pastore è il custode della morale evangelica, la quale è immutabile. Il pastore conduce e non è invece condotto dai cattivi; egli sceglie la via stretta, la percorre e costringe i suoi fedeli a percorrerla. Non vi deve essere nessun compromesso, affine di salvare tutti, nessun mezzo deve rimanere intentato; ma non si dovrà usare nessuna violenza o coercizione né fisica né morale.
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3. Il buon pastore sta con il gregge; ricerca la pecorella smarrita; quando qualcuna si è perduta, il pastore sente grande dolore, come la donna che ha perduto le dramme, come il padre del figliuol prodigo, come il pastore di cui parla il Vangelo (cf Lc 15,4-6). Il Figlio dell'uomo venne a ricercare quello che era stato smarrito. La donna che perde la dramma, accende la lucerna, spazza la casa, cerca diligentemente, fino a che non l'abbia trovata. L'ora della conversione è nelle mani di Dio. Il padre accolse il figlio prodigo con soavità e gioia. Il sacramento della penitenza è, per i Sacerdoti, come la nave nella quale salvano i figli che erano naufragati, e lo devono fare con intima gioia. Il pastore, dopo aver trovata la pecorella che aveva perduto, disse agli amici: «Rallegratevi con me, perché ho ritrovato la mia pecorella smarrita» (Lc 15,6). Cristo è il vero amico dei peccatori, e «noi siamo collaboratori di Dio» (1Cr 3,9).
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Sarà utile richiamare qui alcune prescrizioni di teologia morale. Il Vescovo è tenuto, per diritto divino, a risiedere formalmente nella sua diocesi, se non è scusato da una giusta causa (cf CJC c. 338); è tenuto a visitare ogni anno la diocesi od una parte di essa, in modo da visitarla tutta almeno entro cinque anni (cf CJC c. 343). Durante la visita deve predicare, esaminare i fanciulli, esaminare i Sacerdoti, sottoporre i Sacerdoti a scrutinio personale, interrogare sugli abusi, riaccendere il fervore, amministrare il sacramento della cresima. Il Vescovo è tenuto ad eleggere degni ministri dell'altare, e ad escludere gli indegni; è tenuto ad eleggere buoni parroci e buoni confessori; è tenuto anche a curare le scuole, i luoghi pii ed i monasteri; è tenuto a correggere i sudditi, a stroncare gli scandali e gli abusi, a pregare per il popolo, a fare elemosina, ed a rendere conto della sua diocesi alla Santa Sede. I benefici sono ordinati all'ufficio.
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I parroci, oltre agli obblighi comuni che hanno coi chierici e coi beneficiati, hanno pure altri doveri. Essi e quelli che hanno un beneficio cui è annessa la cura d'anime, sono obbligati dal diritto divino alla residenza nelle loro chiese, in modo sia materiale e sia formale. È dovere proprio di ogni parroco predicare la parola di Dio al popolo nelle domeniche e nei giorni di festa di precetto. Il pastore di anime ha, come dovere proprio e gravissimo, quello di fare il catechismo ai fedeli, specialmente ai bambini. Il parroco deve inoltre amministrare con sollecitudine i sacramenti ai fedeli che legittimamente li chiedono; deve in forza del diritto divino, anche se è religioso, pregare ed applicare la santa Messa per il popolo, deve con zelo e carità assistere i moribondi, specialmente se furono peccatori abituali; è tenuto ad accogliere i poveri ed i disgraziati con carità paterna; è tenuto a conoscere le sue pecorelle e, con prudenza, a correggere gli erranti; è tenuto a togliere di mezzo i peccati e gli scandali ed a prevenirli; deve infine appoggiare ed istituire opere di carità, di fede e di pietà.
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III.

1. Incoraggiamenti ed aiuti per il pastore. - È Dio che ci elesse: «Mettetemi a parte... per un'opera» (At 13, 2); «Il Signore ha giurato irrevocabilmente: Tu sei sacerdote in eterno» (Sl 109,4); «Ho trovato Davide, mio servo, col mio sacro olio l'ho unto, sicché la mia mano sia sempre con lui, e il mio braccio pure lo fortifichi... Io fiaccherò dinanzi a lui i suoi avversari... Avrà dalla sua la mia fede e bontà... Egli mi invocherà... In eterno gli conserverò la mia grazia» (Sl 88,21.22.24.25.27.29); «È fedele colui che vi chiama» (1Ts 5,24).
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2. Gli stimoli del pastore sono la fame e la sete delle anime. La fame e la sete sono stimoli potentissimi: Gesù ebbe fame e sete (cf Mt 25,35). «Beati quelli che hanno fame e sete di giustizia, perché saranno saziati!» (Mt 5,6). Questa è la beatitudine del pastore che con Gesù Cristo ripete: «Il mio cibo è fare la volontà di colui che mi ha mandato, e portare a compimento l'opera sua» (Gv 4,34). Gesù, dalla croce, esclamò: «Ho sete» (Gv 19,28). Il buon pastore esclama: «Ed ho altre pecore, che non sono di quest'ovile; anche quelle bisogna che io guidi» (Gv 10,16). Acceso da questa sete, esclama: «Ma con un battesimo devo essere battezzato e quanto mi sento angustiato, finché non sia compiuto!» (Lc 12,50). Ricorderò S. Paolo: «Nella fame e nella sete» (2Cr 11, 27), «nei travagli, nelle veglie, nei digiuni» (2Cr 6,5). Di che specie è la mia sete? C'è chi è assetato di Dio e chi è assetato di vino.
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Anche il dolore è un pungolo, ed è duro resistere al pungolo. L'apostolo Paolo esclamava: «Chi è debole, che io ancora non sia debole?» (2Cr 11,29); «Ho una grande tristezza e un incessante dolore in cuor mio. Poiché bramerei di essere io stesso separato da Cristo per i miei fratelli» (Rm 9,2s.). Viene il lupo e disperde le pecore; il mercenario fugge perché è mercenario; ma il pastore, spinto da compassione, mette a rischio, per le anime, la sua vita. Questa tristezza del pastore è ordinata a salvezza, e lo rende coraggioso e forte per superare i pericoli.
Quando si ama non si sente fatica, ed anche se si sente fatica, questa stessa fatica è amata. La carità si perfeziona nell'infermità. L'apostolo Giovanni dice perciò: «Da questo abbiamo conosciuto la carità di Dio: dall'avere egli data la sua vita per noi; ed anche noi dobbiamo dare la vita per i fratelli» (1Gv 3,16). «Dite ad Archippo: Considera il ministero, ricevuto dal Signore, e adempilo bene» (Cl 4,17).
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3. Gli aiuti del pastore sono: lo stato di grazia, Maria SS., la Chiesa ed il pensiero del premio.
Chi è chiamato da Dio come Aronne ha anche da Dio delle speciali grazie di stato. Il Signore difatti ha promesso a tutti i Sacerdoti: «Ed ecco, io sono con voi tutti i giorni sino alla fine del mondo» (Mt 28,20). Bisogna perciò che il Sacerdote dica: Dio ed io faremo, predicando, esortando, assolvendo: «Essi poi se ne andarono a predicare dovunque, cooperati dal Signore, il quale confermava la parola coi miracoli che l'accompagnavano» (Mc 16,20). La grazia di stato specificamente deriva dalla sacra ordinazione ed è chiamata grazia sacramentale: «Quando io vi ho mandati... vi è mancato forse qualche cosa?» (Lc 22,35). «Fatevi coraggio! Io ho vinto il mondo» (Gv 16,33). Nelle tempeste, nelle persecuzioni, nelle lotte, Gesù è sempre con il Sacerdote: «Coraggio, sono io, non abbiate paura!» (Mc 6,50).
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Maria SS. è vicina ad ogni cristiano, di tutti è l'aiuto e la madre, ma specialmente dei Sacerdoti, i quali tengono le veci di Gesù Cristo suo Figlio: «Poi disse [Gesù] al discepolo: Ecco la tua madre» (Gv 19,27). S. Alfonso de' Liguori dice: «Curi il parroco che il popolo abbia una radicata devozione a Maria SS.; ne illustri la potenza e misericordia verso i di lei devoti... Fortunato quel parroco che mantiene nel suo gregge una fervente devozione verso Maria; con la protezione della Vergine, vivranno bene, ed avranno in morte una potente avvocata» (Homo Apostolicus, tr. 7, c. 4, n. 43). Insegni specialmente l'uso della preghiera di petizione, in modo che i fedeli si raccomandino spesso a Dio, gli chiedano specialmente la santa perseveranza, per mezzo di Maria. Dica spesso il parroco che le grazie divine, e specialmente il dono della perseveranza, non si ottengono se non si domandano.
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Il pensiero della Chiesa, corpo mistico di Cristo, e del premio celeste sono grandi conforti per il pastore. Il Sacerdote è eletto «a compiere il... ministero, affinché sia edificato il corpo di Cristo» (Ef 4,12), ossia la Chiesa. Di questo corpo il pastore è un membro vivo e vivificante, anzi ne è con Cristo, dal quale fluiscono tutti i beni nelle membra, il capo. «Le porte dell'inferno mai prevarranno contro di lei» (Mt 16,18). Il sacrifizio e l'oblazione del Sacerdote è a salute di tutto il corpo, ed a gloria propria. Se, come avviene qualche volta, la vita del pastore è coronata dal martirio, il sangue sacerdotale diventa seme fecondo che accresce la Chiesa. Qual è quel vero pastore che non partecipi della passione di Cristo? Cristo ama il pastore. Affinché maggiore sia la sua gloria in cielo, lo rende partecipe della cura delle anime, affinché sia loro associato in cielo, nella retribuzione. «I seniori che governano bene, siano riputati degni di doppio onore; massime quelli che si affaticano nella predicazione e nell'insegnamento» (1Tm 5,17).
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