Beato Giacomo Alberione

Opera Omnia

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44. IMPARARE DAI MISTERI DOLOROSI
AD ACCETTARE LE CROCI QUOTIDIANE

Domenica XVII dopo Pentecoste, Ritiro mensile, 2a Meditazione, Torino (SAIE), 2 ottobre 19601


San Giuseppe Cafasso2 di Torino diceva che uno dei segni più certi del fervore di un’anima è questo: fedeltà al ritiro mensile.
Il ritiro mensile ha tre fini, tre compiti.
Primo: l’esame del mese passato per far la confessione mensile.
Secondo: uno sguardo al mese futuro per predisporre i nostri propositi, generalmente rinnovando quelli degli Esercizi Spirituali passati.
Terzo: è una giornata di preghiere; preghiere particolari perché il Signore ci assista nel corso del mese, ci tenga lontano dal peccato e ci faccia camminare, nel corso del mese nuovo, nel suo santo volere.
Pregare... e tra le preghiere, nel ritiro mensile deve predominare come speciale, propria del ritiro mensile, la preghiera della buona morte, quella del nostro libro di preghiere - ve ne sono altre: per esempio, quella che ha composto san
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Giuseppe Cafasso3, oppure quella che c’era nel libro Giovane provveduto4 -; noi abbiamo quella che è segnata nel libro delle orazioni5.
Quando io ero ragazzo, il parroco, però, nel ritiro mensile ci faceva soprattutto recitare i misteri dolorosi, e sopra ogni mistero faceva una considerazione, o con i canti che si riferiscono alla passione, Crocifisso mio Signor... ad esempio, oppure Da quella croce, o Dio, deh, non mi dir ch’io t’ami!6 Adesso ci son tante lodi che si cantano che sono vuote, bisogna prendere sempre le lodi che sono piene di senso. E quali7 sono le lodi che si possono dire migliori? Quelle che esprimono più fede, più amor di Dio e più desiderio di santità, di perfezione.

Abbiamo pensato nella prima meditazione: corrispondenza alla vocazione secondo le Costituzioni e secondo i doveri quotidiani, secondo la pratica [della] povertà, castità, obbedienza, vita comune, e secondo quello che è richiesto dal nostro lavoro e apostolato. La vita però non è solamente grazia
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di Dio, pace dello spirito: la vita dell’uomo è una prova... la nostra vita ha da seguire le tappe della vita di Gesù Cristo: Gesù Cristo il quale è venuto sulla terra, Figliolo di Dio incarnato, appunto per morire; perché noi tutti moriamo, moriamo per la condizione nostra - il corpo è fatto di materia, materia che si corrompe, come si corrompe una pianta che dissecca e marcisce - ma Gesù Cristo è venuto sulla terra a morire, cioè per compiere la redenzione mediante la sua morte.
Quindi [il parroco] ci faceva pregare molto e per mezzo di orazioni indirizzate al Crocifisso, con le varie stazioni della Via Crucis. Nella vita ci sono anche i dolori, le pene, perché sta scritto: «Quis vult venire post me, abneget semetipsum [et] tollat crucem suam et sequatur me» [Mt 16,24], chi vuol venire dietro di me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua. Nella vita vi sono tante pene, travagli, fatiche, mortificazioni da fare: di volontà, di sentimento, di povertà... e poi di rigore, ad esempio.
Noi abbiamo da terminare la vita con la morte. La morte è il più grande atto di amor di Dio, se è accettata proprio bene, perché il primo principale atto di amor di Dio è la morte, accettazione della morte da Dio.
Secondo: la morte è la più grande penitenza che abbiamo da fare. E se uno accettasse proprio la morte con perfette disposizioni, con perfetto abbandono in Dio e riconoscenza che il Signore ci manda quella penitenza per scancellare anche il purgatorio, allora come è facile8 e non faremo più il purgatorio nell’aldilà.
Poi la morte è la suprema obbedienza che abbiamo da fare. Obbedienza al Signore che ci dice: Basta... sei vissuto abbastanza, adesso vieni; e costa sempre un po’ questa obbedienza, non è vero? Perché si tratta di quello che amiamo di più, la vita. Alla vita c’è un affetto naturale: quando uno si vede in pericolo, eh, si mette sull’attenti; e se l’autista che guida la macchina vede un pericolo, vede che si va incontro ad un disastro, si mette quanto può con previdenza e con
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impegno ad evitare il pericolo; e così quando uno fosse trascinato dalle acque in un fiume: e se trova qualche pezzo di legno a cui attaccarsi, qualche albero che sta sulla sponda, un abete... uno si attacca sempre alla vita e il distacco è costoso. E allora quella obbedienza della vita è proprio un’obbedienza, la principale: distaccarsi dalla vita, la separazione dell’anima dal corpo.

Ora vedete: chi è che farà la buona morte?
Chi fa tante mortificazioni in vita: chi allora sarà una persona che si abitua a mortificarsi, a mortificarsi, mortificarsi... poi finalmente accetta le malattie, i dolori, le contraddizioni, le incomprensioni, eccetera... va preparandosi ad accettare l’ultima croce, l’ultima penitenza, l’ultimo sacrificio, e compiere così l’ultimo atto e supremo atto di amor di Dio. Come? Se si deve cantare una lode, si deve cantare supponiamo un Gloria in excelsis Deo per la Messa, si fanno prove - veramente le prove sono per l’esecuzione finale -; ora le piccole croci che incontriamo, le piccole fatiche, eccetera, sono come preparazione, sono come prove: il Signore le manda gradatamente: piccole croci, poi crescono le croci, poi croci più forti, croci più prolungate, dolori più acuti, finché viene l’estremo dolore....
E così Gesù nella vita tante volte ha annunziato la sua passione e morte: ci rifletteva, ci pensava, l’annunziava ai suoi apostoli. E poi è spirato sulla croce Gesù Cristo... ma prima c’è l’orazione di Gesù nell’orto, primo mistero; poi c’è la flagellazione, secondo mistero; poi c’è l’incoronazione di spine, terzo mistero; poi c’è la condanna a morte, quarto mistero, poi c’è il viaggio al Calvario, poi c’è l’arrivo di Gesù sul Calvario, lo spogliamento degli abiti, inchiodato, tre ore di agonia... finalmente: Nelle tue mani, o Padre, rimetto il mio spirito [Lc 23,46].
In questi giorni sono andato alcune volte a vedere una suora la quale va avvicinandosi, temo, anzi, che dopo che sono già partito abbia chiuso la sua vita seguendo il suo male tremendo. È tremendo, perché alle volte la morte viene preceduta da forti dolori; e qualche volta, anche frequentemente,
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arriva all’improvviso. E ieri il Cardinal Fietta9 stava per andare a pranzo e poco prima aveva dettato al parroco l’iscrizione da mettere poi sulla sua tomba, se fosse morto; e poi va a casa per il pranzo e invece del pranzo è morto, seduto su un divano, e ha potuto ancora ricevere l’estrema unzione, l’assoluzione... e basta. Oh!, per sé [una morte] improvvisa.
Vedete come dice il Vangelo: Chi vuol venire dietro di me, rinneghi se stesso [cf Mt 16,24; Mc 8,34]. Rinnegamenti: c’è da obbedire. E tante volte non vorremmo questo, e tante volte non capiamo quello, tante volte ci sono i nostri capricci, tante volte c’è la nostra comodità, non vorremmo ma è disposto: il Signore! Volevamo sempre star bene e intanto un acciacco di qua, un piccolo malessere di là... oggi soffriamo il freddo e domani soffriamo il caldo... oggi sono i denti, domani sono gli occhi, poi c’è l’udito e poi c’è il cuore e poi, poco per volta, «cotidie morimur»10, tutti i giorni moriamo un po’, tutti i giorni moriamo un po’. E allora chi proprio ha un’intenzione in Cristo11 e fa le obbedienze e accetta quel che è assegnato, quel che si deve fare; e poi chiude gli occhi al male, chiude l’udito al male, ferma la lingua quando vorrebbe dire quel che non bisogna, e tiene a freno il tatto, la gola, eccetera... tutte mortificazioncine, mortificazioncine alle quali poi succedono altre mortificazioni più grosse: Chi vuol venire dietro di me, rinneghi se stesso - la volontà, il cuore, la mente -, poi prenda la sua croce, e vengono le croci!
I giovani, quando si parla di croci, guardano gli altri, perché poi a loro sembra che le croci siano una cosa accademica, una cosa che si scrive sui libri, ma che non arrivi mai addosso... ma arrivano le croci addosso, eh! Gesù faceva il falegname e ne ha fatte un po’ per tutti di croci, ed egli si
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è scelto la più grossa, la più pesante croce ed è morto sulla croce. Ognuno di noi, morendo, ecco che muore crocifisso, perché è crocifisso tutto il corpo che dopo non si muove più, diventa freddo, e poi viene vittima della morte: Ricordati che sei polvere e di polvere devi tornare12... Prenda la sua croce e mi segua [cf Mt 16,24; Mc 8,34], sì.
Ora che cosa abbiamo da imparare nei misteri dolorosi? Accettare le piccole sofferenze, le piccole mortificazioni: Chi non rinnega se stesso, non può essere mio discepolo, dice Gesù; e cioè dice: Chi non lascia suo padre e sua madre, chi non lascia tutto, anche la sua vita, e cioè anche fare un sacrificio della [propria] vita, non può essere mio discepolo [cf Lc 14,26-27; Mt 10,37-39]. Ci abituiamo alla sofferenza, capiamo la lezione della sofferenza, sappiamo la scienza della sofferenza? Vorresti questo: non c’è; vorresti quella cosa di preferenza: vien data a un’altra; ti piacerebbe stare in un posto: sei trasportata in un altro; ti piacerebbe un ufficio: è assegnato, viene un ufficio che non sembra adatto a te e al quale non ti sembra di essere preparata... Ci abituiamo a prendere le nostre croci e a portarle? Anime coraggiose, anime che sono generose... anime che sono indolenti, timide, anime che non sanno mai abbracciare la loro croce, e ancora le piccole sofferenze.
Ci sono mortificazioni dal mattino alla sera, sì. Ve ne sono di quelle che già ci siamo abituate a fare, ed altre che invece si presentano lì, nel corso della giornata, non aspettate: un rimprovero, un’osservazione, una convivenza difficile tra persone che hanno altro carattere, altre tendenze e pretese, eccetera... Un santo suggeriva di dire: Oh! Di dove sei arrivata? Non ti aspettavo!, dice[va] così alla croce... e bisogna che siam pronti. La vita religiosa, del resto, è una continua croce, sì: i voti sono santissimi, bellissimi, portano alla perfezione religiosa, ma la loro osservanza è sempre un rinnegamento di noi stessi, un crocifiggere noi stessi. La vita religiosa è proprio
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un seguire Gesù: «Tota vita Christi crux fuit et martirium»13, tutta la vita di Gesù Cristo fu croce e martirio. E noi? Croce continuata per Gesù Cristo, Figlio di Dio incarnato che il Padre Celeste manda a fare il falegname: e sembrava proprio che non fosse questo degno e decoroso per il Figlio di Dio... eppure il Padre Celeste: Fa’ questo... e lo fece.
Oh! Allora noi riflettiamo: sappiamo accettare le nostre piccole croci, sappiamo accettare anche noi la morte come l’atto supremo di obbedienza, di amor di Dio, di penitenza, sappiamo accettarla come la ha accettata Gesù, sappiamo tante volte accompagnare Gesù nella sua passione, meditando i misteri dolorosi? Si fa bene la Via Crucis, si impara qualche cosa dalla Via Crucis? E le preghiere che si dicono nella Via Crucis, non sono tutte preghiere che ci portano alla pratica della pazienza?
La vita è tutta un seguito di atti di pazienza: pazienza prima con noi stessi e poi pazienza con gli altri, pazienza con il tempo e pazienza con le cose, pazienza con gli avvenimenti. Anche tutta la nostra vita è una continua sofferenza e un continuo morire, ma moriremo con Gesù, con quelle disposizioni con cui è morto Gesù, se noi ci abituiamo ad accettare le croci: Nelle tue mani, o Padre, rimetto il mio spirito. E abbassato il capo, spirò [cf Lc 23,46]. Il «fiat voluntas tua» fino all’estremo... abbassar la testa e spirare. Di là è tutta felicità, se siamo ben preparati; se siamo ben preparati, è tutta felicità, felicità eterna, sempre: «Veni, Sponsa Christi... intra in gaudium Domini tui» [cf Mt 25,21.23]14, vieni, o sposa di Cristo, entra nel gaudio del tuo Signore.
Allora capiremo che grazia è stata l’aver preso e portato la croce, aver rinnegato noi stessi, aver avuto una vocazione così bella! Capiremo tutto.
Coraggio, ci aspettano ancora qui i misteri dolorosi.

Sia lodato Gesù Cristo.
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1 Nastro originale 81/60 (Nastro archivio 78a. Cassetta 78a, lato 1. File audio AP 078a). Titolo Cassetta: “Fedeltà al ritiro mensile”.

2 Vedi p. 189, nota 4. Le testimonianze sul Cafasso attestano il suo fedele adempimento del ritiro mensile: «Ogni mese egli faceva il suo ritiro per prepararsi alla morte» (Vita..., op. cit., pp. 314-315). Nell’Introduzione a Spirituali Esercizi per gli Ecclesiastici, egli sottolinea con forza la necessità e l’importanza di dedicare del tempo alla pratica del ritiro per rivedere se stessi e la propria vocazione sacerdotale. Cf GIUSEPPE CAFASSO, Esercizi Spirituali al clero, Meditazioni, Cantalupa/TO 2003, pp. 55-69; cf anche pp. 709-710.

3 Con la recita di questa preghiera, detta Atto di accettazione della morte, si poteva ottenere l’indulgenza plenaria, secondo il Decreto della Sacra Congregazione delle Indulgenze del 9 marzo 1904 che ratificava il placet di Pio X alla richiesta inviata dal Cafasso e da altri sacerdoti. Il testo in italiano è il seguente: «Signore Dio mio, fin d’ora spontaneamente e volentieri io accetto dalla vostra mano qualsiasi genere di morte con cui vi piacerà di colpirmi, con tutti i dolori, le pene e gli affanni che l’accompagneranno». Vedi Plenaria indulgentia in articulo mortis conceditur..., in Acta Sanctae Sedis, (ASS), 36(1903-1904), p. 637. Cf anche Massime Eterne e pratiche divote del cristiano, Alba 1943, p. 155.

4 Cf [GIOVANNI BOSCO], Il giovane provveduto per la pratica de’ suoi doveri degli esercizi di cristiana pietà..., Torino 1847, pp. 140-142. Nel titolo è scritto: La Preghiera per la buona morte composta da una Donzella protestante convertita alla Religione Cattolica nell’età di anni 15, e morta di anni 18 in odore di santità. Il tono enfatico e ridondante di questa preghiera appare oggi un po’ lontano dalla nostra sensibilità. Cf Massime Eterne, op. cit., pp. 152-155.

5 Cf GIACOMO ALBERIONE, Preghiere, Orazioni composte dal fondatore della Famiglia Paolina, (PR), Roma 2007, pp. 260-262; Preghiere, ed. 1957, pp. 153-156; ed. 1985, pp. 156-157.

6 Cf Preghiere, ed. 1957, p. 281. I canti religiosi venivano chiamati, secondo il linguaggio del tempo, “lodi” o “laudi sacre”, e si trovavano comunemente sui libri di devozione. Questi canti, di cui il PM cita l’incipit, hanno rispettivamente i seguenti titoli: A Gesù Crocifisso e L’amante del Crocifisso. Cf ad esempio, Massime Eterne..., op. cit., pp. 316-317; 321-322.

7 Il PM dice: e quando.

8 Espressione incerta.

9 Giuseppe Fietta (Ivrea, 6 novembre 1883 – 1º ottobre 1960), nunzio apostolico per l’Italia dal 26 gennaio 1953 al 15 dicembre 1958, giorno in cui fu creato cardinale da Giovanni XXIII. Già malato, si spostò da Roma per alcuni giorni nella sua casa di Ivrea a cercare un po’ di sollievo, e lì morì di collasso cardiaco, dopo che gli era stata impartita l’estrema unzione dal Vescovo di Ivrea, Albino Mensa.

10 Noto detto da un testo di Seneca (Epistulae Morales ad Lucilium, III, XXIV, 20) in cui è espresso il concetto che il PM sta spiegando qui.

11 Parola incerta.

12 Traduzione della formula in latino dell’imposizione delle Ceneri, ricavata dal versetto biblico di Gen 3,19.

13 L’Imitazione di Cristo, II, XII, 3.

14 Il PM collega l’inizio di un’antifona (cf Breviarium Romanum, Commune Virginum) con il versetto biblico della parabola dei talenti.