Beato Giacomo Alberione

Opera Omnia

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26. LO SPIRITO DI POVERTÀ
Preferire per se stessi ciò che è più povero

Esercizi Spirituali, 2° giorno, I Istruzione, Castel Gandolfo, 9 agosto 19601


Amare di più la povertà che la ricchezza e2 trovarsi più nel sacrificio che non nell’abbondanza. Trovarsi di più in quello che è richiesto, quello che è necessario, e in quello cioè che è necessario per arrivare a procurare quello che occorre alla vita. Di preferenza quindi ciò che è più povero, per quello che spetta a noi di desiderio, come ha fatto Gesù: il Figlio di Dio incarnandosi poteva nascere da una regina, poteva scegliere per prima abitazione un palazzo regale, poteva arricchire la sua casa di tutto l’oro che c’è nel mondo - che lo aveva creato lui -, poteva avere tutte le maggiori comodità, tutto il lusso, tutto il servizio di molte persone; ma invece, quando è stato il momento di venire a questo mondo, il Figliolo di Dio, incarnandosi, ha preferito una madre povera, ha preferito una grotta, non un palazzo, ha preferito una mangiatoia, non una culla, ha preferito pochi pannilini per venire ricoperto, pochi e poveri, ha preferito di avere attorno a sé dei pastori, persone della condizione più modesta, condizione sociale più modesta... E in tutto poi ha cominciato a vivere, diciamo così, di elemosina, perché per sostentamento vennero i pastori e
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recarono al Bambino, alla Sacra Famiglia, un po’ di doni, qualche cosa del frutto del loro gregge, per sostentamento, sapendo che erano pellegrini venuti da lontano. Ecco, questa tendenza a ciò che è povero costituisce veramente lo spirito della povertà, perché anche la povertà può essere virtù e può essere voto e può esservi invece lo spirito di povertà.
Nelle beatitudini, che cosa si dice? Si dice: Beato colui che ha lo spirito... beati i poveri in spirito, in spirito [cf Mt 5,3]. Perché bisogna distinguere che c’è la povertà effettiva e la povertà affettiva. Vi sono tanti che vanno elemosinando: sono poveri effettivamente, realmente sono poveri; ma nel cuore possono avere tutti i desideri più smoderati: desiderio della roba altrui, desiderio di non lavorare, desideri di trovarsi in tale agiatezza e ricchezza da potersi dare alla bella vita, ad una vita di piacere... e sì! Allora, che cosa dobbiamo pensare? In quella gente c’è la povertà effettiva - son poveri -, ma c’è la ricchezza affettiva, cioè il desiderio; e quante volte si ribellano alla volontà di Dio e magari bestemmiano per la loro condizione povera, condizione di dover faticare e vivere modestamente e guadagnarsi il pane con vero sudore della fronte... Ci può essere [...]3 la povertà effettiva quindi e la ricchezza affettiva... a rovescio ci può essere la ricchezza reale, cioè effettiva, e la povertà invece affettiva e cioè: si può essere ricchi e intanto amare la povertà, ecco così: uno può possedere tante cose e intanto amare la povertà, sì. Quando si hanno beni, o li abbia la Congregazione o li abbiano le persone che sono in Congregazione, quando si abbiano beni e si avessero anche ricchezze, allora in qualche maniera si può dire che c’è una ricchezza effettiva, reale; ma la povertà affettiva deve sempre esserci: Beati i poveri in spirito [Mt 5,3], che hanno lo spirito della povertà.
Per quanto sta da noi, scegliere quello che è più povero, quello che è più modesto, quello che è più ordinario, e in tre cose: nel vitto, sufficiente ma modesto; poi vestito, buono,
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sufficiente, modesto però; abitazione, sufficiente, decorosa ma modesta. Amare, per quanto sta da noi, quella condizione per cui, avendo anche dei beni, guardare di non approfittarne, di non abusarne e di non servirsi di essi per una comodità, per un lusso che non si addice a chi è seguace di Gesù Cristo... a chi è seguace di Gesù Cristo non si addice, non è conveniente.
Il voto di povertà che cosa stabilisce? Il voto di povertà stabilisce che non si amministri, non si amministri né i beni propri né i beni della comunità; ma per la comunità che ci sia una persona che amministra per tutti e con le debite regole, cioè con il consiglio che deve chiedere, eccetera. La povertà...non impedisce il voto di povertà che uno possieda beni che ha ricevuti, per esempio dalla famiglia, e non proibisce anche il voto di povertà che si vengano ad acquistare altri beni, perché prima poteva prendere, per esempio, l’eredità della madre; poi è venuto a mancare anche il padre, prende anche la parte che viene dal padre. Quello non è vietato, ma è sempre vietato di amministrarne liberamente, cioè indipendentemente dalle superiore.
Non si può anche rinunziare a questi beni che venissero dalla famiglia, non si può rinunziare senza il permesso della Santa Sede, e non si può rinunziare anche ad acquistarne dei nuovi, e non si può dare neppure all’Istituto senza il permesso, [dare] all’Istituto ciò che è proprio di una religiosa: per donarlo deve avere il permesso - quando si tratta di beni immobili, eh, mica quando si tratta di dare una scatola di dolci!, quando si tratta di beni immobili: case, terreni, eccetera -. Quindi il voto è ristretto alla amministrazione: per cui chi fa il voto si interdice la libertà di amministrare; e si interdice anche di usare quei beni per migliorare la sua sorte particolare, e cioè perché una può comperarsi la macchina da sé e dopo debba ad esempio usarla indipendentemente dicendo: Questa è mia. No, bisogna, se regalano la macchina, che si dia all’Istituto e l’Istituto poi dirà chi deve usarla. La religiosa non dice mai: Questo è mio, questo è tuo; dice: Questo è a mio servizio e questo è a tuo servizio, a tuo uso, a mio
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uso, secondo... La religiosa, come tale, non possiede nulla in Congregazione; possiede invece quei beni che ha avuto dalla famiglia, o ricevuti tutti in una volta o ricevuti in diverse volte: li possiede ma l’amministrazione, l’uso e l’usufrutto devono un po’ tutti essere guidati dalla superiora. Così la religiosa, se riceve un regalo anche dai parenti, per usarne lo dice alla superiora; e se invece non è dato personalmente - è dato in quanto una è suora -, allora bisogna consegnare tutto a chi fa l’economa, a chi tiene l’amministrazione in sostanza, perché tutto quello che si riceve viene messo nella cassa comune, cioè viene messo in comune.
E certo, ho detto, quello che è strettamente dato alla persona: come se venisse a mancare il papà ed [egli] dispone dei suoi beni e la suora ne partecipa come gli altri [parenti]. E neppure la suora può dire: Oh, io ho un fratello che è carico di famiglia, ha molti bambini e lascio a lui anche la mia parte. No, ci vuole il permesso per questo, perché il voto di povertà si estende anche a questo: non si può fare la rinunzia senza il permesso dovuto. Vi sono permessi che si devono chiedere alla Santa Sede e vi sono altri permessi che si devono chiedere alla superiora generale e, in caso urgentissimo, anche alla superiora locale.
La povertà. Perché le religiose fanno il voto di povertà? Per essere più libere di spirito, per attendere meglio a Dio! Anche l’amministrazione in un Istituto viene lasciata all’economa... quello resta il suo lavoro, come la cuoca fa come lavoro quello che ci occorre per preparare il pranzo o la cena: quello diventa il suo lavoro. Ma le altre persone restano libere da queste preoccupazioni di amministrazione, libere: e non hanno da pensare agli acquisti fatti per tempo, non hanno da pensare a costruire le case, non hanno da pensare a comperare i letti e comperare il necessario per la vita quotidiana, vitto. L’economa deve pensare a fare entrare il denaro, ricavandolo dai lavori dell’Istituto in primo luogo, poi dalla beneficenza; e deve conservare quello che entra e amministrarlo bene e provvedere il necessario per la Famiglia Religiosa: quindi, fare le spese o direttamente o per mezzo di persona fidata, le
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spese per quel che riguarda il vitto, il vestito e le abitazioni, la campagna, tutto questo...
Dunque la povertà è per liberare la persona dalle preoccupazioni materiali, come il voto di castità è per liberare la persona dalle preoccupazioni della famiglia, e come il voto di obbedienza per liberare le persone da scegliere, cercare quello che deve fare, disporre e studiare in quale cosa può essere meglio impiegata: non ha queste preoccupazioni, questa preoccupazione è della superiora; e la preoccupazione della famiglia l’hanno le persone che hanno amato e che hanno pensato alla famiglia e a formarsi famiglia; e le preoccupazioni del vitto quotidiano, la persona che è nominata e che è eletta a questo ufficio.
Oh! Allora ecco quello che abbiamo da pensare: per maggiore libertà di spirito, per attendere maggiormente alle cose spirituali. La suora può essere anche impegnata in cose che riguardano le entrate e le uscite, ma siccome non lo fa per sé, non ha le preoccupazioni di chi invece amministra propriamente. Essa compie un lavoro che può essere di registrazione, che può essere di diffusione e può essere anche di beneficenza; e in questo ci sono Istituti che si distinguono molto nel procurare la beneficenza, sì: Istituti che sono nati, come quasi tutti, nella povertà e che poco a poco, curando la beneficenza e con la fiducia nella Provvidenza e vivendo nella povertà, sono arrivati a possedere sempre quello che era necessario anno per anno... anno per anno e giorno per giorno; e questo per le abitazioni e per le spese ordinarie di mantenimento e per il vestito e per tutto quello che occorre per una vita decorosa. Libertà di spirito: elevarsi a Dio, cercare Dio, amare di più il Signore, preoccuparsi della santità.
Intanto, la povertà importa molte mortificazioni. Importa mortificazioni in quanto la vita deve essere comune e qualche volta i gusti dei singoli, delle singole, possono essere diversi. L’abitazione deve essere in comune e qualche volta piacerebbe di più avere una camera propria; e vi sono Istituti in cui per necessità o perché le suore sono anziane, hanno camera propria. E poi la povertà importa anche la mortificazione di
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avere un abito sempre uguale per tutte: non ci siano distinzioni tra l’una e l’altra; anzi, che l’abito sia conservato sempre modesto, non solo, ma uguale per tutti: uguale la stoffa e uguale la forma, la fattura dell’abito stesso. Così nessuno ha da preoccuparsi come si preoccupano le persone del mondo spinte anche dall’ambizione: e perdono ore e tempo attorno a quello che si può riferire alla povertà, all’uso dei beni, al vestito, eccetera.
Maria visse poveramente. Gesù elemosinò il suo cibo durante il ministero pubblico; fino a trent’anni [fece] un lavoro pesante, falegname, e un mestiere fatto nella disposizione, nelle circostanze di quei tempi - ma ora la falegnameria è diventata molto meno faticosa di quanto fosse allora, ci son tanti mezzi, macchinari -. Il Figliolo di Dio fatto uomo che lavora ad un banco come se fosse stato il più modesto ope-raio del paese: «Nonne hic est faber?» [Mc 6,3], non è forse lui il falegname del paese?, dicevano di Gesù quando cominciava a predicare; e non è anche il figlio di un fabbro, cioè [di] Giuseppe? «Nonne hic est fabri filius?» [Mt 13,55].
Vi sono persone che si vergognano anche della famiglia modesta, si vergognano anche di domandare aiuti e beneficenza; e persone che abusano, usando le cose dell’Istituto a loro agio o non donando all’Istituto quello che ricevono, quello che ricevono.
Se viene fatto un dono che è per l’Istituto, oppure se si riceve il pagamento di un lavoro, sempre si deve dare all’Istituto nella persona di chi amministra. Il non darlo, non è soltanto mancanza di povertà, non è mancanza soltanto di un consiglio evangelico o contro il voto... è mancanza contro la giustizia: dare a ciascheduno il suo, perché quella entrata, quel compenso dato o ricevuto per il lavoro, appartiene all’Istituto. Come l’Istituto deve provvedere il pane e le medicine - e in quanto le persone sono giovani e in quanto sono anziane, provvedere ugualmente -, tutte le persone devono contribuire all’Istituto; chi sottrae, commette un peccato contro la giustizia, e non si rimette il peccato senza aver restituito. Ma come fa a restituire la suora? La suora che
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avesse sottratto e che non avesse modo di restituire, dovrebbe in qualche maniera industriarsi per riparare: lavorare un po’ di più, per esempio, o un po’ meglio, impegnarsi un po’ di più a chiedere la beneficenza, eccetera... in maniera tale che l’Istituto resti reintegrato, cioè all’Istituto venga quello che ingiustamente fu sottratto.
Naturalmente quando viene dato un ordine in cui bisogna servirsi delle cose della casa, allora bisogna servirsene, è lecito servirsene: se si ha da fare la cucina, se si han da preparare per gli abiti per la vestizione, se si deve andare a scuola e occorrono libri e occorre il tram, oppure se si deve fare un viaggio per ragioni che sono approvate dalla superiora, allora, certo, bisogna che adoperi i mezzi che ho qui, occorrono i mezzi necessari per questo, come per preparare il pranzo occorre avere il denaro e spenderlo nel modo giusto. Persone che non sanno anche comprare con un po’ di prudenza, comprare bene: cioè che la roba sia buona e che il prezzo sia adatto, non esagerato, eccetera... La povertà si estende a molte cose, e qualcheduna la vedremo anche in seguito.
Intanto, ciò che importa di più è lo spirito di povertà. Il voto poi è un mezzo per arrivare alla virtù.

Sia lodato Gesù Cristo.
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1 Nastro originale 74/60 (Nastro archivio 70b. Cassetta 70, lato 2. File audio AP 070b). Titolo Cassetta: “La povertà - 1a meditazione”. Questa e la successiva, sono le istruzioni del pomeriggio. La mattina di questo stesso giorno erano state dettate due meditazioni sull’amore di Dio dall’abate trappista Domenico Turco (vedi AP 1958/2, p. 38, nota 9).

2 Queste prime parole sono ricavate dal Nastro originale.

3 Per maggiore comprensione del testo, abbiamo omesso le parole: «anche all’opposto».