30. OGNI ISTITUTO HA IL SUO NOVIZIATO
Unione e carità fraterna
Esercizi Spirituali, 4° giorno, I Istruzione, Castel Gandolfo, 11 agosto 19601
Domani, festa di santa Chiara. San Francesco d’Assisi fu a capo dei Francescani e santa Chiara a capo delle Clarisse e, in generale, delle Suore Francescane. San Francesco si era già ritirato dalla famiglia, viveva nella solitudine, attendeva alla preghiera, alla mortificazione e viveva di elemosine, sebbene egli venisse da famiglia benestante; e sapeva anche lavorare per ricostruire qualche chiesa caduta, restaurarla almeno: san Damiano, ad esempio. Una nobile signorina della medesima città di Assisi restò presa da ammirazione per quella vita di preghiera, di penitenza, di povertà, di mortificazione... e lo volle seguire; ma i parenti si opponevano: allora fuggì di casa, e andò da san Francesco protestando di volerlo imitare, seguire, di voler essere come una sua figliola spirituale, una sua discepola; e san Francesco la mise a prova. I parenti, irritatissimi, cercarono di dissuaderla, ma ella resistette, e allora cambiò l’abito; san Francesco le tagliò la bella chioma che aveva, la bella capigliatura, e la vestì con panni ruvidi e con calzari grossolani, e cominciò a darle un pane scarso e povero e poco; e poi la fece entrare in una povera catapecchia - non poteva avere il nome di casa - presso san Damiano. E lì, dopo
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parecchi anni, riuscì a raccogliere alcune giovanette che la volevano imitare, stare con essa: e così si formò la famiglia delle Francescane, che altre sono di vita di clausura, vita contemplativa ora, ed altre invece sono di vita attiva o mista. Ma occorsero molti anni prima di entrare nella loro vita definitiva e avere una Regola e avere una Approvazione2.
Oh! San Giovanni Bosco prese, per fare le Salesiane, una giovane che non sapeva leggere, povere ragazze che lavoravano tutto il giorno con lei in un paesino per guadagnarsi il pane; ed ella, la Mazzarello, era tra quelle ragazze la più anziana. Parecchio tempo occorse, prima di parlare di vita religiosa e della loro missione; e così, quando san Giovanni Bosco diede loro la missione definitiva, si erano preparate con molte mortificazioni, con molto lavoro, con molta preghiera3.
Perché ricordo questo? Perché gli Istituti hanno il noviziato come ogni figliola che si vuole consecrare a Dio. Ci vuole un noviziato: di preghiera e di mortificazione, di vita ritirata, specialmente di esercizio di umiltà, di carità, di sottomissione. Le Salesiane in principio avevano lo scopo di rammendare gli abiti e di fare lavori di cucito e anche filare - e adesso non si vedono neppure più quelle piccole macchine
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per filare che usavano a quei tempi, ai tempi di san Giovanni Bosco -. Anni e anni...
Le Figlie di San Paolo prima di vestire l’abito hanno aspettato 12 anni, perché ci andava un buon noviziato4.
E secondo che una persona fa bene il noviziato, e secondo che un Istituto fa bene il noviziato - anche senza entrare nella sua missione propria, nel suo ufficio proprio, anche senz’abito, eccetera -, si va acquistando quella virtù che si chiama docilità nelle mani di Dio, rimettendo tutto nelle sue mani e disponendosi a [di]venire strumenti nelle mani di Dio, per fare il bene che Dio vuole, per corrispondere bene alla missione che Dio vuole. Ma finché la persona non si è come disfatta dell’amor proprio, dell’egoismo, e direi anche di una personalità naturale propria, fino lì non è ancora capace di operare secondo i disegni di Dio, non è ancora capace: bisogna proprio che si perda, che si distrugga, in certo senso... distruggere una cosa per costruirne un’altra più bella però, eh! In maniera tale che il Signore non trovi resistenza in un’anima, non trovi vedute proprie, non trovi indipendenza, non trovi in modo assoluto qualche cosa che sia personale: solo Dio, solo il suo volere... sì!
Quindi il noviziato prezioso, un noviziato anche lungo: quanto è necessario che sia distrutto il nostro io. O noviziato della persona, dell’aspirante, o noviziato dell’Istituto: è sempre lo stesso; e quanto più uno esce dal noviziato che [ha] pienamente abbattuto l’egoismo, le vedute proprie, eccetera - o sia un noviziato personale o sia un noviziato sociale, cioè dell’Istituto -, quanto meglio [sarà uscito così], tanto più darà risultato.
Oh! Per questo, l’esercizio delle virtù domestiche, private, individuali. È necessario lavorar tanto all’oscuro per portar poi luce quando si esce dalla oscurità, quando si esce dalle tenebre; è necessario avere acquistato un’umiltà profonda,
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una docilità a Dio, una carità tale verso il Signore e verso le anime da non cercare più altro che Dio e le anime. Sì: questo lavoro interiore che sta alla base!
E ieri abbiamo ricordato l’amor di Dio, e ho accennato l’amore del prossimo. Adesso dobbiamo venire a quel capitolo delle Costituzioni che segue a quello che ieri si è detto: «[181] - Soprattutto le suore vivano nella carità verso Dio e verso il prossimo, carità che è legge suprema della vita cristiana e della vita religiosa. Dalla carità nasce ogni buona e generosa disposizione dell’anima; la carità rende l’osservanza religiosa facile e grandemente meritoria. Perciò le suore promuovano le opere di apostolato e adempiano agli5 uffici loro affidati, animate da vero amore di Dio e delle anime, non cercando ricompensa umana, ma unicamente quel premio che il Signore ha promesso ad ogni opera buona, anche minima, fatta per lui, o al prossimo per suo amore. Le suore ripensino spesso che, in forza della loro professione, devono imitare Gesù Cristo in modo più perfetto del semplice cristiano. Gesù scelse per sé la povertà, il lavoro, l’obbedienza, l’amore a Dio e agli uomini. La religiosa si studia di seguirlo nella tendenza a ciò che è più povero, e più umile, e più perfetto».
Vedete che è tutto un’ascetica profonda, adatta per la religiosa. Vi sono tanti articoli che bisogna sapere a memoria, e non c’è bisogno di studiar molti libri di ascetica o di andarli a cercare dagli autori più rari... le Costituzioni sono complete, sono ottime: si tratta di viverle.
L’esercizio di lettura spirituale di tanto in tanto almeno - è perché è poi anche obbligo -, di tanto in tanto leggere le Costituzioni: devono esser lette ogni anno per intero; o saranno come lettura spirituale nei giorni ordinari o saranno nei giorni speciali degli Esercizi, o si potrà leggerne alcuni articoli ogni giorno nella Visita o vengono spiegati nei giorni delle conferenze, articolo per articolo.
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Ieri specialmente ci siamo fermati sull’amore di Dio. Venendo però all’amore al prossimo, qui sono dette alcune cose che servono all’amore alle sorelle, alla carità in Casa.
L’apostolato vocazionario è l’amore al prossimo in generale, ma vi è la carità in particolare della religiosa nella sua Casa, nella convivenza con le sorelle.
«182 – Le suore pratichino sinceramente la carità fraterna, senza la quale una comunità non può vivere nella pace, e fiorire per l’osservanza religiosa e promuovere efficacemente le opere di apostolato». È impossibile che si progredisca senza la carità, perché sarebbe voler raccogliere i frutti attaccati a delle spine o a delle gaggìe! Però i frutti devono essere raccolti dalla pianta propria, e cioè: le pesche si raccolgono dai peschi, e così si raccolgono le pere dai peri e l’uva dalle viti... Ma se c’è questa carità profonda, allora c’è la base e il fondamento per una vita di pace e di attività e di santità. «Sia impegno di ogni superiora e di ogni religiosa mantenere saldi i vincoli dell’unione e della carità in ogni casa e in tutta la Congregazione, secondo l’avviso6 di san Paolo - che belle parole che dice san Paolo! -: Vi scongiuro - è forte a dire: vi scongiuro! - di avere una condotta degna della vocazione che avete ricevuta - però questa condotta degna c’è quando... -, con tutta umiltà - si vive - , con mansuetudine, con pazienza, con bontà7, sopportandovi gli uni gli altri, studiandovi di conservare l’unità dello spirito con il vincolo della pace; un solo corpo, un solo spirito, come ad una sola speranza siete stati chiamati con la vostra vocazione (Ef 4,1-4)».
La massima unione, quindi la massima carità vicendevole, tra i membri di una stessa casa e tra i membri di tutto l’Istituto: Un solo corpo, un solo spirito, con una sola speranza. Un solo corpo: anche nelle cose materiali, l’una aiutar le altre, e aiutare tutto l’Istituto. Un solo spirito: lo stesso modo di pregare. Una sola speranza, e cioè tutte tese verso la perfezione,
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verso il «centuplum accipietis, et vitam aeternam possidebitis» [cf Mt 19,29], cioè verso quel centuplo che riceverete e possederete insieme alla vita eterna... che è l’unica speranza per cui una figliola si fa religiosa.
«[183] - Perciò le religiose si guardino diligentemente da tutto ciò che può offendere l’unione e la carità fraterna», perché la carità e l’unione sono tali beni che merita che qualche sacrificio si faccia, anzi che [si] rinunci alle volte a qualche cosa che ci sembrerebbe bene; ma piuttosto che rompere l’unione, è meglio tramandare un bene, e qualche volta anche non farlo. «Specialmente rifuggano da ogni critica - vicendevole, o critica con il superiore -, e non mormorino, e non ci sia detrazione - detrazione vuol dire: dir male l’una dell’altra -, né delazione - cioè far la spia -, né amicizie particolari - amare solo qualcheduna -, né rancori - ricordare qualche dispiacere avuto -, né invidia - l’invidia dei beni altrui, si capisce -, né gelosia - quasi che il bene che hanno gli altri faccia dispiacere a noi, e che quasi non si vorrebbe che gli altri l’avessero per non far brutta figura noi -; evitino le sinistre interpretazioni - interpretar male, giudicare in male, sospettare il male, - ed evitino anche di ricordare i difetti delle sorelle - pensando ai difetti delle sorelle, non si pensa ai propri -. Tali mancanze devono essere corrette ed energicamente bisogna che siano represse, represse». Essere di una certa rigidezza, non irascibilità, non nervosismo, ma fermezza rispetto alle mancanze di carità: non permetterle! Si può permettere che una al mattino sia stata addormentata a letto e sia arrivata tardi, si può compatire se una comincia a dire che ha appetito e non è ancora l’ora, si possono sopportare tante cose... ma sulla carità non bisogna deflettere. «Si voglia invece il vero bene delle sorelle; si mostri anche all’esterno e realmente parta dal cuore la gioia e la soddisfazione per i beni che le sorelle hanno. Sia impegno di ognuna di pensare bene, e parlare bene, e desiderare il bene, e fare del bene». E se una ha ricevuto una promozione, rallegrarsi! E se una ha fatto bene, perché non parlarne anche alle altre, che può essere di incoraggiamento? E poi sempre desiderare e pregare
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che tutte le sorelle siano sante, ed abbiano molte consolazioni e riescano nelle loro cose... E fare del bene: chi fa scuola fa del gran bene, chi insegna un lavoro fa del gran bene, chi fa l’apostolato vocazionario fa un gran bene; e poi fa un gran bene chi fa bene la cucina, un bene chi fa bene gli abiti, un bene chi procura che la casa sia pulita e che il bucato sia ben fatto... e che ognuno faccia la sua parte in carità, per carità!
Abbiamo scritto... ed è stata pubblicata la vita di un nostro fratello laico, un religioso che è morto circa dodici anni fa8. In principio parla solo del lavoro o dell’apostolato che faceva: lavorava a far la carta in casa. In quel tempo la cartiera era necessaria, perché in tempo di guerra la carta non si trovava o era carissima.
Poi fu dato a lui un altro ufficio: siccome era molto umile, molto pio, era il calzolaio della casa. Ora i compagni e altri che hanno scritto qualcosa di lui, qualche ricordo, dicevano: Ecco, portavamo le scarpe a riparare e gli dicevamo: Occorrono quel mattino... ora tale...; oppure: Devo partire stasera - supponiamo - alle otto. E se lo annotava e, a costo di lavorare di notte, preparava tutto ben lucidato, ben in ordine; e si sapeva sicuro che all’ora tale, chi aveva bisogno, trovava le scarpe belle e pronte, lì davanti alla porta, davanti alla porta della cameretta, oppure d’accanto al letto se si trattava di uno che dormiva in camerata. Per anni....
E nel pregare si metteva sempre in angolo, quasi non visto, tanto che da principio qualcheduno diceva: Quel tale prega poco o niente... non si vede mai!; ed egli invece pregava di più degli altri: appunto si metteva in luogo nascosto per essere più libero; e d’altra parte quasi sempre precedeva
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gli altri, quando gli era possibile, e poi prolungava con la sua preghiera dopo, fin fine...
Voglio dire, questa carità: non voleva mai il grazie perché aveva preparato le scarpe, non lo voleva; cercava di fare in maniera che colui che aveva servito non lo incontrasse, per paura che, ringraziandolo, ci fosse un atto di vanità, un atto di compiacenza... e lui voleva solo farlo per Dio, usando questa carità verso il prossimo. E tante piccole occasioni si sono avute in cui dimostrava questo spirito di povertà, di semplicità, di umiltà, questo spirito di carità, questa socievolezza e quest’abitudine di servire, di servire tutti... Fosse stato anche un bambino che gli venisse a chiedere che ricucisse le scarpe a quella talora, lo ascoltava e prendeva nota che occorreva alla talora, e si metteva in ordine i lavori, sì: eppure il bambino poteva avere dodici o anche soltanto dieci anni, ed egli era a trent’anni!
L’orgoglio è il nemico delle comunità, l’egoismo è il nemico delle comunità; l’orgoglio e l’egoismo sono il nemico di noi stessi... proprio quel che ci rovina, tante volte, è proprio l’egoismo. Non lo vediamo, cerchiamo di scusarlo, portiamo molte ragioni che si deve far così, che si deve dir così, che si deve pensar così, e in realtà invece è l’amor proprio e l’orgoglio che fanno parlare.
Discendiamo al profondo! Quando veniamo a togliere questo orgoglio?, questo complesso di idee, di pensieri e di modi di parlare, di dire, di fare, che sono ispirati a sentimenti nascosti nel profondo dell’anima, ma che sono sentimenti di vanità, di ambizione, di superbia in poche parole, eccetera...quand’è che arriveremo a togliere questo? Togliete l’amor proprio per intero ed avrete tolto tutto il nero nella comunità e in voi stesse!
Oh! Non c’è altro modo di santificarsi, perché, quando avremo tolto noi stessi, ci sarà tutto ed in tutto Dio in noi, tutto Dio in noi e noi totalmente in Dio, ed egli ispirerà i nostri pensieri, i sentimenti, parole, azioni, comportamento, attitudini, uffici, compimento del volere di Dio, missione.
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Oh! Vedere dunque quando finirà di morire questo amor proprio. E quando speri tu che finisca di morir l’amor proprio?. E [il santo] rispondeva: Spero almeno che muoia tre ore dopo che sarò morto!9: tanto è difficile da sradicare, eh!, tanto è difficile da sradicare. Togliamo questo amor proprio, questo orgoglio, e allora in noi ci sarà il Signore che vivrà in noi: «Vivit vero in me Christus» [Gal 2,20].
Sia lodato Gesù Cristo.
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1 Nastro originale 77/60 (Nastro archivio 73b/c. Cassette: 73, lato 2; 73bis, lato 1. File audio AP 073b). Titolo Cassette: “Noviziato dell’Istituto e della persona. Carità: art. 182 delle Costituz.”. Questa è la prima delle due meditazioni del pomeriggio. La mattina erano state dettate dall’Abate Domenico Turco due meditazioni sul tema dell’umiltà.
2 Cf Vita di santa Chiara vergine, 5-10, in Fonti Francescane, (FF), 3162-3176. In riferimento alla Regola, tra la prima consegnata da Francesco (1212-1213) a quella approvata da Papa Innocenzo IV nel 1253, due giorni prima della morte di santa Chiara, passarono più di quaranta anni. Dieci anni dopo, Papa Urbano IV promulgò una nuova Regola, soprattutto per dare unità giuridica ai nuovi monasteri di Clarisse.
3 Maria Domenica Mazzarello (Mornese/Alessandria, 9 maggio 1837 – Nizza Monferrato/Asti, 14 maggio 1881) conobbe Don Bosco nel 1864. Già prima di quell’incontro, e con maggiore decisione negli anni successivi, insieme ad altre giovani aveva dato vita all’unione delle Figlie di Maria Immacolata, nucleo iniziale della futura Congregazione salesiana. Nel 1871 Don Bosco scrisse le Regole per il nascente Istituto e nel 1872, con la Vestizione e la Professione delle prime suore, videro la luce le Figlie di Maria Ausiliatrice. Nel 1876 arrivò l’Approvazione diocesana dell’Istituto e delle sue Costituzioni. Segnaliamo una delle prime biografie su Madre Mazzarello in cui viene raccontato il lungo percorso di comprensione e assunzione della vocazione salesiana sua e delle altre ragazze: FERDINANDO MACCONO, Suor Maria Mazzarello prima Superiora delle Figlie di Maria Ausiliatrice fondate dal Venerabile Giovanni Bosco, Torino, 1913 (1960).
4 Le Figlie di San Paolo vestono definitivamente l’abito religioso nel 1928. Cf CATERINA A. MARTINI, Le Figlie di San Paolo, Roma 1994, pp. 156-157; Una luce sul nostro cammino, Maestra Tecla nelle sue note spirituali, Roma 2009, pp. 73; 101. Cf anche AP 1959, p. 46.
5 Nel testo è: gli.
6 Il testo dice: l’ammonimento.
7 Il testo dice: carità.
8 Si tratta di fratel Andrea Borello (Mango/Cuneo, 8 marzo 1916 - Sanfré/Cuneo, 4 settembre 1948), entrato nella Pia Società San Paolo ad Alba nel 1936. Religioso esemplare, offrì la sua vita per la fedeltà vocazionale dei suoi confratelli e l’espansione della Congregazione. Fu proclamato Venerabile nel 1990. La biografia di cui parla il Primo Maestro uscì nel mese di aprile 1960: SILVANO M. DE BLASIO, Un Discepolo del Divin Maestro, Fr. Andrea M. Borello della Pia Società San Paolo, Roma 1960, pp. 239. Nelle ultime pagine del libro vi sono alcune testimonianze di confratelli che lo hanno conosciuto bene.
9 Cf FRANCESCO DI SALES, Trattenimenti spirituali, VI, Sul tema della modestia, Milano 2000, p. 176; Lettere di amicizia spirituale, Lettera 82, Milano 2001
3 , p. 228.