Beato Giacomo Alberione

Opera Omnia

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28. IL DONO COMPLETO DELL’ESSERE A DIO
La castità e lo spirito di delicatezza

Esercizi Spirituali, 3° giorno, I Istruzione, Castel Gandolfo, 10 agosto 19601


Rimane da considerarsi la castità. Anche nella castità si può meditare sopra il celibato; si può meditare sopra la virtù, sul voto e sullo spirito di delicatezza, lo spirito di delicatezza il quale è il fiore della castità.
La persona che si consacra al Signore si impegna a credere e seguire la sua nuova famiglia spirituale. Credere che c’è una famiglia di Dio, di figli di Dio, una famiglia prediletta. Noi tutti... tutti i cristiani sono in qualche maniera figli di Dio, sono veramente figli di Dio: «In quo clamamus: Abbà, Pater» [Rm 8,15], dice san Paolo, per cui chiamiamo Dio nostro Padre. Però fra i dodici figli di cui parla la Scrittura, vi è chi era il preferito [cf Gen 37,3], fra i dodici apostoli ve n’erano tre che erano preferiti: Pietro, Giacomo, Giovanni, per le loro particolari qualità [Mc 5,37; 9,2; 14,33; Gv 13,23]. Così, consecrandosi a Dio, si mira ad entrare in quella famiglia dei figli prediletti di Dio. Coloro che dimenticano tutto ciò che è la famiglia, e cioè il padre, la madre e i fratelli e le sorelle; e quel che appartiene di beni: i campi, la casa, dice la Scrittura [cf Mt 19,29; Mc 10,29], eccetera... dimenticano tutto questo per entrare nella particolare schiera dei figli di Dio, cioè solamente e in tutto
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cercare Dio: solo, sempre, in tutto, cercare Dio. Così che si considera Dio nostro Padre; si considera Gesù Cristo come nostro modello; Maria come la Madre; e gli angeli e i santi del cielo come fratelli, eccetera... una famiglia celestiale. Loro lassù già nella Chiesa trionfante, la celeste Gerusalemme, e noi ora2 nella Chiesa militante ci sforziamo di seguirli, imitarli, operare come loro, sì. Cosicché gli interessi della terra, personali, non ci sono più: ci sarà l’interesse dell’Istituto, cioè della nuova famiglia; un interesse personale non c’è più, anche l’interesse familiare: che uno debba pensare a figlioli, debba pensare ad una famiglia sua... «Exi de terra tua et de cognatione tua» [At 7,3; cf Gen 12,1], ecco, disse il Signore ad Abramo: esci dalla tua parentela, eccetera... Come quando una figliuola passa a formare un’altra famiglia, lascia la famiglia, quella sua naturale dove era nata, [lo stesso è per] il celibato: così che bisogna cambiare i pensieri, e cioè tutti gli interessi, tutti i desideri e tutta l’attività e tutto quel che riguarda i pensieri e quel che riguarda lo stesso parlare, agire, tutto deve essere per la nuova famiglia.
Si potrà dire questo: Tu figliola - obietta la mamma -, non mi vuoi più bene!. Ti voglio anche più bene adesso di prima, voglio bene alla tua anima che intendo di aiutare, la tua anima per cui intendo di pregare e che voglio salva. Ma non è più l’affetto antecedente, no, poiché tutto il cuore l’ho dato a Dio!. Se non si fa questo dono totale dell’essere a Dio, non si è veramente nella famiglia dei privilegiati di Dio. Se continuiamo ad avere gli stessi pensieri, gli stessi sentimenti, se si continua a voler andare frequentemente in famiglia, se si preoccupa una delle cose di famiglia come se ne deve preoccupare il padre che è in famiglia, il fratello che è in famiglia, non si finisce di abbracciare lo stato nuovo, la famiglia privilegiata di Dio, il celibato: che vuol dire esser soli con Dio, soli con Dio.
Lo Sposo è Gesù Cristo e non lo si può considerare così come un bel nome: Sono la sposa di Gesù Cristo, «Veni,
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Sponsa Christi»3... no! È una realtà, la realtà più grande che si possa pensare, in quanto che alle volte i coniugi se ne vogliono poco [di] bene, ma la sposa di Cristo ama Gesù perdutamente, è come accecata dal suo amore; è una follia d’amore per cui si lascia tutto, si mette tutto indietro: l’affetto, la gioia è soltanto di stare con lo Sposo Celeste e di vivere secondo lui, secondo i suoi desideri, e di compiacerlo in tutto, come è descritto nel Cantico dei Cantici, il libro Cantico dei Cantici della Scrittura.
Questo celibato non è un celibato forzato. I gladiatori si conservavano vergini per essere più forti; e come dice Gesù nel Vangelo altri si condannano a verginità per avere un corpo più bello, una vigoria maggiore per combattere; anche nelle olimpiadi si vede questo: si sforzano e consumano le loro energie e fanno mortificazione, eh!; e si astengono da tutto quel che potrebbe diminuir loro le forze, per essere pronti alle corse, per essere pronti ai combattimenti, eccetera... «Qui se castraverunt propter regnum Dei»4 [cf Mt 19,12], sì: quelli invece che conservano tutte le forze, ma per consecrarle e per consumarle per Gesù. Non è che una adoperi la bottiglia dell’olio e un po’ per la lampada e un po’ per la tavola, no: è riservata tutta alla lampada, quel che c’è di olio, quel che c’è di forze, quel che c’è di pensiero, quel che c’è di sentimento, quello che preoccupa, quello che si desidera, sì, e nello stesso tempo si esclude tutto quel che dispiace allo Sposo divino. La parola celibato può essere presa soltanto quasi in senso materiale - ma questo lo fanno alle volte proprio per fini umani, e alle volte carnali e anche viziosi -, ma il celibato religioso è un dono completo dell’essere a Dio, dell’essere a Gesù Cristo, Sposo intimo dell’anima, per il quale5 nessuna cosa si vuole compiere sapendo di spiacergli e tutto si farebbe anche morendo, pronte a dare la vita per questo Sposo divino. La verginità di san Paolo che dice: Vi
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vorrei tutti come sono io [cf 1Cor 7,7], eh, così. «Non omnes capiunt verbum istud, sed quibus datum est a Patre meo» [cf Mt 19,11], non tutti capiscono questo, ma lo capiscono quelli che han la luce di Dio, quelli a cui il Padre Celeste lo rivela, lo manifesta. E il giorno delle nozze è il giorno della professione: si esce da tutto ciò che è mondo, da tutto ciò che è famiglia, da tutto ciò che sono gli interessi della terra, tutto, per entrare nella famiglia di Dio, famiglia privilegiata, e per occuparsi e preoccuparsi solamente di quello che piace a Dio e di quello che promuove la sua gloria: l’apostolato... il celibato.
Secondo: la castità. Si può far la domanda se uno debba sempre essere vergine per consecrarsi a Dio: certo, è molto meglio, immensamente meglio. Perché non è escluso che anche una vedova possa consecrarsi a Dio, ma si capisce subito che è di un grado inferiore, e tuttavia può farsi anche molto santa perché può dopo amare Gesù più di un’altra persona, la quale pur sempre ha conservato la sua verginità. E quindi da una parte non si possono allontanare, ma dall’altra parte e per voi il mio consiglio è sempre questo - non un precetto -: che ci sia la verginità completa per consecrarsi a Dio, la verginità sempre conservata, perché così il cuore è un fiore che viene offerto a Gesù e nessuno lo ha ancora accostato a sé per prenderne il profumo, per goderne il profumo.
Oh! Il voto di castità, oltre all’impegno del celibato, che cosa esige?
Che ognuno si astenga da peccati contro questa virtù, peccati interni o peccati esterni - sono tutti vietati dal voto -; e quando si commette un peccato interno oppure quando si commette un peccato esterno, sempre si vincola al voto e quindi si ha un doppio peccato, e cioè uno contro la virtù della castità e l’altro contro il voto, cioè contro la religione - il voto obbliga per la virtù della religione -. Il solo peccato interno può essere di pensieri acconsentiti, compiaciuti... ci vuol sempre però l’atto della volontà che dice: Li voglio, li seguo, sì. Questi peccati interni possono essere di pensiero e possono essere di desideri voluti, acconsentiti; però è sempre
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da ben distinguersi: altro è il sentire il gusto cattivo e altro è acconsentire al gusto cattivo; perché può essere che una figliola che ha sete guardi dell’acqua fresca o una bevanda che l’attira... può essere che quasi si senta l’acquolina in bocca ma intanto ne fa un sacrificio a Gesù e se ne astiene, ecco. Allora non è il sentimento che costituisce il peccato; il sentimento seguito, approvato, è questo che costituisce il peccato... non il sentimento solamente sentito, ma il sentimento seguito e voluto che costituisce il peccato. In sostanza, sempre ci vuole anche la volontà e il consenso per avere il peccato; perciò, tutte le volte che manca l’avvertenza della mente e il consenso della volontà, o che si dorma o che si vegli, quando mancano la cognizione della mente e il consenso della volontà, non c’è il peccato, sebbene il cuore sia in subbuglio, sebbene il sentimento sia un po’ eccitato...
E [il voto] vieta il peccato esterno: di occhi, supponiamo, e di lingua - parole -, e di udito - ascoltare -, e di occhi - leggere, o cose che non vanno oppure fissare persone o cose pericolose, eccetera -, specialmente il senso... questi [sono] peccati esterni, sì. Sono sempre peccati doppi, perché c’è il peccato contro la virtù e il peccato contro la religione; notando che, se un peccato contro la purezza è veramente commesso e non c’è dubbio che fu commesso e c’era piena avvertenza, pieno consenso, è subito mortale; mentre che se invece l’avvertenza fosse stata solamente mezza, un dormiveglia quando uno non capiva bene cosa si facesse, aveva una confusione così nel mezzo sonno - mezzo addormentato e mezzo sveglio: alla dormiveglia in sostanza -... quando ci manca parte della conoscenza o ci manca parte della volontà, il peccato sarà lieve; ma per sé, per la materia è sempre grave.
Non bisogna pensare però che uno, sentendo la predica sulla castità e ricordando qualche cosa che c’è stato nella gioventù, nella fanciullezza... e non si sapeva che fosse peccato o appena appena si aveva un pensiero confuso, una cosa che non stava tanto bene ma che non la si credeva veramente offesa di Dio... allora non è necessario confessarsene adesso,
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perché allora non c’era il peccato grave oppure mancava del tutto il peccato, quando non ci fosse affatto conoscenza o non ci fosse affatto il consenso. Non vuol dire, perché uno conosce che una cosa una volta6 era peccato e che una volta ha fatto una cosa che era peccato, che debba confessarsene adesso che è venuto a sapere che quella cosa era veramente peccato, perché allora non c’era la conoscenza - o nulla o imperfetta - o non c’era il consenso - o nullo o imperfetto, o niente o imperfetto -.
Vi è poi da dire: perché si fa il voto? Perché uno si obbliga di più a vigilare, e quindi non andrà a mettersi nei pericoli: starà più attenta ad evitare persone e cose che costituiscono pericolo, sarà più attenta a vigilare nei gesti, nei sentimenti interni, nei pensieri, perché è persona a posto7... e una persona si astiene... Commetterei un doppio peccato: tanto più si asterrà da atti, perché si commetterebbe un doppio peccato; il voto serve ad allontanarsi dal peccato e a conservare sempre più lo spirito unito a Dio.
E quindi a mettere in pratica i mezzi. Il velo indica che una vuole essere veramente delicata e consecrata a Dio. Così nella vita religiosa non c’è il permesso di scegliersi l’abito, perché allora con facilità si asseconderebbe un po’ l’ambizione e si vorrebbe essere considerati, guardati per il vestire particolare; e questo che è un pericolo, è allontanato: c’è l’abito comune e non c’è niente da aver ambizione! È abito comune, tutto uguale: non c’è una distinzione, non attira lo sguardo profano dei cattivi. Così tutte le altre occasioni: e non solo uno si astiene dalle pellicole che son riservate agli adulti, ma si trattiene anche da altre pellicole, le quali, pur non essendo cattive, possono ingerire nella persona pensieri, sentimenti, ricordi, fantasie pericolose.
Ho detto che c’è anche lo spirito, diciamo, della castità, cioè quella delicatezza, quella riservatezza, sì, per cui la suora presentandosi si impone, si può dire: e chi la vede, chi può
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avvicinarla per qualche ragione, si sente davanti ad una persona che è di Dio, sente come la presenza di Dio, come un tabernacolo vivente che sta davanti... quella persona porta Gesù nel cuore e tutto il cuore suo è di Gesù. Delicatezza! Vi è tanta diversità fra suora e suora, tra persona e persona: persone che solo ad avvicinarsi portano pensieri umani, qualche volta anche volgari, qualche volta anche cattivi... e persone che invece portano e ingeriscono nella mente pensieri delicati, puri, riservati. Non viene neppure come tentazione di far certi scherzi, di dire certe parole, di permettersi certi atti, sì... s’impongono: non per orgoglio, ma con la loro semplicità e candore che riflettono da tutto il loro comportamento e da tutta la loro persona. Delicatezza...
Vi sono da distinguere due specie di anime. Anime che dicono sempre: E che male c’è? Mica è subito peccato!. E anime invece che pensano: E che bene invece c’è? E mi porta a Dio questo?. Questa lettura, questo spettacolo, il guardare quelle persone, il trattare con quelle persone, il comportamento anche poi individuale, il modo di trattare il corpo, il modo di stare sedute ad esempio, la compostezza; vi sono persone tanto delicate e che hanno tutto un modo di fare che proprio edifica, perché dentro dentro c’è tutta una delicatezza e tutta un’attenzione a non avvicinarsi mai neppure a quello che forse non è ancor cattivo, ma potrebbe portare qualche pensiero non buono, oppure portare ad una rilassatezza. Persone così di Dio, così innamorate di Gesù, che alle volte trattano negli ospedali con i bambini, eccetera, con quella disinvoltura e innocenza e semplicità che edifica, perché hanno un cuore così unito a Dio, così innamorato di Gesù che non sentono - vedete - quelle inclinazioni e non sentono quei sentimenti. Perché? Perché la loro professione non è stata una parola... è stata una cosa che usciva dall’anima, è stata l’espressione di un desiderio profondo di essere di Gesù; e già di un’abitudine di vivere solo per Gesù così da aver acquistato l’abitudine - e bisogna aver acquistato l’abitudine prima di avvicinarsi alla professione -, l’abitudine della delicatezza.
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Vi sono finezze che sembrano esagerazioni - a dirle nella predica sembra persino di dire delle cose quasi ridicole -, ma le anime delicate hanno certe finezze sia in quello che sentono dentro e sia a quel che pensano e sia a quel che dicono e sia nel modo di comportarsi, ovunque e da sole e in pubblico, che sono tutt’altra cosa: indicano veramente quello che noi ci rappresentiamo in Maria, Virgo virginum, Mater purissima, Mater castissima8, eh, Maria purissima, castissima, vergine. E allora la suora segue Gesù e segue l’esempio di Maria per piacere a Gesù.
Oh! E quanta diversità fra persona e persona: in tutto, eh!... in tutto! Suore che sono veramente di Dio e suore che invece sono un po’ tiepide e hanno ragionamenti un po’ troppo umani, anche in riguardo a ciò che tocca la delicatezza, tocca il sentimento interiore, tocca il cuore.
Che siate altrettante Maria!

Sia lodato Gesù Cristo.
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1 Nastro originale 75/60 (Nastro archivio 71b. Cassetta 71bis, lato 1. File audio AP 071b). Titolo Cassetta: “La castità - 1a meditazione”. Questa e la successiva, sono le istruzioni del pomeriggio. La mattina di questo stesso giorno erano state dettate due meditazioni sulla tiepidezza e sulla confessione da don Carmelo Panebianco.

2 Il PM dice: tuttavia.

3 «Vieni, Sposa di Cristo». Cf Breviarium Romanum, Commune Virginum.

4 La Vulgata recita: «Qui seipsos castraverunt propter regnum caelorum», «che si sono resi eunuchi per il regno dei cieli».

5 Il PM dice: al quale.

6 Intende dire: nel passato.

7 Espressione incerta.

8 Invocazioni mariane dalle Litanie Lauretane.