Beato Giacomo Alberione

Opera Omnia

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43. «CHI SI UMILIA SARÀ ESALTATO» (Domenica X dopo Pentecoste)

Meditazione alla Comunità delle Pie Discepole del Divin Maestro.
Roma, Via A. Severo 56, 7 agosto 19661

Dal Vangelo di san Luca. In quel tempo: Gesù disse questa parabola per certuni che presumevano di essere giusti e disprezzavano gli altri. «Due uomini salirono al tempio a pregare: uno era fariseo e l'altro, pubblicano. Il fariseo, stando in piedi, pregava così fra sé: Ti ringrazio, o Dio di non essere come il resto degli uomini: ladri, ingiusti e adulteri o come quel pubblicano. Io digiuno due volte la settimana e pago le decime di tutto quel che possiedo. Il pubblicano, invece, teneva la sua distanza e non ardiva neppure alzare gli occhi al cielo, ma si batteva il petto dicendo: O Dio, sii indulgente verso me peccatore. Io vi dico: che costui discese giustificato a casa sua a differenza di quello. Poiché chi si esalta sarà umiliato e chi si umilia sarà esaltato»2.
Dobbiamo sempre, insieme, domandare il perdono dei peccati e domandare le grazie. Così nella Messa il sacerdote per nove volte, domanda il perdono dei peccati. E poi altrettanto delle grazie che si chiedono al Signore. Perciò dobbiamo essere così, non solamente nulla, perché il Signore ci ha dato tutto, ci ha creati, e tutto ciò che c'è di grazia è suo; tutto è suo.
Ma quello che ci porta all'umiliazione è: avere avuto la salute, la vita, le grazie e non aver corrisposto abbastanza. E poi, oltre che non si è fatto il bene, si è fatto il male, e quindi dobbiamo riconoscere le nostre miserie. Noi siamo il nulla e, oltre che essere il nulla, siamo stati peccatori. Allora sempre portare nel cuore come un pentimento, un'umiliazione.
Nel libro della Teologia della Perfezione si dice che tutti i santi, nessuno escluso, tutti i santi sono stati sempre nell'umiltà e in certo modo sempre portando nell'intimo la pena, l'umiliazione3: perché abbiamo disgustato il Signore.
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Ricordare questo: in primo luogo fare l'esame di coscienza e, nell'esame di coscienza, ci sia il dolore; poi la confessione, che è sacramento; e poi la virtù della penitenza. Di questa virtù della penitenza si parla poco. Perché si è fatto la confessione, e tutto basta, e quindi è tutto a posto. Oh! Questo invece è da considerarsi molto bene, e cioè:
In primo luogo, sempre ricordare che abbiamo disgustato il Padre celeste; e come abbiamo disgustato il Figlio di Dio incarnato, nell'Ostia; e poi quello che è stato come offesa allo Spirito Santo perché non abbiamo utilizzato bene le grazie, partendo non solo dal giorno in cui si è fatto la prima confessione, in particolar modo per il sacramento della cresima, e poi tutte le grazie dello Spirito Santo. E quante grazie non sono state corrisposte? Quindi portare sempre un po' la testa piegata, piegata perché siamo peccatori. E che siamo più facili a domandar perdono e, allora, se domandiamo perdono, il Signore userà altra misericordia. Quindi la virtù della penitenza è questo ricordare di portare, in certo modo, la testa piegata, chinata: siamo colpevoli.
Secondo, abbiamo già fatto tale penitenza da avere anche ottenuto il perdono? cioè, quando abbiamo fatto la penitenza, sì. E non è tanto facile. Bisogna che ci sia un pentimento molto chiaro e abituale.
E poi la virtù della penitenza sta nel correggerci, e cioè: se abbiamo mancato con la mente, col cuore, con la lingua, con gli occhi, bisogna che ci impegniamo a correggerci. Questo è parte della virtù della penitenza.
E poi che ci siano le mortificazioni; le mortificazioni perché prima ci siamo presi una libertà, una soddisfazione propria. E se con la lingua si è mancato, mortificarla adesso, la lingua; e se si è peccato, allora fare all'opposto; se gli occhi li abbiamo usati, qualche volta, meno bene, allora dominare gli occhi; e l'udito e il tatto e i pensieri e il cuore. Quindi la virtù della penitenza consiste in quattro parti.
E tutti i santi hanno esercitato la virtù della penitenza. Portando l'esempio di san Luigi1, erano state due manchevolezze, secondo si legge nella biografia; ma non finì di farne la penitenza. E come si è mortificato?
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Oh! Perché noi possiamo compiere ed esercitare la virtù della penitenza, nel libro della Teologia1 si dicono tre mezzi:
Primo, chiedere al Signore il dono delle lacrime, cioè il pentimento, com'è l'Oremus nel Messale; verso la fine del Messale si chiede il dono delle lacrime2. Non fa bisogno che ci siano le lacrime - diciamo - esterne, ma l'intimo, il dolore fino (...).
Secondo, considerare le pene che noi abbiamo portate a Gesù nella passione e morte per noi; e quindi ricordare i cinque misteri dolorosi: la preghiera e il sudore di sangue di Gesù nel Getsemani; e poi tutte le pene sofferte da Gesù, gli insulti che ha ricevuto; nel secondo mistero, [la] flagellazione; e poi l'incoronazione di spine, gli insulti a Gesù, la condanna a morte, il viaggio al calvario; e poi quando è stato inchiodato e morto dopo tre ore di agonia. Noi abbiamo portato e aumentato le pene di Gesù, sì. Egli vedeva tutto quel che già era nel futuro, quindi, noi.
E, terzo modo, la mortificazione. Ricordarci della mortificazione. Quello che è stato come soddisfazione, dopo che diventi mortificazione, e in tutto; e da cominciare al mattino e tutta la giornata e la notte ancora, sì; perché dobbiamo prendere il riposo necessario, ma essere misurati e nel modo giusto; come si deve prendere il cibo secondo che è necessario per conservare la vita, per mantenerci nel servizio di Dio e per mantenerci nell'apostolato.
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Quante volte siamo più inclinati a far risaltare qualche cosa di buono fatto? E possiamo dire che noi abbiamo fatto qualche cosa di bene? E quando abbiamo fatto qualche cosa di male? Sì, non fa bisogno esteriormente manifestare certi pentimenti, ma che almeno ci siano nell'intimo e ci sia l'umiltà.
Il pubblicano, tenendosi a distanza dall'altare, «non ardiva neppure alzare gli occhi al cielo, ma si batteva il petto dicendo: O Dio, sii indulgente verso di me, che sono peccatore». E questo è il modo di scancellare il peccato e anche la penitenza, se c'è veramente un pentimento profondo. Allora: Sii indulgente verso me, peccatore. Sì. E così, se abbiamo fatto il male, ora che lo correggiamo; e che questo sia compito totalmente, il pentimento.
Quindi, sempre l'esame di coscienza, la confessione ben fatta, e la virtù della penitenza abituale. Sarà l'ultima penitenza, quando [verrà] la malattia e il dolore: tutto da offrire in penitenza dei peccati; e non soltanto dei peccati, ma del bene lasciato, non fatto. Quello sarà un dolore più abbondante ancora dei peccati commessi. Perché se il Signore ci ha dato i doni e le grazie, e noi li abbiamo sprecati? Allora: Sii indulgente, o Signore, verso di me che sono peccatore. «Io vi dico: che costui discese dal tempio giustificato a casa sua a differenza di quello» che si lodava invece di domandar perdono. «Chi esalta sarà umiliato e chi si umilia sarà esaltato».
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Il Signore ci usi la misericordia, la misericordia. Pensando alle innumerevoli grazie ricevute, come le abbiamo usate queste grazie? Il tempo che il Signore ci ha dato, l'abbiamo usato in bene, a servizio di Dio e per merito nostro? Ecco. Allora sempre pronti a picchiarsi il petto. E perché si dice il Confiteor? «Mi confesso a Dio onnipotente... per mia colpa, mia colpa, mia grandissima colpa». Grandissima colpa perché avevamo tutti i mezzi e tutte le grazie per evitare il male, e invece abbiamo fatto il male. Quindi: per mia colpa, mia colpa, mia massima, mia grandissima colpa. E poi domandare la misericordia del Signore perché, almeno nel resto della vita, che ripariamo, e cioè, facciamo quello che non abbiamo fatto, e che facciamo la penitenza di quello che abbiamo sbagliato, sì.
Interroghiamo noi stessi: c'è l'umiltà? L'umiltà è la verità, cioè [ammettere] gli sbagli, le mancanze. L'umiltà è una verità. L'umiltà consiste nell'ammettere la verità, cioè, quello che non è stato buono; quello che è stato di male. E il Signore che ci ha dato tante grazie, e se noi ci umiliamo e diciamo quello che è la realtà, il Signore aumenterà la grazia, aumenterà le grazie, e così guadagniamo quello che abbiam perduto, per la misericordia di Dio.
Sia lodato Gesù Cristo.
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1 Nastro 140/a (= cassetta 222/b). - Voce incisa: “Domenica X dopo Pentecoste: meditazione del PM”. In PM, nessun accenno cronologico. Questa meditazione è registrata sullo stesso nastro delle meditazioni nn. 44.45 (cf PM in c398 e in c403). - dAS, 7 agosto 1966 (domenica): «m.s. CGSSP cappella e Castelgandolfo» (cf dAS in c9).

2 Cf Lc 18,9-14.

3 A. ROYO MARIN, O.P. Teologia della Perfezione Cristiana, o.c. (1960), pp. 530-539.

1 S. LUIGI GONZAGA (1568-1591), dichiarato santo il 31 dicembre 1726.

1 A. ROYO MARIN, o.c. p. 539.

2 Cf Missale Romanum, Orationes diversae... n. 22: Ad petendam compunctionem cordis.