Beato Giacomo Alberione

Opera Omnia

Effettua una ricerca

Ricerca Avanzata

VI
LA RETTA INTENZIONE1


(Ricordiamo la parabola del seme)2… Gli uccelli, lo hanno beccato; oppure fu pestato dai passeggeri; una parte cadde in terreno ghiaioso e come nacque così dissecò, perché non c’era umidità; una parte cadde tra le spine e nacque, ma le spine lo soffocarono. Quindi tre parti del seme non diede frutto. Ma una parte cadde in terreno buono: «Terram bonam et optimam» e produsse il trenta per uno, il sessanta per uno, il cento per uno, cioè un granello ne fece trenta, un granello ne fece sessanta, un granello ne fece cento3.
La vita di una persona può raggiungere i settant’anni e anche più. Ma supponiamo tre persone consacrate a Dio che raggiungano i settant’anni e che abbiano cinquant’anni di professione, perché hanno fatto la loro consacrazione a vent’anni. Guadagnano uguali meriti? Ecco la domanda di stasera. Ricevono le stesse grazie, sono nel medesimo istituto, hanno le medesime pratiche di pietà, fanno il medesimo apostolato, vivono la stessa vita religiosa, hanno gli stessi mezzi e le stesse difficoltà: alla fine avranno gli stessi meriti? La medesima corona in cielo? «Chi il trenta, chi il sessanta, chi il cento per uno».
Da che cosa dipenderà se gli anni di professione sono stati uguali? Dipende dalla perfezione con cui si fanno le opere, con cui si fanno le preghiere, l’apostolato, le relazioni con le altre persone; con cui si fa tutto, specialmente l’osservanza dei voti di povertà, castità, obbedienza, della vita comune e la pratica di quanto è prescritto dalle Costituzioni. Il modo, guardiamo al modo per arricchirci di un massimo di meriti, il cento per uno. Se le opere sono state uguali esteriormente,
~
perché una persona guadagna fino al cento per uno e un’altra meno? Diciamo il trenta, per seguire la parabola. Dipende dalla perfezione con cui si fanno le cose. Un’opera buona, supponiamo che siano tutte in cappella, dicano tutte le stesse orazioni, assistano alla stessa Messa, facciano assieme la Comunione, insieme la meditazione, ecc. Bisogna che le opere siano perfette, quanto più è possibile.
Un’opera, perché sia buona, deve avere quattro condizioni. [Primo], essere in grazia di Dio, se no non produce per l’eternità. Non bisogna tralasciarla, perché si spera che ottenga la grazia della conversione, ma di per sé non merita per l’eternità. Bisogna che sia fatta in grazia di Dio, altrimenti è come se piantassimo un bastone secco che non fiorirà e non darà frutto. Secondo: è necessario che l’opera sia anche buona. Se uno dice una bugia, non può guadagnare merito, è chiaro. L’opera sia buona. Se una fa una mormorazione, non dice delle buone cose allora non guadagna merito. È una mormorazione, per quanto lei pensi che sia cosa giusta dire quelle cose, fare quei rilievi, ecc.
Terzo: [bisogna] che l’opera sia ben fatta. Perché, per quanto sia buona, se non è ben fatta, se le orazioni le dici male, non è ben fatta la preghiera. Se ciò che è l’ufficio, cioè l’apostolato da compiere, viene fatto male, è chiaro che non può guadagnare meriti. Potrà guadagnare qualche merito, se non è proprio mal fatto. Certo, guadagna merito minore.
La quarta condizione è l’amore con cui si fa, cioè la rettitudine di intenzione. Quanto più l’intenzione è pura, quanto più è animata dall’amore di Dio, quanto più si rivolge a un numero maggiore di persone, come sarebbe fare la propaganda collettiva, tanto maggiore è il merito. La rettitudine di intenzione, in pratica, vuol dire fare le cose per amore. Intenzione: che cosa è? Come si spiega l’intenzione? Viene da una parola latina che vuol dire: in-tendere. Ho detto una parola buona a quell’uomo, io intendevo che la prendesse bene, avevo questa intenzione, e invece l’ha presa male. Tu intendevi un bene, ecco la retta intenzione. E invece può essere che quell’uomo l’abbia presa bene, allora tu hai sempre uguale merito, perché avevi intenzione di fargli un bene. Ma lui non l’ha presa bene
~
ed è lui che perde, non tu. Oppure lui l’ha presa bene e tu hai uguale merito, sia che lui l’abbia presa bene, sia che l’abbia presa male. Notare però che ci può essere una intenzione più intensa e una meno intensa. La santissima Vergine, in ogni opera buona che faceva, la sua intenzione, il suo amore a Dio era intensissimo. Quindi le sue opere anche le più semplici: preparare il pane e fare gli abiti al Bambino Gesù, al fanciullo Gesù, preparargli la scodella della minestra, quindi cose semplicissime ma ricchissime di meriti.
Che cosa è allora l’intenzione retta? Retta vuol dire che parte da te che vuoi fare quell’opera buona, e la fai per il Signore. Ecco, va diritta al Signore, perché quell’azione tu l’hai indirizzata al Signore. Invece se fai quell’opera solo per farti vedere, perché sei brava a cantare, supponiamo, e vuoi fare sentire la tua bella voce, l’intenzione non va a Dio: gira e gira e poi torna a te. Che soddisfazione hai, e ti dicono: Brava, canti bene! Quindi [l’intenzione] va in giro, torna lì e muore, è finito, se pur non c’è ancora un debito per il purgatorio. L’intenzione non è arrivata in paradiso.
L’intenzione retta è quella che parte da noi, va diritta a Dio. Una lettera che ha l’indirizzo giusto parte e va al destinatario; una lettera che ha l’indirizzo falso, non arriva, si perde oppure ritorna indietro, perché c’è l’intestazione sulla busta. Una lettera senza indirizzo va a nessuno, non arriva a nessuno. Ecco: l’opera indirizzata a Dio arriva in cielo; l’opera con falso indirizzo non arriva alla persona cui è destinata e l’opera non indirizzata a Dio non arriva al Signore. L’opera senza indirizzo, che non è ordinata a Dio, non arriva a Dio; se c’è l’indirizzo falso, cioè l’amor proprio, la propria soddisfazione, ecco, l’indirizzo è falso, vuol dire che a Dio non arriva e l’amor proprio la fa ritornare a te stessa. Quindi, una magra soddisfazione aver faticato a imparare a cantare bene quella Messa, e poi nessun merito. «Hanno lavorato tutta la notte e non hanno raccolto nulla»4. Hanno lavorato tutto il giorno e forse hanno fatto un po’ di bene agli altri, ma per sé niente. Perché anche se canti bene la Messa e non l’accompagni con l’intenzione retta, non
~
va a Dio. Canti sulla terra, ma gli angeli non l’ascoltano quel canto, quindi non lo presentano a Dio.
Però notate questo: qual è la retta intenzione? Una persona può dire: Io dico il Cuore divino di Gesù al mattino, mi basta. Vi offro tutte le orazioni, azioni e patimenti in unione con il Cuore di Maria, con le intenzioni con cui vi immolate sugli altari, cioè tutte le intenzioni di Gesù nella Messa. Va bene così? Benissimo, non può esserci di meglio! Un’altra persona può dire: Io faccio tutto alla maggior gloria di Dio. Dunque sono due intenzioni diverse? No. C’è una linea retta su cui ci sono tanti punti: uno le fa con le intenzioni del Cuore divino di Gesù, nel corso della Messa, l’altro le fa alla maggior gloria di Dio; l’altro le fa per beneficare una persona e portarle un po’ di luce, un po’ di conforto con il suo apostolato; un’altra le fa per le anime purganti; un’altra per ottenere la conversione di un peccatore; un’altra per le vocazioni; un’altra persona le fa perché desidera arrivare a fare maggior bene.
Queste intenzioni sono tutte buone, tutte sulla via retta. È sempre via retta, ma con tanti punti, come avete fatto la Via Crucis con la vostra bella intenzione di imparare quanto Gesù ha sofferto, imparare quello che dobbiamo soffrire pure noi per l’eterna salvezza e per domandare a Gesù la pazienza e le grazie necessarie per il progresso. Le stazioni sono tante, ma sono tanti punti, sono quattordici punti, tutti buoni, sia che tu vada per la prima stazione e domandi le grazie della prima stazione, sia che tu vada alla seconda e domandi le grazie per la seconda stazione, ecc. Sono punti, ma di una Via Crucis unica. Così le intenzioni rette sono innumerevoli, sono tanti punti. Io lo faccio oggi per l’Angelo custode che mi assista; oggi invece io penso alla Madonna, perché è sabato, e faccio questo per la Madonna; oggi è il giorno del Divin Maestro, e voglio capire meglio il Divin Maestro, seguirlo; oggi sono nel giorno della Confessione: voglio fare tutto per fare una santa Confessione, accompagnata da proponimento e da dolore: benissimo! Tutti punti della medesima via retta che finisce sempre in cielo.
Quindi se c’è l’intenzione retta è una lettera che va al Padre celeste. Se l’indirizzo è falso, va in qualche luogo dove non deve andare; se è senza indirizzo, è mancanza di intenzione, è
~
un fare casualmente, perché bisogna fare così, altrimenti poi si va dietro alla comunità senza pensare, così, ciecamente, senza spirito: bisogna adattarsi, non bisogna aver rimproveri, non bisogna fare eccezione, e faccio la Comunione, perché tutti mi guarderebbero se non la facessi...
La retta intenzione è necessaria? Sì. La retta intenzione e i gradi di retta intenzione sono: fare per intenso amor di Dio oppure meno intenso, ma è ancora amor di Dio. Ad esempio, quando c’è l’intenzione purissima, ultima: Ad maiorem Dei gloriam: Alla maggior gloria di Dio5, va proprio nel punto più alto, va alla Trinità direttamente. Quando ci sono più intenzioni, allora la carità si estende: Oggi ho lavorato nell’apostolato collettivo, sono arrivata a cento fanciulli a cui ho portato un bel libro. Ecco, a cento fanciulli si è usata la carità. Perché se portate una scodella di minestra a un povero, è buona cosa, è un atto di carità, il Signore lo conta; ma se invece ne portate una pentola, perché sono cento i poverelli, allora, portando quella pentola, la direzione è a cento anime, cento persone, cento bocche... Cento anime avranno buona impressione, cento bocche per sfamarle. Ecco allora il moltiplicarsi delle intenzioni.
È necessaria l’intenzione retta? Certo. Nelle vostre condizioni, parlando della comunità, è necessaria più che per altre condizioni. Che operate in grazia è certo. Siete buone figliole di Dio che osservate le Costituzioni, quello che è prescritto, tutto buono: gli orari che sono dati, gli articoli delle regole, tutte cose buone, e anche buone le occupazioni che avete. Poi che si facciano bene. Generalmente c’è un po’ di impegno, ma l’intenzione è così spirituale che a volte è difficile scoprire perché c’è quell’opera, scoprire se è fatta per Dio, per il paradiso, per la gloria del Signore, per maggior merito, per soddisfare ai peccati. L’intenzione è la cosa più nascosta, intima, quindi c’è necessità di badare alle intenzioni che si hanno nelle varie azioni.
Ci sono intenzioni false: l’ambizione, il farsi notare; il non essere rimproverate o avere dei richiami; che non si perda la stima innanzi alle sorelle... E a volte poi, vi sono anche cose
~
fatte per sdegno, altre quasi per invidia, per emulare, passare prima e fare miglior figura... Intenzioni che avvelenano tutta l’azione, anche se è buona in sé, anche se richiede sacrificio. Vedere di pesare le nostre intenzioni, perché è facile che il sacrificio, l’osservanza religiosa, la fatica che si usa resti un poco avvelenata come un bicchiere d’acqua nel quale ci sono entrate gocce di veleno o anche più gocce di veleno.
Allora, bisogna dire così: Non guardare alla grandezza dell’opera, ma guardare invece all’intenzione [messa] nell’opera. Può essere che guadagnino due meriti uguali chi fa una pittura e chi spazza; chi fa un bel ricamo e chi rappezza un paio di scarpe. Il Figliuolo di Dio, Gesù Cristo ha lavorato al banco di falegname per tanti anni, da dodici anni a trent’anni! Il Padre celeste ha mandato il suo Figlio a fare il falegname per tanti anni sulla terra: perdeva il tempo, valevano poco le sue opere? Il suo sudore di falegname valeva quanto il sudore di sangue di Gesù nell’orto. Tutto era redentivo, perché aveva il valore dell’obbedienza, del fare la volontà di Dio: «Quae placita sunt ei ego facio semper: Io faccio sempre quel che piace a Dio»6. Questa mattina avete sentito la conclusione del tratto di Vangelo nella Messa: «Faccio sempre quel che piace a Dio». Rinnegare la nostra volontà, fare momento per momento quello che piace a Dio: questa è l’intenzione altissima e questo viene pagato sicuramente da Dio. Pagato, perché è un ordine che ti ha dato Dio, come il padrone dà un ordine al servo. Se tu fai ciò che ti ha ordinato Dio, Dio te lo paga come tu, padrone, vedi che il servo esegue ciò che gli hai ordinato e devi pagare il servo che ha fatto ciò gli hai ordinato.
Una può scrivere dei libri altissimi, di teologia ascetica, mistica, oltre che di dogmatica. S. Bonaventura7, altissimo dottore della Chiesa, protettore di Albano, perché è stato vescovo ad Albano, scrittore insigne, frate umilissimo, poi vescovo, arcivescovo, cardinale, un giorno stava scrivendo al tavolino, e viene il fraticello laico a fare la pulizia alla camera. Era una
~
povera camera, e di ricco c’era solamente ciò che contenevano i libri e la santità di chi la abitava. A un certo punto quel fraticello si mette umilmente davanti al cardinale Bonaventura e gli dice: Beato voi, che sapete tante cose, così potete amare tanto il Signore e farvi tanti meriti. Il cardinale, che era veramente sapiente, gli rispose: Senti, se una vecchierella amerà il Signore più di padre Bonaventura, avrà più meriti per il paradiso che non padre Bonaventura.
Non fa niente che dobbiate essere cuoche o dobbiate servire a tavola le Maestre che a un certo punto vengono a tavola dopo che hanno insegnato, perché hanno studiato. È più facile che si faccia santa la cuoca che la Maestra, perché la Maestra è più tentata di vanità, quindi del merito resta soltanto forse un pezzo, quando non lo perde tutto, perché il veleno dell’amor proprio finisce con il guastare l’opera. Il Signore si volge benignamente a quella che fa la minestra e prepara l’insalata, e soddisfatto benedice e segna a merito quello che ella fa. Invece volta via la faccia da quella che sembra più grande davanti agli uomini, ma non è grande davanti a Dio. Beate le persone che hanno uffici umili, se ne sanno approfittare, anche se dovessero sempre stare nell’obbedienza, mai comandare; se dovessero sempre attendere a uffici umili e mai sentirsi umiliate, confuse, disgustate. Beate le persone che servono in continuità ad altre persone; beate quelle che si vestono con gli abiti che le altre hanno usato e già messo da parte, perché meno convenienti secondo loro. Beate quelle che sono dimenticate e di cui nessuno si cura. Beate quelle che sono sempre caricate di uffici, di pesi e dei lavori più faticosi. Beate quelle che sono male interpretate, giudicate male. Beate quelle che hanno sofferto e hanno subito l’umiliazione, a volte tanto grande, di farsi servire. In sostanza, così è più facile avere retta intenzione, più facile arricchirsi di meriti.
La retta intenzione, quanto è preziosa, e tuttavia quanti pericoli ci sono! Persone che, messe in un ufficio un po’ più distinto, perdono la testa, si credono qualche cosa. Ma non sapete che il piviale che porta il Papa e la bluse di colui che spazza le stanze e le strade sono due lavori, sono due posizioni diverse: ma chi guadagna di più? Chi ha più amore, che vuol
~
dire: più retta intenzione. Non importa il resto. Il merito, la ricchezza per il paradiso può guadagnarlo colei che è dimenticata da tutti, in un ufficio umile e lo fa in pazienza, in obbedienza al Signore, docilmente. Si arricchisce il cento per uno.
Allora, due applicazioni. La prima è vigilare su di noi, interrogarci, come dicevo stamattina, nell’esame di coscienza con un’occhiata: Cuore mio, dove vai, che cosa pensi, per chi fai questo? Interrogarsi, perché non entri nessun veleno. Vi siete consacrate a Dio, potete arrivare al cento per uno! Vigilare sulle intenzioni! Tutto per il Signore. Allora sì che si vive contenti, perché si sa che si lavora per un premio che non va fallito, che è sicuro: Ut digni efficiamur promissionibus Christi. Diciamo: Ora pro nobis sancta Dei Genitrix. Perché diventiamo degni di ciò che ci ha promesso il Signore8, il paradiso.
Per una persona, che ho conosciuto anch’io, quando è defunta, hanno fatto questione perfino tra infermiera e superiora: Tanto l’abito va a marcire nel sepolcro, mettiamole quello che è più scadente.... Questionare sull’abito da mettere alla salma di una suora defunta. L’infermiera, che era brava e conosceva la virtù dell’altra disse: No, faccia il favore Madre, prendiamo l’abito più bello, nuovo. È stato un segno chiarissimo che quella defunta era arrivata a una bella gloria in paradiso, lei che in vita era impegnata soltanto in servizi umili, e persino disprezzata, disistimata dopo morte.
Vediamo di vigilare, perché non avvenga che «…per totam noctem laborantes nihil cepimus: abbiamo faticato tutta la notte e non abbiamo preso niente»9. Dicono che una certa signora amava molto i suoi orecchini d’oro, i suoi braccialetti, le sue catenelle, ecc. e ne faceva pulizia. Dopo che li aveva puliti, li metteva sulla finestra al sole, e una gazza, mentre lei non c’era, ha portato via tutto. Persone che faticano e raccolgono poco! Vedremo in paradiso chi ha raccolto di più! Volete raccogliere il massimo? Siate sapienti della vera sapienza. Non facciamo tanti ragionamenti umani. Guardiamo il cielo, il cento per uno. Adesso, allora dire bene il Vi adoroVi offro le azioni
~
della giornata, tutte. Poi, ripetere sovente il Cuore divino di Gesù, io vi offro, ecc. come vuole l’Apostolato della preghiera10.
Terzo, di tanto in tanto, uno sguardo al cielo: Per il Signore! Magari si mette la mano al petto, sul cuore: Per Gesù! Basta! Specialmente in momenti difficili.
Allora la retta intenzione. Tuttavia è molto importante che vi dica anche questo. Dicendo le intenzioni con cui Gesù si immola nella Messa, sull’altare, noi comprendiamo: primo, le intenzioni più rette, le più sante del Cuore di Gesù per noi non ce ne sono altre. Secondo, sono più numerose, le più sante perché sono di Gesù e Gesù piace sempre al Padre. Il Padre celeste ha detto: «Questo è il mio Figlio diletto in cui mi sono compiaciuto»11, cioè che mi piace. Siccome Gesù ha queste intenzioni più belle e più numerose, noi finiamo con l’avere una molteplicità di intenzioni, non una, ma tutte quelle di Gesù. Allora, ecco: noi non pensiamo a un peccatore soltanto, non pensiamo solo al papà, alla mamma che sono defunti, ma pensiamo a circa tre miliardi di uomini e quindi le intenzioni si moltiplicano e sono le più belle: Che sia gloria al Signore e che siano salve tutte queste anime. Intenzioni più belle, più numerose: il cento per uno!
Preghiamo che sappiate scoprire questo tesoro nel vostro cuore: Voglio il cento per uno, cioè il massimo. Per i cinquant’anni di vita religiosa, il massimo! E allora le nozze sono davvero nozze d’oro con l’Agnello immacolato, con Gesù in cielo. Sono d’oro!
Coraggio! Il Signore vi vuol bene, vi ha chiamate perché rendiate il cento per uno. Non importa che uno abbia poche doti, che una persona abbia un ufficio umile, che sia magari tutta la vita di peso agli altri perché sempre malata, si arricchisce ugualmente. Andrà al cento per uno.
Temiamo le cattive intenzioni, le intenzioni inutili, e non dimentichiamo mai la retta intenzione: Vi offro le azioni della giornata, fate che siano tutte conformi alla vostra santa volontà.
~

1 Meditazione tenuta ad Ariccia (RM) il 27 febbraio 1961. Trascrizione da nastro: A6/an 97a = ac 162b.

2 Manca l’inizio. Frase presa da una trascrizione precedente.

3 Cf Mt 13,3-8.

4 Cf Lc 5,5.

5 Motto che S. Ignazio di Loyola volle per la Compagnia di Gesù.

6 Cf Gv 8,29.

7 S. Bonaventura da Bagnoregio (1221-1274), ministro generale dell’Ordine francescano e Dottore della Chiesa. Per diciassette anni fu vescovo di Albano Laziale (RM).

8 Prega per noi, Santa Madre di Dio. Versetto dell’Angelus.

9 Cf Lc 5,5.

10 L’Apostolato della preghiera è sorto in Francia a Vals presso Le Puy, il 3 dicembre 1844 per iniziativa del padre gesuita Francesco Saverio Gautrelet (18071886). In seguito padre Henri Ramière SJ (1821-1884) ha diffuso questo servizio alla Chiesa in tutto il mondo.

11 Cf Mt 17,5.