Beato Giacomo Alberione

Opera Omnia

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7. IL DONO DELLA PIETÀ1


Questa mattina chiediamo allo Spirito Santo il dono della pietà. Il dono della pietà è uno dei sette doni dello Spirito Santo: è il dono che ci porta ad amare il Signore con tutto il cuore, con tutta l’anima, e che porta ad amare le cose divine per il Signore in quanto si riferiscono e servono al Signore. Il dono della pietà è un perfezionamento delle pratiche devote, cioè delle preghiere che si devono recitare e delle pratiche che si devono fare secondo la Regola. È un perfezionamento: se si vuole capire tutto in una parola, invece di considerare il Signore soltanto come creatore, padrone e giudice, lo si considera come padre, amico e salvatore!
Come padre, perché Iddio è veramente nostro Padre, è il primo Padre, sia perché tutto ha creato, anche l’anima nostra, sia perché nel Battesimo ci ha dato la vita soprannaturale che viene da Dio ed è vita divina. Sì, Padre: «Filii Dei sumus et nominamur»2, cioè «nominamur et sumus», siamo chiamati figli di Dio, «Dedit eis potestatem filii Dei fieri»3, e lo siamo realmente. Quando diciamo Padre nostro, non facciamo soltanto questo pensiero: considerare il Padre celeste come si considera un sacerdote che s’incontra per la strada. Il sacerdote può anche essere padre dell’anima, in quanto conferisce il Battesimo, amministra il sacramento della Penitenza. Il sacerdote fa il ministero, ma chi dà la vita è sempre Dio. Allora si tratta con Dio, non in spirito di timore, ma in spirito di amore: «Non iterum accepistis spiritum timoris, sed amoris, adoptionis». Per cui: «…in quo clamamus: ‘Abba, Pater!’»4. Per questo spirito di amore noi chiamiamo il Signore: Padre nostro, come ci ha insegnato Gesù. Questo Padre lo si ama, si va a lui con la
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confidenza filiale di bambini, di figliolini che accorrono all’apparire del padre, un po’ come si faceva noi da bambini. E il padre ci riceveva con affetto, ci ascoltava, ci aiutava, esaudiva le nostre domande. Dio è il Padre più buono, e noi siamo suoi figli buoni e docili. Quindi, si stabilisce fra noi e Dio una relazione intima.
Considerare poi Gesù, non tanto come colui che ci attende dopo la morte per giudicarci, questo va anche fatto, non tanto per il peccato, perché ci sono i castighi, ma perché si ha paura di dispiacere a Gesù. Non è il timore che ci conduce, ma è lo spirito di pietà filiale, cioè di amore a Gesù. Non gli si vuole dare nessun dispiacere. Quando chiede una cosa, lo si vuole accontentare e più di come si accontenta una persona che ci chiede qualche cosa che possiamo fare. Vi sono persone che si distinguono. Scriveva un tale, dopo che c’era stata la visita alla casa dove egli era superiore. Chi ci aveva fatto la visita godeva nel farci del bene e nell’esaudire le nostre preghiere; aveva più piacere lui di donarci quello che chiedevamo che noi stessi nel riceverlo. E così è Gesù che ha dato il suo sangue perché noi fossimo beneficati, perché avessimo il perdono dei peccati, perché gli chiedessimo le grazie, e ha messo a nostra disposizione i suoi meriti. Noi possiamo sempre presentarci al Padre con i meriti di Gesù Cristo in mano.
Quindi familiarità con l’Ostia. Come si trova bene la persona che quando va a pregare entra nell’intimità, dice a Gesù tutto con semplicità e sta ad ascoltare le sue ispirazioni, i suoi suggerimenti! Intimità, tranquillità, serenità: non va a pregare per forza, ma va lieto, perché quella è l’ora più dolce, più riposante, l’ora della maggior distensione dei nervi, perché è tutto il cuore che lavora. Come dice allora l’Imitazione di Cristo: Stupenda familiaritas, una stupenda familiarità con Gesù: Dulcis sermocinatio: Un dolce discorrere5 con Gesù, come se fosse lì accanto; e vi è.
C’è la fede? Allora si stabilisce tra Gesù e noi l’amicizia. L’amicizia suppone un’intimità, suppone un desiderio di volere il bene dell’amico e di fargliene. Viceversa si aspetta dall’amico il bene. Questa amicizia suppone scambio di doni: Sono
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tutto tuo e tu sei tutto mio. Se ripetete la [formula] della consacrazione, Gesù vi risponde. E come risponde? Con l’aumentare la grazia che avete avuto nella professione. Si può sempre vivere la professione, sentirla, e ogni volta che si ripete, Gesù risponde con le sue promesse: «Avrai il centuplo, possederai la vita eterna»6. Il centuplo è questo: le grazie. Ai cristiani le grazie in quel limite, a te il centuplo, perché: Sei stato generoso, mi hai dato tutto te stesso. Allora lo scambio di doni, e ne viene un ringraziamento spontaneo, cordiale.
Quando si ha questa intimità si sente la voce del cuore, la voce dello Spirito Santo, si sente la sua operazione nell’anima nostra: aumento di fede, di fiducia, aumento di carità. Si sente lo spirito di religione, spirito che la suora deve sentire tanto. Considerando il Signore come Padre e come Maestro, come cibo dell’anima nostra, cibo eucaristico, come ostia immolata per noi, l’anima si persuade che lasciando tutto ha guadagnato tutto. Non le passerà mai per la testa: Sono pentito di aver lasciato quello che potevo trovare in una famiglia, qua e là, nel mondo.... Vale più un giorno con Dio che diecimila giorni con ciò che poteva dare il mondo.
L’entusiasmo per la vita religiosa che si è sentito quando si è fatta la professione, aumenta, cresce. La persona è sempre più contenta di essersi donata a Dio, sempre più lieta, ed è questo che allieta la vita religiosa: possedere il meglio, possedere i beni spirituali, l’amicizia di Gesù e ciò che Gesù manda a noi quando dice: «Lo Spirito che io vi manderò dal Padre, vi dirà tutto, vi suggerirà tutto e vi farà capire tutto»7. Allora si vedrà che quella persona va avanti sempre anche in mezzo alle difficoltà, alle tentazioni, qualche volta anche nella sofferenza, ecc., lieta, serena, uguale a se stessa. E più si avvicina l’incontro definitivo con Gesù: «Laetantes ibimus: Lietamente andiamo»8, e dove? Al Signore che ci aspetta. La morte è solamente la porta che si deve spingere e che viene spinta dal male per l’incontro con Gesù. Quando c’è questa intimità, l’anima si
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sente sposa di Gesù Cristo, sente di possedere uno sposo che è Dio. Che cosa poteva darci uno sposo terreno? Che cosa poteva darvi Dio eterno, il vero amico? Voi siete i miei amici: «Iam non dico vos servos sed amicos: Vi chiamo amici»9.
Allora, si considera la Chiesa in un’altra visione: il corpo mistico di Gesù Cristo. La Chiesa infallibile e feconda ha l’autorità di condurci nelle vie del cielo. Si considerano le superiore, i superiori, non come coloro che vengono per governarci, ma le persone che il Signore ha messo accanto a noi per condurci più sicuramente nella via del cielo. Le persone con cui si vive si vedono come compagni di strada che conduce al cielo. E si ama tutto quello che riguarda il Signore: la chiesa, l’altare, si amano i fiori per l’altare, si ama il bel canto, si amano le belle e solenni funzioni e si ama il confessionale e lo si considera sotto un altro aspetto, perché l’amore è concentrato in Gesù e il confessionale diviene un’altra cosa.
Ci sono persone che non hanno abbastanza fede e persone che vivono di fede. Ecco chiedere al Signore lo spirito di fede e quindi il dono della pietà filiale verso Dio, il dono di penetrare le cose divine: «Spiritum gratiae et precum: Lo spirito di grazia e di preghiera», allora l’anima sente che sulla terra ha Gesù. Qualche volta ripenso alla fortuna che tante persone hanno avuto: gli apostoli, la Maddalena e le tante persone che hanno incontrato Gesù, che si sono trattenute con lui qualche momento e l’hanno visto. Ma qui Gesù c’è tutto il giorno, notte e giorno è qui, vi aspetta e porta il Calvario qui, perché non invidiate né Maria né Giovanni che hanno assistito ai piedi della croce Gesù che moriva. Gesù ha dato una volta la Comunione agli apostoli, ma voi la ricevete sempre.
Gesù sta qui anche quando noi lo dimentichiamo. Lui è qui e ci segue dovunque andiamo, specialmente quando noi non diamo niente a nessuno, ma ci raccogliamo con lui. E magari dormendo, cioè prima di addormentarci, voltiamo la testa verso la cappella. E al mattino la prima cosa: Gesù sta là. Mi ha chiamata per mezzo di chi ha dato il segno, e mi chiama: Eccomi pronta. Allora sì che si vive la vita che è preludio
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al paradiso. Qui si vive in continuità di unione con Gesù, specialmente quando c’è l’unione sacramentale nella Comunione. E non ci sono più i bisogni naturali, si contempla mentre si ha fede, lo si vede faccia a faccia. L’anima si alimenta di questi pensieri, di questi sentimenti, e quindi fa una preparazione diretta al paradiso. Allora sì che la vita religiosa è un’anticamera del paradiso, altrimenti diviene un annuncio di purgatorio.
Quando la preghiera viene a noia, e la noia può venire per infermità nostra, se noi non acconsentiamo a questa noia, ma ci sentiamo felici di stare con Gesù con la volontà, allora il fervore c’è ugualmente e il Signore ci accetta ugualmente. «Caro infirma, spiritus promptus: La mia carne è inferma, ma lo spirito è pronto»10. Ti amo, o Gesù. Chiedere questo dono dello Spirito Santo: «Donum gratiae et precum»11. Cambiate la vostra vita proprio in letizia santa, così da essere tanto riconoscenti della vocazione, e ciascuno deve essere riconoscente proprio dello spirito che ha la sua Congregazione, il suo Istituto dove è stata alimentata spiritualmente, dove ha preso la via che la conduce al paradiso.
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1 Meditazione tenuta ad Albano (RM) il 7 febbraio 1961. Trascrizione da nastro: A6/an 93a = ac 158a.

2 Cf 1Gv 3,1: «Siamo chiamati figli di Dio e lo siamo».

3 Cf Gv 1,12.

4 Cf Rm 8,15.

5 Cf Imitazione di Cristo, II, I, 1.

6 Cf Mt 19,29.

7 Cf Gv 16,13.

8 Cf Sal 122,1.

9 Cf Gv 15,15.

10 Cf Mt 26,41: «La carne è debole, ma lo spirito è pronto».

11 Cf Zc 12,10: «Spiritum gratiae et precum: Uno spirito di grazia e di consolazione».