2. LE VIRTÙ TEOLOGALI1
I. Spirito di fede
Il ritiro mensile è sempre tanto utile, ma lo è particolarmente nell’inizio dell’anno nuovo 1961 che vi auguro lieto, santo. Si tratta anche di dare uno sguardo all’anno che è finito e uno sguardo in avanti per l’anno che abbiamo incominciato.
Ora bisogna pensare anche alla circostanza straordinaria di oggi: l’Epifania. S. Paolo e S. Pietro sono i due portatori del Vangelo in Italia. Epifania vuol dire manifestazione, celebrazione di questo grande avvenimento: la dottrina di Gesù, la sua grazia è stata portata da S. Paolo e da S. Pietro in Italia. Epifania, manifestazione, cioè Gesù si è mostrato a noi pagani per mezzo di S. Pietro e di S. Paolo.
Oggi è celebrata una triplice manifestazione di Gesù: nel presepio ai Magi condotti dalla stella; manifestazione del Padre celeste che presenta Gesù, perché si celebra anche il Battesimo di Gesù, che verrà poi celebrato in un giorno particolare, ma oggi è ricordato nell’antifona del Benedictus2. Gesù è battezzato, «et orante», dice il Vangelo, perché le grazie grosse vengono sempre pregando. Nei grandi avvenimenti della vita di Gesù Cristo, il Vangelo dice: Pregava. E non pensiamo ad altro che giovi di più: preghiera! «Jesu baptizato et orante apertum est caelum, si aprirono i cieli e la voce del Padre si fece udire, lo manifestò: «Ecco, il mio Figlio diletto in cui mi sono compiaciuto»3.
Poi la terza manifestazione, quando Gesù, creduto fino allora un falegname qualunque, a Cana si manifestò che era un
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uomo straordinario, il Figlio di Dio incarnato venuto a portare la buona novella, il Vangelo e cioè la redenzione al mondo intero. Triplice manifestazione, specialmente quella per mezzo della stella dei Magi, chiamati dall’Oriente, chiamati tra i pagani, fra cui anche noi italiani. Riconoscenza a S. Pietro che fu il primo a venire [a Roma]; riconoscenza a S. Paolo che fu il secondo a venire, perché era disposizione di Dio che egli, come gli aveva detto Gesù nell’apparirgli quando era in carcere in Oriente: «Come mi hai dato testimonianza in Gerusalemme davanti ai tribunali, così dovrai darmi testimonianza a Roma»4. Egli non poteva certamente sapere tutto, perché Dio conduce le anime docili sempre un po’ al buio perché si abbandonino a lui. Voi siete al buio, vedete poco nelle cose di Dio, ma se vi abbandonate a lui, Dio vi conduce. Se noi andiamo avanti con i nostri ragionamenti, tutto finisce, la vita cristiana e specialmente la vita religiosa vengono distrutte.
Allora, dobbiamo considerare questo grande dono della fede. D’altra parte il ritiro mensile è sulla fede, la speranza, la carità, perché se ci sono le virtù teologali, quelle religiose vengono da sé. Che cosa sono le virtù religiose? Sono l’osservanza un po’ più perfetta delle virtù teologali: fede, speranza e carità. Se non c’è fede profonda, non ci sarà l’obbedienza; se non c’è carità profonda, non ci sarà la castità, e se non c’è speranza profonda, non ci sarà la povertà. Le mancanze contro la vita religiosa e contro i voti vengono dalle mancanze alle virtù teologali: fede, speranza e carità.
Che cosa stiamo tante volte a dire questo e quello in particolare? O si è osservanti in questo o si è osservanti in quello. Sii osservante della fede: pratica e spirito di fede; sii osservante della speranza: pratica lo spirito della fiducia in Dio, cioè della speranza; sii un po’ più amante di Gesù e tutti i problemi vengono risolti. Altrimenti ci rivolgiamo di qua e di là, a destra e a sinistra. Chi ti conforta se non Gesù? Che cosa ne avete dopo che avete parlato con questo o con quello? Un debito di più con Dio, perché non sappiamo rivolgerci a lui e cerchiamo… che cosa? Consolazioni umane? E la religiosa – e vedo
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quanto fate – in generale ha rinunciato a tutto, non le resta che Dio. Che cosa avete di vostro? Di nostro niente. Solo i meriti che ci portiamo nell’eternità. Non sarà nostra neppure quella veste che ci metteranno addosso per chiuderci nella cassa. E neppure la tomba. La diciamo nostra per dire che andiamo là, ma realmente neppure la tomba ci appartiene. La suora neppure della sua tomba può disporre. No, non può dire: Mi faccio seppellire nel tal posto, per esempio, al mio paese o nella tomba di famiglia. Prima bisogna che seppelliamo il nostro io, altrimenti si sostituisce Dio nell’anima nostra. Il nemico di Dio è il nostro egoismo, sotto tante forme, ma è sempre egoismo.
Allora, primo: la fede. Lavorate tanto, lo so, ma voi date pure importanza alla pietà, in primo luogo, non è vero? Quindi il ritiro mensile deve portare un rinvigorimento della fede, speranza e carità.
La fede che cos’è? La fede è credere ciò che non si vede. Non vediamo Gesù nell’Ostia. La fede: Praestet fides supplementum, sensuum defectui5. La fede supplisce agli occhi: gli occhi non vedono Gesù, ma lo crediamo [presente]. Gli occhi non sentono il gusto di Gesù, ma lo crediamo; la lingua nostra tocca solamente un po’ di pane, ma crediamo! Ecco allora, questa è fede! Che si recitino i dodici articoli del Credo questo è chiaro: Credo in Dio Creatore del cielo e della terra, in Gesù Cristo, suo unico Figliuolo, Signore nostro. E la vita di Gesù. [Credo] la Chiesa e la risurrezione della carne, la remissione dei peccati e la vita eterna. Sono le verità più sicure che dobbiamo credere e che un giorno vedremo, conosceremo e formeranno i principi della nostra beatitudine eterna in paradiso.
La felicità eterna è proporzionata alla visione di Dio. La felicità eterna dipende dalla visione di Dio e la visione di Dio dipende dallo spirito di fede che abbiamo [coltivato] qui sulla terra. Chi vedrà meglio Gesù? Chi contemplerà meglio il mistero della Trinità e tutti i misteri che il Signore ci vorrà rivelare? Chi ha avuto più fede. Se noi sapessimo che tesoro è la
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fede, diremmo subito al Signore: Rinuncio a tutto, ma voglio conoscere te. E «questa è la vita eterna», come recitate nella Visita: «Haec est vita eterna ut cognoscant te et quem misisti Christum Jesum: questa è la vita eterna: che conoscano te, Padre celeste, e che conoscano colui che tu hai mandato, Cristo Gesù, il Salvatore»6.
Credere poi al valore della vita religiosa, al merito speciale di chi vive in stato di perfezione. Credere a quegli articoli, o meglio, a quei versetti del Vangelo che si riferiscono alla vita religiosa: «Beati i poveri... beati i mondi di cuore, beati coloro che hanno fame e sete della giustizia di Dio»7. Questi sono i germi, diciamo così, le verità centrali, un po’ anche coperte e subito non intese. Ci vuole luce, luce, luce per comprendere, per penetrarle. Troverete delle brave persone che non hanno il desiderio della vita comune, non hanno la tendenza a fare i voti. Perché? Non c’è luce. E quante vocazioni si perdono! Fede nella vita religiosa, nel valore, nel prezzo della vita religiosa, nel segreto di gioia e di felicità che c’è nella vita religiosa; nel valore della Messa, nella grazia di poter fare tutti i giorni un’ora di adorazione e nascondersi in Gesù e, dimenticando tutto, entrare nell’intimità delle comunicazioni con Gesù. La fede è la base di tutto, da lì nasce la speranza e nasce la carità. Fede, per venire un poco al particolare. Bisogna dire che c’è la fede, ma poi c’è anche lo spirito di fede. Vi sono alcuni che recitano il Credo e l’Atto di fede e credono a tutti gli articoli del Credo e dell’Atto di fede. Ma ci sono altri che vanno più avanti e hanno lo spirito di fede. Lo spirito è più che la fede. Lo spirito di fede è una persuasione, la penetrazione delle virtù e delle verità cristiane così che si finisce con il pensare, con il ragionare, con il parlare, con il vivere secondo Dio. Chi ha lo spirito di fede vede tutto in Dio: ciò che viene di lieto e ciò che viene di non lieto; ciò che è gioia e ciò che è dolore; ciò che è salute e ciò che sono malattie. Uno si trova in questa circostanza o in quell’altra: riceve delle lodi o magari dei
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disprezzi; se si trova in consolazione va avanti e se non si trova in consolazione lavora con volontà e va avanti lo stesso. Anzi apprezza di più l’umiliazione che il non essere apprezzato; apprezza di più il vivere poveramente che non avere tutte le comodità; apprezza di più una casa povera che una casa dove ci sono tutte le comodità. Apprezza di più stare con una persona che ha un carattere diverso che non con una che dice sempre sì, ma che in sostanza soddisfa e vive un po’ di amor proprio. Ma allora non è esercizio di carità, è esercizio di amor proprio: Mi trovo bene. Bisogna trovarsi bene davanti a Dio, non è vero? E allora non conosciamo la scienza della croce. Non sappiamo che cosa sia la povertà e non sappiamo che cosa sia il valore del dolore e non sappiamo neanche ciò che sia l’essere dimenticati, avere qualcosa da soffrire, gli orari da osservare e la bontà da praticare con tutti. In pratica allora si vive come se non si credesse.
Lo spirito di fede ci fa vedere tutto in Dio. Ci fa vedere il Bambino nell’estrema povertà. E io ne sono tanto lontano! Se non ho tutti i cuscini ben aggiustati e la pulizia perfetta, allora... ci si lagna. E se non ho tutto quello che dà gusto, che soddisfa, mediante questo e quello che piace, eh, che cosa si deve dire? Lo spirito di fede ci fa vedere tutto in Dio e ci fa ordinare tutto a Dio, cioè: questo per Gesù, questo per il paradiso. Sia benedetto il Signore che mi permette oggi di fare questi meriti, perché ho più occasioni, ho più tentazioni, ho certe difficoltà, magari intime, e ne parlo con Gesù. Chi ha spirito di fede parla poco e specialmente non parla di sé. Invece chi non ha spirito di fede va cercando lumi e consolazioni con molte chiacchiere. E quando ti sei ben sfogato, quando tu l’abbia ben detto, che cosa ne hai? E vogliono anche le consolazioni spirituali, vogliono che il confessore sia quello che piace a loro. Eh, povera gente! Si vede allora che c’è bisogno di chiedere al Signore maggior spirito di fede. Credere! «Dux eius fuit: La guida della sua anima è stato il Signore»8. Questo viene applicato a S. Teresa9e viene
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applicato ad ogni santo. Lo Spirito Santo infine si fa maestro dentro di noi. Quando c’è fede uno si consiglia, si confida e parla di tutto con Gesù, e tutto finisce lì ai piedi del tabernacolo. L’ora di adorazione è il vostro segreto di gioia, se si ha spirito di fede. È lì dove una persona apre tutto il suo cuore. Nessun uomo ci capisce del tutto, ma Gesù sì. E se qualche volta, perché abbiamo dispiaciuto a Gesù, l’abbiamo offeso, ci sentiamo scoraggiati, allora ci facciamo condurre e accompagnare da Maria… che mostrò Gesù ai pastori, mostrò Gesù ai Magi e mostrerà a noi Gesù.
Adesso tre applicazioni. Primo, siamo all’inizio dell’anno: C’è spirito di fede? Perché il Signore ci ha dato la grazia di cominciare il 1961? Per conoscere di più il nostro Dio, il nostro Gesù, e per amare di più il nostro Dio, il nostro Gesù. Per avere più fiducia in lui e meglio sperare il paradiso, ossia sperare meglio, più fermamente, vedere tutto in Gesù. Durante l’anno: crescere nel conoscere, amare, servire [Gesù]. Noi aggiungiamo qualche cosa: conoscere di più Gesù, amare di più Gesù e servire meglio Gesù. Più osservanti, religiose praticamente! Ogni anno ci è dato per progredire in questa conoscenza, in questo amore, in questo servizio a Dio. Al mattino ogni persona deve dire così: È nato il sole e in chiesa c’è un altro sole che è Gesù. Queste ore il Signore me le dà, perché oggi devo conoscere un po’ di più Gesù, quindi lettura spirituale ben fatta. Amare un po’ di più Gesù, quindi cuore più ordinato a Dio, tutto vedere in Dio e tutto fare per Gesù, per il paradiso. Devo servirlo meglio oggi con l’osservanza religiosa, non domani, ma oggi. E siccome siamo deboli, dire: Quest’oggi comincio, oggi voglio conoscere un po’ di più Gesù, voglio amare un po’ di più Gesù, voglio servire un po’ meglio Gesù: Oggi! Ogni mattina: Oggi comincio. Nunc coepi: Comincio adesso, così, in umiltà e nello stesso tempo con amore. Quindi considerare l’anno come un dono di Dio, la giornata come un dono di Dio, l’ora come un dono di Dio. Può essere che una si creda già sapiente, e può essere che una si creda un po’ già avanzata nella virtù, un po’ osservante. Ma finché non arriviamo a crederci gli ultimi, non cominciamo la vita spirituale.
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Seconda applicazione: benedire il Signore, perché ci dà la grazia dell’apostolato per diffondere la fede. Che grande dono il secondo articolo delle Costituzioni: diffondere la conoscenza, l’amore a Gesù, a Dio mediante l’apostolato. E voi lo fate largamente nelle librerie, tra gli operai, nella propaganda particolare, spicciola e capillare, nella propaganda collettiva e poi in tutte le occasioni che si presentano, ricordando tanto anche l’agenzia del cinema. In sostanza, tutto ciò che ci porta ad allontanare il peccato, ad esempio, [proporre] qualcosa di sollievo, come sarebbe una pellicola che sia innocente e quindi eviti che quegli spettatori vadano a vedere una pellicola che porta al male, che desta pensieri e sentimenti contrari alla santità, allo spirito cristiano. Tutto, tutto, ecco. Risparmiare qualche offesa a Gesù con le letture sane, anche con letture magari di sollievo. E quando si risparmia a Dio un’offesa, Dio stesso viene a noi riconoscente che gli abbiamo risparmiato un’altra volta la crocifissione, e allora il Signore dà a quest’anima altri beni, altri doni, altre grazie, con cui capisce l’osservanza religiosa e la carità, l’umiltà, ecc. Dunque, la fede! E diffondere la fede, sì: «Andate e predicate»10. Ecco la sublime vocazione di essere associate allo zelo sacerdotale11.
Terza applicazione: amare la vostra vita religiosa interna. Gesù ha cominciato la vita privata, la vita nascosta nel presepio. L’ha inaugurata lui la vita comune, la vita ritirata e l’ha apprezzata tanto che visse in vita privata, ritirata, trent’anni, mentre ha dato tre anni alla vita pubblica, soltanto tre anni. Il che vuol dire che dobbiamo badare molto anche alla vita ritirata e amare la Congregazione, amare le ore che si passano in casa, in chiesa, in conversazione, in compagnia lieta con le sorelle, edificandoci con cose sante e con discorsi che elevino lo spirito religioso. Ecco la vita ritirata, la vita comune! amarla tanto: comune il vitto, il vestito, comuni i pensieri, i desideri, i sentimenti. Cuore teso verso Dio, teso verso le anime; la gloria sia a Dio e la pace sia agli uomini. Ecco, la vita comune che
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ci porta a considerare nelle anime, nelle persone l’immagine di Gesù con cui ci si incontra tutti i momenti quando si vive in comune e si incontra Gesù nella sorella, nel fratello. Allora ciò è più che incontrare un quadro, una statua che sono sempre di altra materia. Invece un’anima è una cosa viva, è una persona, una sorella consacrata a Dio, molto più che non una statua che s’incontra qua e là. Là è marmo, oppure un po’ di scagliola, un po’ di legno o un metallo, qui è trovarsi sempre con l’immagine di Gesù dappertutto: quando si è in casa ci si incontra...
Inoltre considerare ciò che viene da Roma dove è dato il tono. È come quando si canta Vespro, c’è chi canta l’inizio: «Dixit Dominus»12 e intona le antifone secondo il tempo. Da Roma vengono intonate le antifone e il salmo, cioè tutti i versetti..., tutte le persone della Congregazione per uniformarsi alle direttive e tenerle preziose. Quanto meglio è dato il tono da Roma, tanto meglio le altre cantano poi bene i versetti corrispondenti all’intonazione; tanto più la Congregazione ne guadagna. La Congregazione si perfeziona e sono perfezionate le singole persone ed è perfezionato l’Istituto che piacerà sempre più a Gesù. Ma il segreto della riuscita della vita pubblica, cioè dell’apostolato, sta nell’osservanza della vita privata. Il bene reale che si farà alle anime fuori è proporzionato alla perfezione che si ha nell’osservanza della vita comune. Uscire sì, ma avendo il cuore pieno di Dio e l’anima tesa verso le anime; il cuore che ha tanto amato Dio, il cuore che ha tanto amato gli uomini e il Maestro Divino, oggi che siamo nella novena e domenica nella festa13.
È bene poi che impariate le novene come sono cantate a Roma: novena al Maestro Divino, novena a S. Paolo, novena alla Regina degli Apostoli. Questo è importante per la pietà: che non si arrivi alla pietà quando si è così stanche che quasi non si può concentrare la mente e invece di dire dei sì al Signore, addormentarsi! Si vive di fede quando si pensa che conta non soltanto la quantità del lavoro che si fa, ma la qualità.
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Ossia quando si va [all’apostolato] con spirito soprannaturale, quando si va a portare il pane alle anime, il pane dello spirito, quando si accompagna con la preghiera perché attraverso l’apostolato entri un po’ di luce in quelle anime. Non soltanto la quantità adesso farete i conti alla fine dell’anno, se non li avete già fatti ma c’è un altro resoconto da fare al Maestro Gesù di tutto quello che si è fatto.
Giova poi che nella casa dove si è in numero considerevole, come siete qui, che ci sia sempre qualche candela accesa davanti a Gesù. Supponiamo che ci sia un malato che prenda questo impegno di aiutare tutte le sorelle che vivono nell’apostolato affinché non incontrino pericoli, che possano trovare anime ben disposte, che accolgano... e poi maturino con un po’ di riflessione quelle cose che si sono portate, quelle verità che si danno.
Questo periodico non è abbastanza diffuso, e quell’altro…. Ma io domando: C’è chi accompagna con la preghiera, con il sacrificio, con il silenzio? E voi stesse che andate, andate con questo spirito soprannaturale, vedendo solo anime e non spendendo parole inutili? Sempre riservate, sempre... Io di Napoli sento sempre dire tante cose buone, ma le vorrei buonissime! Ecco, ancora perfezionarsi, perfezionarsi! Chi ha un ufficio, chi ne ha un altro. Come c’è la cuoca, così c’è la candela accesa che deve essere impegnata in silenzio a pregare. In silenzio, perché l’intimità con Gesù non ci lascia considerare altre cose, si conserva il raccoglimento. E chi fa questo e chi fa altro, ognuna ha il suo ufficio, ma ognuna deve sentirsi responsabile della sua parte. Sì, non guardare a destra, a sinistra: chi c’è, chi non c’è... Le anime che hanno a cuore la santità badano a se stesse: «Attende tibi»14 e Age quod agis15; raccomanda tanto S. Paolo: «Attende tibi».
Dunque, fede. Primo, avere la fede; secondo, avere lo spirito di fede. Spirito di fede che tanto ne è pieno il cuore che viene fuori dai pori. È così, viene fuori dai pori dell’anima,
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perché c’è il «bonus odor Christi»16. Il fiore che è sano emana il suo profumo, ancorché non si veda il profumo diffondersi, ma lo si sente. Non si vede la fede, ma si sente che quell’anima vive la fede: «Justus ex fide vivit»17.
Secondo, considerare bene il grande dono dell’anno, della giornata singola, di ogni mattina che il Signore ci offre.
Terzo, fare l’apostolato per intero. Siccome tutte insieme fate l’apostolato, ci sia chi [fa] una parte, chi [fa] l’altra: chi fa la parte più di preghiera, chi la parte... Nella Chiesa ci sono in Italia centocinquantacinquemila suore. Ora, più di ventimila sono le candele, sono quelle di vita claustrale che devono pregare per l’apostolato. E poi tutte le altre all’apostolato. Ma ognuna ha la sua parte.
Sia benedetto il Signore e sia benedetto anche per questa ragione che vi ha introdotte nella vita religiosa e vi fa apprezzare tanto questa vita e particolarmente la parte della vita religiosa privata, ritirata. Ma vi sono quelle che hanno… ma è meglio che lasci perché passa il tempo. Vediamo dopo.
Il Signore sia con voi, sempre e sia la vostra guida: «Dux eius fuit». Anime che sono forse poco comprese, anime che hanno però per guida il Signore.
II. La speranza18
I tre Magi si possono considerare come i tre rappresentanti del popolo pagano, come i primi pastori, venuti al presepio, sono i rappresentanti del popolo ebreo. I doni offerti dai tre Magi: oro, incenso e mirra, simboleggiano, tra gli altri simboli che si ricordano, anche le tre virtù cardinali. L’oro simboleggia la fede, come virtù fondamentale, la più preziosa, la più necessaria, perché da essa dipendono anche la speranza e la carità. L’incenso rappresenta, in modo particolare, la preghiera o la speranza. La mirra la carità, quasi in senso negativo, in quanto la mirra indica
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la mortificazione dell’amor proprio e quando cade l’amor proprio comincia l’amore a Dio e l’amore alle anime.
La fede d’altra parte ci porta all’obbedienza, ci fa vedere in chi dispone, in chi sta a capo il rappresentante di Dio, l’autorità di Dio. Poco si nomina la persona: si chiami con un nome o con un altro; venga messa una persona a capo della famiglia, della famiglia generale, della famiglia particolare o di una casa, questo ha un’importanza secondaria. Nella Chiesa si succedono i Papi, e questi sono sempre i rappresentanti, i vicari di Gesù Cristo. Noi dobbiamo guardare in primo luogo a chi è rappresentato, cioè Gesù Cristo. Il Papa ne fa le veci, ne è il vicario.
L’ufficio impegna ad essere più santi, e se c’è la fede, si vede Dio sotto la specie della persona che ha un nome, che ha una personalità, un fisico suo, ha una sua mentalità. E siccome il Signore premia ciò che è fatto per lui, ecco l’obbedienza a Dio attraverso quella persona. Questa persona poi in Congregazione ha un ufficio, vorrei dire secondario, perché la superiora [richiama] il libro delle Costituzioni. La superiora deve portare a seguire le Costituzioni nel loro spirito, a farle osservare, praticarle e farle praticare. Se abbiamo la fede, vediamo che il superiore delle religiose e dei religiosi è sempre il Papa. E il Papa è il vicario di Gesù Cristo, quindi attraverso lui [obbediamo a] Gesù Cristo.
C’è questa fede? Diversamente crolla tutto. Allora si considerano le cose sotto l’aspetto umano, ma c’è così poco da vedere in quello che è umano. Siccome avete rinunziato a tutto, ecco, avete rinunziato alla vostra volontà. Il voto è il dono [di sé] fatto a Dio. E tante belle esclamazioni, tante belle parole stampate nelle immagini che si distribuiscono per la vestizione, per la professione, per il venticinquesimo di professione, ecc., invece si scriva realmente la parola giusta: Io tutto mi dono, offro e consacro a Dio, innanzi a voi, superiora generale, e mi obbligo a osservare le Costituzioni, cioè a vivere questa vita. Allora tutto è bello, tutto è luce, [tutto] è [offerto a] Dio. È Dio il massimo superiore della terra il quale, dando le Costituzioni, nel giorno in cui [la Chiesa] le approva, vuol dire: Ecco, vivi così. Se sarai fedele riceverai il centuplo e possederai la vita eterna. Sì, questa è fede.
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Secondo, la speranza. La speranza porta due frutti: la fiducia in Dio, quindi la preghiera. E secondo: Mediante le opere buone che devo fare. E poiché la speranza del paradiso richiede che noi chiediamo a Dio gli aiuti necessari per arrivarci, e la via sono le opere, cioè le osservanze, dare tanta importanza a queste opere. Siamo in tempi in cui vi è tanto progresso, ma vi sono anche tanti inconvenienti, e fra gli altri anche questo: non si recitano i Comandamenti durante le orazioni. Questo è un errore, perché è la volontà di Dio che ci porta in paradiso. E Dio premia quello che è fatto per lui. Come se viene un vetraio a mettere i vetri, viene perché lo comandate e dopo che ha fatto, gli date i soldi, ma se lui andasse a mettere i vetri nella casa di un altro non glieli dareste, perché avrebbe fatto il lavoro per un altro. Quando facciamo le cose per amor proprio o perché vogliamo farci credere buoni, allora serviamo un altro, il nostro io, oppure per fare piacere a un’altra persona. Che errore! Quello è già pagato, cioè hai soddisfatto il tuo amor proprio, Dio non ha più niente da dirti né da darti.
La fiducia nel Signore, in Dio onnipotente: Omnipotens sempiterne Deus. Quante preghiere, cioè quanti Oremus, cominciamo così: Omnipotens sempiterne Deus: O Signore, onnipotente ed eterno. Fiducia nell’onnipotenza di Dio e nella bontà di Dio. Fiducia nella sua bontà somma! Dio è buono, il Signore è buono! Ricordare che ci vuole bene. Vuol bene non a tutti in generale soltanto, ma ognuno deve dire: A te; A me. La sua bontà si vuole dimostrare soprattutto verso di noi, perché il Padre celeste è giunto a far pagare i debiti che abbiamo con lui per i nostri peccati, a farli pagare dal suo Figlio. Richiede il nostro pentimento, ma il debito l’ha pagato il Figlio non con l’oro e con l’argento, ma con il suo sangue. Così ha voluto il Padre celeste che nell’orto del Getsemani non ha ascoltato: «Se vuoi allontana da me questo calice»19. Il Figlio si è assoggettato e il Padre celeste gli ha mandato l’angelo a consolarlo20, ma l’angelo con il calice della sofferenza. Se non abbracciamo la croce non crediamo di arrivare a molta santità.
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Quanti sospiri che non sono altro che fiato verso la santità. Propositi, a volte, proprio vuoti nel contenuto, ma soprattutto nella pratica. Il Signore è buono e vuole mostrare più di tutto la sua bontà nel mondo.
Ci appoggiamo poi ai meriti di Gesù Cristo. Mancando i miei meriti, Signore, ecco io mi prendo quelli di Gesù e li metto davanti a te: ecco i miei meriti, sono quelli di Gesù. Le sue gocce di sangue: ognuna ha un valore infinito. Ecco, o Padre celeste, non puoi dire di no al tuo Figlio, perché io prego per Christum Dominum nostrum, ti prego per Gesù Cristo, nostro Signore, per il tuo Figlio che ti piace. L’hai detto tu: «In quo mihi bene complacui: In questo Figliuolo che mi è piaciuto»21. Allora, lavàti così da quelle gocce di sangue, si resta anche noi graditi a Dio, piaceremo a Dio Padre, perché saremo incorporati con lui e faremo un corpo solo con lui mediante il corpo mistico.
La fiducia nei meriti di Gesù Cristo deve sempre accompagnarci, perché se mancasse ci dispereremmo. Mediante chi otterremo il perdono dei peccati, se il peccato non viene perdonato per mezzo di Gesù Cristo? Allora chi è il mediatore, chi è il redentore, siamo noi? No, noi non possiamo piacere a Dio quanto dovremmo. Dobbiamo piacere mediante la fiducia in Gesù Cristo, l’incorporazione in lui.
Se c’è il peccato di lingua, Gesù quanto ha santificato la sua lingua quando perdonava i crocifissori, quando predicava la parola di Dio! Se ci sono i peccati di occhi, se ci sono i peccati di testa dura, allora Gesù piega la sua testa davanti al Padre: «Factus oboediens usque ad mortem»22. Se è il senso, se è il tatto che manca, pensiamo alla flagellazione di Gesù. Se abbiamo avuto amore alla comodità pensiamo a Gesù che ha portato la croce e mediante la sua croce otteniamo il perdono del nostro eccessivo amor proprio, l’amore alla comodità. Gesù ha pagato per tutti i peccati mediante sofferenze corrispondenti, secondo che i nostri peccati sono di pensiero o di sentimento
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o di volontà. È vero che in ogni peccato entra la volontà. Se non c’è la volontà il senso da solo non pecca, neppure il cuore, neppure la fantasia e neppure il pensiero: solo la volontà fa il peccato. Gesù ha pagato per tutto, ma non basta soltanto il suo sangue per pagare i debiti fatti con le nostre facoltà, con i nostri sensi, ma ci ha meritato la grazia di adoperare bene la mente, adoperare meglio il cuore orientandolo nel vero amore di Dio, adoperare bene gli occhi, adoperare bene la lingua, le mani, i piedi: «Beati i passi di coloro che portano la pace»23, di coloro che portano la luce di Dio. Gesù nella sua vita è vissuto nella maggiore santità, nella maggiore perfezione: Egli è l’esempio. Allora affidiamoci ai suoi esempi, cioè seguiamo i suoi esempi. Non conta far valere il nostro amor proprio, ma è mostrarsi veramente cristiani, religiosi: «Exemplum dedi vobis»24. Non solamente fiducia nella preghiera, ma fiducia che lui è la via, e che per arrivare alla santità bisogna passare per mezzo di lui sulla strada che ha fatto lui.
La speranza dei beni eterni, del paradiso, deve far fruttare la povertà. La preziosità dei meriti e dei doni spirituali deve farci dimenticare, lasciare da parte, sacrificare, offrire a Dio in sacrificio tutto quello che è comodità della vita. Le mancanze di povertà cominciano qualche volta ad entrare in certe case e sono il tarlo. Mi hanno detto che qui per aggiustare il tetto avete cambiato anche ciò che deve portare il tetto, perché avete trovato delle travi tarlate. Anche la vita religiosa qualche volta è tarlata, e allora: come si sopportano i sacrifici? Come si arriva alla generosità? Si fa tanta distinzione nei cibi, avviene che si prolunga eccessivamente il riposo, si riduce l’apostolato. E che cosa è proprio il vero apostolato? Oppure manca l’anima dell’apostolato e si tende nell’apostolato a fare soltanto i conti dei soldi alla sera e non contare i meriti, entrando bene nella nostra coscienza... La speranza deve portarci al distacco, ai beni celesti, all’aumento della virtù, cioè della fede, speranza, carità e delle virtù religiose, cioè povertà, castità, obbedienza. Ogni mortificazione, riguardo alla povertà, frutta una perla
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per il paradiso. Ci sono persone che non sono mai contente, per le quali non c’è mai abbastanza. Ma per che cosa avete lasciato tutto? Vogliono cose sempre più belle e si segue un po’ il mondo, a volte, senza accorgersi. Vi è il giusto modo di curare la salute. Vi è il giusto modo di mantenere in salute le persone con il cibo, con l’abitazione e anche con le vesti. Come avrebbe fatto la Madonna, come avrebbe fatto Gesù… et quomodo nunc Jesus, Maria25? Dio Padre celeste che ha mandato il suo Figlio sulla terra a fare il falegname, che cosa ci dice? Qualche volta le cose più distinte: non lasciare entrare i tarli nelle case. Questa è una delle principali cose che osserva chi va a visitare le case: primo la pietà; secondo la povertà. Perché se non si parte da lì e non si osserva [la povertà], non si arriverà alla santità, perché si preferirà sempre quel che ci accomoda e non quello che piace a Dio.
Mediante le buone opere che io debbo e voglio fare. E quali sono queste buone opere? Per noi, l’osservanza religiosa, perché le opere buone in generale contano poco quando parliamo delle virtù dei santi e contano poco per noi se non li imitiamo. E [vogliamo] che ci facciano una bella descrizione di istruzione religiosa, che ci sia anche la Maestra più eccellente per sapere di dottrina, di morale e di liturgia, ecc., ma se non si entra dentro, ciò ci rende solo responsabili, perché sapevo e non l’ho fatto. «Se non fossi venuto io, dice Gesù dei Farisei, non avrebbero colpa, perché non avrebbero sentito queste cose. Ma io sono venuto e allora hanno colpa, perché non hanno seguito quello che ho insegnato»26.
E mediante le buone opere che io debbo e voglio fare. Che cosa allora la speranza ci deve portare a desiderare e avere fiducia di ottenere? Le grazie, se sono di ordine temporale, chiediamole sempre in quanto piacciono a Dio e servono all’anima. Perché chiediamo ciò che non è nei fini di Dio, nei destini di Dio? Allora, comandiamo a Dio che faccia le grazie contro
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di sé, contro la sua volontà? Cioè che tu faccia così, che quella persona vada in paradiso, che noi siamo liberati da quella croce,… Ma preghiamo il Signore che cambi la sua volontà o cambi la nostra? Invece tutto, in conformità, se piace al Signore.
Secondo, la fiducia nostra. Chi è destinato alla vita cristiana abbia fiducia di poter vivere cristianamente mediante la grazia e la buona volontà. Vivere da buoni cristiani, perché quella madre, quel padre, ecc., hanno abbracciato la vita di famiglia ed erano chiamati a quella [vita] e dovevano avere le grazie per vivere da buoni cristiani nel mondo, ossia: vincere il rispetto umano, osservare i Comandamenti. Hanno le grazie secondo la loro vocazione, perché tutti sono chiamati al paradiso. Ma per noi bisogna aver fiducia nelle grazie della vocazione religiosa che è vocazione alla perfezione, è stato di perfezione: contare sulle grazie di stato. Poi osservare la povertà, la castità, l’obbedienza. Hai le grazie di stato! Ma io non mi sento. Ma lo sforzo c’è? Perché ci vogliono sempre due cose: la volontà ferma e la grazia di Dio. Ci vogliono tutte e due. Ecco, allora noi chiediamo a noi medesimi se c’è la nostra volontà. E quanti problemi sarebbero sciolti da questo! Io conto sulle grazie dello stato religioso e ci metto la volontà di vivere secondo le Costituzioni e secondo i santi voti. Grazie di stato: contarci! Non c’è nessuna religiosa che non le abbia. Nessuna scusa da parte nostra. Vorremmo dare la colpa a Tizio, Caio, Sempronio, perché c’è questo e c’è quello. Invece: Mea culpa, mea culpa, mea maxima culpa. Ideo precor27..., perciò prego. Prego il cielo, Gesù, e prego tutti i Santi. Fiducia allora nelle grazie della vocazione.
E ancora, fiducia nelle grazie dell’apostolato. Qualche volta ricevo lettere in cui si narrano le grazie dell’apostolato, nel senso che si ottengono più frutti di quanto si sperava. Anime che si mettono a posto, persone che si orientano verso l’eternità, ecc.; la diffusione così abbondante. Sono le grazie di vocazione all’apostolato. Perché due sono le vostre vocazioni: alla vita
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religiosa e alla vita di apostole. Oltre la vocazione, che è comune a tutte, c’è la vocazione al paradiso, comune anche ai cristiani.
Quindi contare su queste grazie. Ma è troppo difficile.... Abbiamo fiducia nel Signore? Quella fiducia che trasporta i monti e trasporta i cuori dallo stato, dalla condizione di mondani alla condizione di anime amanti, di cuori amanti? Fiducia nell’apostolato. Vedete che spettacolo: in ogni elezione che si va facendo, il comunismo e il socialismo collegati vanno sempre un po’ più avanti. Non siamo ancora abbastanza efficaci nel nostro apostolato. Non che tutto dipenda da noi, no, parlo al plurale, dipende da tutti. Occorre che ci siano veri apostoli, veri apostoli! Le persone sono tante, ma quando Dio voleva far vincere la guerra, la battaglia: Quanti sono?. Trentamila. No, no: mandane a casa nove su dieci. Tremila, e poi sono ancora troppi. Trecento. Ecco, e la battaglia è vinta28. Bisogna che non contiamo tanto sul numero, ma sul fervore apostolico, cioè sul vero amor di Dio, sul vero amore alle anime, una vera dedizione. E quando non si fa altro, si prega. Quando non si può fare altro si dà buon esempio, si lascia il «bonus odor Christi»29che profumerà l’ambiente.
Quindi fiducia nelle grazie dell’apostolato! Sì, che vi ingegnate in tutte le maniere possibili. Qualche volta forse, adesso non voglio fare dei sospetti temerari, perché sarebbe male, ma qualche volta temo che sia una preoccupazione un po’ troppo umana, mentre l’azione deve dipendere dall’orazione. Prima il lavoro spirituale, fatto con calma, in serenità, in raccoglimento. Ma se tutta la giornata fosse proprio assorbita, voglio dire: se anche pregando, ecc., i pensieri si rivolgessero proprio in primo luogo all’azione, cioè all’apostolato e non al perfezionamento di noi stessi, noi faremmo uno sbaglio notevole, anzi radicale. Prima la santità! Arrivare con fiducia, poco per volta, a salire i vari gradi di orazione. Nove sono i gradi di orazione30. Il più semplice è la preghiera vocale, il più alto è la preghiera trasformante, cioè che ci trasforma in Cristo. Fiducia! Preghiera!
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Dunque: fiducia nelle grazie di apostolato che è grazia della vocazione.
Terzo, fiducia di ottenere le grazie nostre individuali. C’è questo bisogno e c’è quell’altro. A volte c’è un bisogno più esterno, e bisogna vincere questa difficoltà. E a volte un bisogno più interno, cioè qualche cosa che non va bene in noi e qualche cosa che può non andare anche in ciò che vivo nella comunità. Ma, invece di tante parole tra persone, parlarne di più con Dio: fiducia nell’ora di adorazione! Perché se la preoccupazione dell’apostolato non vi lasciasse fare bene l’adorazione, sarebbe un guaio grosso. Io avrei messo insufficienza di preghiera alle Figlie di San Paolo. E a questa condizione: l’adorazione è la preghiera più bella che potevo assegnare, dietro l’ispirazione di Dio. Se l’adorazione non si facesse in modo completo, non solamente perché è di un’ora, ma perché è proprio l’ora di intimità, di colloquio con Gesù, allora voi sareste mancanti del mezzo di santificazione. In questo senso: i doveri cristiani potete ancora osservarli, ma i doveri religiosi, specialmente il lavoro di perfezionamento, non ci sarebbe. Notando bene che ci può essere la vita ritirata, e in realtà però non essere ritirata, cioè essere una vita ritirata materialmente, ma non formalmente. È la vita privata, ritirata che ci vuole, e che sia ben formale. Perché se anche uno stesse tutto il giorno in casa e pensasse ad altro: E la tale… e questo e quello… cose che ha veduto, cose che ha sentito, cose che immagina per il futuro, o sospetti… ma questa non è vita ritirata. Non bada a sé. Come se uno si ritira, va in camera per stare solo e si mette a dormire. Questa è vita ritirata? Oppure uno fa la meditazione, ma [in realtà] non la fa perché ha altri pensieri, altre preoccupazioni. La vita non è ritirata. Non c’è la vita privata nell’imitazione di Gesù che è il trenta di valore rispetto a tre: trent’anni contro tre.
Quindi vita ritirata non solo nel senso materiale, ma nel senso formale. E quando si è abituati a questa vita ritirata in senso formale, anche quando si è in libreria, anche quando si passa di casa in casa, di scuola in scuola o da pellicola ad altre pellicole, ecc., allora si fa tutto in unità con Dio. Si fa la vita ritirata anche in piazza! Va a fare le spese in piazza e fa la sua vita ritirata, unita a Dio: uniforma tutti i pensieri e tutte le
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parole secondo lo spirito di Dio. È sempre ritirata con il suo Gesù che porta in cuore. Ella si considera un tabernacolo dove abita Gesù e dove Gesù ha preso possesso al mattino e continua a rimanervi, come Dio, in continuità. Vita ritirata formalmente. C’era una suora che era destinata sempre a fare la commissioniera. Sempre a fare commissioni, ma [le faceva] con uno spirito così intimo di pietà, così riflessiva e raccolta! Era lei che faceva sempre tutte le commissioni: ora dal farmacista, ora in piazza a comperare la verdura, ora nel negozio per la stoffa, ecc., ma tutti la consideravano una vera suora e tutti l’ammiravano e ciò si è veduto alla sua sepoltura. Era la più umile e raccolta. Aveva raccolto attorno a sé tanta stima!
Dunque, vita ritirata in noi, considerando che lì ci sono le grazie per la santificazione. Però non lasciare scappare niente della preghiera, e non considerare che la Visita sia stata fatta quando si è pensato ad altro. No! La Visita è Visita, perché se noi andiamo a trovare una persona e poi stiamo in parlatorio a guardare i quadri... (interruzione di registrazione).
III. La carità31
Per parlare [di voi], avete l’occasione [di avere qui] la Prima Maestra32 alla quale potete dire le cose importanti, e quando si tratta solo di confermare quello che già è stato detto, allora per farlo, bisogna parlarne con Gesù.
La mirra può simboleggiare la carità. La carità si prova con il sacrificio, non solo perché Gesù ci ha amato e ci ha dimostrato il suo amore soprattutto morendo sulla croce, e non con delle espressioni che sono solo un po’ di fiato, ma espressioni che partono dalla volontà vera di umiliarsi e di sacrificarsi per Dio e portare le nostre piccole croci in silenzio. Sappiate, sorelle,
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sopportare qualche cosa in pace, fare qualche sacrificio senza dirlo a tutti. Quando Gesù ha detto: Io soffro? Sulla croce ha detto sette parole e ha detto anche: «Io ho sete»33, ma la sua sete era soprattutto spirituale, sete di anime. L’amore non solo tende al sacrificio, ma si nutre di sacrificio, si alimenta con il rinnegare noi stessi: rinnegare l’amor proprio. L’amor proprio si alimenta di tante cose. Qualche volta si nutre il serpe nel cuore che sono le tendenze di voler avere approvazioni, che in fondo sono la soddisfazione delle nostre tendenze non buone.
Guardare come S. Paolo ha amato: «Quis me separabit a caritate Christi: Chi mi distaccherà dall’amore di Gesù Cristo? La tribolazione, l’angustia, la fame, la sete, la morte? No. Certo, nulla mi separerà dall’amore a Gesù Cristo»34. Ci sono anime che credono di amare molto il Signore quando durante il giorno sono liete, perché tutte le cose sono andate dritte secondo la loro volontà, secondo il loro gusto!
La mirra. La carità ci porta all’osservanza della castità. Allora la suora ha riservato tutto il cuore a Dio e vuole amare Iddio non attraverso una creatura, cioè con la famiglia, ma direttamente Dio. Come ha amato il suo Dio la Vergine nostra madre? Dandogli il cuore fino dalla più tenera età: verginità. Come ha amato il Signore S. Giuseppe, il primo dei santi dopo la Vergine? Con il suo impegno della verginità. E come avete fatto voi quella promessa, quell’impegno di amore a Dio pronunciando le parole: Io mi dono, offro e consacro tutta a Dio? Tutto a Dio: la carità. La suora adempie, per quanto sta da lei, e con l’impegno di adempierlo sempre meglio, il precetto della carità nel suo senso pieno: «Amerai il Signore Dio tuo con tutta la mente, con tutte le forze, con tutto il cuore»35. Vuol dire «con tutta la mente», con la nostra mente: pensare secondo la fede, avere in noi sempre più profonda la fede e vivere lo spirito di fede.
La mente! Qualche volta voi potete fare il conto, e non vi sarà mai possibile, di quante sciocchezze vi passano nella
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mente? Quante fantasie passano nella vostra fantasia, quanti ricordi nella vostra memoria, quante immaginazioni e quante sciocchezze, certa gente, ecc., e giudizi e sospetti... Povera nostra testa che non vuole stare lì! Se mettete la statua della Madonna accanto al vostro letto nella camerata, se appendete il Crocifisso, stanno lì, a posto! La nostra testa invece...
[Allora] chiedere il raccoglimento e chiedere di pensare rettamente, di santificare la mente. Per quanti anni chiedere questa grazia? Finché vivrete, finché vivremo. Il servo di Dio, il Canonico Chiesa, ha fatto il suo proposito, la sua preghiera [di santificare la mente] nel 1895, come si legge nel suo taccuino spirituale, fino al 1946 quando è morto. Quindi per cinquantun anni. È una grossa grazia tenere a freno questa nostra testolina! Darla tutta a Gesù. Potessimo noi fare lì un bel trono a Gesù! Vedo che avete comperato anche un sostegno, abbastanza bello per l’esposizione, mettere la testa vostra sotto il raggio, sotto la pisside. La testa, il cuore siano il tronetto di Gesù. Volete essere questo e vi siete offerte totalmente a Dio, questa è una grossissima grazia. Ci sono dei morenti che sono già vicino alla morte, e hanno ancora in testa delle cose che non sono Dio. Difficile, eh! Quindi domandare questa grande grazia: pensare sempre secondo la fede e santificare la mente con pensieri buoni che possono essere di Dio e delle cose del servizio di Dio.
Quando pensate all’apostolato che è servizio di Dio, si santifica la mente. Ed è meglio che tante volte pensiate all’apostolato, perché preoccupate dell’apostolato vengono meno le altre tentazioni. Sapeste quanto è difficile vivere la vita claustrale con la testa in convento! Giacché la nostra testa è tanto difficile da governare, almeno si pensi ad una cosa che è santa, che è buona, come l’apostolato. Tutta la mente! Cerchiamo di ottenere questa grazia e domandiamola tutte insieme, io, voi, perché la possiamo ottenere per noi e per tutta l’umanità.
«Con tutto il cuore»: cercare solo Dio, cercare il suo paradiso, tutto indirizzato al cielo. Cercare Dio! I pensieri e le intenzioni siano rivolte a Dio, a Gesù, per far piacere a Gesù. Questo lo faccio, questo lo mangio, questo lo lascio, questo lo interrompo, quello lo schivo... per amore di Gesù
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e per il suo paradiso. Questo sacrificio è per amore di Gesù, è per il paradiso. Tutto il cuore, il cuore! Vedete che bisogna allontanare l’orgoglio, la superbia, e come sono difficili da togliere. Allontanare gli attaccamenti, le invidie, allontanare la propria volontà, come è difficile! E allora protestiamo che, sebbene in fondo al cuore rimanga questa battaglia, questa tendenza, tuttavia con la ragione e con la volontà cercare proprio solo e sempre Dio. Tutto, solo e sempre per Dio!
Poi, con tutte le forze. Quanti momenti ci saranno nel 1961! Ecco, che neppure per un istante si abbia una tendenza, si faccia un passo, si dia un respiro che non sia per Dio con tutte le forze: la mente, il cuore, la volontà. Con tutte le forze: gli occhi per lui, l’udito per lui, la lingua per lui, i piedi per lui, per le anime, le mani per lui e tutti i battiti del cuore siano tanti atti di amor di Dio. E tutti i movimenti del sangue che sono in noi, anche quando riposiamo, tutto per Dio; anche quello che si mangia e quello che non si mangia e che si vorrebbe fare e non si ottiene... Ma anche le sconfitte accettarle per amor di Dio. Tutte le forze! Fare bene il contratto con Dio: ogni pensiero, ogni respiro, ogni movimento del sangue nelle mie vene, ogni palpito del cuore, ogni dilatarsi o reprimersi del polmone, tutto e solo per Dio. Se dico una parola, non sono contento se non è per Gesù; non scrivo una parola se non è per Gesù; non faccio un passo se non è per Gesù. Tutto, con tutte le forze, che non scappi niente! Tutto, come si custodisce un liquore nella bottiglia che non lascia passare niente, perché il vetro è buono e tura bene perché non sfumi il valore. Tutto, tutto il tuo essere: Tutta mi dono. È la professione questa: Offro, dono, consacro36.
In secondo luogo viene la carità verso il prossimo. Il primo precetto è la carità verso Dio, il secondo precetto è ugualmente amore, ma amore verso il prossimo. Verso il prossimo, questa è la seconda parte della nostra vita. Dopo l’amore di Dio, l’amore alle anime. Amare il prossimo, compatirlo nelle sue miserie corporali, amare il povero, amare l’operaio, amare il vecchio, amare il bambino; amare i peccatori, amare gli eretici,
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amare quelli che non sono ancora nella Chiesa, quelli che non conoscono ancora Gesù Cristo. E molte sono le anime che ancora non appartengono al suo ovile, e Gesù vuole che siano condotte tutte al suo ovile, perché egli solo è il «buon pastore» e [desidera] «si faccia un solo ovile sotto un solo pastore»37.
La suora paolina [abbia] un cuore largo, come S. Paolo! Ci sono dei cuori che anche sotto l’abito religioso sono mondani, hanno ancora le tendenze delle persone mondane; e invece ci sono dei cuori che sono veramente secondo Gesù Cristo. Gesù diceva degli apostoli, e lo diceva al Padre celeste. «Hi de mundo non sunt: Questi non sono mondani, sicut et ego de mundo non sum, ma anch’io non sono del mondo»38, non sono mondano, perché mondano vuol dire avere ancora i gusti delle persone del mondo. Invece avere i gusti di Gesù, i gusti del vero apostolo, dell’anima apostolica. Allora la preghiera quanto si dilata! Come è bello il Cuore divino di Gesù39, com’è bello viverlo! Qualche volta lo si può recitare anche mentre si va di casa in casa, mentre si passa da persona a persona che è venuta in libreria o che viene per la pellicola; o si va da scuola in scuola, e poi tutto il resto secondo le intenzioni con cui Gesù s’immola sugli altari. Gesù si immola sugli altari, io vado immolando il mio cuore sopra l’altare del mio sacrificio nel lavoro che compio.
Amare il prossimo ordinatamente. Primo, voler bene alle persone più vicine. Ci sono persone che si espandono con altri, e invece con le persone più vicine, in famiglia, sono pesanti. Amore giusto, regolato. Non è vero amor di Dio quando c’è insieme mescolato dell’amor proprio. C’è la bottiglia, e forse contiene un po’ di vino colorato, un po’ di acqua colorata, ma è acqua. Ci hanno messo dentro un po’ di colore, ma non c’è la sostanza, non c’è l’alcool, non ci sono i gradi. Il vino può avere ventiquattro gradi, come può averne quattro. Amore vero a Dio! Quanti gradi ha il nostro cuore di amore di Dio e di amore alle anime? È puro il nostro amore alle anime o si nasconde
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sotto belle parole? Amore vero, ossia: la carità verso le persone più vicine, il compatimento, il ben interpretare, lo scusare veramente gli sbagli, le intenzioni. «Caritas patiens est: Carità che è paziente, che è benigna che tutto sopporta»40, che tutto vede in Dio e che sotto la scorza dell’azione esterna, dell’abito che porta, vede anime. Ecco la vera carità soprannaturale fatta per amor di Dio. La carità che passa attraverso le persone, le sorelle o le persone che sono fuori dell’Istituto, ma sono opere di carità, atti di carità che attraverso le persone vanno a Dio, finiscono in Dio. Vedere di non distinguere tra persona e persona, anzi voler dimostrare più affetto verso chi è antipatico, e astenersi, mortificarsi un po’ dove tendono le simpatie, trattenersi dal frequentare, dal far discorsi un po’ particolari. Oh, carità!
La carità sia paziente, benigna, tutto sopporti, tutto giudichi in bene, a tutti voglia il massimo bene, cioè sia santa e raggiunga quindi il premio eterno. Infatti la carità verso il prossimo, che cosa ti dice? Desiderare, promuovere e procurare agli altri il bene che abbiamo noi. Quindi, se tu vuoi il paradiso, desiderare che tutti vadano in paradiso, allora adoperarti con l’apostolato perché la tua vita di carità si manifesti nell’apostolato. Questa è la carità prescritta dalle Costituzioni, quindi di immenso valore davanti a Dio.
Come voi desiderate la santità, vedere quelle giovani che possono avere dei doni e desiderare anche per loro la santità. E come vi trovate felici nella vita paolina, così desiderare che molte siano le vocazioni che vengono nella vita paolina. Coltivare le vocazioni! A volte si dice: Non abbiamo cercato vocazioni, perché non abbiamo tempo, perché siamo poche. Vedete, se si toglie una persona dall’apostolato per qualche ora, per qualche settimana, vuol dire mettere il denaro all’interesse. Oppure, per le case grandi ci sia una persona deputata alle vocazioni, al lavoro vocazionale. Prima vi sembrerà di essere private di qualche cosa, ma dopo sarà una persona, due persone, saranno dieci persone che entrano nell’Istituto: moltiplicate voi stesse per dieci. Non è più una che si spende e
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sovraspende, che è carità, ma si spende e sovraspende moltiplicando per dieci il lavoro, per dieci ciò che viene dato di gloria a Dio e di bene alle anime. E si compie nell’apostolato, per dieci. Nell’Istituto delle Paoline vi è un certo numero di vocazioniste brave. Sì, ma esserlo un po’ tutte, giacché avete tante occasioni di avvicinare molta gente. Non essere egoiste anche nel lavoro vocazionario. Ci sono anche le Pie Discepole41, ci sono le Pastorelle42, ci sono le suore dell’Istituto Regina Apostolorum43, ci sono i Gabrielini44, ci sono i sacerdoti di Gesù Sacerdote45, ci sono i Paolini, ci sono i seminari e ci sono tanti gli altri Istituti religiosi. Cuore largo! Quelle suore che non vedono che il loro piccolo conventino, poco a poco si riducono a conventi di cinque o sei persone magari, perché quando non si amano tutte le vocazioni, gli istituti si inaridiscono. Bisogna che si amino tutte le vocazioni del mondo, anche quelle dell’Azione Cattolica46, degli apostolati laici, del servizio sociale. Però, l’amore primo, il vostro amore deve essere regolato prima alla comunità, s’intende, all’Istituto.
Cercare le vocazioni. Guardarsi dalle critiche come dalla peste nelle comunità. Dalle critiche, dai giudizi contrari, dal rilevare i difetti delle altre per lettera, con chiacchiere o con confidenze: guardarsi da queste cose! Quando si comincia a scrivere o parlare dei difetti e degli inconvenienti, si comincia a sospettare: qui manca la carità. La carità è frutto della fede e della speranza. Se non si arriva alla carità, fede e speranza restano vuote, cioè restano senza frutto come una pianta che arriva fino a fare i fiori, ma non porta i frutti.
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Essere gelosissime di aumentare i vostri meriti che dipendono dall’amore con cui si fanno le cose, dall’amore con cui si pratica la vita religiosa, dalla generosità nell’obbedienza, dalla bontà verso tutte, dal lodare sempre e amare l’Istituto. Amarlo perdutamente. Questa è la mia arca di salvezza, la suora bisogna che pensi così. E vorrei che da voi passasse ad altri. Il treno d’oro della salvezza e della santità vostra sono le Costituzioni, è l’Istituto il vostro treno d’oro. Perché nell’Istituto sono raccolte tali disposizioni, tali pratiche, apostolati, studi, attività, tale organizzazione e tale distribuzione di uffici che se una ama proprio la vita paolina e la pratica fino in fondo si fa una grande santa. [La Congregazione] è il treno d’oro che vi ha dato Gesù: montatevi sopra e non discendete a nessuna stazione finché non arrivate alla stazione definitiva che è il paradiso. È il treno d’oro che vi conduce alla perfezione, vi conduce davanti al Maestro Gesù in paradiso. Amare l’Istituto: questo è carità.
Vedere poi di pensare sempre che questa parola di amore non è una espressione, ma è fatta di opere: «Come io che sono il Maestro e Signore tuttavia ho lavato i vostri piedi, voi dovete lavarvi i piedi gli uni gli altri»47. Quindi: servire, servire, servire. Conoscere Dio, amare Dio, servire Dio e il prossimo. Anche nelle comunità, qualche volta si annida l’egoismo e così il cuore si restringe. È tutto amor proprio che si annida, che si copre con belle parole e si scusa con scuse che non valgono. Amare davvero! Non dirlo, ma farlo.
Sono sicuro che voi avete questi santi desideri, questi santi propositi e Gesù li benedice, li accetta e certamente vi premia. Qui fatevi un giardino di santi, non abbiate solo un giardino grande dove raccogliete le noci, dove raccogliete la frutta, ma sia un giardino di viole: l’umiltà; di gigli: candore; e di rose: l’amore. Ci sia buon esempio l’una con l’altra. Guardatevi dai pericoli che portano il cuore altrove: gli occhi, l’udito, le letture; il prolungamento alla radio o alla televisione o ai discorsi,... «Sia il vostro parlare sì sì, no no»48.
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Ma qui amano molto i complimenti, amano molto le parole, ecc.. Siete paoline! Se vi adattate troppo alla regione, sbagliate, così come se vi adattate troppo all’America, supponiamo gli Stati Uniti. Oh, ma qui, ma là... Se non avete del maggior bene da portare in un posto, e il vostro bene da portare è paolino, a che cosa vi siete , per che cosa vivete? Non meritate il vostro vestito nuovo, proprio il vostro paolinismo. Tanto più nell’anno biblico49, anno dedicato a S. Paolo per commemorare il diciannovesimo centenario del suo arrivo a Roma circa nell’aprile del 61, ora siamo nel 1961. «Desidero di vedervi»50, scriveva [Paolo] a Roma, e finalmente vi è arrivato, ma incatenato: sofferenza e amore. Stette per circa due anni in quel corridoio dove riceveva persone, ma governato da un soldato e con le catene al piede. Ma diceva: «La parola di Dio non è incatenata»51!
Se qualche suora giovane la si vede un po’ troppo inclinata al pericolo o a sentimentalismi, usate la carità di avvertirla «inter te et ipsum solum»52 prima fra voi e poi, se non basta, dirlo alla Maestra, perché sia tolta dai pericoli. Vi è qualche suora che a volte non è ancora capace a mantenere a posto il suo cuore, non per malizia, cattiveria, ma perché non ha ancora esperienza, è giovane. E allora aiutate le giovani, specialmente quelle che escono dal primo noviziato, affinché il voto, la donazione, la consacrazione a Dio che hanno fatto, sia mantenuta bene. Amare l’Istituto fino a volere essere tutte sante, amare l’Istituto così che siate tutte sante. Lo volete essere e avete tanta buona volontà. E allora l’augurio: un anno lieto e pieno di bene. Lieto e santo.
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1 Prima meditazione tenuta a Napoli il 6 gennaio 1961 in occasione del ritiro. Trascrizione da nastro: A6/an 90b = ac 154a.
2 Oggi la Chiesa, lavata dalla colpa nel fiume Giordano, si unisce a Cristo, suo Sposo, accorrono i magi con doni alle nozze regali e l’acqua cambiata in vino rallegra la mensa, alleluia.
3 Cf Lc 3,21-22.
4 Cf At 23,11.
5 Non i sensi, ma la fede, prova questa verità. Cf Tantum Ergo Sacramentum, inno liturgico che conclude il Pange Lingua, composto da S. Tommaso d’Aquino (1225-1274).
6 Cf Gv 17,3. Il Fondatore suggeriva di recitare la “Preghiera sacerdotale” durante l’adorazione eucaristica.
7 Cf Mt 5,3.6.8.
8 Cf Dt 32,12: «Il Signore, lui solo l’ha guidato».
9 S. Teresa d’Avila (1515-1582), carmelitana scalza spagnola, riformatrice del suo Ordine e Dottore della Chiesa.
10 Cf Mc 16,15.
11 Cf Giacomo Alberione, La donna associata allo zelo sacerdotale, Edizioni San Paolo, Cinisello Balsamo (MI) 2001. Cf anche UPS, pp. 164-165.
12 Cf Sal 109,1: «Dixit Dominus [Domino meo]: Ha detto il Signore [al mio Signore]» (Volgata).
13 Nel 1961 la solennità di Gesù Maestro si celebrava la prima domenica dopo l’Epifania.
14 Cf 1Tm 4,16: «Vigila su te stesso».
15 Locuzione che tradotta letteralmente significa: “Fa’ [bene] quanto stai facendo”.
16 Cf 2Cor 2,15: «il profumo di Cristo».
17 Cf Eb 10,38: «Il mio giusto vivrà di fede».
18 Seconda meditazione tenuta a Napoli il 6 gennaio 1961 in occasione del ritiro. Trascrizione da nastro: A6/an 91a = ac 154b.
19 Cf Mt 26,39.
20 Cf Lc 22,43.
21 Cf Mt 3,17: «Questo è il Figlio mio, l’amato; in lui ho posto il mio compiacimento».
22 Cf Fil 2,8: «…facendosi obbediente fino alla morte e a una morte di croce».
23 Cf Is 52,7.
24 Cf Gv 13,15: «Vi ho dato un esempio».
25 “Quid nunc et quomodo Jesus? Come farebbe adesso Gesù se fosse al mio posto?”. Questa massima è la sintesi della dottrina spirituale contenuta nell’Imitazione di Cristo. Cf Nuovo dizionario di spiritualità, Ed. Paoline, Roma 1979, p. 359. Il giovane Giaccardo aggiungeva: “per Mariam”.
26 Cf Gv 12,47-48.
27 Per mia colpa, mia colpa, mia grandissima colpa. Perciò prego… Cf Confesso, atto penitenziale durante la S. Messa.
28 Cf Gdc 7,1-7.
29 Cf 2Cor 2,15: «…il profumo di Cristo».
30 Cf Antonio Royo Marin, Teologia della perfezione cristiana, Roma, Edizioni Paoline 1960, nn. 373, 378, 386, 392, 436, 439, 443, 450, 467.
31 Terza meditazione tenuta a Napoli il 6 gennaio 1961 in occasione del ritiro mensile. Trascrizione da nastro: A6/an 91b = ac 155a.
32 Venerabile Tecla Teresa Merlo (1894-1964), cofondatrice e prima Superiora generale delle Figlie di San Paolo. Nel decreto di erezione della Pia Società Figlie di San Paolo a Congregazione di Diritto diocesano, il 15 marzo 1929, le venne dato il titolo di Prima Maestra.
33 Cf Gv 19,28.
34 Cf Rm 8,35-39.
35 Cf Mc 12,30.
36 Cf Cost ’53, art. 92.
37 Cf Gv 10,11.16.
38 Cf Gv 17,14.
39 Cf LP, ed. 2011, p. 17.
40 Cf 1Cor 13,4-7.
41 Pie Discepole del Divin Maestro, congregazione fondata dal beato Alberione il 10 febbraio 1924.
42 Suore di Gesù Buon Pastore (Pastorelle), congregazione fondata dal beato Alberione il 7 ottobre 1938.
43 Istituto Regina degli Apostoli per le vocazioni (Suore Apostoline), congregazione fondata dal beato Alberione l’8 settembre 1959.
44 Istituto aggregato alla Società San Paolo avviato dal beato Alberione il 12 settembre 1958, riconosciuto e approvato dalla Chiesa l’8 aprile 1960.
45 Istituto aggregato alla Società San Paolo con approvazione pontificia in data 8 aprile 1960.
46 Azione Cattolica Italiana (ACI) fondata nel 1867 da Mario Fani (1845-1969) e Giovanni Acquaderni (1839-1922). È un’associazione di laici che si impegnano in forma comunitaria ed organica in diretta collaborazione con i Pastori per la missione evangelizzatrice nella Chiesa.
47 Cf Gv 13,14.
48 Cf Mt 5,37.
49 Nel 1961 la Chiesa di Roma celebrò con grande solennità il XIX centenario della venuta a Roma di S. Paolo. Don Alberione indisse l’“Anno biblico” e dispose che si organizzasse la diffusione della Bibbia su larga scala.
50 Cf Rm 1,11.
51 Cf 2Tm 2,9.
52 Mt 18,15.