Beato Giacomo Alberione

Opera Omnia

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10. PERSEVERANZA NELLA PREGHIERA1


Accompagnare con la preghiera le sorelle che in questo tempo diffondono ampiamente il santo Vangelo, la Bibbia, i catechismi e tutto quello che serve a comunicare il messaggio della salvezza. Questo è entrare bene nello spirito della suora paolina.
Abbiamo già meditato2 due delle disposizioni, delle condizioni della preghiera, cioè la fede e l’umiltà. L’umiltà che ci fa riconoscere le nostre necessità e il nostro grande rispetto a presentarci al Signore santissimo, purissimo. Il primo atto dopo l’adorazione, è piegare la testa, percuotersi il petto e dire tre volte: Kyrie éleison, Christe éleison, che vuol dire: Signore, abbi pietà di me, Gesù abbi pietà di me.
Secondo: la fede nel Signore che è il Dio della sapienza e dell’amore. Egli vede i nostri bisogni e vuole soccorrerci e davanti a lui tutto è noto. Per quanto noi pensiamo alle nostre necessità, egli le conosce assai di più, ordina la nostra vita, la conduce verso il suo fine e interviene con il suo grande amore nelle circostanze in cui veniamo a trovarci.
Terzo: la perseveranza. Questa è la corona di tutto, poiché le altre disposizioni servono a perseverare. Veramente chi persevera fino alla fine dell’orazione: «Hic salvus erit: Sarà salvo»3. Perseverare, che cosa significa? Significa mantenere costantemente il nostro spirito nella disposizione della preghiera, cioè sentire il bisogno di Dio, sentire che dobbiamo rendere a Dio il debito culto, cioè praticare la virtù della religione e sentire la sua grazia che accompagna colui che prega.
Perseverare, non andare a sbalzi nella pietà. Non cominciare bene con il giorno della Confessione, e prima che sia ritornato il tempo della Confessione seguente ci sia già raffreddamento
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e si cominci a sentire meno le [buone] disposizioni, meno il fervore. Che non si cominci bene il mese e poi a metà decadere dal fervore. Così dopo gli Esercizi ci può sempre essere il fervore. Se non si eccita il fervore durante gli Esercizi, quale altro tempo sarebbe più propizio? Ma questo fervore non sia un fuoco che divampa per un po’ e poi rallenta. Allora riattizzare il fuoco, aggiungere carbone, aggiungere legna al fuoco. E come si aggiunge questa legna? Così: pregando viene la perseveranza. Questa grazia di perseverare si deve chiedere incessantemente, perché la pietà sia sempre alimentata, e allora si progredisce in questo spirito, in questo proposito, in questo volgere il nostro pensiero verso il cielo, verso il fine. Perseverare!
Gesù nel Vangelo ha raccontato questa parabola: Un uomo andò a trovare l’amico verso la mezzanotte. Bussando e facendosi sentire, gli disse: Per favore, è venuto a trovarmi un mio conoscente e non ho nulla da dargli per sfamarsi. Per favore prestami alcuni pani.... E l’altro da dentro risponde: Ma io sono a letto, sono già a riposare con mia moglie e i miei figli. Ritorna domani. Ma colui che bussava continua a picchiare: Ne ho bisogno adesso, e insiste. Finalmente colui che è dentro, per togliersi quella noia, scende dal letto, apre la porta e dà all’amico quanto desiderava, il pane che voleva4. Pregare fino all’importunità: bussare, bussare, bussare alla porta del tabernacolo; insistere presso Maria per noi adesso e nell’ora della nostra morte. Insistere con S. Paolo, con gli angeli custodi, con i nostri protettori, insistere.
È facile incominciare. È bene che lo sentano specialmente le giovani aspiranti, perché è facile il fervore durante il noviziato, particolarmente quando si fa il noviziato per la professione perpetua. Ma il diavolo aspetta dopo. Sa che l’anima ha tanti mezzi ed è difesa in tante maniere dal peccato. Se l’anima è abituata al fervore del cuore, al senso spirituale, ad essere sempre più nell’intimità con Gesù, questo la salva da tante cose. Se rallenta un po’ la preghiera o non la fa bene, allora vi sono, e vi possono essere, dei disastri poco dopo la professione
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perpetua e fino a una certa età... Notare che questa deficienza, questo scadere del fervore ci può essere in vecchiaia. Allora è necessaria la perseveranza. Se la persona, se la suora fa sempre le sue opere di pietà, le fa nella calma di spirito e occupa bene il tempo destinato alla preghiera, entrando veramente nell’intimità di se stessa e nell’intimità di comunicazione con Gesù, allora il fuoco si accende e almeno metà delle tentazioni scompaiono e le altre si vincono con vittorie e quindi con merito.
È necessaria la perseveranza. Gesù aveva raccontato anche un’altra parabola: Una povera vedova andava dal giudice a chiedere che le fosse resa giustizia per qualche torto ricevuto; ella non aveva chi la difendesse. Ma il giudice non le dava ascolto, la rimandava anche in malo modo. Essa tornava e tornava ancora. Alla fine il giudice concluse: «Anche se io non temo né Dio né gli uomini, almeno per togliermi questa importunità e costei non ritorni più, la esaudisco»5. Gesù spiegava, esponeva questo, per indicare che dobbiamo picchiare, bussare, insistere e insistere, sempre umiliandoci di più e risvegliando di più la fede. Umiliandoci di più e risvegliando di più la fede, perché può essere che noi non chiediamo la grazia giusta, quella che abbiamo più bisogno di ricevere. Ma Dio ascolta la preghiera e darà quel che è il meglio per noi. Perseverare!
Perseverare: prima togliere il peccato grave; secondo, togliere il peccato veniale deliberato; terzo, togliere le mancanze di sorpresa, di fragilità che accompagnano sempre la nostra vita, ma almeno diminuire il numero di manifestazione di questi difetti, e poi diminuirli di gravità. Tre cose generalmente sono citate nei libri di ascetica a questo riguardo: fragilità, chiedi di essere più raccolta nella preghiera. Il raccoglimento è un grande dono. Chiedi di allontanare queste distrazioni, per cui anche in tempo notevole, durante la meditazione, il rosario, la Visita, sei quasi assente da te stessa. Sei lì ma sei assente riguardo alla presenza di Dio, riguardo a fare ciò che devi fare adesso: Age quod agis6!
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Secondo: chiedere l’osservanza della carità. Pensieri, e ce ne sono! Giudizi, per ciò che riguarda gli altri, mentre non attendiamo a noi; sentimenti interni, magari di invidia; e poi parole e atti contro la carità come è descritta da S. Paolo: [la carità è] paziente, benigna7, ecc. Quindi chiedere di liberarci da queste fragilità, o almeno diminuirle.
Terzo punto su cui insistere: la purezza di intenzione, per cui alle volte il Vi adoro, Vi offro le azioni della giornata, il Cuore divino di Gesù, si dicono un po’ superficialmente, e poi nel corso della giornata, caso per caso, si è dominati da altre intenzioni come: non avere osservazioni, mostrare l’abilità, studiare per studiare, e poi... tutto quello che è come un poco di acqua nel vino dell’amore di Dio. Ma lì c’è dell’acqua che viene a mescolarsi e forse ce n’è troppa, e il vino è ben poco. E allora queste opere quanto contano davanti al Signore?
Perseverare! Primo, perché se non c’è la perseveranza, non si fa il dovere sostanziale della vita religiosa, cioè perfezionarsi. E chi vuole andare avanti, bisogna che metta benzina nella macchina, cioè bisogna che ci sia più grazia. Se una, invece, [non si impegna]8, purché non ci siano dei gravi malanni, e poi
... Tanto sono già così.... Allora, non si adempie il dovere fondamentale della vita religiosa: progredire, santificarsi. E se una non prega, non l’adempirà, e alla fine della vita dovrà dire: Adesso quanto sono povera di meriti, perché quello che dovevo fare, quello che ho promesso e con cui mi sono impegnata mediante il voto, non l’ho fatto! C’è stata dell’azione esterna, ma non sono cresciuta nell’amore di Dio, nello spirito di fede, nella bontà, nella carità, ecc., nello spirito di osservanza, nello spirito di umiltà! Essenziale alla vita religiosa è tendere alla perfezione con un lavoro spirituale assiduo, ma per questo ci vuole la preghiera, e perciò sempre migliorarla per ottenere maggiori grazie.
Secondo, per orientare la vita verso Dio. Che cosa c’è da fare in paradiso? Dovremo adorare, ringraziare, cantare, possedere, godere Dio. Ma se si rallenta la pietà, non vi è più
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quell’aspirazione sentita, quel desiderio forte, vivo al fondo dell’anima, cioè prepararmi al cielo... Non si entra improvvisamente in cielo, ci si prepara con una vita sempre più in Dio: «Vita vestra abscondita est cum Christo in Deo: la vostra vita è nascosta con Cristo in Dio»9 sempre di più, e che viva in noi Gesù Cristo.
In terzo luogo, l’anima che ama la preghiera, che cosa fa? Passa il primo grado di orazione, orazione vocale; poi secondo grado, orazione mentale; il terzo grado, orazione affettiva; poi viene il raccoglimento infuso; quindi viene la quiete, e poi viene l’unione semplice, e l’unione estatica e l’unione trasformante10, a cui tutti sono chiamati. Quindi, non solo perseverare, ma migliorare la preghiera. Voler arrivare ostinatamente ai più alti gradi di orazione, e Dio la dà questa grazia. E ognuna che è consacrata al Signore questa grazia ce l’ha nella vocazione, e l’ha perché il Signore dà il suo aiuto per corrispondere alla vocazione. La vocazione è vocazione ad un’orazione sempre più alta che è sempre accompagnata dal più alto spirito religioso, dalla perfezione della vita quotidiana. Non è che stiamo solo a dire delle orazioni, ma dobbiamo fare un’orazione che porta tutto l’essere a Dio, finché Gesù Cristo domini in noi11, affinché l’azione dello Spirito Santo sia continua e sentita in noi e così l’anima si va preparando per il cielo, cosicché la morte è solamente più, uno spingere la porta per entrarvi. L’invito è di Gesù!
Pensare quindi a questa vocazione come ad un alto grado di orazione. Allora perseverare nelle pratiche; si capisce, non c’è bisogno di dirlo. E secondo: fare sempre meglio le pratiche, cioè con maggior fede, maggior umiltà, maggior amore al Signore. Terzo: trasformare la vita in preghiera, di questo già si è parlato, ma bisogna ricordarlo ancora. Quarto: frequente uso delle giaculatorie e degli sguardi che sono anche brevissimi,
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sono come un’occhiata data al fondo della nostra coscienza: Cuore mio, in questo momento a che cosa pensi? A che cosa tendi? Che cosa vuoi? Sei unito al Signore?. Brevissime occhiate che ci fanno penetrare nello stato dell’anima, non solo in ciò che è più superficiale, sebbene sia tanto utile, ma in quello che si fa in atti di virtù o di mancanze.
[Vedere] proprio la disposizione interiore che è lo stato dell’anima. L’esame di coscienza è prima di tutto l’esame sullo stato di fervore, di spirito di fede, di intenzioni, di carità, ecc. Prima lo stato e poi vengono gli atti esteriori oppure anche gli atti interni.
Man mano poi che passano gli anni, abbondiamo sempre un po’ di più in questa orazione, non tanto per il maggior tempo, anche se questo è utile. Quando si comincia a pensare che la terra è nulla, se non è considerata in questo pensiero che serva all’eternità, ma qui sulla terra non possiamo aspettarci nulla. Intanto persuadersi che Dio e il suo paradiso è tutto. Allora la maggior pietà procede da sé, viene da sé. Quindi, occasione di sentire qualche Messa in più; occasioni di ritirarsi un po’ in noi stessi e, quando è possibile, passare in chiesa per un saluto a Gesù. Almeno volgere il cuore a Gesù da dove si è verso il Santuario, così grande che riempie i nostri occhi e deve riempire anche il nostro cuore. Spirito di preghiera!
Ora, sia chiaro: «Qui perseveraverit usque in finem hic salvus erit»12, e diminuirà di sicuro il purgatorio, perché assomiglia sempre più agli abitanti della celeste Gerusalemme, ai santi e agli angeli del paradiso. E si sta ancora sulla terra, si cammina ancora sulla terra, ma i pensieri e i desideri sono rivolti là: ci si prepara all’eterna preghiera in paradiso.
Come la professione perpetua immette nel noviziato del paradiso, così la vita di orazione prepara l’ingresso diretto in paradiso. Quanto più la nostra preghiera è elevata, assomiglia alla preghiera di Gesù nel tabernacolo, alla preghiera di Maria, che man mano vedeva i suoi giorni abbreviarsi e il suo sospiro era lassù: Cum veniam? Quando arrivo?.
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1 Meditazione tenuta a Roma il 16 marzo 1961. Trascrizione da nastro: A6/an 101a = ac 167b.

2 Cf med. 6.

3 Cf Mt 24,13.

4 Cf Lc 11,5-8.

5 Cf Lc 18,1-8.

6 Locuzione latina. “Fa’ bene quanto stai facendo”.

7 Cf 1Cor 13,4.

8 Nell’originale: “…si abbandona”.

9 Cf Col 3,3.

10 Cf A. Royo Marin, o.c., Vari gradi di orazione nn. 371-372. pp. 770-774; orazione vocale, n. 373; meditazione, n. 378; orazione affettiva, n. 386; orazione di semplicità, n. 392; raccoglimento infuso, n. 436; orazione di quiete, n. 439; unione semplice, n. 443; unione estatica, n. 450; unione trasformante, n. 467.

11 Cf Gal 2,20.

12 Cf Mt 24,13: «Chi avrà perseverato fino alla fine sarà salvo».