Beato Giacomo Alberione

Opera Omnia

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Ariccia, 5-6 e 10-11 marzo 1961
I
LA PREGHIERA1


...2[Gli Esercizi servono a] rinvigorire la nostra vita religiosa, esaminando ciò che è stato finora e orientandoci per quello che vogliamo essere in avvenire. Ma per rinvigorire la vita religiosa, il primo passo è questo e serve sempre in tutta la vita: migliorare la preghiera. Ci sono persone che credono di essere sufficientemente intime con Dio e avere una pietà già buona. Se è così, ringraziamone il Signore. Ma nessuna si faccia l’idea che non debba progredire. La vita religiosa è per il progresso e nel progresso la prima cosa sono le nostre relazioni con il Signore.
La qualità della nostra preghiera. In questo vi è da progredire fino all’estremo della vita, cioè portare all’orazione disposizioni sempre migliori nello stabilire una relazione intima, continuata, illuminata, affettiva con il Signore. Esaminare quindi come si è fatta la pietà, con che sentimenti ci si è svegliati al mattino, quale preparazione alla Comunione, come si è ascoltata la Messa, com’è stata la meditazione, come abbiamo fatto la Visita, come si è recitato il santo rosario, come si è fatto l’esame di coscienza, com’è stata la lettura spirituale e quale unione con Dio abbiamo conservato nel corso della giornata. Perciò le pratiche [di pietà] ben fatte e fatte secondo lo spirito paolino nella devozione a Gesù Maestro Via, Verità e Vita. Esame!
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Ci sarà poi da eccitarsi al dolore se vi sono mancanze e invece alla riconoscenza e a un amore sempre più intenso al Signore, se la pietà è stata ben fatta. Nessuna però pensi che sia arrivata alla perfezione e che basti come fa ora l’orazione per arrivare al più alto grado di pietà, cioè al nono grado di orazione, come generalmente viene insegnato dagli asceti.
In questi giorni, l’oggetto delle nostre domande più intense al Signore sarà: «Signore, insegnami a pregare»3. Per ottenere questa grazia, recitare molti Padre nostro. Ha detto Gesù: «Quando pregherete, direte così: Padre nostro che sei nei cieli, ecc.»4. E la Chiesa, nel corso della Messa, ha messo il Padre nostro come primo atto di preparazione alla Comunione.
Poi la Salve Regina. Domandare un’orazione sempre più elevata nello spirito di semplicità, di fervore e di amore a Maria. Quale spirito si rileva dal Magnificat!
Poi tre Gloria Patri alla Santissima Trinità per ringraziare il Signore dello spirito di orazione che egli ha infuso in S. Paolo. Ringraziando la Santissima Trinità facciamo una preghiera utilissima, perché non c’è miglior modo per ottenere le grazie che essere riconoscenti. E domanda, domanda, domanda... Sta bene domandare sempre, ma il ringraziamento attira le grazie, perché si riconosce che tutto viene dal Signore e tutto deve tornare al Signore. Chi pretende solo di ricevere e non pensa a ringraziare e a corrispondere, troverà che la sua preghiera non è ascoltata, poiché il riconoscere e il corrispondere sono già una preghiera vitale per ottenere sempre una maggiore abbondanza di grazia.
Tuttavia, perché le pratiche di pietà siano fatte sempre meglio, chiediamo al Signore il grande dono della pietà, che è uno dei sette doni dello Spirito Santo: spirito di pietà, di grazia e di orazione, «gratiae et praecum»5. Perché altro è fare le pratiche, altro è farle con raccoglimento e comprenderle, e altro è farle con il dono della pietà. Allora le pratiche si perfezionano e si potrà progredire sempre di più nello spirito di orazione.
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Esaminare poi anche questo punto: se l’orazione, e particolarmente la Visita, è disturbata dalle preoccupazioni esterne. Bisogna che, quando andiamo a pregare, si preghi e non si pensi ad altro, cioè non ridurre le pratiche di pietà al vivere di preoccupazioni e di affanni esteriori, perché allora non si potrà stabilire il colloquio tra l’anima e Dio. Ed è il colloquio dell’anima nostra con Dio che è preghiera.
Che cosa è il dono della pietà? Il dono della pietà proviene dallo Spirito Santo e lo chiediamo sempre, perché è compreso nei sette doni. Ma in modo particolare quest’anno chiediamo: il dono della pietà.
Il dono della pietà porta a questo: l’orazione diviene più intima, gustosa, saporosa, così che si ama quell’ora di preghiera, si ama il tempo delle pratiche come il migliore della giornata, il più giocondo per l’anima, il riposo spirituale in Dio.
Ottenere questo dono della pietà viene da tre considerazioni: primo, considerare il Padre celeste come Padre, non tanto come il Signore. Considerarlo sì come Signore, ma nella pietà si arriva a riconoscerne la paternità; secondo, considerare Gesù come amico, non tanto come giudice; terzo, considerare lo Spirito Santo come amore. Non soltanto pentirci dei peccati perché abbiamo meritato i castighi di Dio, ma perché abbiamo disgustato il Signore: Mi pento di avervi offeso, perché peccando ho meritato i vostri castighi. E allora il timore, ma con il dono della pietà si passa all’amore allo Sposo celeste, cioè: Molto più perché ho offeso voi che siete infinitamente buono e degno di essere amato sopra ogni cosa6. Allora ci si pente dei peccati, perché abbiamo disgustato Iddio, perché non abbiamo dato a Dio quella gloria che Dio si aspettava da noi, ecc.
In primo luogo, considerare il Signore, il Padre celeste non tanto come sovrano, padrone che si deve servire, ma come il Padre dell’anima nostra, colui che ci ama, colui che ci ha amato dall’eternità, ci ha creati, come colui che ci ha chiamati al Battesimo e ci ha chiamati al suo servizio speciale, cioè alla vita religiosa. «Non avete ricevuto uno spirito di timore, dice S. Paolo, ma lo spirito di amore» verso il Signore, il Padre
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celeste, «in quo clamamus Abbà, Pater!»7. In questo spirito chiamiamo il Signore nostro Padre che ci ha amato e ha cura continua, minutissima, sapientissima di noi.
Gesù considerarlo come amico. Anzi, prima come fratello, perché Gesù Cristo è il figliuolo di Dio incarnato e noi siamo figliuoli di Dio. Considerarlo come amico, andare a lui con cuore aperto e intavolare con lui la conversazione. Quanto più viene spontanea, tanto meglio lo spirito si effonde. Allora l’anima parlerà con Gesù in semplicità e con un’orazione affettiva, con atti spontanei di amore, che escono proprio dal cuore, con domande che sono ispirate da semplicità. Stupenda familiaritas8, allora si stabilisce una familiarità con Dio che è stupenda. È un dolce colloquio, come dice l’Imitazione di Cristo. Veramente se si vuol dire le cose con più precisione, la preghiera comincia quando si stabilisce questa conversazione con il Signore. Allora sono atti di fede, atti di fiducia, di amore, atti di dolore, sono atti di speranza. Il cuore si apre e la conseguenza è sentire l’amore verso Gesù. Se la suora arriva a questa orazione di semplicità e affettiva, non avrà tentazioni contro la vocazione, perché il suo cuore è preso da Gesù; lo Spirito Santo lo ha investito. Non dico che non vi saranno più tentazioni, specialmente dai venticinque ai trentacinque, quarant’anni, ma lo spirito, l’anima, il cuore si stabilirà sempre meglio in Gesù. Si sentirà che l’anima si è rivolta e ha cercato lo sposo, come la sposa del Cantico dei Cantici. Lo Spirito Santo è allora, come lo sposo dell’anima.
Quando c’è questo dono della pietà si ama la Chiesa come madre che ci ha rigenerati nel Battesimo, ci ha confermati nella Cresima, che ci ha accolti e portati all’altare, alla consacrazione a Dio per mezzo della professione. Si ama la Chiesa e il Papa. Una devozione sentita al Papa, per cui si prende parte alle sue pene, ai suoi desideri, alle sue gioie. Quando c’è il dono della pietà, si ama l’Istituto quasi con tenerezza, gioia e si sente la felicità di appartenere a un Istituto così bello, così santo e così attuale per questi tempi.
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Allora le Costituzioni sono penetrate e anche gustate. Le Costituzioni sono amate per il loro spirito, in quanto provvedono a tutto quello che serve alla santificazione e all’apostolato. Si amano le superiore come coloro che il Signore vi ha messo accanto per guidarvi nella via della santità e tenervi lontane dal peccato. Si amano le sorelle come coloro che fanno con noi lo stesso viaggio verso il cielo nella via della perfezione, attendendo alla santificazione, al bel Paradiso, dove, tutte riunite, con la Vergine Immacolata [ci ritroveremo a cantare] bei canti. Si amano allora tutte le figliuole che il Signore ha destinato alla Congregazione. Quindi si ha cura delle vocazioni, si cercano, e in quanto si può, si contribuisce alla loro formazione. Si prevengono un po’ le gioie del paradiso, e queste gioie si sentono secondo l’espressione delle beatitudini annunziate dal Maestro Gesù: «Beati i poveri, beati i miti, beati coloro che hanno fame e sete della giustizia di Dio, ecc.»9.
Una vita quindi di pietà gustosa, saporosa. E allora quanto diventa tenera la devozione a Maria! Una devozione filiale, dono della pietà mariana. E quanta gioia si ha nell’ascoltare la Messa, nella Comunione, nella Visita: dono della pietà eucaristica. Come si sviluppa la devozione a S. Paolo? Leggendo la sua vita, le sue lettere e i suoi discorsi registrati negli Atti degli Apostoli, lo si ama come padre. Ecco il dono della pietà paolina: mariana, eucaristica, paolina.
Si guarda con tanto rispetto l’Angelo custode che ci sta accanto, gli si rivolge la parola; gli si domanda che ci accompagni, che ci difenda dalle disgrazie, specialmente dal peccato. E lo si sente vicino, così che qualche volta si arriva anche istintivamente a voltare la testa a destra: Sei qui, dammi la mano, ecc. E si dicono dei begli Angelo di Dio.
Si amano le anime del purgatorio. Quasi si sente arrivare il loro gemito, la loro invocazione perché le aiutiamo, le solleviamo e cerchiamo di anticipare il loro ingresso in paradiso.
Si ama tutto ciò che è di religione: la chiesa, la cappella; si ama l’abito sacro come una difesa dal male; si conservano le belle immagini nel libro che si usa per lettura. Le immagini
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che non devono mai mancare a una Figlia di San Paolo sono: il Maestro divino, la Regina Apostolorum, S. Paolo.
Vi è tutta una vita diversa: l’apostolato lo si vede come una carità che si porta alle anime, carità molto più bella e più necessaria che portare il pane: si porta la verità, si porta il Vangelo, la dottrina cristiana. In sostanza, è tutto un altro colore che prende la nostra vita di consacrazione: non solo un colore esterno, ma proprio una sostanza interna.
Se l’anima arriva a questa intimità, a questa giocondità di parole e di comunicazioni con Gesù durante il noviziato, durante la professione temporanea e poi nei primi anni di professione perpetua, la vita religiosa prende tutt’altro andamento, si libererà da tante tentazioni, da tante distrazioni, da tanti malcontenti, ci si libererà da molte insidie del diavolo e da molte voci della carne. L’orgoglio sarà sedato, gli attaccamenti saranno tagliati via, le invidie scompariranno o almeno saranno vinte; l’ira sarà cambiata in dolcezza e l’amore alla delicatezza si mostrerà un po’ in tutto. Suore tutte impregnate di amore a Gesù che solo comparendo impongono rispetto. Tra loro vi è sempre una relazione di stima e di carità religiosa. Non vi saranno quelle vicinanze, quelle relazione troppo umane, così che tra persona e persona vi sarà sempre l’angelo custode di mezzo, il progresso continuo.
Questa delicatezza manca nelle persone superficiali che hanno una preghiera imperfetta, non si spaventano delle piccole mancanze, vanno avanti con tante venialità e non sono delicate con Gesù. Ci sono invece persone delicatissime con Gesù, sono attente nel loro parlare e si vede che il loro cuore è unito a Dio, perché il loro parlare è sempre edificante. È Gesù, è lo Spirito Santo che abita in quell’anima.
Come se vi fosse un pozzo dove hanno buttato i rifiuti e uno che si affaccia al pozzo sente un odoraccio. Invece quando il pozzo è pieno di acqua limpida… Ecco, dalla bocca si conosce il cuore. La testa e il cuore e la lingua sono strettamente uniti tra loro. Quando la suora è veramente pia, cioè non solo fedele alle pratiche [di pietà], ma sente il dono dello Spirito Santo, allora il progresso sarà continuo, la vita serena, la morte piena di fiducia. Ci sono delle morti che sono veramente edificanti.
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Si vede che hanno stabilito fra loro e Gesù il Signore, tale comunicazione, che per loro la morte è solamente uno spingere la porta: di là c’è il paradiso eterno.
Dunque, in questi giorni recitare dei bei Padre nostro, delle belle Salve Regina, dei buoni Gloria Patri che offriamo per mezzo di S. Paolo, per il dono della pietà, fine particolare di questi giorni di Esercizi spirituali. Ne sentirete tutte un grande vantaggio.
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1 Meditazione tenuta ad Ariccia (RM) il [5] marzo 1961. Trascrizione da nastro: A6/an 98a = ac 163b. Sul nastro non è indicato il giorno. Riguardo la data, dal Diario di don Speciale si ricava la seguente informazione: “...il Primo Maestro passa ad Ariccia, dove nella casa del Divin Maestro è radunato un gruppo di Figlie di San Paolo; il Primo Maestro detta loro una meditazione che ha per tema: “La preghiera”.

2 Mancano le parole iniziali.

3 Cf Lc 11,1.

4 Cf Mt 6,9.

5 Cf Zc 12,10: «Di grazia e di consolazione».

6 Cf Atto di dolore.

7 Cf Rm 8,15-16.

8 Cf Imitazione di Cristo, II, I, 1: “Una familiarità straordinariamente bella”.

9 Cf Mt 5,3-12.