Beato Giacomo Alberione

Opera Omnia

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16. GIOVEDÌ SANTO1


Raccogliamoci alcuni momenti per entrare nella considerazione di questi ultimi giorni della vita di Gesù, vita visibile, sulla terra. Particolarmente [entrare] nel suo intimo nei giorni densissimi di fatti, di misteri, di ricordi: il Giovedì Santo e il Venerdì Santo. L’ultima settimana della vita del Salvatore riassume quello che egli aveva detto, insegnato e che voleva fosse ricordato e predicato dagli apostoli. Quindi accelerò le sue istruzioni particolari: la parabola delle vergini stolte e delle vergini prudenti, la parabola dei talenti; l’annunzio di quello che sarebbe avvenuto, cioè l’estrema ostinazione degli Ebrei, i quali resistevano al fatto che era così chiaro: la risurrezione di Lazzaro. Anziché piegarsi, decisero di toglierlo di mezzo, perché cessasse di fare miracoli. Poi, [l’annuncio della] distruzione di Gerusalemme come castigo alla resistenza, all’ostinazione. E poi quello che sarebbe stato per tutto il mondo alla fine: il giudizio universale, dove egli sarebbe disceso dal cielo in grande gloria e maestà. Profezia che ripete davanti a Caifa e al sinedrio. Quindi la glorificazione degli eletti e il castigo agli ostinati.
Ecco che a metà della settimana, cioè al Giovedì Santo, Gesù mandò due discepoli, Pietro e Giovanni che l’avevano interrogato: «Ubi vis paremus nobis Pascham: Dove vuoi che prepariamo la Pasqua?». Rispose: «Entrate in città e alle porte di essa, troverete un uomo che porta una brocca d’acqua. Seguitelo dove egli entrerà dite al padrone: Il Maestro viene qui a fare la Pasqua. Dov’è la sala?»2. Allora fu mostrata loro una grande sala, addobbata e trovarono come era stato predetto. Gesù voleva che l’Eucaristia fosse celebrata con grande solennità. Sedette a tavola con i suoi discepoli, e una delle parole
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memorabili è stata questa: «Desiderio desideravi hoc Pascha manducare vobiscum: Ho desiderato ardentemente di mangiare questa Pasqua con voi»3. La Pasqua era duplice: quella che chiudeva la Pasqua mosaica e quella che apriva la Pasqua cristiana. La mosaica per i soli Ebrei, non universale, la Pasqua cristiana universale; la Pasqua mosaica temporanea, la Pasqua cristiana fino alla fine dei secoli.
S. Paolo, che centra sempre il pensiero del Maestro, dice nella consacrazione: «Hic est calix Novum Testamentum»4, e allora inaugurò il Nuovo Testamento, la Chiesa. Tutto si iniziò allora: chiudeva l’Antico Testamento e apriva il Testamento d’amore, in opposizione e in perfezionamento al testamento di timore che era stato concluso con Mosè e rinnovato più volte nella storia degli Ebrei. Il Nuovo Testamento si incentra nell’Eucaristia. Chiusa la Pasqua ebraica, comincia la Pasqua cristiana. Gesù prende il pane, lo benedice, lo spezza, lo distribuisce agli apostoli: «Questo è il mio corpo»5. Poi prende il calice al termine della mensa: «Questo è il calice del Nuovo Testamento nel mio sangue»6. Non più testamento nel sangue degli agnelli o dei tori, ma «nel mio sangue» che sarà sparso per la salute di tutti. «Questo è il calice del mio sangue», del Nuovo Testamento. Il grande sacrificio che preveniva il sacrificio che si sarebbe compiuto l’indomani, quando non sarebbe più morto un agnello, ma sarebbe morto l’Agnello vero: «Ecce Agnus Dei qui tollit peccata mundi: L’Agnello che toglie i peccati del mondo»7, l’Agnello che andò volontariamente a morire senza lamenti, senza opposizioni. Era venuta la sua ora, l’ora dei nemici e il loro momentaneo trionfo: «Haec est hora vestra»8.
Allora istituì il sacerdozio, perché non c’è sacrificio senza il sacerdote. Dopo la nascita dell’Eucaristia, nasce il Sacerdozio: «Hoc facite in meam commemorationem: Fate questo in
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ricordo di me»9. Gesù, che è ineffabile nelle sue invenzioni di amore, vuol essere il ministro principale. Quindi nella Messa il celebrante, il ministro principale è sempre Gesù, che è presente sull’altare, opera per mezzo del sacerdote, ma opera lui, vivo, vero, reale. Ed è lui che transustanzia il pane e il vino nel suo corpo e nel suo sangue. Fede ci vuole! Il cristiano deve vivere di fede. L’Eucaristia è il centro del Nuovo Testamento, il centro di amore. Il centro del Nuovo Testamento, perché dall’Eucaristia parte tutta la vitalità della Chiesa, tutta la sua attività, tutta la sua azione. Fortunati i Paolini e le Paoline che hanno trovato la fonte, hanno trovato Colui che è il centro della vita della Chiesa, come è il centro del nostro culto sacro.
In ogni chiesa vi è soprattutto da guardare l’altare, e sull’altare il tabernacolo, centro della chiesa materiale e centro della Chiesa universale, della Chiesa che si compone degli uomini che egli nutre e ad essi comunica la vita, perché divengano figli di Dio vivendo in grazia uniti a lui. Ognuno quindi è partecipe dei suoi meriti, vivendo la sua vita: il cristianesimo. «Si filii et haeredes: Se siete figli di Dio, siete anche eredi, e coeredi con lui»10, perché nell’anima che si santifica vi è Gesù Cristo. Perché l’anima compie un atto materiale, supponiamo un lavoro di apostolato, ma egli unisce la grazia, per cui c’è la materia da una parte e dall’altra parte c’è lo spirito, c’è la forma che dà la soprannaturalità all’atto che diviene meritorio per la vita eterna.
Dobbiamo ricordare poi che nostro Signore voleva proprio imprimere nel cristianesimo ciò che è fondamentale. Nella settimana precedente la sua morte, il Salvatore riassume tutta la sua vita, tutto il suo insegnamento. A Tommaso risponde: «Io sono la Via, la Verità e la Vita»11, mirabile riassunto di tutto il Vangelo, di tutto il cristianesimo. In sé il cristianesimo è via verità e vita, e questo deve essere partecipato alle anime. Ognuno deve credere a Gesù, seguire Gesù, unirsi a Gesù. Questa è l’eredità del Salvatore: il sacerdote, l’Eucaristia, se stesso.
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Ma Gesù volle centrare anche le disposizioni. Fra poco ci sarà la lavanda dei piedi. Il diacono l’ha già annunciata nel Vangelo che ha cantato, e le disposizioni sono: umiliarsi. «Nulla potete senza di me»12, neppure il più piccolo merito. Quindi l’umiliazione, metterci al nostro posto. Non c’è bisogno di fare delle finzioni per umiliarsi, c’è da andare alla verità. Umiliazione! Il Maestro si mette davanti agli apostoli e lava loro i piedi.
Secondo: altra condizione per la Comunione: la carità verso tutti, poiché il Nuovo Testamento è un testamento di amore, eccesso di amore di Gesù «…che aveva amato i suoi apostoli li amò fino all’estremo»13 e si inginocchiò davanti a loro. Ed erano così imperfetti che poco prima avevano disputato chi di loro fosse il maggiore. Si inginocchiò, lavò loro i piedi. Ecco la grande carità! Poi richiamò a ciò che è la vita cristiana pratica, dopo che l’attività e l’energia è venuta dalla Comunione: «Exemplum dedi vobis, ut quemadmodum ego feci ita et vos faciatis»14. La via è tracciata è la mia vita, ed è la via: «Ego sum via». La via per arrivare al cielo è questa: la carità, l’umiltà, la vita intera del Salvatore. La Via!
L’ultima parte della funzione era la denudazione degli altari. Noi dobbiamo ricordare che nella notte che segue, gli apostoli abbandonano il Salvatore nelle mani dei nemici e fuggono. Egli è sentenziato: «Reus est mortis»15. Egli passa le ultime ore della notte tra gli sgherri che andavano a gara a tormentarlo, velandogli gli occhi e percuotendolo sulla faccia: «Quis te percussit?»16, e sputacchiandolo, poi schiaffi e pugni. Tutte le libertà contro di lui erano permesse. Gli uomini si permettono tante libertà e anche disonestà contro il Salvatore Gesù, contro la sua bellezza e la sua santità.
Ora, la denudazione degli altari. Ecco, quel volto divino, che era «figura substantiae eius… splendore della gloria del
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Padre»17. Contemplarlo nella sua passione quando è coperto di sputi, di sudore e di gocce di sangue. Quindi noi dobbiamo in qualche maniera esprimere il dolore della Chiesa che piange il suo Fondatore, il suo Maestro «in quo est salus, vita et resurrectio»18. Quindi un certo lutto. Noi ricordiamo che forse abbiamo imbrattato più volte il volto adorabile che gli angeli contemplano in cielo, il volto del Maestro divino. Pieghiamoci in umiltà e insieme accogliamo ciò che la Chiesa vuole insegnarci, perciò penetrare tutto il mistero. Poi ricordiamo che la notte prossima la passeremo tranquillamente in un letto, ma quanto è stata terribile per il nostro Maestro, il Salvatore nostro Gesù Cristo!
Domani mattina le funzioni ricordano la mattinata del Venerdì Santo, come Gesù fu sentenziato, condotto a Pilato, accusato, condotto a Erode, poi flagellato, incoronato di spine e il grido che partiva dalla piazza, sempre più forte, più insistente: «Crucifigatur!»19. E poi il viaggio al Calvario. Accompagniamolo con sentimento di amore. Ricordiamo che tutti abbiamo contribuito, chi più chi meno. Umiliazione e fiducia, perché quei meriti sono per noi. Sì, hanno giovato alla santità del Maestro divino, di Gesù, ma erano fatti per noi. Quindi fiducia. Umiltà, fiducia e poi amore. Amare chi ci ha amato fino al termine: «In finem dilexit eos»20!
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1 Omelia durante la Missa in Coena Domini tenuta alla Famiglia Paolina a Roma in Santuario il 30 marzo 1961. Trascrizione da nastro: A6/an 102b = ac 170b.

2 Cf Mc 14,12-14.

3 Cf Lc 22,15.

4 Cf 1Cor 11,25: «Questo calice è la nuova alleanza».

5 Cf Mc 14,22.

6 Cf 1Cor 11,26.

7 Cf Gv 1,29.

8 Cf Lc 22,53: «Questa è l’ora vostra».

9 Cf Lc 22,19: «Fate questo in memoria di me».

10 Cf Rm 8,17: «Se siamo figli, siamo anche eredi».

11 Cf Gv 14,6.

12 Cf Gv 15,5.

13 Cf Gv 13,1.

14 Cf Gv 13,15: «Vi ho dato un esempio, perché anche voi facciate come io ho fatto a voi».

15 Cf Mt 26,66: «È reo di morte».

16 Cf Lc 22,64: «Chi è che ti ha colpito?».

17 Cf Eb 1,3: «Egli è irradiazione della sua gloria e impronta della sua sostanza».

18 Cf Antifona d’ingresso del Giovedì Santo e della festa dell’Esaltazione della Santa Croce: Ci dobbiamo gloriare nella Croce di nostro Signore Gesù Cristo in cui è la salvezza, la vita e la nostra resurrezione.

19 Cf Mt 27,22-23: «Sia crocifisso».

20 Cf Gv 13,1: «…li amò fino alla fine».