Beato Giacomo Alberione

Opera Omnia

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8-L'UMILTA'1 *
Abbiamo terminata l'altra meditazione dicendo che i suoi doni il Signore li dà agli umili. Ed è la parola che ha detto nostro Signore: humilibus dat gratias, superbis resistit2. Egli dà le grazie agli umili, resiste, invece, alle preghiere, alle suppliche dei superbi. Allora si capisce bene come si esprimono i santi Padri, i Dottori della Chiesa quando dicono: prima virtus, humilitas: la prima virtù è l'umiltà; secunda virtus, humilitas: la seconda virtù è l'umiltà. Così la terza, la quarta. «E se chiedete quale sia ancora la decima, la centesima, vi dirò sempre che la decima virtù è l'umiltà e la centesima virtù è l'umiltà»3. Allora questa è una virtù che dobbiamo desiderare tutti e mettere a base della nostra vita spirituale.
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Che cosa sia l'umiltà risulta da questo: che l'umiltà è la verità. Nasce dalla verità e nasce dalla giustizia. Nasce dalla verità. Ciò che è di Dio e ciò che è dell'uomo, ciò che è nostro. E nasce dalla giustizia. Che noi, cioè, diamo gloria a Dio e mai gloria a noi, perché nulla è nostro. L'umiltà è la verità. In quanto che Dio è grande, Dio è il Creatore. Perciò, quello che noi abbiamo è tutto ricevuto. Fuori di Dio non esisteva nulla, nulla e quello che attualmente c'è o viene direttamente da Dio o viene indirettamente da Dio; anche se oggi si fa un bell'abito con stoffa preziosa, la materia fu creata da Dio, vien trasformata, ma la materia fu creata tutta da Dio. E creare vuol dire cavar dal niente, dal nulla. Egli ha fatto il tutto. Allora, se nulla abbiamo, se tutto vien da Dio, un solo grazie a Dio. Sempre il Deo gratias, per qualunque cosa noi possiamo riconoscere in noi, qualunque dono, tutto è di Dio. E' di Dio la vocazione, è di Dio la salute, è di Dio la grazia che è nei nostri cuori, è di Dio l'intelligenza, è di Dio la voce, è di Dio tutto il nostro essere, anima e corpo, tutti i sensi interni e i sensi esterni, tutto è di Dio. Et quid habes quod non accepisti?1: che cos'hai che non abbia ricevuto? E se tutto hai ricevuto perché gloriarti come di cosa tua? La verità è quella: che tutto hai ricevuto.
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E allora, che cosa ci sarà di nostro? Di nostro, dolorosamente, c'è il peccato. Di nostro ci sono le imperfezioni e i difetti; quelli non possono venire da Dio, i peccati, i difetti volontari, le imperfezioni involontarie, non possono venire da Dio, ma dipendono da noi. Certo non siam perfetti, quanto alla natura; siam tutti imperfetti. Ma parlo dei difetti, delle imperfezioni, dei peccati volontari, ecco, ciò che è volontario. Il peccato è esclusivamente nostro e noi non possiamo sollevare la testa e dire che siamo sempre stati fedeli al Signore; non possiamo alzare la testa e dire che abbiam sempre compita tutta la sua volontà; non possiamo alzare la testa e dire che abbiam corrisposto a tutte le misericordie e grazie che egli ci ha date, no. Sempre abbiamo da tenere il capo chino e picchiarci il petto e dire: Signore, abbiate pietà di me che sono peccatore1. Ecco: abbiate pietà di me che sono peccatore. Ecco dunque la verità: che noi siamo nulla, che siamo peccatori.
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E di più, abbiamo ancor sempre bisogno di grazia, sia per la santificazione: aumento della grazia abituale; e sia ancora per schivare il peccato, fare il bene, corrispondere alla vocazione, crescere nelle virtù, crescere nella scienza, crescere nell'apostolato. Abbiamo bisogno continuo di Dio. Non solo perché Dio deve reggerci in vita, ma ancora perché Dio deve darci tutta la forza, tutti i doni dello Spirito Santo, tutte le virtù teologali, tutte le virtù cardinali, tutto lo spirito buono. Guai se il Signore per un momento ci ritira la sua mano, in quel momento noi possiamo cadere nel nulla, quanto all'esistenza, ma possiamo anche mancare, peccare gravemente e perderci. Chi sa cosa possa succedere nella vita, se il Signore non ci tenesse abitualmente la sua santa mano sul capo. Alle volte ci stupiamo: ma questo ha fatto così, quello ha fatto così. E a noi non potrebbe cader di peggio? Oh, sì! Tutti i peccati che sono stati commessi da altri, potrebbe commetterli anche la nostra malizia, anche la nostra infermità, la nostra debolezza. Perciò vivere come in un santo timore e in una santa speranza e vivere in preghiera e in supplica, in supplica, sempre vigilando e pregando. Vigilate et orate1. E ben delicata la nostra situazione. Pensare che ogni giorno potremmo offendere Dio, cadere nel peccato e magari esser sorpresi dalla morte nel peccato stesso. Che cosa, allora, abbiamo da fare? Abbiamo da umiliarci continuamente. Non ho nulla di mio, anzi, ho aggiunto al mio nulla, il peccato e di più, ho sempre bisogno che il Signore mi accompagni con la sua grazia, non mi abbandoni mai un istante, non mi abbandoni mai un istante.
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Allora, che cosa ne viene di conseguenza? Di conseguenza ne viene che noi dobbiamo, in primo luogo, obbedire. L'obbedienza è il frutto dell'umiltà. Dipendere da Dio, e dipendere per quello che sono i comandamenti, per quello che sono i voti, ma poi dipendere anche da chi rappresenta Iddio.
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Dobbiamo, poi, di conseguenza, usare sempre bontà e carità con tutti. Compatire tutti. Non pretendere d'imporci, di sovrastare gli altri, ma standocene umilmente al nostro posto e, se qualche torto abbiamo ricevuto, meritavamo di più. Noi che abbiamo offeso tanto Iddio, noi che abbiam trattato così poco bene il Signore, abbiamo tante pretese di riguardi, di attenzioni da parte degli altri? E se abbiamo qualche cosa, quel giorno infelice in cui noi ci compiacciamo, ci vantiamo, ci esaltiamo, cosa dobbiamo pensare? E' un giorno infelice.
Guardiamo a Maria. Lei, elevata alla dignità di Madre di Dio, dice: «Ecco l'ancella del Signore, la serva di Dio; sia fatto di me come hai detto»1. Cioè, il Signore può fare di me quel che crede o vuole. Io son la sua creatura, son la sua serva, può comandarmi quello che gli piace. Maria, la quale attribuisce a Dio tutto: «mi ha fatto cose grandi colui che è potente»2. Cioè, il Signore, la sua misericordia, la sua bontà, mi ha fatte cose grandi. Ecco come noi abbiamo da sottometterci al volere di Dio; ecco come abbiamo da esser riconoscenti al Signore; ecco come dobbiamo esser riconoscenti a tutti i benefici che ci vengono fatti, ogni giorno, dalle persone che sono con noi, dalle persone che ci aiutano spiritualmente o ci aiutano materialmente. Sempre riconoscenza.
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E allora, che cosa ha di vantaggio l'umiltà?
L'umiltà, anzitutto, ci fa conoscere le verità, la verità, ci comunica la luce di Dio. Chi è umile vede molto di più nelle cose spirituali e anche nelle cose materiali. Perché: «Ti ringrazio, o Padre, giacché hai nascoste queste cose ai prudenti e ai sapienti del mondo; le hai, invece, rivelate ai piccoli»1. La umiltà ci ottiene la luce di Dio. L'umiltà del cuore ci porta ad una disposizione continua per ricevere la grazia di Dio. L'acqua, dalle montagne scende al basso, alla valle. E la grazia, da Dio scende nei cuori umili. Il bambino, il quale è semplice, umile, obbediente, ecc., è colui che gode le predilezioni di Dio. E Gesù coi bambini si degnò di mostrare una affettuosità, diede loro dei segni privilegiati di affezione, di amore, poiché li accarezzava, li benediceva, li abbracciava. E: «Se non vi farete piccoli come questo bambino, non ci sarà posto per voi nel regno dei cieli»2, disse. Allora, questa espressione ci può riempire di santo timore e di pentimento, di dolore, per il nostro orgoglio.
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L'umiltà ci fa, poi, imparare tutto. Colei che è umile, colui che è umile domanda spiegazioni, legge volentieri, chiede, si fa consigliare, dirigere. Il superbo tiene la testa alta, giudica tutti, condanna come crede, ecc. e quindi si mette in condizioni di non potere imparare; ecco. Si mette in condizioni difficili, l'orgoglioso, il superbo. Allora, noi abbiamo bisogno della santa umiltà.
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Come si acquista l'umiltà? L'umiltà si acquista, in primo luogo, con la preghiera, perché è il fondamento della virtù, di ogni virtù, fondamento negativo, come la fede è fondamento positivo. Se vuoi alzare un'alta costruzione, un'alta casa, prima pensa al fondamento, alla base. Prius de fundamento cogita - dice Sant' Agostino. Più vuoi diventar santa e più chiedi l'umiltà. Una persona potrebbe anche lavorare per tanti tanti anni sull'umiltà.
- «Eh, ma non progredirà nelle altre virtù?».
- Con la virtù dell'umiltà verrà ogni altra virtù, quindi, progredendo in quella si può dire che basta. Si rafforzeranno le virtù teologali, si rafforzeranno le virtù cardinali, abbonderanno i doni di Dio e l'anima vivrà di una vita spirituale sempre più rigogliosa, forte, robusta. Chiedere l'umiltà, ogni giorno. Per esempio: l'Angelus che ci ricorda l'umiltà di Maria, recitarlo per ottener la santa umiltà. Sovente dire il confiteor, anche breve, brevissimo. Chiedere l'umiltà: atti di pentimento, di dolore. E il peccato di orgoglio sia sempre un peccato detestato con vivo dolore, con vivo pentimento, accusato con sincerità.
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Oltre la preghiera, poi, ci vuol la riflessione.
L'orgoglioso è una persona irriflessiva, sempre. Non capisce e non conosce se stesso, non sa che cosa è e che cosa vale, non conosce i propri difetti ed è assai più portato a raccontare e parlare dei difetti altrui che dei propri; ecco. Allora, siamo riflessivi. E temiamo sempre di venir lodati perché le lodi ci mettono in pericolo di compiacenze. Le lodi, poi, sovente ci fanno dimenticare i difetti. Ed è vero qualche volta che si ha una buona qualità, o che si fa qualche cosa di bene, ma daccanto ci può stare tanto male, tanta deficienza. E allora non è il caso di inorgoglirci per qualche minima virtù o qualche dono, se daccanto ci stanno tanti peccati, ci stan tanti difetti, tante imperfezioni, tante mancanze. Quanto abbiam bisogno di offrire l'ostia divina pro innumerabilibus peccatis et offensionibus et negligentiis nostris1; ecco. La riflessione. L'orgoglioso non riflette su se stesso, non conosce se stesso. Vede anche la pagliuzza nell'occhio altrui, non scorge la trave nel proprio occhio2.
E allora anche nella preghiera manca la condizione per essere esaudita, cioè, la preghiera deve essere umile, in primo luogo. Poi, deve essere fatta con fede e perseveranza. Ma prima bisogna riconoscere i nostri bisogni, il che è umiltà. Non sum dignus ut intres sub tectum meum, sed tantum dic verbum et sanabitur anima mea3: non son degno che entri nella mia casa, nella casa dell'anima mia, ma dì una parola e l'anima mia sarà salva. Ecco, sì, conoscere noi stessi, riflettere.
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Finalmente, detestare le colpe commesse contro l'umiltà e cercare le vere umiliazioni. Non desiderar soltanto la virtù dell'umiltà in genere, ma proprio cercare le vere umiliazioni. Sottomissione a chi ci insegna, a chi ci guida. Poi, rispetto, riguardo a tutti quelli che sono attorno; rispetto anche agli inferiori e ai piccoli. Vivere, quindi, nella carità con tutti, nell'obbedienza della vita comune. Nascondere le virtù, mettere piuttosto in vista i difetti ed esser sinceri quando siamo corretti, ammettere, non scusare. E quando poi si dice una bugia per scusare un altro difetto? Che cosa è?
Abbiamo, perciò, da starcene umili al cospetto di Dio e con tutte le persone. Signore, siate misericordio[so] con me che sono un peccatore; illuminatemi, dirigetemi, sostenetemi, difendetemi dal male, salvatemi. Vergine Maria, pregate per noi, peccatori, «adesso e nell'ora della nostra morte». Che possiamo salvarci, che possiamo santificarci, che possiamo corrispondere alla vocazione, praticamente. Non desiderare l'umiltà, ma le umiliazioni. E se anche siamo rimproverati di difetti non commessi, di qualche sbaglio che, invece, non abbiamo fatto, e quello va per tanti altri sbagli che non furono scoperti, va per tanti difetti che gli altri non conoscono o su cui tacciono. Umiliazione.
Ora, il Signore ci benedica e ripetiamo molto di cuore: «Gesù, mansueto ed umile di cuore, fate il nostro cuore simile al vostro».
Sia lodato Gesù Cristo.
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1 Esercizi Spirituali (15-23 gennaio 1957) alle Pie Discepole del Divin Maestro
Roma, Via Portuense 739, 17 gennaio 1957*
* Nastro 1O/f (=cassetta 26/a). - Per la datazione, cf PM: «Abbiamo terminata l'altra meditazione dicendo che i suoi doni il Signore li dà agli umili» (cf PM in c58). - dAS (cf c58). - VV (cf c16).

2 Cf 1Pt 5,5.

3 S. AGOSTINO, Lettera a Dioscoro, 118, 3, 22.

1 1Cor 4,7.

1 Cf Lc 18,13.

1 Mt 26,41.

1 Cf Lc 1,38.

2 Cf Lc 1,49.

1 Cf Mt 11,25.

2 Cf Mt 18,1-3.

1 Messale Romano, Ordinario della Messa, Offertorio.

2 Cf Mt 7,3.

3 Messale Romano, Ordinario della Messa, comunione: più esattamente: verbo; cf anche Mt 8,8.