27-SOLENNITA' DEL CORPUS DOMINI1 Quando Gesù ha istituita la Santissima Eucarestia, certamente pensava a ciascheduno di noi. Egli ci teneva tutti presenti già allora come se noi già allora fossimo esistiti. E pensava a quanti ossequi, a quante Messe, a quante comunioni, a quante adorazioni ciascheduno di noi avrebbe presentato a lui. E pensava al fervore con cui noi avremmo presentati questi ossequi, questi atti di fede e di amore e di fiducia in lui. Perciò ci aspetta. «Dato a noi»2. L'Eucaristia è un mistero di fede, è un mistero di amore, ed è, nello stesso tempo, un mistero di fiducia, di speranza
L'Eucarestia deve crescere in noi le tre virtù fondamentali su cui poggia tutta la vita cristiana e su cui poggiano i voti, perché l'amore a Gesù porta alla pratica della carità, non solamente, ma la pratica della castità. Il voto di castità è un atto di più intenso amore a Gesù. Il voto di obbedienza procede dalla fede ed è un atto e una vita di maggiore fede in coloro che ci guidano a nome di Dio, quindi nell'autorità di Dio. L'anima che vuole abbandonarsi in Dio e praticare l'obbedienza per tutta la sua vita nella sua fede, compie, arriva al voto di perfetta obbedienza. Come l'Eucarestia ci porta ad una maggior pratica della povertà. Nella speranza noi dirigiamo i nostri desideri verso il cielo, i beni eterni, i beni spirituali ed allora l'anima, tesa verso i beni spirituali, il paradiso, rinuncia a tutto, ecco, fa il voto di povertà, cioè distaccarsi dalla terra perché con le sue ali possa librarsi ed elevarsi di più ai beni celesti. Dio solo mi basta, allora. Deus meus et omnia.
I voti sono radicati e sono espressioni di una fede più intensa, di una carità più ardente e di una speranza più generosa, più forte. Quindi i voti sono un perfezionamento delle virtù fondamentali che sono la fede, la speranza e la carità, senza delle quali non ci si può salvare.
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E fede e speranza e carità si devono esercitare per obbligo all'inizio della vita spirituale, cioè quando il bambino arriva all'uso di ragione. E si devono fare questi atti di fede, [di] speranza, di carità, più volte in vita, frequentemente in vita e sono obbligatori nel momento della morte. Perciò si suggerisce ai morenti: Gesù, io credo in voi; Gesù, io spero in voi; Gesù, vi amo con tutto il cuore; Gesù perdonate i miei peccati.
Ecco, allora, nella Eucarestia fondarsi in queste tre virtù: fede, speranza e carità; e fare in maniera che crescano queste tre virtù nei nostri cuori in maniera, poi, che il voto non è una cosa improvvisa che ci caschi addosso, è un frutto di una più ferma fede, più ferma speranza, più ardente carità, viene come una spontaneità. E quindi, la giovane che si consacra a Dio, la giovane che aspira alla vita religiosa, quasi senza avvedersene, che cosa compie allora? Quella manifestazione, quel desiderio di vita religiosa, di dove provengono? Provengono precisamente da una fede più viva, da una speranza più ferma e da una carità più ardente.
Sempre più nutrire queste tre virtù e farle base, specialmente, questo, nel noviziato. Per la fede, speranza e carità si viene verso la vita religiosa e si muovono i primi passi verso di essa. Ma, come nasce la vocazione dalle tre virtù, così viene alimentata da queste tre virtù: fede, speranza e carità. E se nella vita, poi, nella vita religiosa, queste tre virtù crescono nell'anima, la religiosa è sempre fedele. Ma se queste tre virtù si illanguidiscono, non si capisce più perché si debba obbedire a Dio che è sopra di me, da cui vengo, a cui devo andare e solamente ci vado facendo la sua volontà, perché se passo per un'altra via di volontà mia, eh, non ricevo il premio, perché facendo la mia volontà, «hai già ricevuto la tua mercede»1, si può rispondere. Ma invece, quando c'è questa fede: Dio mi aspetta, Dio mi chiama per questa via, Dio vuole da me, giorno per giorno, che io cammini in questa via, momento per momento, nelle singole cose, allora l'atto di obbedienza e, anzi, il voto e il vivere il voto è così spontaneo! è una conseguenza. Vivere di fede!
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E fede che per voi è tanto facile perché viene alimentata dalla comunione e dalle frequenti adorazioni e lunghe adorazioni. Perché l'adorazione è, in principio e nella sua sostanza, un atto di fede: «credo». E allora, ecco che se credo mi prostro davanti a Gesù e gli faccio atti di adorazione e di amore e di ringraziamento, di riparazione, di petizione, di domande. Allora si dà a Gesù: «tu mi hai dato te, io ti dò me. Saremo una cosa sola, vivremo insieme». Qui manet in me et ego in eo1. Eh, sì. Colui che è in me ed io sono in lui.
E quando, poi, c'è la speranza di ottenere maggiori doni dallo Spirito Santo, maggiori frutti dello Spirito Santo, maggiore comunicazione delle beatitudini celesti e accrescimento di grazia e progresso nella virtù e il paradiso, allora che conto si fa ancora di quello che ci è attorno, che è in noi? o dentro di noi o fuori di noi, anche della stessa nostra scienza dentro di noi, della stessa nostra salute, e di quello che è attorno a noi? E si fa conto, del conto che si fa delle scarpe, che quando son necessarie sono in uso e uno le porta lungo il giorno e quando impediscono, uno le depone, come di notte. E così tutte le cose divengono in uso per l'acquisto dei beni eterni. Le scarpe di giorno ci aiutano a camminare, di notte ci impedirebbe[ro] di prendere il nostro riposo. E' così. E così si prende il cibo perché ci mantiene nel servizio di Dio e non si abbonda più in là perché impedirebbe l'amor di Dio, si cercherebbe i beni terreni, allora. E quindi il voto di povertà è una cosa subito capita fino al fondo, è praticata con gioia come un risultato chiaro delle aspirazioni interne dell'anima [e di quella comunica]zione che l'anima ha con Gesù nell'Eucarestia.
E così, l'amore a Dio porta con sé e come conseguenza il desiderio della castità. Se Dio solo ci basta, se Dio per noi è tutto, allora a noi viene spontaneo rispondere: «e io sarò tutto per te». Allora il desiderio di amarlo intieramente e amare solo lui: Dio solo mi basta, quindi il voto di castità perpetuo affinché Gesù sia contento di noi e noi ci troviamo contenti di lui e viviamo in lui: Si quis diligit me ad eum veniemus, mansionem apud eum faciemus2.
La vostra pratica delle adorazioni deve rendere così facili e deve maturare così bene i voti, che forse non trovereste tale cosa e tale aiuto in altro Istituto, quando non vi è quella comunicazione così intima col Signore. Allora comunicazioni sempre più intime. Alimentare la vita religiosa ogni giorno, alimentarla con le comunioni sempre più frequenti e più belle, più devote; alimentarla con le Messe sempre meglio sentite; alimentarla con le adorazioni sempre più devote, più totali.
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Veramente al nome di «adorazione» noi sostituiamo il nome di «Visita», generalmente; perché l'adorazione come si fa, o meglio, Visita, come si fa, comprende adorazione e ringraziamento con l'amore e comprende la riparazione e comprende la petizione e comprende l'offerta di noi a Dio e, finché non si hanno i voti, l'offerta per virtù, e poi quando si hanno i voti, l'offerta per voto; ecco. Quindi il nome di Visita è più comprensivo e più largo nel suo senso. Tuttavia si comincia sempre dall'adorazione, cioè dall'atto di fede, quindi sta bene anche il nome di adorazione come frequentemente viene adoperato.
Sempre maggiore intimità. E allora, dividerla bene la Visita per camminare sopra certe regole e per compiere meglio i nostri atti che dobbiamo compiere nella Visita stessa, sapendo poi che alla fine si ha da conchiudere, perché c'è fede, speranza e carità, in una donazione di noi a Dio: donazione della volontà per mezzo dell'obbedienza; e donazione del sentimento, del cuore per mezzo della carità, cioè della castità, dell'amor perfetto a Dio; e donazione dei vostri beni esterni per mezzo della povertà. Allora l'anima parte dalla chiesa e resta in chiesa; parte così esteriormente, fisicamente, ma resta in chiesa, cioè resta con Gesù perché ha formato con Gesù una cosa sola, sì, una cosa sola, fino arrivare a questa unione sempre più completa, purificando sempre di più il nostro cuore, la nostra vita da ciò che è imperfetto, da ciò che è venialità acconsentita, in maniera che dalla chiesa, dalle adorazioni sulla terra si passi all'adorazione in cielo senza soste, cioè senza purgatorio.
Oh, chi ha più comodità di voi, ed è più nella possibilità, diciamo così, della preparazione, di una preparazione più perfetta a passare subito, dopo la vita presente, dalle adorazioni in chiesa, alle adorazioni in quel tempio di Dio che è la celeste Gerusalemme in cui abita la Santissima Trinità, abita Gesù, abita la Santissima Vergine con gli angeli, coi santi?
Allora la professione è una vita, e sebbene vadano, magari, diminuendo le forze fisiche, l'anima è sempre più stretta a Gesù, nella sua obbedienza che matura la fede, che perfeziona la fede, nella sua castità perché questo [perfe]ziona la carità, l'amore a Dio, e nella sua speranza perché col voto di povertà noi finiamo col considerare il nostro unico bene e il sommo bene ed eterna felicità, Dio. Quindi, le Visite ben fatte.
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Poi la Messa. E' buono che si dicano le orazioni prima e poi si senta la Messa liturgica. Ma Messa liturgica, non vuol dire solamente rispondere come risponderebbe un inserviente; no. Allora il nome di Messa liturgica sta sempre bene perché la Messa è la funzione più liturgica che c'è nella Chiesa di Dio. Ce ne sono altre funzioni liturgiche, come l'assoluzione, come il battesimo, ma la Messa è la funzione più liturgica appunto perché nell'Eucarestia non c'è solamente la grazia di Dio, ma c'è anche Dio stesso, Gesù Cristo stesso. La Messa liturgica è ben sentita quando nella prima parte noi veniamo a santificazione della mente, a fare gli atti di fede e particolarmente, leggendo l'introito, poi fissandosi sulle grazie da chiedere per mezzo dell'oremus. E poi meditando il senso dell'Epistola, il senso del Vangelo e conchiudendo, quando c'è, col Credo. Sì, allora la prima parte è veramente sentita liturgicamente.
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Poi viene la seconda parte della Messa che è il sacrificio ed ha il centro dalla consacrazione. Quando si ricordano le intenzioni con cui Gesù s'immola sugli altari e quando noi vogliamo unirci al suo sacrificio della croce, quando sentiamo dalle labbra del sacerdote, se dice un po' più forte, o quando leggiamo nel messalino: Qui pridie quam pateretur ecc.1: ecco, è il momento di offrirsi al Signore. Non lasciare che Gesù si immoli solo, ma immolarci anche noi, l'offerta di noi, delle pene, dei sacrifici della volontà, del cuore, dell'essere, altrimenti si lascia Gesù solo. Ma allora non è più veramente del tutto la nostra Messa, è la Messa di Gesù, cioè la morte di Gesù. Ma per essere la nostra Messa bisogna che sia la nostra offerta anche con Gesù, l'offerta anche della vita; ed è bene far l'accettazione della morte oltre che l'accettazione di tutto quel complesso di doveri e di sacrifici quotidiani che riempiono la nostra giornata.
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In terzo luogo poi, maturare l'unione con Gesù nei voti, nella donazione, sia che si abbia già la professione e sia che non si abbia ancora la professione. Gesù è tutto mio, io son tutto suo, in tutto l'essere, ecco. Allora questa unione, questa comunione è vera, profonda, comunione di mente e di volontà e di sentimento. E possiamo anche dire, di corpo: o sacrum convivium in quo Christus sumitur, recolitur memoria passionis eius, mens impletur gratia, futurae gloriae nobis pignus datur1, poiché l'Eucarestia, l'ostia è un seme di risurrezione; ecco. Perché il corpo è come una pisside, una pisside ben sacra che contiene Gesù e quindi la Messa resta veramente sentita liturgicamente, non con delle risposte soltanto al sacerdote, ma con una liturgia vissuta e vissuta sempre più sentitamente man mano che si va avanti. E quindi noi comunichiamo sempre di più con Gesù Verità nella prima parte; Via, nella seconda parte della Messa; e Vita, nella terza parte della Messa, la comunione.
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Oh, allora, il giorno presente, mentre vi porta tanta letizia, porti insieme un conforto, una consolazione a Gesù. Maturare la professione nostra, per mezzo della fede, della speranza, della carità all'ostia divina, in maniera che la vita religiosa sia un risultato della divozione e delle Visite al Santissimo Sacramento. E per questo far sempre meglio comunione e ascoltare sempre meglio la Messa nel senso liturgico, e poi, successivamente, comunicarsi in modo più perfetto. Dare il tutto per il Tutto. Cioè, tutto noi stessi per Gesù che si dona tutto a noi.
Oh, vedete, in principio si dicevano forti le parole della Messa per intiero, quindi non solamente le parti variabili, ma anche le parti del Canone. Poi c'è stato una sentenza e una opinione corrente, che era troppo. Ma adesso dura ancora quell'opinione, ma tutti sono d'accordo nel dire che, se da una parte si pronunciano forti le parole variabili e si risponde al sacerdote, dall'altra parte bisogna entrare nello spirito della liturgia, la liturgia della Messa, la Messa vissutac, la liturgia vissuta.
Sia lodato Gesù Cristo.
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1 Meditazione alla Comunità delle Pie Discepole del Divin Maestro
Roma, Via Portuense 739, 20 giugno 1957 *
* Nastro 15/b (=cassetta 35/a). - Per la datazione, in PM nessun indizio cronologico. - dAS, 20/6/1957, Corpus Domini: «Va [il PM] a celebrare dalle suore PD, Casa Generalizia, via Portuense. Tiene anche la meditazione». - dAC, 20/6/1957, Corpus Domini: «Messa e meditazione del PM».
2 Cf Inno «Pange lingua», Liber Usualis, p. 959.
1 Cf Mt 6,2.5.16.
1 Gv 15,5.
2 Gv 14,23
1 Missale Romanum, Ordo Missae, Canone Romano.
1 Liber Usualis, in Festo Corporis Christi, in II Vesp., ant. ad Maynificat, p. 959.