4. COME VIVERE IN COMUNITÀ*
Articoli: 8 - 18
Coscienza retta
<Tra i mali della società presente vi è la mancanza di una coscienza retta, illuminata; si pensa a una morale del caso, delle circostanze>1, della convenienza, e allora si ha quello che dice Pio XII2 nel discorso che aveva tenuto sopra la necessità di formarsi una coscienza retta3. Coscienza retta è quella che è conformata alla teologia morale, alla Scrittura e, in generale, all'insegnamento della Chiesa.
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Ieri sera dovevo aggiungere altra cosa e cioè chiarire un punto: succede che qualche professa, dopo un certo tempo, si trovi come nel dubbio, se prima di fare la professione perpetua, avesse veramente vocazione. Certi dubbi nascono perché la religiosa non si sente più di osservare le Costituzioni, di praticare i santi voti, e attribuisce questo alla mancanza di vocazione. La cosa è stata chiarita ultimamente dalla Santa Sede4: quando l'aspirante ha fatto veramente e con tutta libertà domanda di essere ammessa al noviziato, alla prima professione e alla professione perpetua, ed è stata ammessa regolarmente dal Consiglio generalizio, non vi è dubbio che c'era la vocazione. Le superiore che ammettono alla professione sono, come vien detto in teologia, causa strumentale, per cui la vocazione viene comunicata a nome della Chiesa e resa certa. Perciò a tutti i dubbi che possono venir esposti, bisogna dire: Tu hai la vocazione, non corrispondi però; e si comprende allora come la tua vita non sia quella di una santa religiosa. Non ammettere il dubbio.
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Fra i punti che riguardano la coscienza, due cose volevo ancora ricordare: l'osservanza dei segreti. I segreti, se sono stati promessi, si devono mantenere, eccetto sia una promessa e un accordo che non poteva formarsi perché a danno delle persone stesse. Allora la promessa del segreto non è valida. Se è un «contractum ad malum», non tiene.
Ma vi è un'altra cosa ancora più forte e più impegnativa, questa: leggere le lettere degli altri, tanto più se sono lettere di superiore o particolarmente tra la Casa generalizia e le superiore delle case. Le superiore delle case devono custodire segretamente la corrispondenza, chiuderla. Ma che cosa dire di chi invece abusasse della libertà e quindi leggesse le lettere, la corrispondenza, tanto più che alle volte si parla di persone? Allora la mancanza è duplice. Inoltre metterebbe le superiore nella necessità di non più scrivere o ricevere quello che invece è necessario scrivere e ricevere. Questa è una mancanza grave.
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Altra cosa: in qualche casa, mi risulta, e spero che non sia vero, si ammette con troppa frequenza la proiezione di pellicole, le quali, certamente non saranno cattive poiché sono quelle che si danno per le sale parrocchiali, ma non tutto quello che si dà nelle sale parrocchiali può essere dato nelle nostre case, nell'interno delle nostre comunità. Tanto meno vi sia una soverchia frequenza, una concessione troppo larga. Su questo punto stare alle circolari che avete ricevuto. E quanto si dice delle pellicole, tanto più va poi detto per la radio e la televisione, il cui uso va regolato. La televisione, quando si usa bene, unisce in sé i vantaggi della radio e del cinema. Ma occorre sempre vigilare perché tutto sia tenuto nel giusto limite.
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Penso che questo sia collegato con un altro inconveniente. Vi è sempre nelle case la regola precisa e, in generale, ben stabilita, dell'ora della levata. Ma occorre ugualmente stabilire l'ora dell'andare a riposo. Alla sera occorre che si vada a letto presto: Presto a letto e presto fuor di letto, in generale. Cosa ben definita, perché alla sera occorre che la ricreazione non sia lunga, che si conservi un certo raccoglimento, si chiuda la giornata con pensieri santi, per incominciare al mattino la giornata più santamente. A sera, dopo aver riordinato la casa, all'ora determinata raccogliersi, pensare ed avere già qualche desiderio della comunione del mattino. Per noi sacerdoti è sempre detto e sempre si insiste: alla sera antecedente già si legga o si senta il pensiero della meditazione del mattino, affinché si prepari la mente e anche il cuore, orientando già noi medesimi verso quei propositi che vorremo avere.
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Nella via delle Costituzioni
Il formarsi una coscienza giusta è anche collegato con altre manifestazioni. Vi è in qualche diocesi questo: si vorrebbe chiamare i nostri sacerdoti, e in qualche luogo forse anche suore, per scegliere le pellicole: se sono per tutti, se sono per adulti, se sono escluse, ecc. Ho risposto di non prendere parte, di non entrar in queste commissioni perché non è proprio [compito nostro]. Noi dobbiamo avere invece la duplice censura: la censura che viene fatta da altri, cioè fuori: censura del libro e censura della pellicola. Poi [vi è ] una seconda censura nostra, in casa e cioè: quel libro o pellicola può essere approvata per tutti, ma per noi possono esserci circostanze e ragioni per non approvare, non ammettere e non concedere. Non concedere per i fedeli in generale e tanto meno concedere per la stampa, se si tratta di libri o di periodici, di articoli. Tanto meno poi non concedere la pellicola che non porti [a] quei pensieri e [a] quei sentimenti che sono propri della suora.
Chiaramente: la nostra coscienza è quella che deve regolare tutta la nostra vita. Le Costituzioni e le disposizioni che vengono dalla Casa generalizia sono da seguirsi. Può essere che oggi con tutte queste teorie della convivenza, si acquisti una certa qual familiarità tra il bene e il male, e si vada sempre più verso una coscienza non retta. Quindi leggiamo proprio nel breviario di oggi5: A coloro che o non hanno fede retta o non hanno vita buona, «nec ave eis dixeritis: non salutateli neppure» (2Gv 1,10). Questa facilità di connivenza può arrivare fino a una certa relazione con protestanti, con comunisti. La Figlia di San Paolo deve sempre essere Figlia di San Paolo. San Giovanni Bosco6, allorché si cominciava a parlare, a trattare di cose che per lui non erano convenienti, rispondeva decisamente: Ricordatevi che io sono sacerdote, e sarò sempre sacerdote ovunque abbia da trovarmi7. Coscienza giusta! Quindi con gli eretici, in generale, e in particolare con i protestanti che sono i più diffusi: «nec ave eis dixeritis». E notiamo che è l'Apostolo della carità che dice così: non salutateli neppure, non rendete il saluto, non accettateli in casa. Tanto meno poi scambiarsi dei lavori che finiscono per essere più un aiuto agli avversari che non alla causa santa nostra8. Formarsi una coscienza ben giusta.
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Abito e ordine di precedenza
Adesso dobbiamo andare avanti nelle Costituzioni. Ieri sera siamo arrivati all'articolo 8. Abbiamo già detto su: «Conservare l'uniformità di spirito e di formazione». Ma [vi è] un'altra cosa su cui è utile porre l'accento: «Tutte le suore, secondo il prudente giudizio della Superiora, devono prestarsi nel compiere gli uffici domestici comuni» (art. 7). E se anche una suora è incaricata della scuola, oppure di un altro ufficio simile, non possiamo, come ho detto, fare le distinzioni tra le intellettuali e le lavoratrici. Si passi con facilità dalla scuola alla cucina, dal pennello per dipingere alla scopa, quando è conveniente, si trattasse anche soltanto di dare aiuto ragionevole alle sorelle, in maniera che ci sia proprio l'uguaglianza, che non si formino le due classi, vietate ora dal Diritto canonico.
Art. 8. Le Figlie di San Paolo vestono abito nero di stoffa comune, tutto accollato e compito a forma di abito religioso, con velo, cintura, corona, crocifisso, distintivo metallico raffigurante il Vangelo. Le Superiore vigilino che gli abiti siano sempre conformi alla semplicità ed alla povertà religiosa e uniformi per tutte. Qualora notassero degli abusi, siano sollecite a eliminarli. Nelle regioni ove il clima caldo lo richiede, la Superiora generale può permettere che gli abiti anziché di lana siano di cotone o di altra stoffa, e anziché neri, siano bianchi.
Su questo punto vi sarebbe qualche cosa da dire, ma non spetta a me; devono dirlo poi le suore incaricate delle conferenze9.
Art. 9. Non è lecito apportare cambiamenti alla forma dell'abito, senza il permesso della Santa Sede.
Art. 10. Le suore sono obbligate a portare l'abito religioso dentro e fuori di casa, eccetto che un grave motivo non consigli altrimenti, a giudizio della Superiora maggiore o, in caso urgente, della Superiora locale.
Può avverarsi qualche caso; tuttavia non credo sia ragione sufficiente, in generale, fare l'autista per vestire l'abito civile. Può essere tuttavia che in qualche nazione vi siano delle ragioni particolari; allora si presenterà il caso alla Superiora generale la quale darà la risposta, tenendo conto delle circostanze di tempo, di luogo e di persona. A questo riguardo, per l'uso della macchina, conoscete le prescrizioni che ha dato il Sinodo Romano10: mai una suora sola con un civile o un sacerdote solo; le suore siano due. E viceversa, quando ci fosse un sacerdote o un civile non può prendere in macchina una suora sola, saranno due, in maniera che sia conservato il decoro. Questo che è stato ultimamente prescritto per Roma, in altre nazioni era già precedentemente stabilito.
Art. 11. Le novizie vestono abito simile, ma non portano né crocifisso né distintivo. Le postulanti vestono abito semplice e modesto, diverso però da quello delle novizie.
Art. 12. Le Figlie di San Paolo in comunità sono chiamate col titolo di Suora; le Superiore, durante il loro ufficio, hanno il titolo di Maestra.
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L'ordine di precedenza. Diceva un predicatore alle suore: Quando si incomincia a discutere l'ordine di precedenza, è segno che lo spirito è già andato giù, giù nella comunità. Tuttavia le regole ci sono e sono da osservarsi. Quindi:
Art. 13. Sebbene con vero spirito di umiltà ognuna debba desiderare l'ultimo posto, tuttavia nella Congregazione si osserva l'ordine di precedenza quale viene stabilito negli articoli seguenti.
Art. 14. Le Superiore precedono sempre le loro suddite; le professe perpetue precedono le professe di voti temporanei; in ultimo vengono le novizie e le postulanti.
Art. 15. La Superiora generale precede tutte le altre suore, in tutte le case e riunioni della Congregazione. Dopo di lei, nella casa generalizia e in ogni riunione a cui partecipano in forza del loro ufficio, vengono le consigliere generali; quindi, nella casa generalizia, la segretaria generale, l'economa generale, le ex Superiore generali. La visitatrice, delegata della Superiora generale, precede la Superiora provinciale e locale nella provincia o casa che sta visitando. La Superiora provinciale precede le altre in tutte le case della provincia; dopo di lei, nella casa provinciale, vengono le sue consigliere e l'economa.
Art. 16. In ogni casa dopo la Superiora locale, vengono le sue consigliere; segue la maestra delle novizie.
Art. 17. Fra le suore della medesima condizione e autorità, l'ordine di precedenza è dato dall'anzianità di professione religiosa, cioè dalla prima professione nella Congregazione; a parità di professione, è dato dall'età più avanzata. Le Superiore, scadute dal loro ufficio, riprendono il proprio posto secondo l'ordine di professione, fatta eccezione della Superiora generale; e a nessuno è lecito ritenere qualche titolo o speciale privilegio.
Art. 18. Fra le novizie la precedenza si osserva dall'ordine di ammissione, il quale viene determinato dal giorno dell'ammissione o dall'età più avanzata, se parecchie furono ammesse nel medesimo giorno. Lo stesso criterio vale per la precedenza fra le postulanti.
Non c'è bisogno di spiegazione.
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Opportunità dell'avvicendamento
Quando una suora ha la funzione [di superiora] le viene dato il titolo di Maestra; poi, a [funzione finita], viene di nuovo chiamata col nome consueto di suora: il titolo di maestra non esiste più. Nel periodo in cui quella suora fa l'ufficio di maestra in una casa, sta bene [che sia chiamata così]; ma poi viene il tempo in cui non avrà più quell'ufficio, allora prende il suo nome ordinario.
Dopo un certo numero di anni che una suora è superiora, è molto conveniente che per un certo tempo non lo sia più. Passare qualche tempo e liberarsi un po', voi che lo potete, da queste responsabilità di pensare sempre agli altri, e avere la grazia di un po' di tempo, qualche anno, di pensare solo a voi stesse. Quante volte mi rammarico di dover rimanere in quest'ufficio: devo portare a termine la missione che il Signore mi ha dato. Ma quanto meglio è liberarsi un po' da questi incarichi affinché si abbia questa grazia di pensare soltanto a noi medesimi. [Quando non è possibile], si supplisce in questa maniera: invece di un corso di Esercizi una volta l'anno, se ne fanno due perché si abbia uno spazio di tempo in cui non veniamo, diciamo così, sfruttati dagli impegni di pensare sempre ad altri. Chiedete questa grazia che vi sarà molto utile per la vita.
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Per la vita fraterna
Abbiamo letto questi articoli fino al diciottesimo. Ci sono soltanto due riflessioni da fare: vivere in carità; conservare l'umiltà.
Vivere in carità. Avete tanto sentito parlare dell' Unum sint11. Questo indica l'unione dei cristiani, e cioè degli eretici e scismatici con la Chiesa cattolica romana: «ut unum sint». Gesù ha insistito tanto su questo «ut unum sint»12 (cf Gv 17,11), [ripetuto] quattro volte nella sua ultima preghiera, la preghiera che chiamiamo sacerdotale.
Ma quell'«unum sint» si applica anche ad altro: che le famiglie siano unite, che le religiose siano unite, che i religiosi siano uniti, che vi sia l'accordo tra i cattolici, che nelle associazioni e in tutte le attività apostoliche ci sia la concordanza, e ci sia la concordanza tra il clero diocesano, tra i missionari, tra quelli che sono dediti ad opere particolari, catechistiche per esempio, oppure ad opere caritative.
Alle volte le opere si distruggono per le invidie, per le gelosie: «ut unum sint»! Ci sia la carità! La carità elimina tante cose perché, certo, mettendoci insieme, ognuna porta del bene in comunità, porta la sua attività, le sue doti, ma porta anche i suoi difetti. E ognuna ne ha. Mettendosi insieme ce ne sono molti. E perciò «ut discatis alter alterius onera portare»: che si impari a portare, a sopportare gli altri (cf Gal 6,2).
Perché volere che tutti siano proprio della nostra idea in certe cose che sono di margine? Perché volere che prevalga sempre il nostro pensiero e che tutti si adattino a noi? Si dice di aver pazienza. Però non bisogna solamente chiedere che gli altri abbiano pazienza con noi, ma avere noi pazienza con gli altri. E non fare esercitare tante volte la pazienza agli altri perché ci sopportino. Carità! La carità è prima nei pensieri, poi nei sentimenti, nelle parole e nelle azioni. Essere servizievoli, persone di grande bontà, persone che compatiscono, comprendono; [non] persone che alle volte si rendono in comunità così difficili a sopportarsi. E perché diventiamo vecchi, dobbiamo diventare insopportabili?
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Per conservare questa unione occorre l'umiltà. Siamo molto inclinati a considerare in noi tutto il bene che c'è e a gonfiarlo. Qualcosa di bene c'è in tutti. Il bene nostro siamo inclinati a gonfiarlo e invece quando si tratta di giudicare gli altri siamo generalmente più rigorosi, [abbiamo] più pretese. Il confrontarsi con gli altri è un errore grave. Pensarci come stiamo davanti a Dio. Chi può giudicare le altre persone? Dio solo si è riservato il giudizio. Dio solo conosce tutte le grazie e tutti i doni che ebbe una persona, e quindi può giudicare se quella persona ha corrisposto degnamente alle grazie o no.
Umiltà! Non fare pesare anche la superiorità. Vi è un modo di fare questo difficile ufficio di superiore e di superiori, vi è un modo di compierlo senza farlo pesare e senza che col rigore si creino degli ipocriti e delle ipocrite che nascondono. Vedere che non si verifichi quasi un culto alla superiora e: Maestra di qua e maestra di là...; poi, alle volte, son quelle che meno fanno e hanno meno carità verso le sorelle. Bisogna che non ingannino noi superiori, col mostrare esteriormente quel rispetto che non è secondo il Vangelo. Allora finiscono col metterci in una tentazione grave: [credere ] di aver qualità che non abbiamo; o finiscono per portarci a far le cose un po' per... mezza vanità. Non farsi fare delle grandi feste. Le feste in primo luogo sono per farci fare l'esame di coscienza: Ho fatto bene il mio ufficio? E per le suddite: Ho portato rispetto, obbedienza e aiuto a colei che deve guidare? Quando poi la suora va in un'altra casa, non si continui a scrivere; finito il suo ufficio, farà l'ufficio che avrà in un'altra casa. Le suore di quella casa ricevano con umiltà e con gioia la nuova superiora, la nuova maestra, e comincino, o meglio continuino a considerarla come colei che rappresenta Dio e che deve guidare la comunità verso la perfezione, verso il miglioramento di spirito, di istruzione, di apostolato, di povertà, in tutte le quattro parti.
Scrivere alle volte per rilevare i difetti oppure per mostrare una certa sentimentalità... è del tutto da evitarsi. Essere vere suore, modellate sull'apostolo Paolo. La donna forte è quella che ha l'elogio nella Scrittura (cf Pr 31,10-31). La donna forte descrive Maria; quel tratto della Scrittura la descrive nelle varie parti. La fortezza è virtù cardinale ed è insieme dono dello Spirito Santo.
Il Signore benedica sempre più ogni casa; regni in esse l'umiltà e la carità. Allora non si rilevano distinzioni, si amano tutte ugualmente, e non si mette tutta la confidenza in una, la quale poi - perché furbetta - sa guadagnarsi l'affetto e sfruttare la sua posizione di favorita13.
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* 4. Ariccia, 17 maggio 1961. Reg.: A6/an 108b = ac 177b. Il titolo della registrazione è: “Alcune norme disciplinari”. L'inizio è incomprensibile e manca la conclusione.
1 Testo ripreso dalla prima edizione a stampa (cf SdC, p. 31).
2 Eugenio Pacelli (1876-1958), romano, papa dal 1939 al 1958.
3 Non è stato rintracciato per ora a quale documento pontificio il Fondatore si riferisca, ma il tema della coscienza retta è una costante del suo pensiero. Nel San Paolo di febbraio 1950 don Alberione scrive: «Vi è una necessità fondamentale ed essenzialissima: la formazione di una coscienza più illuminata, più retta, più profonda, più delicata».. Nelle Costituzioni delle FSP del 1953 è ben chiaro questo orientamento formativo: «Le maestre nel loro delicato compito pensino ad una necessità fondamentale ed essenziale: la formazione cioè di una coscienza illuminata, retta, profonda, delicata» (art. 235).
4 Con probabilità Don Alberione ha presente il documento, emanato il 2 febbraio 1961 dalla Sacra Congregazione dei Religiosi: Istruzione sulla scelta e la formazione e formazione dei candidati allo stato religioso e ai sacri ordini, Roma 1961; e particolarmente il capitolo I, dal titolo: “Le cause più comuni di defezione”, pp. 9-14.
5 Breviarium romanum, Feria IV, infra octava Ascensionis.
6 Giovanni Bosco (1815-1888), sacerdote piemontese, fondatore della Pia Società di San Francesco di Sales o Salesiani e delle Figlie di Maria Ausiliatrice per l'educazione della gioventù.
7 L'espressione è riportata da G.B. Lemoyne, Vita di S. Giovanni Bosco, Torino 1943, vol. I, p. 394.
8 Don Alberione dimostra qui una intransigenza che sembra eccessiva, dettata più dalla prudenza che da insensibilità pastorale. Basta pensare al Centro Ut unum sint, avviato nel 1950 e che nel tempo assumerà un carattere sempre più ecumenico (cf Istruzione 26).
9 Per i temi trattati nelle conferenze, cf introduzione, p. 20.
10 Il Sinodo Romano è stato tenuto a Roma dal 24 al 31 gennaio 1960. Per la normativa indicata, cf Primo Sinodo Romano, Tip. Poliglotta Vaticana 1960, n. 87.
11 Si tratta del Centro denominato “Ut unum sint”, di cui il Fondatore parla ampiamente nell'Istruzione 26.
12 «Perché siano una cosa sola».
13 L'Istruzione termina bruscamente. Anche nella prima edizione a stampa non vi è nessuna parola in più.