Beato Giacomo Alberione

Opera Omnia

Effettua una ricerca

Ricerca Avanzata

15. LA POVERTÀ EVANGELICA*
Articoli: 144 - 162

Fervore e vocazioni

Quando vi è l'osservanza religiosa, il Signore manda le vocazioni. Il Signore è un buon padre; se un padre ha da mandare una figliuola in collegio, sceglie il collegio migliore, così fa il Padre celeste: egli è il gran Padre di tutti e di tutte le figliuole. Se vi è il fervore in una casa religiosa le vocazioni arrivano […]1. La diminuzione di fervore segna, in generale, la diminuzione delle vocazioni. E ogni anno veniamo a conoscere Istituti che si chiudono per esaurimento di personale. Ma prima è avvenuto, in generale, un abbassamento di temperatura spirituale in quell'Istituto.
È vero però che vi sono degli Istituti che hanno fatto il loro tempo, hanno finito la loro missione perché avevano un apostolato temporaneo. Per fare un esempio, più facile a capirsi: gli Istituti militari, stabiliti durante le crociate, sono quasi chiusi; rimane solamente qualche segno o qualche persona che però si dedica ad altri uffici, non più a combattere per le crociate. Ma gli Istituti nostri hanno tutti una missione che può durare fino alla fine dei secoli; basta che si conservi il fervore, l'osservanza religiosa.
148
Provvidenza e povertà

Così avviene dell'osservanza nella povertà. Vengono i mezzi della provvidenza se si osserva la povertà. Come quando uno fugge le lodi, gli corre appresso l'estimazione delle persone, si guadagna la stima; e invece chi cerca le lodi, alla fine viene disprezzato. Così riguardo alla povertà: se vi è l'osservanza esatta, allora il Signore manda la provvidenza secondo le necessità dei tempi. E noi abbiamo particolari necessità. Si è in principio, ci vogliono le case. Si è in principio e le case non bastano, ci vogliono i macchinari per la produzione e i magazzini. Non è come chi apre una scuola: fatta la costruzione, accoglie i ragazzi e [questi] pagano... e allora la vita è più facile. Per noi occorrono sempre tre spese [iniziali]. Quindi le nostre difficoltà, rispetto a molti altri Istituti, sono come da uno a tre. E perciò sempre abbiamo bisogno della provvidenza di Dio.
Osservanza allora del voto della povertà: dall'articolo 144 fino all'articolo 162 compreso. È bene leggerli intieramente, anzi rifletterci sopra perché ci sono particolarità che non si possono dire tutte in una lezione.
149
Voto di povertà

Art. 144. Col voto di povertà le religiose rinunciano al diritto di disporre e di usare lecitamente ogni bene temporale che ha valore in denaro, senza la licenza della legittima Superiora, con gli altri effetti descritti nelle presenti Costituzioni.

[La professa] rinuncia al diritto di disporre e di usare lecitamente ogni bene temporale che ha valore in denaro, perciò non può disporre.
«Ogni bene temporale che ha valore in denaro»: quindi, si intende anche la redazione o la traduzione perché redazione di un libro, traduzione di libri o di articoli hanno valore in denaro. E infatti vi sono persone che fanno solo questo lavoro, e vivono di redazione di libri, articoli, servizi per vari giornali o di traduzioni. Tutto ciò «che ha valore in denaro»: non solamente il denaro in moneta quale si usa nella vita quotidiana, ma anche le cose [prodotte]. Se uno prega per un altro, questo non ha valore in denaro, ma se si trattasse di religiosi invece che di suore, allora anche l'offerta della Messa deve essere considerata, e non si può disporne liberamente né usarne lecitamente. Quando si hanno offerte devono essere messe nella cassa comune, cioè devono essere consegnate. Anche se dicono: È per te. Puoi usarne proprio tu, questo è da intendersi bene: se tu non fossi religiosa e non ti trovassi nella condizione di persona consecrata a Dio, [non riceveresti l'offerta]; l'offerente spera si preghi per lui; l'offerta è sempre data «intuitu religionis»2, non è personale; per essere personale ci vogliono ancora altri caratteri. Su questo si sono fatte discussioni, ma la Santa Sede ha parlato chiaro3: se tu fossi stata una persona nel mondo, in una famiglia, non avresti avuto questa offerta.

Art. 145. Le suore tanto di voti temporanei che perpetui, salvo quanto prescrive l'art. 82, conservano la proprietà dei loro beni.

Se si ricevono eredità dai parenti, [le professe] conservano la proprietà dei loro beni; la proprietà, ma non possono amministrarli. Anche se è data una penna per scrivere, un orologio, per usarli lecitamente occorre il permesso. La superiora potrà autorizzare la suora a usarli, ma potrà anche non dare il permesso.

Però in forza del voto di povertà:
1. Non è lecito alle suore ritenere l'amministrazione dei propri beni, come stabilito nell'art. 77.

Quindi se una ha dei beni, deve farli amministrare da persona di fiducia, cosa che era da disporre in noviziato.

2. Non è lecito mutare la cessione dell'amministrazione e la disposizione dell'uso e usufrutto dei propri beni, di cui negli art. 77, 78, 79, senza il permesso della Superiora generale; se poi la mutazione della cessione già fatta riguardasse parte notevole dei beni e si volesse fare in favore della Congregazione, è necessaria la licenza della Santa Sede.

La Santa Sede prevede anche il caso in cui una suora un giorno si pentisse della sua vocazione, e allora avrebbe bisogno di mezzi per la sua vita; quindi senza il permesso della Santa Sede non si può fare la cessione. In generale però, si può sempre, e si fa bene, quando muoiono i genitori esigere [ciò che è giusto] come una figlia di famiglia. Se vi è una figlia di famiglia e un'altra è suora hanno i medesimi diritti ed è bene che si facciano valere. Non si sia tanto facili a cedere, perché la sorella ha dei bambini... Rimanere proprietari, poi se si vorrà, col permesso della Superiora, si potrà anche cedere qualche cosa dell'usufrutto.

4. Senza una speciale autorizzazione della Santa Sede, non è lecito alle suore rinunciare al dominio dei loro beni, a titolo gratuito con atto tra viventi.

Ad esempio: sono defunti i genitori, vi sono fratelli e sorelle, uno dei fratelli ha particolare bisogno perché ha una famiglia numerosa, senza una speciale autorizzazione della Santa Sede, non è lecito alla suora rinunciare al dominio dei suoi beni a titolo gratuito, cioè senza ricompensa, con atto tra viventi. La suora conserva i beni e ha anche la capacità giuridica di acquistarne altri, ma non può amministrarli.
150
Art. 147. Perciò, fatta eccezione per i beni immobili ricevuti in donazione e i beni avuti dai parenti a norma dell'articolo precedente, le Figlie di San Paolo, in forza delle presenti Costituzioni e del voto stesso di povertà, acquistano per la Congregazione non solo quanto perviene loro dalla propria iniziativa, dal proprio lavoro, e in vista della Religione, ma anche ciò che ricevessero per qualsiasi altro titolo, sia pure strettamente personale. Questi beni si devono quindi consegnare alla Superiora come appartenenti alla Congregazione, la quale ne potrà liberamente disporre in perpetuo.

Non si facciano dei buchi nella povertà perché da essi dopo passa qualsiasi cosa. La povertà come voto e come virtù è meno [esigente] della castità e dell'obbedienza, ma quando si trasgredisce la povertà, dopo a poco a poco si trasgredirà anche qualche parte degli altri voti, e forse si sarà attirate un po' coi pensieri, coi sentimenti fuori dell'Istituto, e chissà che non ne vada di mezzo la vocazione stessa!
Non si può fare qualunque sconto sui libri: bisogna stare alle regole che sono date. Non si può liberamente tramandare il pagamento oltre a quelle regole che vengono date per il pagamento delle pellicole, dei libri, dei periodici. Vi sono norme che sentite dalle superiore o ricevete nelle circolari. La suora deve dire: Io sono religiosa, non posso disporre. Qualche volta si chiede: Viene un povero in libreria, domanda l'elemosina, dobbiamo rimandarlo a mani vuote? Si può avere un permesso generale, e sarà bene dare qualche cosa, però sempre secondo le norme fissate e determinate dalla Superiora locale.
Quanto poi è acquistato o ricevuto a norma dell'art. 147, deve essere deposto nella cassa comune.

Art. 149. Le suore non possono dare agli estranei cosa alcuna, senza il permesso della Superiora, e a norma di quanto prescrive l'art. 424.

[Una suora dice:] Ho la mamma che è in gravi condizioni... Si fa presente la cosa alla superiora che potrà decidere sul caso, ma se si tratta di cosa che avviene in continuità, e non è solamente una circostanza particolare, allora si può domandare il permesso alla Superiora generale.
151
Povertà e giustizia

Bisogna notare bene ciò che dice l'articolo 150: qualche volta non si tratta solo di violare il voto di povertà, ma di mancare anche alla virtù della giustizia.

Art. 150. Non solo pecca contro la virtù della religione per la violazione del voto di povertà, ma anche contro la virtù della giustizia, la religiosa che, senza autorizzazione della legittima Superiora si appropria di cose della Congregazione, le usa, le ritiene, o le consuma per fini diversi da quelli stabiliti, le dà in prestito o le aliena; come pure quando colpevolmente spreca o deteriora cose appartenenti alla Congregazione.

Bisogna osservare una giusta misura, quindi avere debita cura [delle cose della Congregazione]. Vi sono persone che, anche senza cadere in scrupoli, hanno molta cura delle cose, altre invece hanno poca cura, e tutto nelle loro mani si deteriora, dalla cucina alla carta, agli abiti, agli ambienti, ai mobili, alle biancherie, ecc. Vi è tanta diversità tra persona e persona. Misurare la colpevolezza o il merito è tanto difficile, però tenere sempre presenti le avvertenze, anzi le osservazioni che si ricevono dalle superiore.

Art. 151. Se una suora senza la debita autorizzazione della competente Superiora, contrae debiti o altre obbligazioni finanziarie, ne deve personalmente ed esclusivamente rispondere e portare le conseguenze, avendo agito senza legittimo mandato e contro le Costituzioni.

[La suora che,] senza il permesso [avesse contratto debiti], dopo se li deve pagare essa medesima. E chi ha ricevuto, supponiamo, a prestito denaro, dovrà restituirlo alla suora, perché la suora ne risponde; tutto è fatto personalmente. E se un tale prestasse denaro alla suora che lo usa liberamente, indipendentemente dalle superiore, non potrà richiederlo all'Istituto e, se la suora non può restituire, non avrà più il suo denaro.
152
Povertà e vita comune

Osservare accuratamente la vita comune in queste cose:

Art. 152. In tutte le case della Congregazione si osservi accuratamente la vita comune, anche in ciò che riguarda il vitto, il vestiario e la suppellettile. Tutto è sotto il prudente governo della Superiora, a cui spetta provvedere con materna carità ciò che è necessario alle singole religiose.
Art. 153. Perciò è dovere delle Superiore vigilare che la legge della vita comune sia diligentemente osservata. In particolare devono avere cura:
1. Che nella comunità, anche quanto al vitto, vestito e suppellettile, vi sia trattamento uguale per tutte le suore indistintamente, Superiore e suddite, tenendo conto però delle diverse necessità delle singole religiose per ragione della salute fisica, lavoro, ecc.
2. Che entro i limiti della povertà religiosa, con materna carità si provveda alle suore ciò che è necessario e conveniente quanto al vitto, al vestito e altre cose: questo anche per evitare alle suore occasioni di peccare contro la povertà, e come esige la stessa carità religiosa.

Vi sono casi, e si sono verificati in certo numero, che per la rigidità dell'economa, le suore hanno sentito il bisogno di prendersi il denaro a parte e provvedere a qualche cosa che era loro necessario. Allora la responsabilità è dell'economa.

3. Che le suore, senza il permesso della Superiora, non accettino e non domandino a estranei cosa alcuna per proprio uso.

Nel domandare offerte bisogna comportarsi con sincerità: se l'Istituto non ha missioni propriamente dette, come si può domandare il denaro per le missioni, [dal momento] che poi non si userà per le missioni? Tuttavia, si può domandare aiuto per la formazione di figliuole che mostrino vocazione in terra di missione, missioni che oggi però sono ancora poche, per quanto riguarda la Società San Paolo e le Figlie di San Paolo.

4. Che le suore, per nessun motivo, senza l'autorizzazione della Superiora, tengano presso di sé o presso altri, in casa o fuori della casa, somme di denaro o altre cose.
5. Che per gli abiti siano costantemente usate la medesima materia e forma; e che le biancherie siano confezionate sullo stesso tipo.

Alle volte l'ambizione si estende molto in là. Così non si devono tenere «presso di sé o presso altri, in casa o fuori casa, somme di denaro o altre cose». E ancora [osservare] tutte le altre piccole avvertenze che vengono già date nelle vostre circolari.
153
Dovremmo ora dire qualcosa in generale, e cioè: amare la povertà nelle case. La tendenza all'eccesso di spese, tendenza a qualche cosa che segna lusso e non povertà religiosa, è da allontanarsi perché allontana la provvidenza. Si tribolerà dopo. Tappeti, lampadari esagerati, mobili con pretese esagerate, facilità a fare regali piuttosto abbondanti a Natale, a Pasqua, ecc. […]4. Bisogna proprio vigilare, vigilare.
La povertà: vedere un poco come sono ammobiliate le case, come sono fatte le case, come sono le camere delle superiore, e portare tutto a una debita maniera conformata alla povertà. Ma ce l'hanno dato. E se vi dessero anche dieci sofà, li dovete usare tutti? Ma, no! Ma l'hanno dato!. L'hanno dato, ma non dobbiamo usarlo. Si può ritenere, e farne omaggio, quando c'è il permesso della Superiora, a qualche altra istituzione, oppure destinarlo per altro uso sacro, ma non abbondare in questo. Bisogna tenere quel che è necessario, quel che ispira il senso della povertà.
154
Caratteristiche della povertà paolina

Quanto poi alla povertà, essa richiede prima che si produca. Il tempo usarlo bene: produrre! Sia nella redazione, nella tecnica, nella divulgazione o propaganda. Occupare il tempo! Gli Istituti nostri sono istituti in cui è prescritto il lavoro5.
Del resto, Pio XII nella Sponsa Christi6 e in altri documenti quante volte insiste perché anche le suore claustrali lavorino! Perché? Perché il lavoro è dovere naturale, obbligo naturale! Il lavoro: «Mangerai il pane col sudore della fronte» (cf Gen 3,19). Dopo il peccato Adamo si guadagna il pane col sudore; ma prima ancora del peccato originale fu messo nel paradiso terrestre, come dice il testo sacro: «ut operaretur et custodiret: perché lo coltivasse e lo custodisse» (Gen 2,15). L'obbligo del lavoro è più stretto dell'obbligo di sentire la seconda Messa alla domenica e di altre pratiche di pietà, perché è un dovere naturale, [prescritto] dalla legge naturale.
Lavoro! Oggi non è più compresa la vita che si porta avanti mediante la questua. Si può fare della questua, ma meglio; però, quell'abitudine di alcuni Istituti religiosi che da principio dovevano vivere di elemosina, questo non è più permesso, non è più concesso da secoli. Non è anche conforme ai tempi; vi è la questione operaia: gli operai non vedono bene che la persona non lavori e vada in giro a chiedere le offerte, frutto del lavoro altrui. Quindi il primo [esercizio] di povertà sta nel produrre7. Chi perde il tempo, chi sta a guardare soltanto gli altri e non produce, deve confessarsene. Produrre, e produrre intelligentemente. Non è possibile e non deve avvenire che un libro, una pellicola, un periodico siano costantemente passivi. Le iniziative devono essere vitali, cioè viventi, che possano vivere, altrimenti l'apostolato si esaurisce, cioè si consuma; e che cosa ne è? Se al parroco vengono a mancare le entrate, cioè le offerte per le Messe e il reddito, supponiamo, del podere, ecc., la parrocchia resterà vacante. Così per le [nostre] iniziative. Bisogna che ognuno si renda cosciente! Non può uno dire: Faccio cose belle, che fanno piacere, ecc.. No, bisogna che pensi che tu sei un membro dell'Istituto. Qualche volta un'iniziativa può essere passiva, sì, per un po', ma non può essere stabilmente passiva. Non sono vitali quelle opere! Consumano il lavoro degli altri. Le opere siano vitali, quindi produrre. Certo che si possono fare delle opere sempre più belle, delle case più belle, magari ornate di marmi, ecc. Certo, ma siamo religiosi?
155
Oltre al produrre: conservare, tenere nel debito conto le cose. Una [suora] adopera una macchina e la consuma in un anno; l'altra adopera una macchina uguale e la fa durare due, tre anni. Occorre che si conservino le cose, conservarle più a lungo e in debita condizione. Conservare quindi le case; alle volte bisogna riparare il tetto e alle volte i pavimenti. E poi ci sono tutte le altre cose che riguardano le librerie, le agenzie, ecc.
156
Produrre, conservare, e terzo provvedere. Provvedere alle necessità della casa, dell'Istituto. L'economa deve provvedere. Provvedere nel senso giusto, in conformità alle necessità della salute: se c'è bisogno del calorifero, si accende il calorifero, e se vi è bisogno per una ammalata di una cosa particolare, si provvederà quella cosa particolare; e se sono necessarie medicine, si provvederanno le medicine. Provvedere e provvedere in carità. Tre cose quindi: primo produrre, poi conservare e terzo provvedere.

Art. 161. Persuase che il lavoro, assieme agli altri sussidi che la Divina Provvidenza fornisce, è il mezzo ordinario e principale per provvedere alle diverse necessità temporali e sostenere le opere stesse di apostolato, anche per spirito di povertà le suore siano diligenti nell'impiego del tempo, ciascuna nelle proprie occupazioni; quando speciali necessità della Congregazione lo richiedono, ugualmente per spirito di povertà le religiose sappiano anche umilmente chiedere beneficenza; e lo facciano in quella forma semplice e dignitosa che conviene al loro stato e alla nobiltà dell'opera stessa, osservando le norme che la Superiora generale avesse dato al riguardo. È però esclusa la questua.

Certamente fate bene a fare le iscrizioni dei cooperatori, anzi questo è nello stesso tempo opera di molto zelo: far partecipare più anime ai frutti delle Messe8. È vietata la questua, la quale consiste nell'andare di casa in casa, e vi possono essere persone che si rendono pesanti nel chiedere. La ricerca della beneficenza sia fatta dignitosamente, e non portarla mai alla condizione e allo stato di questua.
A questo riguardo, oggi vi sono modi di ottenere aiuti che si rispettano e sono più conformi ai tempi. Quando si incontrano, facciamo l'esempio, persone benestanti, magari coniugi che non hanno il peso di famiglia perché non hanno figli, allora si fa bene ad avvicinarle. Perché? Perché esse hanno un certo obbligo di dare un contributo alla società e alla Chiesa. […]9 E se hanno beni notevoli, si può chiedere anche abbondantemente. Questa è una maniera che, specialmente oggi, seguono gli Istituti maggiori, e con ragione. Questa forma ha ottenuto l'approvazione presso i nostri Superiori.
157
La beatitudine della povertà

Osservanza della povertà: «Beati i poveri di spirito, perché di essi è il regno dei cieli» (Mt 5,3). Tutto quello a cui rinunziamo lo troveremo cambiato in oro alle porte dell'eternità. Ricchezze spirituali avremo dal Signore se sappiamo vivere una giusta povertà, che non è spilorceria, ma è povertà religiosa.
Come è vissuto Gesù? Nasce a Betlemme in una grotta, vive poveramente, trattato come i bambini comuni, i bambini delle famiglie più modeste; lavora diciotto anni al banco di falegname, amministra saggiamente, quando san Giuseppe era già passato all'eterno riposo. Nella vita pubblica vive di elemosine, di offerte; viene spogliato dei suoi abiti sul Calvario, abiti che divengono gioco, quando sono divisi tra i soldati, e la tunica tirata a sorte. E muore su un letto che è la croce; ed è sepolto in un sepolcro non suo, come era nato in una grotta non sua.
Guardiamo a Maria! Considerarla nella sua giornata, come una donna ebrea del suo tempo. Al mattino, è sollecita a fare il pane come si usava allora; poi [attende] a tutte le faccende della casa, della pulizia. Certamente andava poi all'orto, al campo, come facevano le donne del suo tempo, e ancora si vede fare in quella regione. E Giuseppe?
Allora la vita religiosa si deve modellare sulla prima famiglia religiosa, sulla famiglia di Nazaret. Vi sono persone che sembrano incontentabili nel vitto e anche in altre cose. Moderare le esigenze, tenersi nei giusti limiti. Perché, se si è religiose si devono avere proprio tanti e specialissimi riguardi e pretese? E poi anche il tempo per il giusto riposo, certo, bisogna darlo; anzi ci vuole il riposo pieno di un giorno settimanale.
158

* 15. Ariccia, 22 maggio 1961. Reg.: A6/an 114a = ac 183. Il titolo della registrazione è: “Voto e virtù della povertà”.

1 La voce aggiunge: «È vero che si adoperano anche i mezzi, ma i mezzi riescono efficacemente».

2 «In ragione del legame della religione».

3 Con probabilità il riferimento è al Diritto canonico (1917), particolarmente al can. 533, 1,4.

4 La voce aggiunge: «Poi la facilità a prestarsi in (oh, è meglio che non lo dica...)».

5 Il lavoro è una delle caratteristiche fondamentali della vita paolina (cf AD 124-130; UPS I, 456-458).

6 Pio XII, costituzione apostolica Sponsa Christi, per le religiose di vita claustrale, 21 novembre 1950, in AAS XLIII [1951] 5-24. Il tema del lavoro è trattato: ai nn. 35-39; nella parte dal titolo “Degli statuti generali delle monache” (art. VIII); nell'Istruzione Inter Praeclara della S. Congregazione dei Religiosi per la pratica applicazione della Sponsa Christi, istruzione emanata il 23 novembre 1950 (cap. III, nn. XXVI-XXVII).

7 Cf UPS I, 447: «La povertà paolina ha cinque funzioni: rinuncia, produce, conserva, provvede, edifica».

8 Per i cooperatori paolini vengono celebrate ogni anno duemila Messe.

9 La voce pronuncia alcune parole non ben registrate: «Non tanto... che bellezza... anche…».