18. LA CARITÀ FRATERNA*
Articoli: 170 - 175
Tra i giorni dell'anno questi sono i più adatti per il corso straordinario di Esercizi spirituali: la settimana dell'ottava di Pentecoste. Sentire lo Spirito Santo interiormente, sentire lui, vuol dire tacere noi. Tacere i discorsi del mondo e anche tutto quel che è esterno, e far tacere l'interno, cioè la fantasia, l'immaginativa, la memoria, il cuore stesso perché siamo intieramente sotto l'azione [dello Spirito]. Opera tu, dobbiamo dire al divino Amore.
Particolarmente è utile ricordare questo trattando della carità fraterna. La carità lega i cuori e rende la Congregazione come un corpo solo, un pensiero solo, un solo modo di agire. Ecco allora il capitolo quinto, il quale va dall'articolo 170 all'articolo 175. Ogni parola ha un'importanza particolare.
183
Diversità di caratteri
Per trattare della carità fraterna penso sia utile ricordare un momento il carattere1, la diversità di caratteri che qualche volta costituisce un po' di difficoltà per l'esercizio pratico quotidiano della carità. Cominciamo subito col dire che i caratteri fondamentalmente sono quattro; nessuno però ha un carattere [allo stato] puro. I caratteri hanno sempre degli elementi che appartengono a un altro carattere; non c'è uno che sia, per esempio, solo sanguigno; tante volte il sanguigno è accompagnato dal nervoso.
Ma comunque sia il carattere, abbiamo nella Chiesa di Dio dei grandi santi di ogni carattere. Quindi per ogni carattere è possibile la santificazione. Così, il carattere di san Tommaso è molto diverso dal carattere di san Paolo; san Paolo è tanto diverso da san Giovanni evangelista; san Francesco di Sales è molto diverso da sant'Ignazio [di Loyola]; molto diverso è don Bosco dal suo maestro don Cafasso2. E sono santi! Vi sono santi più portati per lo studio, e vi sono santi più adatti per le iniziative; vi sono santi che assecondano più il raccoglimento, la vita in se stessi, e santi invece che esplicano il loro amore in attività di apostolato vario.
Nel carattere dominare gli eccessi, cioè quello che sarebbe non buono. Ma ogni carattere ha degli elementi che possono portare, favorire la santità. Vi può essere anche uno che sia isterico e che arriva alla santità; c'è la santità anche nell'isterico [vero e] proprio. La santità è l'amor di Dio: ognuno dà a Dio quello che ha di forze, di energia, di attività, di mente, di cuore.
Il carattere si confonde spesso col temperamento, ma è una cosa molto diversa, sebbene queste due parole abbiano a prima vista una certa parentela. Il carattere è la risultanza abituale delle tendenze varie della persona.
184
Il carattere come nasce? Come va che una ha un carattere e l'altra ne ha un altro? Per prima cosa il carattere in generale ha origine dalla nascita: Come è il padre, tale è il figlio. Non sempre questo è vero in modo assoluto, perché ci sono sempre insieme elementi di altri caratteri, ma dai genitori si è appreso molto.
E molto si è appreso, in secondo luogo, dall'ambiente esterno. Chi è vissuto in un certo ambiente ha preso abitudini, maniere di pensare, maniere di agire, attività. L'uomo è sempre un po' inclinato all'imitazione, e allora si sono imitate le persone con cui si è convissuti.
Il carattere dipende, in terzo luogo, dalla volontà, in quanto il carattere si forma un po' con le abitudini che si contraggono. Volontà, perché il carattere si riesce a dominarlo. Se un carattere, ad esempio, è incline all'ostinazione, se è molto volitivo, lo si può moderare; come si può moderare, invece, un carattere flemmatico, scuotendolo un po', portandolo di più all'attività, moderando le rispettive tendenze. San Tommaso d'Aquino, [era] tanto inclinato allo studio, alle riflessioni profonde, eppure fu un grande predicatore, un grande scrittore, [svolse] l'attività del pulpito. Dominare il carattere in quegli eccessi a cui può portarci, perché ogni carattere ha i suoi vantaggi e ogni carattere ha qualche pericolo.
185
Carattere ideale
Il carattere ideale quale sarebbe? Il carattere ideale a cui dobbiamo aspirare e tendere, correggendo il carattere che ci siamo formato da giovani, è il carattere equilibrato. Questo carattere suppone un'intelligenza limpida, chiara: non saprà anche molte cose, ma le ha precise in mente, e le fa valere e le applica. Limpidezza di idee! Il confusionismo sempre ostacola la formazione di un buon carattere.
Il carattere equilibrato suppone poi la volontà; quando si è veduta una cosa: fermezza. Non si cambiano i propositi tutti i giorni, e non si abbraccia uno stato per poi arrendersi alle prime difficoltà; non si prende un ufficio e poi lo si lascia cadere. [Ci sono] persone a cui se affidi un ufficio, un impegno sai che lo conducono a termine. Pio XI diceva una volta: «Se voi avete qualche cosa di delicato, di importante da affidare a una persona perché lo compia, prendete quelle persone che già fanno molte cose. Se sono abituate a perseverare, a lavorare di volontà e volontà ferma, faranno quel che hanno da fare e vi faranno ancora quello che voi avete affidato a loro. Invece le persone che hanno poco da fare, neppure vi faranno ciò che affidate loro»3. Quindi, intelligenza chiara; non importa che sia una persona che si sia dedicata a studi oppure abbia soltanto istruzione comune.
Poi per il carattere equilibrato ci vuole la sensibilità. Sensibilità: sentire rispetto, delicatezza con tutti; tener conto di tutto l'insegnamento. Queste persone, di tutto quello che vedono fan tesoro; e non hanno molte amicizie, ma le amicizie che hanno sono scelte, sono coltivate e vi sono fedeli.
Il carattere equilibrato quindi, ha questa triplice condizione: intelligenza chiara, volontà ferma, sensibilità piuttosto nobile, delicata, rispetto a tutti; lo si vede a tavola, in ricreazione, anche in chiesa, tanto più poi nelle attività apostoliche.
186
Condizioni per formarsi un buon carattere
Per formarsi un carattere buono che cosa ci vuole? Anzitutto rettitudine di coscienza: quello che è buono, è buono; quello che non è buono, non è buono. [Le persone rette] non si arrendono a coloro che pare sollecitino, oppure presentano esempi non buoni, fanno discorsi di mormorazione, prendono delle posizioni contrarie ai superiori. No, hanno rettitudine di coscienza: quello che ci vuole, quello che si deve fare, ciò che è giusto... La coscienza per loro è la grande maestra della vita; coscienza però che è formata con i princìpi, poi con la grazia, con la luce dello Spirito Santo.
[Ci sono] persone che non hanno stabilità. La rettitudine di coscienza la quale porta poi la forza di volontà, volontà per la quale [le persone] prendono impegni e vanno fino in fondo. Per esempio: le Costituzioni per loro sono la regola, sono la vita. Non hanno molti problemi da sciogliere: ricorrono alle Costituzioni e si mantengono nella linea che hanno scelto; e arrivano più facilmente alla santità. Forza di volontà!
Ma nello stesso tempo occorre che ci sia anche la bontà di cuore. Hanno fedeltà alle Costituzioni, ma hanno anche compatimento per chi trova difficoltà a osservarle, perché ognuno che conosce se stesso, sa quante lotte deve fare per mantenersi sulla via giusta, e quindi compatisce anche gli altri, sa incoraggiare e sostenere. Bontà di cuore: compatire, ecco. E quando esprime un pensiero, si sente che nasce da un'anima che comprende e la cui gioia è quella di fare un po' di bene. Persone in cui si vede proprio che la loro soddisfazione è fare un po' di bene, qualche bene.
Ci vuole poi anche compostezza di modi all'esterno, perché dobbiamo vivere in comune e dobbiamo adattarci agli altri, uniformarci. Diceva una suora, non è del vostro Istituto, che vedendo le varie case di quell'Istituto a cui apparteneva, notava subito quelle che avevano conservato il modo di operare, di parlare, di comportarsi di Casa madre. E questo lo aveva rilevato in alcune case e faceva notare il modo di comportarsi a tavola, in chiesa, in ricreazione, nell'apostolato.
Quando si entra in una casa paolina, alle volte si vede subito che è paolina. E [le suore mi] dicono: Si fermi un po', aspetti, ci veda, ci ammaestri, ci corregga, ecc.. Subito [lo] si rileva da cose che sembrano inezie, ma il tempo è fatto di minuti, di minuti primi e di minuti secondi, così la vita, il carattere, e l'andamento si rileva da piccole particolarità.
187
Come formare il carattere? [Occorrono] quattro cose:
1) Conoscere noi stessi. [Esaminare] che carattere abbiamo: se eccede, se bisogna spingerlo, se bisogna ritenerlo. Vi sono dei caratteri che sono fatti per le grandi cose, come san Gregorio VII4. Vi sono dei caratteri invece, che sono fatti per le cose piccole e costruiscono tanto, aggiungendo sempre un poco di più. Vi sono caratteri più intraprendenti e caratteri che vanno bene a finire le cose, ad accompagnare chi è intraprendente. Che diversità fra don Orione5 e il suo successore!
2) Piano di vita. Formarsi il piano di vita: Devo fare così; questo è il mio lavoro spirituale e il mio lavoro esteriore. Uniformarsi allora nell'agire al piano di vita a cui vogliamo dedicarci.
3) Molto serve inoltre la direzione morale, cioè il farsi correggere; consultare le maestre. Cosa dice la maestra la quale osserva, vede? Essere docili, lasciarci correggere.
4) Il quarto elemento per formare il buon carattere sarebbero le amicizie sante. Nel mondo influiscono tanto, ma per voi non è il caso di parlarne.
188
Carattere e relazioni interpersonali
Se temperiamo il nostro carattere, se aggiungiamo quello che ad esso manca, se correggiamo quello che è eccessivo, quello che è meno regolato, allora in Congregazione è molto più facile la carità fraterna. Leggiamo:
Art. 170. Le suore pratichino sinceramente la carità fraterna, senza la quale una comunità non può vivere nella pace, fiorire per l'osservanza religiosa e promuovere efficacemente le opere di apostolato. Sia impegno di ogni Superiora e di ogni religiosa mantenere saldi i vincoli dell'unione e della carità in ogni casa e in tutta la Congregazione, secondo l'ammonimento di San Paolo: «Vi scongiuro di avere una condotta degna della vocazione che avete ricevuta, con tutta umiltà, con mansuetudine, con pazienza, con carità, sopportandovi gli uni gli altri, studiandovi di conservare l'unità dello spirito col vincolo della pace; un solo corpo, un solo spirito, come ad una sola speranza siete stati chiamati con la vostra vocazione» (Ef 4,1-5).
Quante cose dice in questo tratto san Paolo. Ogni maestra lo ripeta. L'unità dello spirito e non sbandamenti, nel vincolo della pace. La speranza è il paradiso, la santità è il cielo. Queste parole meriterebbero una meditazione per ciascuna.
Art. 171. Perciò le religiose si guardino diligentemente da tutto ciò che può offendere l'unione e la carità fraterna; specialmente rifuggano da ogni critica, mormorazione, detrazione, delazione, amicizia particolare, rancore, invidia e gelosia; evitino le sinistre interpretazioni e il continuato ricordo dei difetti delle sorelle. Tali mancanze devono essere corrette e represse energicamente. Si voglia invece il vero bene delle sorelle; si mostri anche all'esterno e realmente parta dal cuore la gioia e la soddisfazione per i beni che le sorelle hanno. Sia impegno di ognuna pensare bene, parlare bene, desiderare il bene, fare del bene.
Via il mestiere delle spie, eccetto che la cosa richieda veramente che i superiori la sappiano. Amicizie particolari, no. Certo, non si può avere la stessa confidenza con una [sorella] che è trascurata e con un'altra che è pia, osservante, buona, che dà buon esempio, ecc.; ma se la si stima di più, non vuol dire che si abbia da trattare con particolarità speciale rispetto all'altra che si mostra un po' trascurata.
Così, non «rancore, invidia e gelosia». Vi sono nazioni in cui questi inconvenienti si notano di meno, e altre nazioni in cui si notano di più. Non si perdonano! Stanno tempi senza parlarsi e interpretano tutto in male. Al contrario, vi sono persone veramente virtuose, che fanno bene.
«Evitino le sinistre interpretazioni e il continuato ricordo dei difetti delle sorelle». Badiamo a noi! Degli altri non dobbiamo rendere conto a Dio, eccetto che si sia superiori, allora bisogna pure intervenire, aiutare.
«Tali mancanze devono essere corrette e represse energicamente». Qualche volta ho detto così: Siate buone con tutte; ma quanto a mancanza di carità, siate rigide, un po' forti. È la virtù principale ed è quella che lega gli spiriti, che porta la vita quotidiana in una pace, serenità per cui si vive bene la vita religiosa. Anzi, godere del bene che hanno gli altri e, se è possibile, aggiungerne con la preghiera e con l'azione.
189
L'articolo seguente dice pure cose importanti:
Art. 172. Fra le suore vi sia mutua carità e comprensione, buon esempio vicendevole nella pietà, nella fedele osservanza, nel comune sentire e nel parlare. Si trattino con rispetto e cordialità; si compatiscano nelle afflizioni; si sopportino nei difetti; si perdonino le offese; si usino quella carità e delicatezza con cui ognuna vorrebbe essere trattata. Vi siano anche i comuni segni esterni di cortesia religiosa, di educazione e cordialità che a tutti, ma in modo particolare convengono alle persone consacrate a Dio.
Questa carità va usata anche in libreria con gli esterni, particolarmente con quelli che in qualche maniera ci aiutano; va usata nelle agenzie, in tutta la propaganda oltre che in comunità.
Art. 173. Particolare esercizio di carità per le religiose è la convivenza serena, familiare, cordiale, nella vita di comunità, con tutte indistintamente; in modo che la vita in comune sia veramente di conforto nelle pene, di incoraggiamento nelle difficoltà, di sincera partecipazione nelle gioie. Questa convivenza deve portare a vivere l'ammonimento di San Paolo: «Portate gli uni i pesi degli altri e così adempirete la legge di Cristo» (Gal 6,2).
Si dice: «convivenza serena, familiare, cordiale, nella vita di comunità, con tutte indistintamente», ma ci sono sempre anche dei difetti e dei caratteri molto diversi da noi, allora san Paolo interviene e dice: «Portate gli uni i pesi degli altri e così adempirete la legge di Gesù Cristo».
190
Correzione fraterna
La correzione fraterna è una regola molto importante. Prima: «inter te et ipsum solum» (Mt 18,15), quando il fratello, quando la sorella sbaglia, correggila tra te e lei sola. Se ti ascolta, bene, hai merito e ne ha anche colei che ti ha ascoltato e che si è corretta. Se non ascolta, chiedi l'aiuto di una o due persone, di testimoni, che possano anche loro dire una buona parola. E se poi non ascolta, «dic ecclesiae» (Mt 18,17), cioè dillo ai superiori, se sono casi gravi. Ma vi sono persone che non si lasciano correggere affatto: Guarda te stesso. Certo, dobbiamo guardare noi stessi, ma ci sono pure cose che impone la carità, cioè di aiutare moralmente le persone con cui si convive e che hanno anche bisogno di correzione. Ma la correzione va fatta con molta umiltà, con molta bontà. Sempre dire prima l'atto di dolore per i peccati, per gli sbagli nostri: cominciare dall'umiliazione. Dopo aver lodato la persona che si vuol correggere, per quel che già fa di bene, aggiungere qualche parola su quello in cui ha bisogno di essere aiutata e corretta.
Vi sono persone invece, che hanno piuttosto l'occhio addosso alle altre e non a se stesse. Guardare il proprio ufficio, guardare come si prega, cioè come preghiamo noi, quale carità abbiamo noi. E domandarsi: Se tutti facessero come me la comunità andrebbe bene o non bene?
Vi sono persone che portano sempre gli occhiali scuri o addirittura verdi: scuri e vedono scuro, e verdi quando c'è l'invidia. Vigiliamo, vigiliamo! Le passioni le abbiamo tutti, ma cerchiamo di convertirle in passioni di bene, nel desiderio di fare il massimo bene, di vedere le cose bene.
191
Alla sequela di Gesù sulle orme di san Paolo
Art. 175. Le suore ricordino l'insegnamento di San Paolo: «La carità è paziente, è benigna, non è invidiosa, non è insolente, non si gonfia, non è ambiziosa, non cerca il proprio interesse, non si irrita, non pensa male, non gode dell'ingiustizia, ma si rallegra della verità, tutto scusa, tutto crede, tutto spera, tutto sopporta» (1Cor 13,4-7); e i precetti del Signore: «Imparate da me che sono mansueto ed umile di cuore» (Mt 11,29); «Mettiti a sedere all'ultimo posto» (Lc 14,10); in modo che chi comanda dimostri materna e dolce sollecitudine, e chi è soggetto, filiale docilità, per unire le forze e tutto guidare al bene comune.
La conclusione di questo capitolo è da leggersi con attenzione. Ricorda le parole di san Paolo: «La carità è paziente»; la carità verso Dio che ci porta a sopportare qualche cosa, ma anche a sopportare le persone moleste. «È benigna» con tutti. «Non è invidiosa, non è insolente»: alle volte [si danno] risposte insolenti anche a chi ci vuole fare il bene. «Non si gonfia»: chi mette solo l'occhio sopra le proprie buone qualità e si compiace di queste, metta anche l'occhio sulle [sue] qualità non buone. «La carità non è ambiziosa»: la persona ambiziosa vuol essere ammirata un po' per il parlare e un po' per l'operare. «Non cerca il proprio interesse», perché cerca gli interessi di Dio, cioè la sua gloria, e gli interessi del prossimo, cioè la salvezza. «Non si irrita», perché è paziente; non si irrita neppure per i suoi sbagli perché negli sbagli si umilia. Ecco: «La terra ha dato il suo frutto» (Sal 67,7) cioè: Io sono un povero composto di terra e la terra ha dato il suo frutto e cioè una escandescenza, per esempio, una parola non pensata. «Non pensa male», perché interpreta in bene, quindi non fa né giudizi temerari né pensieri infondati, e non giudica quando non è chiamata in giudizio. «Non gode dell'ingiustizia»: quante volte si commettono ingiustizie in questo povero mondo! Ma… Me la fai pagare, che brutta parola! «Ma si rallegra della verità, tutto scusa, tutto crede, tutto spera, e tutto sopporta». Di queste parole sant'Alfonso ne ha fatto un libro: La pratica di amar Gesù Cristo.
I caratteri della carità li avevate scritti in varie maniere6, ed è bene che siano sempre scritti nel cuore; ma perché siano scritti nel cuore bisogna rivederli sovente anche esteriormente.
192
Ricordare poi le parole del Maestro divino: «Imparate da me che sono mansueto ed umile di cuore». Mansueto! «Mettiti a sedere all'ultimo posto». Persone che vogliono solo parlar loro. Eh, lascia parlare anche un po' le altre! Avranno anche loro qualcosa di buono da dire. Del resto, «in multiloquio non deest stultitia»: nel troppo parlare vien fuori la stoltezza (cf Pr 10,19) tante volte, e qualche volta «non deest peccatum», cioè il parlare è mescolato con imperfezioni.
«In modo che chi comanda dimostri materna e dolce sollecitudine, e chi è soggetto, filiale docilità, per unire le forze e tutto guidare al bene comune». Ecco il segreto della pace di una comunità e il segreto per sentirsi un corpo operante, in cui tutti i membri fanno la loro parte. San Paolo ragiona bene: sulla terra non si può essere tutti occhio, tutti mano, tutti cuore, tutti polmoni. No, un corpo è costituito da tanti membri, e se ogni membro fa la sua parte, ecco che il tutto cammina bene (cf 1Cor 12,12-27). Non aspettiamoci sempre un ambiente dove non ci siano sacrifici, dove tutti siano pienamente nell'intimo concordi con i nostri pensieri, i nostri voleri; e non pretendiamo di far piegare sempre gli altri a noi. Anche se [si tratta] di fare due passi, vi è chi si impone e bisogna andare da quella parte. Cedete! cioè adattatevi a quella persona; e quella non pretenda di essere sempre lei a decidere.
Le cose alle volte si possono fare in due maniere. Il Papa [Giovanni XXIII] diceva: Nella mia vita mi sono sempre trovato meglio nell'adattarmi agli altri e nel fare la volontà altrui7. E il Signore l'ha portato a comandare a tutti. Perché c'è un segreto: si acquista un potere sugli altri, quando c'è l'umiltà, l'adattamento, la comprensione. Si finisce col dominare non perché c'è l'autorità, ma perché c'è la bontà che vince tutto.
Sebbene stasera non possa fermarmi, però nei prossimi giorni, per tutte quelle che desiderano parlarmi, sarò a disposizione.
193
* 18. Ariccia, 23 maggio 1961. Reg.: A6/an 115b = ac 185a.
1 Trattando del carattere, don Alberione segue, riservandosi di sviluppare il tema liberamente, A. Royo Marin, op. cit. (cf n. 482: differenza fra carattere e temperamento; n. 483: cause fondamentali del carattere; n. 484: carattere ideale; n. 485: formazione del carattere; e tutto il cap. V, dal titolo Mezzi secondari esterni, in cui gli argomenti sul carattere, prima presentati in sintesi, vengono sviluppati: nn. 507-529).
2 San Giuseppe Cafasso (1811-1860), piemontese, sacerdote diocesano, formatore di sacerdoti presso il Convitto della Consolata in Torino. Canonizzato il 22 giugno 1947.
3 Cf C. Confalonieri, Pio XI visto da vicino, Ed. Paoline, Milano 1993
3 , p. 120.
Don Alberione dimostra di conoscere questa biografia pubblicata nel 1957; copia questo testo su un foglio con la annotazione: «Da pubblicare sul SP» (cf CISP, p. 170). È una massima che corrisponde al suo stesso sentire di uomo concreto e laborioso.
4 Gregorio VII (1020-1085), benedettino, venne acclamato papa a voce di popolo. Pagò con l'esilio la fermezza con cui resse la Chiesa.
5 Luigi Orione (1872-1940), sacerdote, fondatore della “Piccola Opera della Divina Provvidenza”. Beatificato il 26 ottobre 1980 da Giovanni Paolo II. Il suo successore, don Carlo Sterpi (1874-1951), per il suo carattere, portava a completamento le iniziative di don Orione.
6 Ricorda la consuetudine di trascrivere su cartelli murali i caratteri della carità.
7 Quasi certamente Don Alberione ha presente l'udienza concessa alla SSP il 30 aprile 1960, a conclusione del Mese di Esercizi. Egli riporta a senso alcune parole del discorso molto familiare e affettuoso del Santo Padre: «E noi ci adattiamo con pazienza, sempre benediciamo il Signore» (UPS IV, 280).